Troppo di sovente ci lasciamo sopraffare da paure, fragilità, insicurezze, che diventano dei limiti, quando invece esse andrebbero semplicemente accettate come parte di noi e della nostra imperfetta ma meravigliosa umanità.
Tutti i personaggi, proprio come suggerisce il titolo, si sentono un po' come dei figli unici, ciascuno con il proprio fardello di solitudine silenziosa - una condizione sofferta di cui si nutrono inconsapevolmente -, vivendo come "trottole spinte da un flusso che non si vede", cercando di combattere l'angoscia, il "mal di vivere", nascondendo agli altri le proprie fragilità, la paura di fallire, di non sapere quale sia il proprio posto nel mondo e chissà se mai lo capiranno.
La penna di Casaula è davvero molto fluida, piacevole, la lettura scorre senza intoppi e il lettore viene coinvolto dalle prime righe dai toni intimi e confidenziali con cui ogni personaggio racconta di sé, della propria solitudine, dei vuoti, delle assenze, delle paure; è una lettura densa e intensa, costellata di frasi e considerazioni che fanno riflettere senza voler dare lezioni di vita, ma anzi con la delicatezza di una mano rassicurante, di un sorriso amichevole e di una carezza al momento giusto.
SIAMO TUTTI FIGLI UNICI di Giacomo Casaula
Non l'abbiamo scelto, non ce l'hanno imposto. Siamo soli per natura, perché la solitudine non è una malattia da combattere ma solo una condizione.
Anche se molti di noi hanno fratelli e sorelle, siamo più figli unici dei figli unici. (...)
Siamo semplicemente fragili senza compromessi o ipocrisie".
Viola è sempre stata una donna intelligente, arguta, riflessiva, profonda, con una grande memoria, ma gli anni passano per tutti e l'Alzheimer le sta giocando brutti scherzi; e così, dalla stanza della clinica in cui è ricoverata, guarda il mondo che continua a girare e i suoi famigliari che si affannano, forse senza rendersene conto, per afferrare una felicità che pare sempre sfuggire loro.
Sebbene non riesca più né a ricordare né a parlare ed interagire come prima, pure un minimo contatto con la realtà c'è ancora e una parte di lei si rende conto di quanto sia tormentata la quotidianità dei suoi famigliari.
E per essi ha preparato, già da diversi anni, un piccolo e personale dono, che potrebbe aiutarli nei momenti di smarrimento, di solitudine e di tristezza.
I Ricci sono una famiglia romana come se ne vedono tante, dove l'amore, il rispetto, la comprensione, lo scherzo, hanno sempre regnato; ma è da un po', ormai, che qualcosa s'è spezzato e un'inesorabile cappa di angoscia, dolore, preoccupazione... ha reso l'aria in casa cupa, irrespirabile, triste: un giorno di otto anni prima, infatti, il figlio maggiore, Luca, ha deciso all'improvviso di andare via da casa, da Roma, per tentare di vivere una nuova vita a Londra.
Luca - irrequieto, insoddisfatto, desideroso di cercare di dare alla propria giovane esistenza una spinta, una direzione e degli obiettivi che lo appagassero, gli mettessero le ali e lo rendessero libero, indipendente, felice - lascia tutto e tutti e va via, senza dare grandi spiegazioni, mollando anche Stefania (la fidanzata) e, soprattutto, non dando più notizie di sé, né scrivendo né telefonando né tanto meno tornando a trovare genitori, nonna e fratello.
Da quel giorno in cui Luca ha preso il volo per altri orizzonti, la vita in casa dei Ricci sembra essersi congelata, come in attesa di un ritorno, di uno squillo sul cellulare, di una porta finalmente aperta per riaccogliere il figlio/fratello fuggitivo.
Ambra e Riccardo si sono chiusi ciascuno nel proprio dolore, nella loro legittima apprensione per il destino di questo figlio che non sanno che stia facendo: sta bene? lavora? si è sposato? è morto? Che ne è di lui?? Perché non si è mai fatto sentire?
E se Ambra ha trovato nello scrivere un diario una via per sfogarsi, per buttare fuori pensieri, timori, sentimenti, il marito Riccardo ha dovuto ricorrere allo psicologo.
Dal canto suo, Francesco, il figlio minore, ha cercato di andare avanti con la propria vita, dedicandosi agli studi, ma in realtà anche lui ha subito un arresto: l'assenza di Luca è pesante, si fa sentire ogni giorno e per lunghi otto anni condiziona le vite di tutti, disegnando sui loro visi tensione, malinconia, senso di impotenza, a volte rabbia (di fronte all'egoistico silenzio di Luca), e ha creato un vuoto che di giorno in giorno si è allargato sempre più.
E lui, Luca, che fine ha fatto? Come se la sta passando a Londra? Ha trovato la realizzazione che cercava?
E cosa troverebbe in casa Ricci, dopo tutto quel tempo di assenza e silenzio assoluti, se dovesse rimettere piede a Roma?
Nonna, mamma, papà, Fra', Stefania...: la voglia di sapere che fanno e come stanno è tanta, ma con essa c'è il timore di trovarli arrabbiati con lui (e avrebbero ragione di esserlo); se lo rivedessero sulla soglia di casa, cosa farebbero? Gli chiuderebbero la porta in faccia, risentiti, o lo accoglierebbero comunque a braccia aperte, pronti a riempire con il suo ritorno quello spazio lasciato vuoto quando decise di andarsene?
E lui, cosa potrebbe raccontare loro: di essere tornato più sereno e appagato di quando era partito o di essersi trascinato dietro sempre gli stessi dubbi, le medesime paure ed incertezze...?
"Siamo tutti figli unici" è un romanzo che ha al centro una normalissima famiglia con le proprie vicissitudini; le voci di ciascun membro si alternano per raccontare, ognuno dal proprio punto di vista, come vivono giorno per giorno, cosa provano, pensano, desiderano, temono, ricordano.
In un continuo passaggio dal presente al passato e di cambi di prospettiva, conosciamo Francesco e i suoi famigliari un po' alla volta: come in un film, la "regia" si sofferma ora su un personaggio, ora su un altro, scegliendo per ciascuno la giusta inquadratura, cambiando la "scena" e lo sfondo quando è necessario, fermando l'immagine su un dialogo in particolare o su dei silenzi ricchi di cose che si volevano dire ma non si è avuto il coraggio di farlo, su sorrisi carichi di affetto, su gesti che avvicinano o allontanano, su rapporti lasciati in sospeso e su quelli, inattesi e belli, da costruire.
Nonna Viola è un po' il punto di riferimento per tutti ed è colei che, appassionata com'è dell'affascinante fenomeno del deja vù, desidera trasmettere ai suoi cari un messaggio fondamentale: ci sono esperienze che la mente ci porta a rivivere, a riportare alla memoria, perché la prima volta non ne abbiamo colto tutta l'inesauribile Bellezza.
Come anticipavo più su, sempre lei, Viola, lascerà ai suoi famigliari un'eredità profonda, fatta di parole su cui riflettere, di consigli da cui ripartire, di ricordi da custodire, di amore e incoraggiamento.
Tutti i personaggi, proprio come suggerisce il titolo, si sentono un po' come dei figli unici, ciascuno con il proprio fardello di solitudine silenziosa - una condizione sofferta di cui si nutrono inconsapevolmente -, vivendo come "trottole spinte da un flusso che non si vede", cercando di combattere l'angoscia, il "mal di vivere", nascondendo agli altri le proprie fragilità, la paura di fallire, di non sapere quale sia il proprio posto nel mondo e chissà se mai lo capiranno.
Il lettore può facilmente immedesimarsi in essi perché a tutti noi può succedere (o è successo) di perderci, di non sapere che strada prendere, di andare in crisi, di aver paura di deludere chi ci è vicino, quando basterebbe smettere di vergognarci di essere ciò che siamo e accettarci con tutto il nostro carico di contraddizioni, ansie, sfiducia, paura di essere giudicati.
Mentre leggevo, pensavo a come spesso accada di desiderare tanto qualcosa (o qualcuno) per anni ma poi, quando essa si presenta all'improvviso sotto i nostri occhi - magari quando ormai ci eravamo messi l'animo in pace e convinti che quella mancanza era parte della nostra esistenza e, con essa, anche i solchi profondi creati dall'assenza -, non saper che fare e come reagire.
Un libro che viaggia sui binari di quella sensazione di essere sostanzialmente soli che ci accompagna pur stando in mezzo agli altri e che altresì ci ricorda come "la solitudine ha bisogno degli altri perché, se è vero che siamo tutti isole in cerca di un mare migliore, lo siamo perché possiamo comunicare, abbracciarci, parlare, stringerci, lottare".
La penna di Casaula è davvero molto fluida, piacevole, la lettura scorre senza intoppi e il lettore viene coinvolto dalle prime righe dai toni intimi e confidenziali con cui ogni personaggio racconta di sé, della propria solitudine, dei vuoti, delle assenze, delle paure; è una lettura densa e intensa, costellata di frasi e considerazioni che fanno riflettere senza voler dare lezioni di vita, ma anzi con la delicatezza di una mano rassicurante, di un sorriso amichevole e di una carezza al momento giusto.
Sembra interessante più che per la trama per come la sviluppa e per come usa la stessa per inserire pensieri importanti e riflessioni significative.
RispondiEliminaSì, è un romanzo che per tema, personaggi e stile, dà adito a riflessioni sulla vita e il nostro approccio ad essa.
Elimina