giovedì 18 ottobre 2018

Anteprime Sperling&Kupfer: LA DONNA DEL RITRATTO (Kate Morton) || ANDIAMO A VEDERE IL GIORNO (Sara Rattaro)



Ma davvero in libreria a fine ottobre torna lei, la "mia" Kate Morton???? *______*


LA DONNA DEL RITRATTO (The Clockmaker's Daughter) è una storia di omicidi, misteri e furti, di arte, amore e perdite.
Scorre come un fiume, attraverso la voce di una donna il cui nome è stato dimenticato dalla storia: Birdie Bell, la figlia dell'orologiaio.


LA DONNA DEL RITRATTO
di Kate Morton



Ed. Sperling&Kupfer
492 pp
19.90 euro
USCITA
30 OTTOBRE 2018
Il mio vero nome, nessuno lo ricorda.
La verità su quell'estate, nessuno la conosce.

Nell'estate del 1862, un gruppo di giovani artisti si riunisce a Birchwood Manor, una grande casa nella campagna dell'Oxfordshire, quasi protetta dentro un'ansa del Tamigi. 
A guidare il gruppo è Edward Radcliffe, il più appassionato e promettente di loro, un ragazzo di vent'anni, che non conosce limiti. 
A lui è venuta l'idea di immergersi nella natura per i successivi trenta giorni, lontano dai condizionamenti di Londra e dalla sua formalissima society, per dare libero sfogo alla creatività. 
E invece, alla fine di quel mese, la tragedia ha stravolto le loro esistenze: una donna è stata uccisa, un'altra è sparita nel nulla e un prezioso gioiello è scomparso. 

Più di centocinquanta anni dopo, Elodie Winslow, una giovane archivista di Londra, scopre per caso una borsa di cuoio nella quale si trovano due oggetti che la colpiscono profondamente: la fotografia sbiadita di una bellissima giovane donna in abiti vittoriani e l'album da disegno di un artista. Nel quale spicca lo schizzo di una grande casa protetta dall'ansa di un fiume, che a Elodie pare stranamente famigliare. Quali segreti nasconde Birchwood Manor? Chi è la ragazza? 
Per scoprirlo, Elodie dovrà seguire una voce fuori dal tempo, dimenticata dalla storia eppure testimone di tutto: Birdie Bell, la donna del ritratto.


Altro graditissimo ritorno è quello di Sara Rattaro:


ANDIAMO A VEDERE IL GIORNO
di Sara Rattaro



Ed. Sperling&Kupfer
204 pp
16.90 euro
USCITA
6 NOVEMBRE 2018
 Alice è stata una figlia modello e una perfetta sorella maggiore, quella che in famiglia cercava di tenere insieme tutti i pezzi mentre il padre stava per abbandonarli, quella che per prima ha trovato il modo di comunicare con il fratellino, nato privo di udito, e di farlo sentire «normale».
Ha pensato agli altri prima che a se stessa, ha seguito le regole prima che il cuore e adesso, di fronte a una passione che ha scardinato tutti i suoi schemi e le sue certezze, si ritrova a mentire, tradire, fuggire.
 Ma sua madre, Sandra, non ha alcuna intenzione di lasciarla sola. Su quel volo per Parigi c'è anche lei, e insieme iniziano un viaggio che è un guardarsi negli occhi e affrontare tutti i non detti, a partire da quel vuoto che ha rischiato di inghiottire la loro famiglia tanti anni prima.
 Alice si illude che, ritrovando la persona che si era insinuata nelle crepe della loro fragilità, possa dare una risposta a tutti i perché che si porta dentro, magari capire ciò che sta accadendo a lei ora, vendicare il passato e punire se stessa.
Le occorreranno chilometri e scoperte inattese, tuttavia, per comprendere che non è da quella ricerca che può trovare conforto.
Perché una sola è la verità: la perfezione non esiste, solo l'amore conta, solo l'amore resta.
E la sua famiglia, così complicata, così imperfetta, saprà dimostrarle ancora una volta il suo senso più profondo: essere presente, sempre e a ogni costo. Per continuare insieme il cammino, qualunque sia la destinazione.

mercoledì 17 ottobre 2018

"Ho messo le ali" di Maria Giovanna Farina - II edizione



La filosofa e scrittrice Maria Giovanna Farina - le cui precedenti opere sono state già presentate sul blog ha ripubblicato un suo libro di successo "Ho messo le ali", ed. Rupe Mutevole del 2013, giunto alla seconda edizione in virtù del notevole consenso ricevuto dal pubblico femminile e non solo.


LINK
È la storia vera di una donna che con ironia e spirito di osservazione mette in pratica gli insegnamenti di un filosofo, un maestro che le ha insegnato a rinascere. 
Dal rischio di sprofondare nell'anoressia si eleva, mettendo le ali, a filosofa lei stessa e nella frenesia di aiutare gli altri, si salva iniziando una nuova vita. Impara a non soccombere più alle prevaricazione e lo insegna a tutti quelli che incontra. Francesca, la protagonista, diventa il simbolo del riscatto femminile, una donna che non accetta più di auto-infliggersi punizioni ma rivendica il suo ruolo paritario accanto all'uomo.

Nella nuova edizione Maria Giovanna rinnova il testo mettendo in luce i ricattatori sessuali ai quali si può dire no seguendo il percorso del racconto, è, in ultima analisi un libro di prevenzione. 
L'autrice apre la seconda edizione con il racconto di un ricattatore seriale che viene messo in scacco con ironia: mettere le ali vuol dire anche sapersi difendere senza far soffrire il proprio corpo.

Ho messo le ali, I edizione, è stato inserito tra i “libri che curano” da Sellerio.com, è un testo scritto per le donne e utile anche agli uomini.


L'autrice.Maria Giovanna Farina si è laureata in Filosofia con indirizzo psicologico all’Università Statale di Milano. È filosofa, consulente filosofico, analista della comunicazione e autrice di libri per aiutare le persone a risolvere le difficoltà relazionali. Nei suoi testi divulgativi ha affrontato temi quali l'amore, la musica, la violenza di genere, la filosofia insegnata ai bambini e l'ottimismo in “Dialoghi con un ottimista, in salotto con Francesco Alberoni”. Per Rupe Mutevole è uscito nel 2013 “Ho messo le ali”, nel 2017 “La libertà di scegliere” e nel 2018 il romanzo “Catarina e la porta delle verità” scritto con Max Bonfanti. Pioniera nel campo delle pratiche filosofiche, nel 2002 fonda Heuristic Institution, dove si è dedicata anche alla ricerca di metodi e strategie da applicare alla risoluzione delle difficoltà esistenziali. Esperta di relazioni umane, è autrice di numerosi articoli e di interviste anche in video fatte ad alcuni tra i più noti personaggi della cultura e dello spettacolo. Creatrice della rivista filosofica on-line “L’accento di Socrate”, è attiva in rete come blogger dove sperimenta l’applicazione della filosofia alla vita quotidiana anche nella rivista diretta da Francesco Alberoni “L’amore e gli amori”. Cura per Rupe Mutevole la collana “Le relazioni”. Per conoscere nel dettaglio pubblicazioni e lavori: www.mariagiovannafarina.it

martedì 16 ottobre 2018

Recensione: FOLLIA di Patrick McGrath (RC2018)




Una passione morbosa, un amore impossibile è quello tra Stella e Edgar, lei moglie di uno psichiatra, lui un paziente "pazzo" che ha commesso un truce omicidio: cosa può scaturire da una relazione sbagliata e torbida? A raccontarcelo è lo psichiatra e narratore, il dottor Cleave.


FOLLIA
di Patrick McGrath



Adelphi Ed.
296 pp
12 euro
"Le storie d'amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni. Si tratta di relazioni la cui durata e la cui intensità  differiscono sensibilmente, ma che tendono ad attraversare fasi molto simili: riconoscimento, identificazione, organizzazione, struttura, complicazione, e così via. La storia di Stella Raphael è una delle più tristi che io conosca."

Siamo in Inghilterra, nel 1959 e le vicende narrate hanno inizio all'interno di un manicomio criminale d massima sicurezza. 
A parlarcene è Peter Cleave, psichiatra criminale e testimone della grande e tragica storia di amore tra Stella Raphael, moglie di un altro psichiatra (nonchè vice-direttore dell'istituto e aspirante direttore), e Edgar Stark, artista detenuto per aver commesso un truce uxoricidio. 

Lo sguardo di Cleave - che diventa anche quello del lettore - è in retrospettiva, nel senso che i fatti narrati sono accaduti nel passato, per cui il narratore ha una conoscenza di tutto a 360°.

Stella, ci dice Peter, è una moglie infelice, frustrata, che ha sposato un uomo, Max, molto riservato, serioso, noioso...: insomma, il loro è un matrimonio mal riuscito, dal quale è comunque nato un bambino, Charlie, di dieci anni.
Quando gli occhi apatici e annoiati di Stella incrociano quelli enigmatici di Edgar Stark, restando ammaliata dal suo sorriso di affascinante mascalzone e dalla sua estrosa personalità di artista..., l'attrazione è inevitabile.
Edgar, scultore con seri problemi psichiatrici, con tendenze violente e omicide (il modo in cui ha ammazzato la moglie fa rabbrividire), è per la sola e malinconica Stella l'ideale di uomo bello, fascinoso, con carisma, creativo e soprattutto, focoso, passionale, tutto il contrario di Max.
Stella ne è soggiogata e i due iniziano una tresca amorosa; quando possono, si incontrano di nascosto e consumano la passione che li unisce; la probabilità di essere scoperti non solo non li spaventa, ma li eccita ancora di più; anzi, forse una parte di Stella vorrebbe proprio che quella mummia di marito che si ritrova la scoprisse a letto con un altro uomo!

Ma Edgar è davvero innamorato di Stella? O la sta usando per scopi egoistici perchè ha in mente un piano? 
Effettivamente Edgar riesce a scappare dall'istituto; la sua assenza getta l'amante nella disperazione, fino ad arrivare alla decisione di lasciare marito e figli e raggiungere il detenuto evaso a Londra.

Peter descrive questa relazione perversa e ossessiva tra i due in modo dettagliato, e impariamo a conoscere Stella attraverso le sue parole; notiamo la sua preoccupazione verso il futuro della donna, le conseguenze drammatiche delle sue azioni, la sua probabile isteria e la possibilità di entrare in depressione qualora le cose non dovessero andare come desidera lei...

Gli eventi prendono una piega sempre più drammatica, la fuga d'amore e l'idillio con l'amante artista non dureranno molto, Stella sarà costretta a tornare a casa, e inevitabilmente troverà ad accoglierlo un marito deluso e arrabbiato, un figlioletto spaesato, infelice e confuso, una suocera (quando c'è) che la disprezza...; solo Peter le resterà accanto, come amico e dottore.
Riuscirà Stella a "guarire" da questa ossessione per un uomo la cui grave patologia psichiatrica probabilmente lo rende incapace di amarla come lei vorrebbe?

Parto dicendovi cosa non mi è piaciuto tanto del libro.
Tanto per cominciare, lei.., Stella: non sono riuscita ad entrare in empatia con lei, credo perchè semplicemente non ho approvato molto suoi comportamenti.
Infelice, fragile, insoddisfatta, tendente alla depressione; la sua latente passionalità si scontra con la freddezza e l'eccessiva razionalità del marito; forse il loro matrimonio era finito ben prima del tradimento di lei?
Quando Stella si lascia sedurre dal conturbante Edgar Stark, non ne vede la "parte malata", inquietante, opportunista, pericolosa: per lei è soltanto l'innamorato, l'amante focoso che la fa sentire viva come mai si è sentita prima di allora.
Questo sentimento la travolge in tutti i sensi, non solo rendendola una moglie fedifraga ma anche una madre distratta e pronta a far scelte egoistiche, e forse questo aspetto me l'ha resa poco simpatica (è chiaro che quando ci sono malattie psichiatriche di mezzo, ogni giudizio deve tener conto di questa variabile fondamentale, ma io mi limito a valutare il personaggio).
La separazione da Edgar costituisce un punto di rottura, spezza quel già precario equilibrio mentale in suo possesso perchè subentra la consapevolezza che la sua ricerca della felicità e della libertà è andata in frantumi. Avrebbe preferito vivere in povertà col suo amore che tornare dall'algido marito, tra le comodità e gli agi, ma circondata dal freddo di una vita priva di amore e calore.

"Viveva in una specie di nebbia, e le persone intorno a lei erano solo buie figure spettrali, fantasmi privi di una vera sostanza. Nè lei sembrava averne ai loro occhi".

Benchè sia il marito tradito, neanche Max ha suscitato la mia solidarietà: troppo rigido, indifferente agli umori della moglie nonostante faccia lo psichiatra; marito distratto, troppo preoccupato di ottenere la carica di direttore del manicomio per cogliere i segnali di insofferenza della moglie; troppo succube dell'autoritaria mamma Brenda (che disprezza apertamente la nuora); in seguito al tradimento, Max è ferito non perchè ancora innamorato di Stella, ma perchè schiacciato dalla consapevolezza del proprio orgoglio ferito, della sua reputazione distrutta e del grande imbarazzo creato dalla condotta indecente della moglie.

Solo Charlie mi ha fatto tanta tenerezza, e mi spiace che sia stato poco approfondito, a maggior ragione se consideriamo che a un certo punto sarà protagonista di un evento culminante.

Per quanto riguarda il narratore, Peter Cleave è un uomo sfuggente, cerca di narrare i fatti con l'occhio clinico del medico psichiatra ma si percepisce che subisce il fascino di Stella; egli stesso è un personaggio in fondo poco esaminato, il che gli ha conferito, a mio avviso, poca "umanità", anche perchè non interagisce moltissimo nelle vicende, è più spettatore che attore (lo sarà un po' di più verso le ultime battute), essendo  troppo concentrato sulla cronaca dei fatti.
Nel suo insieme, il racconto l'ho trovato "emotivamente freddo", difetta di calore, forse perchè a guidarci è il punto di vista di un uomo di scienza che guarda le cose, le persone coinvolte e le loro azioni con l'occhio attento del dottore.
Ecco, avrei preferito ci fosse il punto di vista di Stella, magari l'avrei "capita" meglio e di più...

Cosa ti è piaciuto, allora?, mi chiederete voi?

Anzitutto, l'ambientazione: sono attratta dalle storie collocate in manicomi, mi affascinano gli abissi della mente umana e qui se ne parla a iosa; McGrath è bravissimo nel descrivere brevemente ma con efficacia il contesto naturale/paesaggistico e a mutarlo in base a ciò di cui sta parlando, nel senso che quindi diventa specchio dei turbamenti dei personaggi, nel nostro caso di Stella, come nel "Il morbo di Haggard" lo era dell'animo complesso e inquieto del protagonista.

Riconosco che l'Autore ha scritto un romanzo psicologico che ha al centro una storia interessante, inquietante, "perversamente affascinante"; egli scava sapientemente nella mente turbata di Stella (anche degli altri personaggi, seppur con meno attenzione) per cercare di capirne le motivazioni e le azioni, così da ricondurle ad una diagnosi specifica.
Si da sicuramente spazio all'interiorità..., si raccontano e si esaminano i sentimenti di Stella, i perchè delle sue scelte, i suoi turbamenti, le contraddizioni..., però il punto è sempre lo stesso: ho riscontrato una barriera tra me e la donna al centro delle vicende - che pure sono interessanti, ero molto curiosa di seguirne gli sviluppi - e questo mi ha impedito di apprezzarne l'intensità emotiva...

Consigliato a quanti amano i romanzi psicologici, in cui la vera protagonista è la complicatissima psiche umana.


Reading Challenge
obiettivo n.5. Un libro a scelta tra questi:

Ciò che inferno non è (A. D'Avenia) - Dovremmo essere tutti femministi (C.N. Adichie)
- Follia (P. McGrath) - Il porto proibito - La morte della Pizia (F. Durrenmat) -
 La signora delle camelie (A. Dumas) - Mio fratello rincorre i dinosauri (G. Mazzariol) -
Quando siete felici fateci caso (K. Vonnegut) - Soli e perduti (E. Nievo) -
 Una vita come tante (H. Yanagihara).

domenica 14 ottobre 2018

Recensioni film: "Valzer con Bashir" (Ari Folman) || "Sulla mia pelle" (A. Cremonini)



Massacro: questa è la parola che accomuna questi due film, diversissimi tra loro per stile, argomento... ma allo stesso tempo aventi in comune una triste realtà: l'annientamento dell'altro, della sua dignità, del suo diritto di vivere.



Il primo film è Valzer con Bashir ed è un film d'animazione del 2008 scritto e diretto da Ari Folman, che ha lo scopo di documentare, in modo romanzato - ma neanche troppo - e mescolando i tantissimi legami a fatti realmente accaduti ad altri, pochi, di fantasia, un tragico evento storico avvenuto nel settembre del 1982 in Libano: il massacro, appunto, di tanti innocenti palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila.

La storia inizia con immagini che hanno un che di angoscioso e spaventoso: dei cani dall'aspetto davvero poco rassicurante e dallo sguardo famelico e aggressivo stanno inseguendo qualcosa o qualcuno...
Queste immagini è un amico del protagonista a raccontarle una sera,  seduto al tavolo di un bar insieme al regista Ari Folman: si tratta di un incubo ricorrente nel quale questo amico è inseguito da 26 cani furiosi. Ogni notte, lo stesso numero di cani.
"Come fai a sapere che sono proprio 26 e non 30?, gli chiede Ari incuriosito, e l'altro non ha alcuna esitazione a rispondergli che lui sa che sono 26 perchè è esattamente il numero di cani da lui uccisi durante un'operazione militare cui partecipò nel corso della guerra in Libano, ad inizio anni '80.

Questo ricordo condiviso porta Ari a riflettere su un aspetto importante legato alla missione di guerra dell'esercito israeliano (di cui anche lui ha fatto parte vent'anni prima) in Libano: non ricorda quasi nulla di quel periodo e questa improvvisa consapevolezza lo sorprende, tanto da convincerlo ad esplorare il mistero rintracciando e intervistando vecchi amici...

La prima cosa che fa è rivolgersi ad un amico esperto di psicologia, che gli fa capire come non di rado succeda che si costruiscano dei ricordi falsati per colmare dei "buchi" nella memoria; i flash e le confuse immagini che Ari ha di quella guerra potrebbero essere dei ricordi non reali, ma creati da lui stesso, inconsciamente.

"La memoria è dinamica, è viva. Se mancano dei particolari o ci sono dei buchi, la memoria riempie i vuoti fino a "ricordare" completamente qualcosa che non è mai successo".

A suffragare la spiegazione dell'amico ci sono vari esperimenti..., eppure Folman non ne è convinto, anche perchè lui in Libano c'è stato davvero!

Così decide bene di cercare ed incontrare alcuni suoi ex-commilitoni per chiarire i dubbi che ha in particolare su un episodio che lo tormenta: il genocidio all'interno dei campi profughi di Sabra e Shatila, evento che lui pare aver rimosso...

Non tutti gli ex-soldati rammentano il massacro, ma qualcuno sì ed è proprio mettendo insieme i propri e gli altrui flashback che Ari riuscirà a far riaffiorare in memoria i ricordi di quella terribile esperienza, compreso lo sterminio di quella parte del popolo libanese - la stima dei morti va da alcune centinaia ad alcune migliaia - ad opera dei falangisti libanesi e con l'aiuto dell'esercito israeliano.

Il titolo del film si riferisce alla "danza" di un soldato che spara all'impazzata con il suo mitra sotto un poster di Bashir Gemayel, politico libanese assassinato nel 1982, fatto che provocò, come ritorsione, l'eccidio che è al centro della pellicola, avvenuto tra il 16 e il 18 settembre.
Il film ha catturato tutta la mia attenzione, riuscendo a farmi vivere in modo vivido e drammatico i fatti narrati; Ari Folman, alla ricerca della verità seppellita nei propri ricordi rimossi, fa un lavoro su se stesso, di autoanalisi, raccoglie informazioni e testimonianze al pari di un giornalista, ma un giornalista non esterno, chiaramente, bensì strettamente coinvolto con ciò che ascolta, perchè egli è stato testimone oculare dei fatti tragici di cui ci racconta in questa sua opera, e deve fare i conti con il dato di fatto che ciò cui ha assistito da giovane lo ha talmente turbato che la sua memoria aveva scelto la strada dell'oblio.

Nonostante sia un film d'animazione, "Valzer con Bashir" riesce ad essere comunque un racconto realistico, intenso e coinvolgente, che mette in risalto l'orrenda e disumana realtà che è la guerra, come essa rechi solo distruzione, dolore, spargimenti di sangue, e non guardi in faccia nessuno...., uomini, donne bambini.
Mi è piaciuta l'idea di raccontare questo episodio orribile della Storia del Libano attraverso flashback che, come tessere di un mosaico, pian pian si va formando.

L'intensità e la vividezza delle immagini raggiunge il suo culmine negli ultimi minuti, dove il lettore viene messo davanti ad immagini reali, tratti da filmati d'archivio, che mostrano in modo ancora più forte e d'impatto tutto il dolore e la tragicità del massacro, le macerie e i cadaveri dei profughi barbaramente assassinati.
Mi sarebbe piaciuto leggere la graphic novel, ma per ora non sono riuscita a procurarmela, così ho ripiegato sul film, di cui vi consiglio assolutamente la visione; a me è servita..., ammetto infatti la mia ignoranza in merito a questo eccidio del popolo libanese, di cui non so se sarei venuta a conoscenza se non mi fossi accostata a quest'opera cinematografica, vincitrice del Golden globe per il Miglior Film Straniero nel 2009.



Il secondo film che voglio condividere con voi è il racconto sobrio, onesto ma comunque forte dell'ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, un caso di cronaca di cui si sta parlando moltissimo da 9 anni e soprattutto in questi giorni per via delle svolte verificatesi in seguito alla confessione di uno dei carabinieri, testimone del pestaggio ad opera dei colleghi.

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Sulla mia pelle è un film diretto da Alessio Cremonini; è stato selezionato come film d'apertura della sezione "Orizzonti" alla 75ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.  Stefano Cucchi è interpretato magistralmente da Alessandro Borghi;  a dare i volti ai genitori sono Milva Marigliano e Max Tortora; Ilaria Cucchi è interpretata da Jasmine Trinca.

Credo che ormai tanti di noi (per non dire tutti) conoscano i drammatici fatti che hanno preceduto la morte del giovane geometra romano Stefano Cucchi: fermato la sera del 15 ottobre 2009 dai carabinieri con l'accusa di possedere droga, viene in effetti trovato in possesso di varie confezioni di hashish e cocaina, pronte - dicono i carabinieri che lo fermano - per essere spacciate; gli trovano anche una pasticca di un medicinale per l'epilessia, patologia di cui soffriva.

Scatta immediatamente il fermo, Stefano viene messo in custodia cautelare; il giorno dopo è processato per direttissima e arriva davanti al giudice sì sulle proprie gambe ma in cattive condizioni: riporta, infatti, ematomi al viso e mostra difficoltà nel camminare e nel parlare.

Per decisione del giudice, Cucchi resta in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli, ma poichè le sue condizioni di salute peggiorano ulteriormente, viene visitato in ospedale dove sono messe a referto lesioni, fratture ed ematomi diffusi su tutto il corpo. 
In carcere le sue condizioni peggiorano ulteriormente e il 22 ottobre Stefano Cucchi muore nell'ospedale Sandro Pertini. 

Il film si sofferma quindi sugli ultimi sette giorni di vita del povero Stefano; l'ho apprezzato davvero molto per la sua onestà, nel senso che, prima di vederlo, uno potrebbe pensare che esso metta in risalto i maltrattamenti e le percosse subite in caserma, essendo un film denuncia; in realtà, non c'è alcuna ostentazione di violenza..., pur essendone visibili gli effetti, sul volto magrissimo, scavato, e sul corpo indolenzito e anoressico di Stefano...

Di Stefano non c'è alcuna santificazione, questo è evidente: era un ragazzo con un problema bello grosso, la tossicodipendenza, e la sua famiglia era preoccupata al pensiero di questo figlio/fratello "drogato"; i genitori sono amareggiati quando vengono a sapere - in seguito all'arresto - che Stefano non è affatto uscito dal tunnel, come invece loro credevano; la stessa Ilaria ne è delusa e forse un po' arrabbiata  perché il fratello non aveva chiuso con quel giro.

Il racconto di quest'ultima terribile settimana è essenziale ed asciutto e in pratica mostra Stefano steso su un letto, lasciato lì a morire d'inedia, privo di cure; prima di morire, egli viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, sembrano intuire che il giovane stesse lentamente consumandosi.

Nel film vediamo Borghi/Cucchi rifiutare ogni cura (l'unica cosa che chiede all'inizio sono i farmaci per l'epilessia) e, da parte loro, i dottori alzare la spalle e ordinare che si scriva che è l'assistito a non voler essere curato..., negligenza gravissima che sappiamo a cosa porterà.

Borghi è bravo sempre, e qui ne da un'ulteriore prova, conferendo grande intensità alla propria interpretazione, vestendo con efficacia e convinzione gli scomodi panni di Cucchi; "vedere" questo giovane morire a poco a poco, tra l'indifferenza di un personale sanitario che va e viene, sofferente, macilento, con la faccia livida, che non riesce neppure a parlare..., è straziante e non può che far scuotere il capo per l'indignazione e la rabbia; che sia possesso di droga o qualsiasi altro reato, nessuna persona - affidata allo Stato, come nel nostro caso - può essere lasciata a se stessa nè tanto meno pestata, e la consapevolezza che Stefano abbia ricevuto un trattamento ingiusto e inumano fa tanta rabbia, perchè se lo Stato - nella persona delle Forze dell'ordine - perde di vista questo obiettivo e su di esso non possiamo aver la certezza di contare per trovare giustizia..., e beh stiamo freschi.

Indigna ma addolora anche vedere come alla famiglia sia stato negato ogni contatto per vedere il ragazzo, che non ha potuto ricevere neanche mezza visita dai propri cari, che quindi non  hanno potuto rendersi conto di come stesse Stefano.
Un momento molto commovente - l'unico contatto tra Cucchi e il padre, prima di essere messo in custodia cautelare - è il breve abbraccio tra un addolorato e sgomento Tortora e lo spaesato Borghi, con questi che sussurra al papà "Abbracciame".

Come nella realtà, anche nel film i genitori di Stefano hanno un atteggiamento dignitoso, ed è con tanta preoccupazione e tanto dolore che cercano - insieme all'agguerrita Ilaria - di avere informazioni sul figlio, scontrandosi con cavilli vari che impediranno loro di 
vederlo vivo.

Al termine del triste resoconto, leggiamo che quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: in due mesi trenta morti in più. 

Personalmente, mi ha commosso molto; è vero che ho letto informazioni sul caso diverse volte, provando dispiacere e sdegno per una tale ingiustizia e crudeltà, ma vedere per immagini la ricostruzione delle sofferenze cui è andato incontro Stefano - nonchè quelle emotive della famiglia - mi ha toccato molto.
Non l'ho trovato polemico, e ripeto, non c'è in esso l'obiettivo di santificare nessuno, non si nasconde di certo che Cucchi fosse un tossico e che comunque possedesse droga (lui, l'unica volta che comparve davanti al giudice, dichiarò sì di possederla, ma per uso personale non per spaccio...), ma credo esponga in modo equilibrato i fatti.

sabato 13 ottobre 2018

Libri in wishlist (thriller-noir)



Carissimi lettori, chi mi segue sa che, tra i generi che prediligo, ci sono sicuramente thriller e e noir/gialli; ecco alcuni titoli che mi interessano, spero possano incuriosire anche voi ^_-


Il primo è il 5° episodio con protagonista la originale coppia formata dal commissario Sergio Crema e dall’amico e critico cinematografico Mario Bernardini.
Torino, un caso solo apparentemente già risolto prende una piega inaspettata trascinando i due protagonisti ad investigare e ad andare più a fondo nell'indagine.


IL CODICE BINARIO
di Rocco Ballacchino



Frilli Editore
224 pp
11.90 euro
Il commissario Crema e il critico cinematografico Bernardini sono di nuovo alle prese con un omicidio apparentemente già risolto. Gabriele Balestri, un amministratore di condominio, è stato assassinato, in un’afosa sera di luglio, all’interno del suo ufficio. Una vittima e un solo potenziale colpevole su cui investigare. Tutto troppo scontato anche per la vedova che non crede a una sentenza già scritta, in cui i pregiudizi si trasformano, anche a causa del magistrato Giulia Bonamico, in giudizi. 
I due investigatori scopriranno, invece, che tutti i protagonisti di quella vicenda hanno qualcosa da nascondere e si muoveranno tra Torino e Genova alla ricerca di una verità in grado di collegare i segreti del passato al sangue del presente. 
Entrambi ostaggi di un’esistenza governata da un codice binario dove ogni singola scelta può rivelarsi, nel bene o nel male, quella decisiva.

L'autore.
Rocco Ballacchino è laureato in Scienze della comunicazione. È autore dei gialli, editi da Il Punto - Piemonte in Bancarella, Crisantemi a Ferragosto (2009), Appello mortale (2010) e Favola Nera (2012), quest’ultimo scritto a quattro mani con il giornalista Andrea Monticone. Dopo Trappola a Porta Nuova, edito da Fratelli Frilli Editori, ha pubblicato Scena del crimine-Torino piazza Vittorio, Trama imperfetta-Torino piazza Carlo Alberto, Torino Obiettivo Finale e Tredici giorni a Natale in cui al centro della scena c’è il duo investigativo composto dal commissario Sergio Crema e dal critico cinematografico Mario Bernardini (Fratelli Frilli Editori 2013-2017). Dal 2018 è il curatore della collana di gialli per ragazzi I Frillini, per la quale ha pubblicato I gemelli Misteri e l’invasione zombie. È tra i fondatori del collettivo di scrittori ToriNoir
.

Città di morti è un thriller elegante nella sua brutalità, un infernale viaggio al confine tra la vita e la morte, tra la superficie e l’abisso, ma anche la storia di un uomo e della sua caduta. Sullo sfondo, ma vera coprotagonista del romanzo, si staglia una città di corpi straziati, attraversata da suoni ingigantiti dall’angoscia e dalla tensione: un telefono che squilla, un rubinetto che perde, un susseguirsi di grida senza volto.


CITTA' DI MORTI
di Herbert Lieberman


Ed. Minimum Fax
trad. R. Vitangeli
500 pp
19 euro
Ottobre 2018
Paul Konig è il medico legale e anatomopatologo più noto e apprezzato di tutta New York. Duro e irascibile, è molto temuto da colleghi e poliziotti, ma tutti ricorrono a lui perché nessuno ha la sua arte e il suo intuito nel leggere i morti, e le storie che i loro corpi raccontano.
Proprio mentre sta cercando di ricostruire l’identità delle vittime di un efferato delitto – che l’assassino ha fatto a pezzi allo scopo di renderle irriconoscibili – riceve una serie di telefonate anonime da cui apprende, in un crescendo di angoscia e dolore, che sua figlia Lauren è stata rapita. 
Si apre così una battaglia su due fronti e un’autentica corsa contro il tempo che coinvolge il sergente Flynn, impegnato nella ricerca dell’assassino, e il detective Haggard, a cui Konig si è rivolto perché lo aiuti a scovare i rapitori di sua figlia.


L'autore.Herbert Lieberman (1933) nato a New Rochelle, nello stato di New York, è narratore e drammaturgo. Ha pubblicato quattordici romanzi, tra cui il serial thriller Nightbloom e il gotico Crawlspace. Città di morti, uscito nel 1976, è oggetto di un autentico culto in Francia, dove ha vinto il prestigioso Grand Prix de Littérature Policière.



Pubblicato per la prima volta da una piccola casa editrice inglese, No Exit ha conquistato i lettori grazie al ritmo forsennato e all’astuzia dei continui colpi di scena. Divenuto un clamoroso successo del passaparola, ha scatenato aste agguerrite fra gli editori e le major hollywoodiane.

Cinque sconosciuti bloccati dalla neve. Una sola notte per vivere o morire.


NO EXIT
di Taylor Adams


DeA Planeta
352 pp
17 euro
Ottobre 2018


"Era bloccata a tremila metri d’altitudine, con i tergicristalli rotti, il cellulare morto e le parole dell’ultimo sms che le ronzavano in testa: “La mamma è okay, per il momento”. "

È la sera del 23 dicembre, e sulle alture del Colorado la bufera di neve del secolo infuria da ore quando Darby è costretta a cercare riparo nella stazione di servizio di Wanapa, dove un vecchio cartello promette caffè bollente. 
Tutto ciò che si augura è di riuscire a raggiungere il capezzale della madre prima che sia troppo tardi. 
Ma in quel luogo isolato dal mondo, nel retro di un furgone dai vetri semioscurati, Darby vede qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Qualcosa di tanto incongruo da farle pensare a una specie di allucinazione: una paffuta mano infantile affacciata tra le sbarre di una grossa gabbia per cani. 
Inizia così, con un fotogramma fuori posto in una notte travagliata e bianchissima, l’avventura destinata a trasformare Darby nella più tosta e determinata delle eroine e il suo viaggio in una lotta per la sopravvivenza costellata di vertiginosi rovesciamenti.

L'autore.
Taylor Adams è scrittore e regista. Vive nello stato di Washington. No Exit è il suo terzo romanzo.

venerdì 12 ottobre 2018

Prossima lettura: DAKAR di Maurizio Castellani



Ogni regalo che riceviamo non può che farci felici, se poi si tratta di libri... io gongolo letteralmente!

Ringrazio Maurizio Castellani, di cui ho letto i due precedenti gialli - "La Ventiquattrore. Delitto in albergo" e "Vendemmia rosso sangue" - per avermi fatto dono di una copia del giallo "Dakar", che vede protagonista il commissario Luschi; ma non è finita qui, perchè presto l'Autore pubblicherà anche la terza indagine del caro e simpatico Marco Vincenti - chi ha letto i romanzi che ho menzionato più su, sa di chi sto parlando ^_^ -, dal titolo "Gatta ci cova - Mistero di Natale all'ombra delle terme".



DAKAR
di Maurizio Castellani


.
Riconoscimento: Menzione d'onore al Premio Letterario Internazionale di Montefiore.

166 pp
13 euro
2018

Sinossi: Il commissario Luschi, andato in pensione, decide di trasferirsi a vivere a Dakar, in Senegal, dove con la misera pensione può permettersi di vivere da "nababbo".
Qui ritrova ad attenderlo il collega locale, più giovane di circa 15 anni.
I primi sei mesi li ha passati a visitare e conoscere meglio la città e la regione, ma nelle ultime due settimane, la curiosità, l'esplorazione, la sete di conoscerla a fondo, sono scemate.
Inaspettatamente, la nostalgia del proprio lavoro s'è fatta sentire: le indagini l'aveva sempre fatto sentire vivo e utile alla comunità, lo avevano aiutato a superare i momenti difficili della sua vita, come la separazione dalla bella e cara Giulia e la morte prematura del fratello.
Sì, quelle indagini gli mancavano.
Dopo essersi interrogato sul proprio futuro, Luschi si alza dal divano e prende una decisione: sopravvivere.
S'inventa così di sana pianta un vero e proprio omicidio..., ma ciò che non si sarebbe aspettato era che tre omicidi, quelli veri, avrebbero richiesto il suo intervento...


L'autore. (fonte)
Maurizio Castellani nasce nel 1959 a Pontedera, in provincia di Pisa; ha lavorato per tre anni a Dakar. La famiglia, la cucina e il mare sono i tre amori della sua vita. Dopo tanti anni passati a leggere decide di mettersi a scrivere. “La ventiquattrore Delitto in albergo, è il suo primo racconto giallo dove la trama delittuosa si mescola a comicità e ricette di cucina; il libro vince il Primo Premio Nazionale di Narrativa nel 2016 “La città di Murex” e nel luglio del 2017 il primo premio della XIII edizione del concorso “Io scrivo” A giugno del 2017 ha pubblicato con la casa editrice Carmignani, un breve romanzo giallo, dove il personaggio principale è il Commissario Bertini della Questura di Pisa. A novembre 2017 ha pubblicato con Il foglio letterario Editore un breve romanzo giallo – La seconda indagine del Commissario Bertini “Delitto al Book Festival”. “Vendemmia rosso sangue – Lo strano caso del morto che parla”, secondo romanzo giallo su Marco Vincenti (protagonista del primo romanzo).







mercoledì 10 ottobre 2018

Recensione: SUICIDI AL SORGERE DEL SOLE di Antonio Infuso



Un noir poliziesco vivace con al centro un ex-commissario di polizia intuitivo, ironico e dal fiuto che non perde un colpo quando si tratta di risolvere casi intricati.


SUICIDI AL SORGERE DEL SOLE
di Antonio Infuso



“Era il decimo suicidio-omicidio. Ancora le stesse modalità dei nove precedenti casi. Alla stessa ora, all’alba, e sempre al cambio di stagione, solstizio o equinozio. Un vero rompicapo per gli investigatori della Omicidi di Torino e per la task force messa in piedi, dopo il quarto caso, con la partecipazione degli esperti dell’Uacv (Unità Analisi Crimini Violenti).”
La bella città di Torino è scossa da un po’ di tempo da una serie di omicidi-suicidi davvero misteriosi e, fino a questo momento, insoluti; la scena del crimine è sempre la stessa: una donna assassinata per soffocamento, un uomo (il suo assassino, con cui la vittima aveva un legame - marito, padre, vicino di casa…) a sua volta morto perchè suicidatosi, corpi esposti verso est.

Cosa c’è dietro questi casi su cui la polizia si sta scervellando senza avere fatto nessun passo avanti da circa un anno? Forse è una setta (viste le costanti presenti, tipo i legami con equinozi e solstizi, i cadaveri vòlti sempre verso lo stesso punto cardinale)? Un manipolatore astuto capace di sedurre le menti degli assassini al punto da indurli ad uccidere senza pietà e ad ammazzarsi poi con un coltello giapponese?
Il questore Guglielmi e il capo della Omicidi, Davide Cavallero, stanno cercando in tutti i modi di capire chi e cosa ci sia alla base di questi dieci crimini, ma di fronte alla situazione di stallo in cui si trovano, una cosa è chiara: c’è soltanto una persona in grado di entrare nella testa dell'ipotetico serial killer dei “suicidi al sorgere del sole”, uno capace di immedesimarsi tanto nell’altro da prevederne le mosse e smascherarlo: Stefano Vega, ex commissario della polizia torinese, che attualmente vive altrove dopo aver avuto qualche problema che l’ha reso scomodo a più di una persona in polizia.

Vega viene quindi contattato a Cuba (con lui ci sono la compagna, Irene, e Sergio, entrambi ex-poliziotti della sua squadra) e invitato a ritornare in Italia a prestare una mano agli ex-colleghi torinesi, in virtù di una sorta di accordo diplomatico tra i due Paesi.

Vega sa che tornare a Torino ha i suoi rischi ma lui è un tipo che non ha paura di correrne, anzi accetta “la sfida” e decide di dare il suo prezioso contributo per la risoluzione del caso, facendosi supportare anche da Irene e Sergio.

Quando comincia a collaborare con il giovane Cavallero, si rende subito conto di come questi sia intelligente, sveglio e coscienzioso, ed infatti i due saranno molto complici nel corso delle ricerche, a differenza del rapporto con gli altri colleghi “dei piani alti”, che Stefano non esita a trattare con molto sarcasmo e mettendo bene in chiaro che se si affidano a lui per risolvere il caso, allora devono anche accettarne i metodi non sempre ortodossi.

E in effetti, pagina dopo pagina, veniamo immersi nel vivo delle indagini e comprendiamo come Vega sia davvero un investigatore dall’intelligenza acuta, un grande osservatore capace di farsi le domande giuste per individuare la persona che stanno cercando, e per raggiungere il proprio scopo non esiterà a scegliere vie non sempre legali.

Per quanto abbia molta esperienza alle spalle, Stefano non prende le indagini sottogamba, anzi intuisce che dietro questi dieci casi misteriosi e inquietanti si cela una mente diabolicamente astuta, che sta orchestrando tutta questa sorta di “sceneggiata sanguinosa” nei minimi particolari:

“Era consumato. Per la prima volta nella sua lunga vita da investigatore, percepiva di trovarsi di fronte a qualcosa di diabolico, che andava oltre l’universo criminale che ben conosceva e con cui sapeva confrontarsi e, talvolta, scendere a patti. Annusava un odore acre, letale, in cui l’umanità - l’essenza complessa, contraddittoria e unica che determina le relazioni tra le persone - veniva ammorbata, sgretolata e resa inerme, perduta”.

Non è possibile che per dieci volte si verifichino dei suicidi-omicidi sempre verso la stessa ora, sempre con le stesse modalità, che l’assassino sia sempre uomo e la donna sempre la vittima; che l’arma del delitto sia sempre la stessa (calza di nylon) e quella del suicidio pure (coltello giapponese); che questi reati avvengano sempre nelle notti dei solstizi e degli equinozi e che i cadaveri siano sempre rivolti a levante…! Certo, non è realistico credere davvero che siano tutte coincidenze!

Dev’esservi per forza qualcuno o qualcuna che muove i fili di questi crimini violenti: di chi si tratta e perché sta facendo tutto questo? Ma soprattutto, come fare per fermarlo?
Vega dovrà fare i conti con quanto di terribile e nero c’è nell’animo umano, in particolare dovrà cercare di fare lo stesso oscuro gioco della mente che sta dietro la scia di morte, capirne i meccanismi di ragionamento, entrare quasi in empatia con essa, così da guardare le cose dal suo punto di pista perverso e riuscire a fermarla.

A poco a poco una cupa storia di dolore, umiliazioni e sete di vendetta emergerà e Vega riuscirà a sbrogliare la matassa, grazie alla tenacia, alla capacità intuitiva e al sangue freddo che lo contraddistinguono.

Il finale ci fa presagire che ci sarà un seguito e l’inossidabile Stefano Vega - che ha sette vite come i gatti - verrà coinvolto molto probabilmente in nuove avventure.

“Suicidi al sorgere del sole” è un giallo/noir molto gradevole, incentrato su un caso interessante e complesso che cattura l’attenzione del lettore e lo incuriosisce pagina dopo pagina e con diversi colpi di scena; il vero perno comunque non è tanto (o soltanto) il caso in sé (di cui pure seguiamo i progressi), quanto l’investigatore protagonista, che piace perché ha un’aria scanzonata, è sempre pronto alla battuta e all’ironia, è uno “tosto”, che non necessariamente rispetta la Legge ma è convinto di farlo per “buoni motivi”, si fa rispettare e non è un ipocrita, anzi dice ciò che pensa senza peli sulla lingua.
Insomma, Stefano Vega è quel tipo di investigatori simpatici, sfacciati e senza scrupoli all’occorrenza, ma che sicuramente sa fare il proprio lavoro in modo impeccabile.

Ringrazio Intrecci Edizioni per avermi dato modo di leggere questo romanzo di Antonio Infuso, scritto bene, con un ritmo narrativo movimentato, reso snello e vivace dall’abbondanza di dialoghi, con una bella idea di fondo e con un protagonista sagace e perspicace.
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