sabato 15 agosto 2015

Recensione: MANSFIELD PARK di Jane Austen



E' finitooooooooooooo!!
Ho finito l'eterno Mansfield Park!!

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Fanny è forse la più singolare delle eroine austeniane incontrate da me fino a questo punto - avendo letto RAGIONE E SENTIMENTO, ORGOGLIO E PREGIUDIZIO, L'ABBAZIA DI NORTHANGER.
In che senso?

Perchè bene o male le altre fanciulle sono più attive, vivaci, soprattutto Marianne e Lizzy, non se ne stanno propriamente con le mani in mano a guardare come si svolgono gli avvenimenti, ma ne prendono parte anche loro.
Fanny Price no...

Quando giunge in casa dello zio Sir Thomas Berthram, Fanny è ancora una bambina e la sua nuova famiglia ha deciso di prenderla con sè per educarla e fare di lei una signorina fine ed elegante, cosa che non potrebbe diventare stando a casa di Mr Price, un individuo non cattivo (lo conosceremo verso la fine del romanzo) ma senz'altro rozzo e un po' egoista.
Certo, tutti in casa, da Lady Berthram alle due belle e fini figliole - Maria e Julia - dubitano fortemente che la gracile, malaticcia e insignificante nipote/cugina possa mai fiorire davvero e diventare un buon partito, ma intanto ci si prova a "raddrizzarla".
L'unico membro della famiglia che nutre da subito un sincero affetto per lei, guardandola con comprensione, parlandole con dolcezza, incoraggiandola come meglio può, è il cugino Edmund.
Tra i due negli anni si svilupperà un affetto e un'amicizia che li accompagnerà in tutto lo svolgersi degli eventi e che sarà fonte di consolazione per tutti e due nei momenti no.

Crescendo, Fanny si rivela una ragazza molto educata, umile, silenziosa, timida, insicura e bisognosa di incoraggiamenti; tende ad isolarsi e a non essere molto espansiva in presenza di estranei, eppure riesce ad entrare nelle grazie di una giovane tanto bella quanto scaltra: Lady Mary Crawford.
Lei e la famiglia, compreso il fratello Henry, frequentano molto Mansfield Park e Fanny nota immediatamente che tra il suo adorato e buon Edmund e la signorina Crawford c'è una certa simpatia.

Edmund toglie a Fanny ogni dubbio in merito, dicendole che vede bene la giovane come sua futura moglie e prova per lei dei sentimenti.
E Lady Crawford, come vede Edmund, che vuol fare carriera in ambito ecclesiastico?

Lady Crawford in fondo non è un'ipocrita e non nasconde il suo carattere, il suo amore per lusso, soldi e divertimenti, uniti al desiderio di fare un matrimonio in cui il futuro sposo faccia una carriera di tutto rispetto, che non abbia nulla a che fare con le parrocchie e i sermoni...
Eppure Fanny sa che a Mary piace molto Edmund.

Riusciranno i due ad andare oltre le loro diversità caratteriale e le diverse ambizioni a favore di un matrimonio che sembra scontato per tutti?

Intanto, sempre seduta ad un angolo di una stanza, pronta ad ascoltare il chiacchiericcio altrui e a dispensare sorrisi placidi e parole gentili, c'è lei, Fanny, che col tempo dovrà fare i conti con una richiesta di matrimonio da colui che mai vorrebbe accanto, e con dei sentimenti che stanno nascendo e rafforzandosi nel suo cuore e che sono indirizzati verso l'unico uomo che l'abbia mai compresa, e al quale va tutto il suo sincero ed ingenuo affetto...

Quale amore vincerà? Quello un po' volubile e frivolo di Mary Crawford o quello onesto, silenzioso e maturo di Fanny  Price? Con quali occhi il confuso ma sincero Edmund guarda l'una e l'altra?

Mansfield Park è un romanzo che parte in modo davvero moooolto lento per i miei gusti; fiumi di parole, dialoghi, scene... che per me rendono buona parte del libro, ahimè, poco allettante e tendente al noioso.
Due terzi del libro scorrono a fatica e bisogna aspettare parecchi capitoli prima di arrivare a qualcosa di più interessante, che vede il precipitarsi degli eventi verso un finale che soddisfa praticamente sempre il lettore.

Vero è che, a ben pensarci, questa è la tecnica che mi pare Jane utilizzi sempre: presentarci la situazione iniziale del personaggio, il suo modo di essere, pensare, parlare..., l'ambiente in cui si trova, per poi soffermarsi abbondantemente su riunioni di famiglia, chiacchiere spesso sciocche e frivole, giochi fatti in casa per passare il tempo, passeggiate in cui si continua a parlare e parlare..., per poi concentrare "il grosso" degli eventi quando avevi appena maturato l'idea di mettere il libro in stand-by.

C'è anche da dire che tutta la parte lunga centrale non è necessariamente inutile se pensiamo che i vari personaggi rivelano la propria natura, il lettore si fa un'idea su tutto e decide, tramite i pareri velati e ironici (l'ironia sottil e sempre deliziosa dell'Autrice) chi è simpatico e chi non lo è, chi è intelligente e chi è un po' stupidino.
Inoltre, in questo romanzo ho notato che era meno presente e pressante il pensieri - da parte dei personaggi femminili - di accasarsi con un uomo avente una bella rendita; piuttosto si sente forse in modo più deciso la condanna della Austen a certi modi di fare scorretti e frivoli, agli atteggiamenti indolenti di certi genitori verso i figli.
E anche Fanny, che è la protagonista, non mi è apparsa come una vera e propria eroina per la maggior parte del romanzo, perchè troppo timida ed impacciata, silenziosa..., ma è pur vero che la pazienza è la virtù dei forti... e la Austen non deluderà nè la sua protagonista nè i suoi lettori.

Non  potrei mai dare un giudizio negativo alla mia cara Jane - ci mancherebbe! Se anche per assurdo non mi piacesse la storia di un suo libro, ne salverei comunque i personaggi principali e il loro modo di rapportarsi e le dinamiche che si creano -  ma consiglio la lettura principalmente a chi ama il genere.

BUON FERRAGOSTO!!!

venerdì 14 agosto 2015

Occhio al libro: CHIAMAMI LEGIONE di Carmine Caputo



Buon pomeriggio cari readers!
Quest'oggi vi segnalo un fantasy che si presenta particolare e originale.


CHIAMAMI LEGIONE
di Carmine Caputo

Genere: umoristico/giallo/fantasy
Pubblicazione: novembre 2014
Formati disponibili: ebook e cartaceo
Prezzi: ebook 4,99 €
Cartaceo: 15-17-20 € 
Pagine:364



Un viaggio inatteso, un futuro improbabile e un destino inevitabile
Trama

Chiamami Legione” narra le vicende di Ester e Priscilla, due amiche bolognesi con caratteri agli antipodi, che si preparano per un viaggio a Corfù. 
Il programma è facile: noleggiata un'auto, basta scendere a Brindisi per il traghetto ma, quando sbagliano l'uscita autostradale finendo nei pressi di un cimitero a Statte, in provincia di Taranto, alle due giovani accade qualcosa d'inatteso e d'inimmaginabile.
Le ragazze, apparentemente scomparse e coinvolte inconsapevolmente in un traffico di rifiuti tossici, vengono catapultate nel regno di Apul, in un futuro remoto arretrato tecnologicamente in cui le persone sono rese irriconoscibili e mutate a causa di secoli di involuzione. 
II regno è sconquassato da conflitti interni ma le ragazze, con il loro sapere e la loro forza fisica straordinaria rapportata a quella delle minute e deboli popolazioni, rappresentano una vera rivoluzione per il regno. E così, accettato il nuovo singolare destino, Ester e Priscilla si imbarcheranno nell'imponente missione di salvare Apul riuscendo a coalizzare razze e tribù diverse e a riportare fra le popolazioni la voglia di vivere che sembrava perduta.
 
Si tratta di un romanzo che utilizza un contesto fantastico (o addirittura fantasy) per raccontare il presente. Ed è così che una Puglia futuristica, l'unica terra che il destino ha preservato dalla distruzione, diventa l'ambientazione di questa storia fantastica e divertente. 
I lettori non mancheranno di individuare i riferimenti culturali che l'autore ha disseminato con ironia: la prima città ad ospitare le protagoniste è Yarubbedd (Alberobello), ma le eroine conosceranno anche le immaginarie, ma non troppo, Tardnuestr (Taranto) Stoon (Ostuni) e conosceranno gli eserciti di elfi provenienti da Abbashowcapoo (Capo di Leuca) per citarne solo alcuni. Non mancano nemmeno i richiami alla difficile attualità ambientale della provincia di Taranto. 

Una favola moderna, insomma, che prende spunto da un'idea semplice quanto bizzarra: prendi un’insegnante precaria di scienze e una segretaria di direzione e falle precipitare in un mondo popolato di gnomi, elfi e giganti. Cosa mai accadrà? Accadrà che quel mondo verrà completamente ribaltato, perché secondo l'autore sono le donne i veri supereroi dei giorni attuali. Un'insegnante precaria che quotidianamente ha a che fare con ragazzini svogliati e maleducati e una segretaria costretta a convivere con dirigenti incompetenti non possono certo farsi spaventare da un esercito di orchi.
Il racconto è arricchito poi con elementi provenienti da altri sottotesti: quello del mondo dei fumetti, quello del marketing aziendale e quello della cultura popolare pugliese. Una contaminazione di generi (giallo, fantasy, umoristico) che scardina regole e luoghi comuni con l'obiettivo dichiarato di divertire il lettore.



L'autore,
Carmine Caputo è nato a Statte, la collina ridente alle spalle di Taranto, un venerdì alle ore 18: giusto in tempo per l'inizio del weekend.Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione con lode (e un bel trenta sul libretto con la firma di Umberto Eco per l'esame di semiotica del testo) si occupa per quasi nove anni di comunicazione d'impresa in CRIF, multinazionale con sede a Bologna.
Dal 2009 si occupa di comunicazione istituzionale e ufficio stampa presso l'URP del Comune di Monzuno, in provincia di Bologna. Ha collaborato alla testata giornalistica de “Il Baraccano” per quattro anni e dirige il notiziario comunale "La Voce Comune".
Ha pubblicato il romanzo umoristico “Bello dentro, fuori meno” nel 2004 per la casa editrice Nonsoloparole Edizioni di Napoli: un romanzo umoristico che si pone come modelli la scrittura ironica di Jerome e quella del primo Benni, strizzando l’occhiolino alle battute un po’ più facili e immediate del cabaret televisivo e della commedia teatrale dialettale.
Un paio d’anni dopo l’editore gli propone di scrivere un racconto per una raccolta che si intitola “Buia è la notte”. Senza perdere la sua vena umoristica l’autore gioca allora con i toni del noir e del giallo; il racconto ottiene dei commenti lusinghieri e spinge Caputo a scriverne altri, che daranno origine al libro “Bologna l’oscura”, pubblicato dalla stessa casa editrice nel 2007 che ha promosso in una serie di appuntamenti (Salone del libro di Torino, Fiera della piccola e media editoria di Roma).
Nel 2009 ha pubblicato “Ballata in sud minore”, un romanzo di formazione intrapreso nel 1995, di stampo autobiografico, in cui si raccontano le avventure di un gruppo di adolescenti nel difficile contesto della provincia di Taranto alla fine degli anni, pubblicato dalla casa editrice 0111 Edizioni.
È tifoso del Taranto ma nonostante ciò ha una vita abbastanza equilibrata, e ha un blog, www.carminecaputo.com - le testine si allineano, le teste pensano”, dove i suoi 25 lettori possono essere aggiornati sulle sue attività.

Una citazione per Lady Oscar



Qualche mese fa vi avevo annunciato la pubblicazione di un libro-saggio (QUI) con al centro un personaggio delle anime e dei manga molto amato, soprattutto da quanto  erano bimbi nei meravigliosi anni '80: Lady Oscar.

Lady Oscar. L’eroina rivoluzionaria di Riyoko Ikeda
di Valeria Arnaldi

Ed. Ultra
256 pp
22 euro
Maggio 2015
Energica, determinata, battagliera ma anche sfolgorante nella sua bellezza. E romantica. Lady Oscar è stata un modello di femminilità per più generazioni di donne, paradossalmente proprio nell'ambiguità del suo personaggio: donna in abiti da uomo. A oltre 40 anni dalla sua ideazione come fumetto e a più di trenta dalla sua messa in onda come serie animata, l'eroina rivoluzionaria ideata da Riyoko Ikeda diventa protagonista di un libro che, per la prima volta, la racconta in tutte le sue sfaccettature, tra amori e battaglie, storia e mito. Prendendo le mosse dalla storia di Francia, la Ikeda ha costruito il primo grande personaggio femminile dell'epica manga, ponendo le basi per un nuovo genere e, soprattutto, per un successo senza precedenti che dura inalterato sin dalla prima apparizione. Non a caso, Lady Oscar torna in fumetto, in un manga inedito che sarà pubblicato nei primi mesi del 2015. In occasione del ritorno, l'autrice del fortunato Hayao Miyazaki. Un mondo incantato, pubblica il primo grande saggio dedicato a Lady Oscar, alla scoperta dei segreti della sua ideazione, senza dimenticare i precedenti, ma anche alla ricerca delle sue molte influenze. Tra aneddoti, critica, racconto e foto, un percorso nella "rivoluzione" di cuore e spada combattuta da Lady Oscar. Una rivoluzione di china e carta, combattuta dalla sua mangaka per dare nuova energia all'identità femminile in tutta la sua forza. Dalle immagini dei fumetti a quelle della serie televisiva, da musical e spettacoli ai film, senza dimenticare il mondo del cosplay internazionale, un ricco apparato iconografico, che non trascura gli omaggi di artisti noti.

Vivere non significa alzarsi, mangiare, lavorare e dormire. Significa ogni volta affrontare qualche cosa, confrontarsi col proprio destino. È questo che rende veramente Uomo una persona» Riyoko Ikeda

«Illuminata dai raggi dorati del sole, la tua divisa mi affascina col suo colore scarlatto, mentre il vento ti muove i biondi capelli comandi con disinvoltura stando a cavallo. Le tua pupille azzurre e tutta la tua figura ti rendono simile a Pegaso che, con le sue ali, salta e grida in cielo» André

VALERIA ARNALDI è nata nel 1977 a Roma. Laureata in Scienze Politiche, è giornalista professionista. Scrive su quotidiani e mensili italiani e stranieri. Tra i suoi libri più recenti, 101 luoghi dove innamorarsi a Roma, Chi è Banksy? E perché ha tanto successo?, Chi è Obey? E perché fa tanto discutere? Cura mostre di arte contemporanea in Italia e all'estero: ha collaborato con Commissione Europea, Unar-Presidenza del Consiglio, Regione Lazio, Provincia di Roma, Roma Capitale. Ha scritto e diretto spettacoli e cortometraggi, tra i quali Dietro le quinte di un bacio con l'attore Enrico Lo Verso. Ha ideato e curato C'era una volta…, primo festival di Family Artentainment di Roma Capitale. Per Ultra ha già pubblicato Hayao Miyazaki. Un mondo incantato.

Il significato del termine epigrafe al quale mi rifaccio è quello dato dalla Treccani.it
"Iscrizione in fronte a un libro o scritto qualsiasi, per dedica o ricordo; più particolarm.,
 citazione di un passo d’autore o di opera illustre che si pone in testa
a uno scritto per confermare con parole autorevoli quanto si sta per dire".


Questa è la citazione, azzeccatissima, che introduce il libro:

"Non si nasce donne: si diventa"

(S. de Beauvoior)

da leggere

giovedì 13 agosto 2015

LE COVER DI OGGI (13.8)



Il giovedì sul blog c'è il momento delle cover, dove valutiamo i libri soltanto dal punto di vista "estetico".

Cosa ne pensate di queste cover? Come sempre, cliccando su TRAMA potrete leggere la sinossi.


TRAMA

TRAMA

TRAMA

Recensione film: IL NOME DEL FIGLIO di Francesca Archibugi



Una cena tranquilla tra parenti e amici spesso può trasformarsi in qualcosa di molto diverso, dove invece di mandar giù i bocconi prelibati preparati dalla padrona di casa, se ne ingoiano altri, di più amari.

IL NOME DEL FIGLIO 





Regia: Francesca Archibugi
Cast: Valeria Golino, Alessandro Gassman, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti.

È l'adattamento della piece Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, dal quale era già stato tratto il film francese Cena tra amici.

Siamo a Roma.
La bella Simona (Micaela Ramazzotti), sposata con l'agente immobiliare Paolo (Alessandro Gassman) Pontecorvo, sta parlando alla radio del romanzo che ha appena scritto.
Intanto, proprio Paolo, insieme all'amico di sempre Claudio (Rocco Papaleo), vanno a cena dalla sorella del primo, Betta (Valeria Golino), sposata con Sandro, con cui si conoscono da una vita perchè amico di famiglia.
I quattro non potrebbero essere più diversi eppure, nonostante qualche scaramuccia ogni tanto, soprattutto per le diverse visioni politiche di Paolo e Sandro, si vogliono bene, amano ricordare i vecchi tempi e stare insieme a scherzare e sfottersi.
A dare molto movimento alla serata è Paolo, che ama fare il burlone e prendere in giro tutti, soprattutto Sandro, che si arrabbia facilmente quando si nomina tutto ciò che ha a che fare con il fascismo.
Ed infatti, durante la cena, aspettando Simona, mentre la povera Betta si affanna a fare su e giù per portare i piatti in tavola, dopo aver annunciato che Simona aspetta un maschietto, Paolo svela il nome che lui e la moglie hanno pensato di dare al nascituro: Benito.
Basta questo nome a scatenare una discussione accesa sull'inopportunità di scegliere proprio un nome tanto (storicamente e ideologicamente) controverso, ed in particolare è Sandro a non accettare la cosa.
Come può Paolo soltanto pensare di dare al figlio un nome dal sapore decisamente fascista (dire Benito equivale a dire Mussolini e quindi fascismo) quando sa benissimo che non solo la famiglia Pontecorvo ha origini ebraiche, ma ha pure sofferto durante la guerra?

Anche Betta disapprova, senza però lasciarsi andare in escandescenze, essendo per natura un tipo tranquillo, a dire il vero anche troppo, visto che la vita matrimoniale la sta un po' stressando e intristendo, soprattutto perchè il marito sembra molto assente, e con i figli e con lei; anche nell'aspetto, Betta s'è lasciata andare, eppure c'è qualche piccolo segreto nella sua vita di moglie e madre super presente e sacrificata... Ma Sandro - pur avendo gli occhiali - è troppo cieco e preso ad interagire sui social network per accorgersene...

E cosa ne pensa Claudio, il musicista eccentrico, sempre equilibrato, un po' nascosto dietro agli altri, che preferisce fare da paciere ed evitare di dire la sua, evitando di lasciarsi travolgere dalle accese discussioni di Paolo e Sandro?
Lui cerca di defilarsi, di limitarsi ad ascoltare... ma si arriverà ad un punto della serata in cui bene o male tutti avranno qualcosa - che da tempo sta sul groppone - da dirsi senza peli sulla lingua.

Insomma, tra un piatto e l'altro, i toni si alzano e l'arrivo di Simona non placa gli animi, anzi...
La ragazza si rende conto di non essere apprezzata da loro, neanche dal marito, che la tratta come una bella bambola da mostrare in pubblico ma per carità, non è necessario che lei apra la bocca.
Pure la genuina, seppur un po' tamarra, Simona avrà qualcosa da dire e lo stesso Claudio, zitto zitto, riserverà una bella sorpresa finale per tutti...

E' una commedia molto carina e godibile, che si svolge praticamente sempre a casa (se si escludono la scena iniziale e quella finale); gli attori sono vivaci e genuini, ci fanno sorridere per le loro baruffe, che vanno di pari passo con l'affetto che li lega da anni; ogni tanto ci sono dei flashback e dal presente si fa un salto a quando i quattro erano ragazzi e per divertirsi assieme bastava una semplice canzone di Lucio Dalla.

Un film molto piacevole, io lo consiglio! Gassman troppo simpatico! ;=)
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mercoledì 12 agosto 2015

Imparare leggendo



Sul blog, nel tempo, ho aperto diverse rubriche, a cadenza settimanale e non, che ad oggi non sempre condivido con voi in modo costante (per quanto ci pensi e vorrei).
Dico questo perchè non ho intenzione di aprire una nuova rubrica, ma pensavo di dare spazio - senza impegni troppo fiscali - a una cosetta cui ho pensato mentre leggevo "Ho lasciato entrare la tempesta" e "La Chimera", dove mi son trovata davanti a termini di cui non conoscevo il significato.

E siccome "la vecchia non voleva morire, perché diceva che aveva altre cose da imparare", e siccome la lingua italiana è ricca, tra le tante cose, di un sacco di vocaboli, impareremo insieme qualche parolina o espressione meno frequente.


CONOSCEVATE QUESTE PAROLE, che nel caso specifico di oggi fanno riferimento a un uccello e a due piante? ^_-

Ok, iniziamo da...

EDREDONE

Si tratta di un animale, e questo lo avevo intuito dalla lettura (del primo libro sopra citato).
E' una grande anatra marina appartenente alla famiglia delle Anatidae.

L'edredone comune è caratteristico per la sua forma corpulenta e per il suo grande becco a forma di zeppa. Il maschio è inconfondibile, con il suo piumaggio bianco e nero e la nuca verde. La femmina è un uccello bruno, ma nonostante questo si può ancora distinguere da tutte le altre anatre, ad eccezione delle altre specie di edredoni, sulla base delle dimensioni e della forma della testa. La lunghezza del corpo è compresa tra 50–71 cm. Il richiamo di quest'anatra è un grazioso "aa-uuu". Questa specie è spesso facilmente avvicinabile.

È distribuita sulle coste settentrionali di Europa (ed infatti la storia di Agnes Magnusdottir è ambientata in Islanda), Nordamerica e Siberia orientale. Nidifica nell'Artide e in alcune regioni temperate settentrionali, ma sverna un po' più a sud, nelle zone temperate, dove può formare stormi numerosi sulle acque costiere.

Sono celebri le le piume di Edredone, talmente morbide e calde che erano spesso utilizzate nella fabbricazione di trapunte, piumini e sacchi a pelo. Questa usanza resta viva in Islanda, dove si è creato un ambiente ottimale per l’accoglienza delle coppie nidificanti.

fonte: Wikipedia - http://www.uccellidaproteggere.it/


Restiamo in ambito naturalistico, ma passiamo alla flora.

Anteprima settembrina firmata Neri Pozza: TRA CIELO E TERRA di Paula McLain



Anteprima settembrina firmata Neri Pozza:

TRA CIELO E TERRA
di Paula McLain


I Narratori delle Tavole
trad- S. Fefè
384 pp
18 euro
SETTEMBRE 2015
Con una scrittura impeccabile e un ritmo degno dell’esistenza tumultuosa di cui narra, Paula McLain compone il romanzo della vita di Beryl Markham, di una donna capace di sfidare il suo tempo in nome della libertà d’amare e vivere secondo i propri desideri e le proprie passioni.

Trama

Nel 1904, i Clutterbuck lasciano l’Inghilterra e, navigando per settemila miglia fino al porto di Mombasa, raggiungono Nairobi, e da lì la «terra imperiale» che Charles Clutterbuck ha comprato a buon prezzo.
La terra si riduce a seicento ettari di macchia incolta e a tre capanne esposte alle intemperie.
Data la vicinanza all’equatore, non esiste il crepuscolo.
Il giorno diventa notte nel giro di pochi minuti. In lontananza si sentono gli elefanti farsi strada nella boscaglia. I serpenti vibrano nelle tane.
Due anni dopo, quando la macchia incolta ha quasi le sembianze di una fattoria di allevamento di cavalli, Clara, la moglie di Charles, compra un biglietto di ritorno per l’Inghilterra per sé e per Dickie, il figlio maggiore di cagionevole salute.
L’Africa è troppo dura per lei, dice.
 Alla stazione di Nairobi bacia la piccola Beryl, rimasta sola col padre, e la esorta a essere forte.
Beryl cresce libera nell’Africa indomita e selvaggia.
 A volte, quando è buio pesto, sguscia da una finestra aperta per raggiungere il suo amico Kibii, un ragazzino kipsigi.
Intorno a un falò basso e scoppiettante ascolta i racconti della tribù e sogna di diventare anche lei un giovane guerriero.
Un giorno, a casa degli Elkington, una magnifica dimora che dà su chilometri e chilometri di boscaglia africana, Paddy, il leone che scorrazza libero per casa, l’azzanna a una coscia, subito sopra il ginocchio, e poi molla la presa, come se gli fosse chiaro che non è «destinata a lui».
Quale sia il destino di Beryl, nata Clutterbuck, è scritto nel rapido susseguirsi degli eventi che segnano la sua vita: la guerra, con ampie porzioni del Protettorato britannico trasformate in campi di battaglia per impedire ai tedeschi di prendersi la terra; il fallimento della fattoria paterna, con Charles Clutterbuck che decide di trasferirsi a Città del Capo, dove amano i cavalli e dove lui conta di ripartire da zero; il matrimonio della giovanissima Beryl con Jock Purves, un uomo forte e robusto ma nulla più; la scelta di diventare la prima donna al mondo con la licenza di addestratrice di cavalli, il fatidico incontro con Karen Blixen, la misteriosa baronessa danese che gestisce una piantagione di caffè da sola, mentre il marito va a caccia di rinoceronti; l’amore per l’affascinante amante della baronessa, Denys Finch Hatton, organizzatore di safari e aviatore che sembra non dubitare mai di se stesso o dell’universo in cui si muove; il divorzio da Jock e il matrimonio con lord Mansfield Markham; l’attrazione per il volo, trasmessagli da Denys, che ne fa la prima donna a sorvolare l’Atlantico senza scali.

«Paula McLain è giustamente considerata la nuova star del romanzo storico… Tra cielo e terra è scritto magnificamente e avvince dalla prima all’ultima pagina».  Ann Patchett

«Una moglie a Parigi è un ottimo libro, ma Tra cielo e terra lo supera. Beryl Markham, così avanti rispetto al suo tempo, riceve qui finalmente la consacrazione che merita».  New York Daily News

«L’eloquente ricostruzione da parte della MacLain dell’audace vita di Beryl ci rammenta che le donne indipendenti, capaci di muoversi a una velocità propria, ci sono sempre state». O: The Oprah Magazine

L'Autrice.
Paula McLain è nata a Fresno, in California, nel 1965. Nel 1996 riceve dall’Università del Michigan il premio MFA per la poesia. Dopo due raccolte di poesie (Less of Her e Stumble Gorgeous) e un libro di memorie (Like Family: Growing Up In Other People’s Houses), il suo romanzo Una moglie a Parigi (Neri Pozza 2011, BEAT 2013) è stato un bestseller tradotto in più di trenta lingue.

martedì 11 agosto 2015

Cosa sto leggendo? (What am I Reading?)



Cari lettori ed amici, come procedono le vostre letture?
Io, delle mie, non posso lamentarmi tantissimo, ultimamente ho letto un paio di romanzi che mi hanno preso molto, anche se ho iniziato Mansfield Park dal secolo scorso e procedo al pari di una tartarughina che ha mangiato troppo ed è costretta a rallentare ancora di più il suo passo a causa dei crampi allo stomaco..

Vi riepilogo le mie letture. Scrivetemi le vostre, se vi va!

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MANSFIELD PARK, J. Austen

Fanny Price è diversa da tutte le altre eroine di Jane Austen: non ha il senso dell'umorismo di Elizabeth Bennet né la frivolezza di Emma, e nemmeno la consapevolezza di Elinor Dashwood o l'irruenza di sua sorella Marianne. Fanny è tutta buon senso, umiltà, riservatezza e vulnerabilità. è il personaggio più passivo del romanzo, eppure dal punto di vista dell'azione morale, Fanny è la più attiva perché è l'unica che riesce a vedere le cose nella giusta prospettiva fin dal principio.Nella sua immobilità, è un personaggio chiave, simbolo di quel mondo di pacata quiete e solidi valori che era l'Inghilterra rurale del primo Settecento, contrapposto alla frenesia e dinamicità di una Londra ormai alle soglie della Rivoluzione industriale. Con Fanny, Jane Austen disegna il ritratto di un'eroina positiva non per abbondanza, ma per difetto di qualità mondane: un'eroina che fa dell'immobilità la propria forza, e vince senza fare nulla.

Uff... ma è forse il romanzo più lento della Jane? No, perchè davvero... non scorre! >_<
Sono l'unica a pensarlo?

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IRIDIUM, di M. Cavaletto, C.B. D'Oria

In questo nuovo capitolo della St. Jillian Saga, i nostri protagonisti si troveranno ad affrontare ciò che hanno sempre temuto: la consapevolezza che la Morte ci cambia nel profondo e che l’Amore non è un’àncora di salvezza, ma il peso che ti affonda.
Mentre la guerra fra vampiri, lican e Cacciatori diventa sempre più violenta, una Profezia avrà il potere di cambiarne le sorti.
Ma il Destino, questa volta, chi pretenderà in cambio?

Procedo abbastanza spedita, la lettura si sta rivelando scorrevole al punto giusto! :=)



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LA CHIMERA di Sebastiano Vassalli

Nel 1610 Zardino è un piccolo borgo immerso tra le nebbie e le risaie a sud del Monte Rosa. Un villaggio come tanti, e come tanti destinato a essere cancellato senza lasciare tracce. C'è però una storia clamorosa, soffocata sotto le ceneri del tempo, che Sebastiano Vassalli ha riportato alla luce: la storia di una donna intorno alla quale si intrecciano tutte le illusioni e le menzogne di un secolo terribile e sconosciuto. Antonia, una trovatella cresciuta nella Pia Casa di Novara, un giorno viene scelta da due contadini e portata a Zardino, dove cerca di vivere con la fede e la semplicità che le hanno insegnato le monache.
 Ma la ragazza è strana, dice la gente. Perché è scura d'occhi, pelle e capelli, come una strega, e una volta è svenuta al cospetto del vescovo Bascapè, l'uomo che doveva diventare Papa e che si è messo in testa di trasformare in santo chiunque abiti quelle terre. E poi perché Antonia è bella, troppo bella, ed è innamorata, ed è indipendente: in lei ci dev'essere per forza qualcosa di diabolico... 
Vassalli illumina gli angoli più oscuri di un secolo senza Dio e senza Provvidenza, ricostruendo un episodio che è stato crocevia di molti destini e che, in un turbine di menzogne e fanatismi, ci dice molto di come si è formato il carattere degli italiani.

Il romanzo storico è un genere che mi piace molto, Vassalli ha un modo di scrivere accattivante; vero è che - come con altri romanzieri del genere, tipo il Manzoni - quando ci sono le descrizioni dettagliate del contesto e di certi fatti specifici del tempo di riferimento, un po' il ritmo rallenta, ma la storia e il personaggio di Antonia si stanno rivelando senza dubbio interessanti!

Recensione: HO LASCIATO ENTRARE LA TEMPESTA di Hannah Kent



Come anticipato ieri sera, ho un'altra recensione maturata nel fine settimana da condividere con voi.
Lasciatemi il vostro parere, se viva, e ditemi se è un romanzo che avete letto (e cosa ne pensate) o se vi piacerebbe leggerlo.

HO LASCIATO ENTRARE LA TEMPESTA
di Hannah Kent


Ed. Piemme
364 pp
17.50 euro
2014




“Ho lasciato entrare la tempesta” è un romanzo che parte da fatti realmente accaduti ed è, come dice l’Autrice stessa in appendice al libro, frutto di ricerche approfondite condotte nei luoghi in cui si è svolta la storia di Agnes Magnusdottir.

Siamo nell'Islanda del Nord, e il lettore conosce Agnes Magnusdottir come una donna poco più che trentenne, condannata all’esecuzione capitale insieme a un giovanotto di nome Fridrik Sigurdsson per concorso in omicidio, ai danni di due uomini, Natan Ketilsson e Petur Jonsson.


In attesa di morire, Agnes viene condotta dalla prigione in casa di un uomo, Jon Jonsson, che vive con la moglie Margret e le due figlie Steina e Lauga, che conducono la loro tranquilla esistenza nella propria fattoria.
Apprendere di dover ospitare un’assassina condannata a morte lascia sbigottita la famiglia, che teme per la propria incolumità e reputazione, ed infatti da subito tutti si dimostrano distanti e sgarbati con la prigioniera, mostrandole ostilità e freddezza.

Agnes è consapevole del proprio destino, ma sa che stare presso la famiglia Jonsson sarà sempre meglio che essere rinchiusa in una squallida prigione, coperta di fango e a marcire al freddo.

Ma il freddo è dentro di lei, nel suo cuore, nella sua anima, e consuma ogni singola fibra del suo corpo: Agnes è sempre stata una ragazza molto intelligente – troppo per i gusti degli altri, che hanno sempre visto questo suo acume come un aspetto negativo, proprio di una persona malvagia – e si rende conto che nonostante sia ancora fisicamente in vita, in realtà è già morta dentro.
È forse per scacciare quel buio mortale che è radicato ormai in lei che la donna ha richiesto la presenza di un certo reverendo Thorvardur Jonsson (detto Toti), affinchè l’accompagni nel suo cammino verso la morte, risollevandole lo spirito e avvicinandola a Dio?

Certo, Toti è un vicario così giovane ed inesperto da sembrare davvero la figura meno adatta per assolvere ai doveri di tutore spirituale a vantaggio poi di una donna ambigua, mossa da cattivi sentimenti e pensieri, scaltra e diabolica qual è reputata Agnes Magnusdottir.

Eppure, lei vuole inspiegabilmente (anche se la ragione ci verrà detta in itinere) Toti come suo tutore, e lui accetta il compito pur sentendosi inadeguato e confuso. Del resto, di cosa può aver bisogno una condannata a morte se non di preghiere e letture bibliche?

Ma Toti non è un ragazzo insensibile e frequentando la casa di Jon e parlando con Agnes si renderà conto che quest’ultima non è un corpo vuoto in attesa della fine, bensì un’anima e una mente ricca di pensieri, sentimenti e di fatti da raccontare. Agnes è una donna che ha sempre sofferto nella propria vita e che ha dovuto imparare a sottomettersi e ad obbedire a sempre nuovi padroni, cosa che del resto è abituata a fare da quando è piccola: abbandonata troppo presto dalla madre, e dal patrigno subito dopo, Agnes è costretta a vivere in più famiglie, lavorando duramente come una serva, facendo i lavori più umili e degradanti e incontrando nel suo cammino poche persone buone e troppe che l’hanno maltrattata, insultata, usata.

Natan compreso.

Natan è un personaggio davvero inquietante: un fattore esperto nell’arte della medicina, portata avanti non secondo i metodi tradizionali, ma attraverso l’uso di erbe e misture che, in quel momento storico (siamo nell’Islanda del 1829) vengono visti di mal occhio, come se fossero opera del diavolo (anche se poi, di nascosto, tanti, anche benpensanti di un certo rango, vanno da lui per chiedergli aiuto), idea favorita dalle voci sinistre e spaventose che ruotano attorno a quest’uomo, dichiaratamente miscredente e con strane capacità di preveggenza.

Cosa c’entra Agnes con Natan? E perché si è arrivati ad accusarla del suo omicidio?


L’Autrice intervalla una narrazione in terza persona – che si sofferma su Toti e sulla famiglia che accoglie l’assassina – a quella in prima persona, in cui ci apre il cuore e i pensieri tormentati e sofferti della povera Agnes, che ha un passato pieno di episodi da svelare…
Un passato che l’ha vista cercare amicizia e amore, ricevendone però amare ricompense.

La dolce ed ingenua Sigga, che ha lavorato insieme a lei presso Natan, poteva essere sua amica, ma un triste destino le ha allontanate, a causa dell’unico uomo che Agnes ha mai amato…


Anche Sigga è stata condannata per l’omicidio di Natan e Petur ma con risvolti decisamente diversi…
Come mai? Quanto contano i pregiudizi delle persone, che arbitrariamente e sulla base di aspetti secondari, decidono che un altro essere umano sia buono o cattivo, ingenuo o furbo?

Inizialmente, l’unica persona disposta ad ascoltare la donna è Toti, che sente pietà mista ad una insolita attrazione per la prigioniera, i cui occhi di ghiaccio e i gli sguardi intensi lo turbano non poco.

Pian piano, anche la giovane Steina comincia a sentire una certa simpatia e affinità per Agnes, contravvenendo agli ordini paterni di non rivolgerle la parola; la sorella minore Lauga non comprende come Steina possa solo pensare di fare amicizia con una criminale, e così pure la madre, Margret, gravemente ammalata, che prova repulsione e diffidenza verso la sgradita ospite.

Ma Agnes ha così tante cose da dire di sé, e gli inverni in Islanda sono così freddi, che sedersi vicino al fuoco, con una tazza di latte tra le mani a parlare ed ascoltare… diviene automatico, anche tra persone che non hanno nulla in comune.

E forse, quando si ascolta con attenzione qualcuno – anche se questo qualcuno sembra non avere il diritto di parlare e dire la sua, soprattutto perché la legge e la morale hanno già stabilito che è un soggetto riprovevole - ci si rende conto che la verità non è mai una sola, e che anche le storie tristi e difficili hanno diritto ad una voce che le racconti, a delle orecchie che le ascoltino... e a dei cuori disposti a sentire, a immedesimarsi, a capire i perché e i come.

L’Autrice ci fa entrare in una modesta casa islandese dell’800, ci fa sentire odori e sapori, ci fa provare il freddo gelido delle notti in cui la neve cade inesorabile, ci narra leggende e racconti propri di quell’epoca, dandoci anche particolari sulle pratiche dello scuoiare gli animale e del conservarne le interiora ecc.. 
Il lettore entra nella vita di una famiglia di quel tempo e nella storia con tutti e cinque i sensi, e col cuore soprattutto, perché comprenderà che le parole piene di dolore e rimpianto di una donna, la cui sorte è segnata irrimediabilmente, non possono non smuovere qualcosa dentro, e si arriva alla fine della storia con un filo di commozione e tristezza, per un finale che non può essere modificato, ma che la Storia ha già deciso, scritto e tramandato.

Un romanzo che prova a riscattare questa figura femminile, ritenuta dai suoi contemporanei una strega, una brutta persona legata a pratiche diaboliche… ma che probabilmente è stata soltanto una donna sola, sfortunata, che ha lasciato entrare la tempesta nella propria vita e si è trovata in balia di persone ed eventi più grandi di lei, che l’hanno travolta e fatta annegare.

Una storia ben raccontata, intrisa di molti elementi reali ed altri fittizi, che ci regala lo spaccato di una realtà distante da noi per tempo e spazio, ma vicina se pensiamo a quante persone, nel corso della storia europea (donne in primis), hanno pagato e pagano a caro prezzo il peso di superstizioni e dei modi di pensare ignoranti e bigotti.

Nel viene fuori il ritratto di una donna straordinaria, per vissuto e personalità, ma normale e “comune” per sentimenti, bisogni e desideri.

Mi è piaciuta molto l’ambientazione, sia i luoghi – che hanno un che di esotico, con i loro nomi difficili da scrivere e da pronunciare – sia l’atmosfera, un po’ oscura, per via delle vicissitudini della protagonista, e lo scendere nei dettagli nella narrazione, che va avanti fluida, interessante e soffermandosi sull’interiore dei personaggi e su come i rapporti possano cambiare quando si trascorre del tempo insieme, semplicemente parlando e ascoltando.

Consigliato!!

lunedì 10 agosto 2015

Recensione: IL RAGAZZO IN SOFFITTA di Pupi Avati



In questo week end ho terminato due libri ed iniziato un altro.
Eccovi la recensione di...


IL RAGAZZO IN SOFFITTA
di Pupi Avati


Ed. Guanda
256 pp
16 euro
2015
Berardo Rossi detto Dedo è popolare e brillante, è negato per il latino e tifa Milan anche se vive a Bologna. Giulio Bigi è timido e sovrappeso, legge l’Eneide come fosse «Tuttosport» e indossa orrende cravatte. Due quindicenni che sembrano appartenere a pianeti diversi, se non fosse che ora abitano nello stesso palazzo e frequentano la stessa classe… E che nella famiglia di Giulio c’è un segreto che coinvolgerà, suo malgrado, anche Dedo. Giulio, infatti, non ha mai visto suo padre, chiuso in ospedale fin da prima che lui nascesse. Ora quello sconosciuto sta per tornare a casa. Ma non è la persona che lui si aspetta. Mentre dagli armadi del passato emerge una favola nera di ambizione musicale e passione non corrisposta, Dedo si rende conto che il «ciccione del piano di sopra» è diventato un amico, che quell’amico è in pericolo, e che è il momento di fare delle scelte: ora sono loro due contro tutti. Da una Trieste intrisa di nostalgia a una luminosa e cinica Bologna,  
Pupi Avati mette in scena nel suo primo romanzo un intenso intreccio psicologico e una vicenda ricca di suspense: la storia di un’amicizia adolescenziale, di un lungo amore, di una nera vendetta. E crea con Dedo e Giulio due protagonisti di estrema autenticità: due ragazzi costretti a diventare grandi affrontando le sconfitte dei loro padri.

Pupi Avati è uno dei più amati registi italiani contemporanei, con all’attivo oltre quaranta tra film, sceneggiati e miniserie televisive che gli sono valsi numerosi premi. Ha pubblicato nel 2013 la sua autobiografia, La grande invenzione. Questo è il suo primo romanzo.



Volere bene è un mistero che lo capisci solo se ci pensi molto.

Questa semplice verità, sostenuta da un 15enne di Bologna, introduce la storia, anzi le storie raccontate per noi dal regista Pupi Avati, che alterna la narrazione di episodi avvenuti in momenti e in città diverse ma collegate tra loro profondamente.

I due filoni narrativi, infatti, si svolgono l’uno a Bologna, l’altro a Trieste.

Nella Bologna dei nostri giorni conosciamo un adolescente vivace, intelligente, tifoso sfegatato del Milan e non proprio bravissimo a scuola, Berardo Rossi, detto Dedo, le cui giornate trascorrono tra compiti, amici e il pensiero di essere notato dalla ragazza più bella e più snob della scuola, Olimpia.
La sua vita scorre tranquilla e serena, finchè un giorno i genitori (separati) affittano la mansarda di loro proprietà ad una famiglia, composta da una mamma e dal proprio figlio, Giulio Bigi, coetaneo di Dedo.
I due, oltre a vedersi nello stesso stabile, si ritrovano anche compagni di classe, e Dedo, con l’acume e quel pizzico di cinismo proprio dei ragazzi della sua età, comprende subito che tipo sia il suo nuovo compagno; Giulio è infatti un ragazzone grasso e timido, imbranato e strano, con quelle cravatte ridicole su cui sono disegnati personaggi famosi e che contribuiscono a dargli un’aria ancor più buffa.

Come si fa a non prenderlo in giro con gli amici? Per essere strano, è strano eccome, Giulio, ma è bravo in Latino e traduce l’Eneide “che è una bellezza”, offrendosi di aiutare Dedo, con cui desidera fare amicizia e dal quale vuole essere accettato. 

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E ben presto, tra i due ragazzi, seppure diversi per carattere, nasce un’affinità ed una 
amicizia che diventerà preziosa per entrambi, che sarà un'occasione di crescita e insegnerà loro che nella vita non si è soli se si “hanno le spalle coperte” da un amico che c’è e ti resta accanto anche quando tutti ti abbandonano e il mondo sembra crollarti addosso.
Sì perché Giulio è preoccupato e lo dice a Dedo: suo padre, che è in ospedale e che non ha mai visto e conosciuto in vita sua, sta per tornare a casa… e il ragazzo non sa come affrontare questa nuova esperienza con un uomo cui deve voler bene…ma che in realtà è un estraneo.

Ma il peggio deve ancora venire perché tutti i dubbi di Giulio dovranno fare i conti con una realtà ben peggiore: suo padre non è l’uomo che lui aveva immaginato; è sì ormai provato e bisognoso di cure… ma dietro a quel corpo fragile e a quella mente non proprio lucidissima, si cela qualcosa di ben più grave: un segreto “vecchio di anni” ma fresco nella memoria di tanti…, un segreto che sua madre si è tenuta dentro e che non ha voluto condividere col figlio, per preservarlo, proteggerlo… Ma da cosa?

Chi è quest’uomo che vive nella soffitta di Dedo? E quale terribile segreto Giulio ha scoperto sul proprio padre?
Quando il segreto rischia di non essere più tale, Dedo, che non è un ragazzo indifferente, anche se una piccola parte di sé vorrebbe non essere coinvolta in affari più grandi di lui, dovrà fare una scelta e l’affetto sincero, che lo lega a Giulio, lo porterà a restargli vicino nel momento del maggior bisogno. Perché è così che fanno i veri amici.

“Giulio piange e allora lo abbraccio e lui mi stringe come credo nessuno mi abbia mai stretto nella mia vita, come se stando così attaccati riuscisse a darmi un poco di quel male bestiale che lo sta mangiando dentro. Né mio padre né mia madre, nemmeno la nonna mi hanno mai stretto così forte e vorrei stringerlo anche io così per fargli capire che questa roba terribile non ci ha divisi ma ci ha uniti e che io so quanto lui è solo e disperato.”

Come dicevo, la narrazione si sposta da Bologna a Trieste, raccontandoci di fatti e persone che, capiremo man mano, sono avvenuti prima dell’incontro e dell’amicizia dei due ragazzi e che  sono anche strettamente collegati ad essi.

In che modo? Eh beh, il nocciolo sta proprio lì, quindi mi guardo bene dallo svelarvelo; vi dico soltanto che a Trieste conosceremo un’altra mamma con il suo bambino, Samuele Menczer.

Quella di Samuele è la storia di un figlio che era il centro del mondo per la sua mamma, la quale riverserà su di lui non soltanto  il proprio amore ma anche ogni alta aspettativa e speranza, convinta che il figlio possa diventare un virtuoso del violino, e muoverà – fin quando e come le sarà possibile – mari e monti perché Samuele studi con impegno lo strumento e sia ammesso in scuole prestigiose per diventare un grande violinista. 
La tortuosa strada del musicista gli permetterà di conoscere una donna, della quale si innamorerà perdutamente e che popolerà i sogni e l’immaginazione di Samuele in modo ossessivo, come se fosse realmente la sua amante, tanto da non riuscire ad avere relazioni con altre donne senza sentirsi un traditore verso il suo amore.

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Ma la sognata carriera di violinista gli farà raccogliere anche una serie di umiliazioni in pubblico, che faranno nascere e crescere in lui – che già ha una personalità un po’ particolare, un modo di vedere e considerare se stesso poco obiettivo (si crede davvero un virtuoso del violino, forse per rispetto ai desideri materni), unito alla convinzione di essere volutamente fatto fuori per invidia dagli altri musicisti - sentimenti, pensieri negativi e pericolosi, di rancore, vendetta, rabbia, frustrazione… Tutte cose che non saprà gestire e che gli procureranno dei guai e lo indurranno a commettere un’azione terribile…

E se il mondo della musica sembra sbattergli pian piano la porta in faccia, quello dell’amore invece sembra finalmente fiorire e portargli tra le braccia l’unico amore della sua vita, una vita che però continua non essere generosa con Samuele…

Cosa lega la storia di Samuele e dei fatti di Trieste con i due adolescenti uniti contro il mondo in quel di Bologna?


Pupi Avati ci regala una storia intensa che non si allontana dalla tematica del rapporto padre-figlio (presente del resto in alcuni suoi film, almeno per come ricordo io, tipo Il papà di Giovanna o Un ragazzo d'oro), rivestendola di continue e complesse conflittualità, di mancanze e assenze che chiedono di essere riempite di vere presenze, di parole e di amore, anche se questo non è sempre possibile perché la vita è davvero ricca di sorprese, raramente belle

E ricco di sorpresa è soprattutto il finale, che ci regala un colpo di scena; infatti, se è vero che abbastanza in fretta comprendiamo cosa collega Dedo/Giulio a Samuele Menczer, ciò su cui l’Autore sofferma la nostra attenzione è costituito dai risvolti psicologici dei personaggi, delle loro azioni e scelte.

Pur essendo una storia drammatica - come drammatica è la verità difficile che dovrà affrontare il povero Giulio sul padre e sul suo terribile passato,  lo e è la decisione di un adolescente vivace di farsi carico del problemi dell’amico, proteggendolo come meglio può, e infine lo sono le vicende che coinvolgeranno Samuele, da tutti additato come un mostro crudele – Pupi Avati ce la racconta con intenzionale leggerezza, con intelligenza e acume, alternando linguaggio e momenti ironici, simpatici (che vedono protagonisti Dedo, i suoi commenti e le sue battute, i comportamenti strambi del fratellino autistico Follo…), giovanili, anche se mai privi di significato, a linguaggio e momenti più seri, narrati in modo realistico ma con garbo, mettendo a nudo la psicologia dei personaggi, le loro emozioni, le speranze disattese, la paura del fallimento; quella paura che “va tenuta lontana, che è una malattia della mente dalla quale occorre guarire(cit.); non mancano i momenti di suspense, che coinvolgono il lettore dal punto di vista emozionale.

Fa sorridere di tenerezza il cambiamento di Dedo, che da ragazzino spensierato e un po’ egoista diventa altruista, capace di preoccuparsi per l’amico, col quale condivide e vive il passaggio dall’infanzia (nel senso di atteggiamenti e modi di fare “da ragazzi”, senza grosse responsabilità) all’età adulta, in cui la vita mette davanti a situazioni complicate e che richiedono scelte mature.

La soffitta diventa (mia personalissima interpretazione) per Dedo, ma in special modo per Giulio, il luogo simbolico e oscuro in cui risiedono le loro paure, in primis la paura di conoscere e affrontare verità gravi e terribili davanti alle quali è necessario mostrare coraggio, salendo gradino per gradino le scale buie che conducono fin su, “penetrando nella zona buia del corridoio che è un buio infinito, che si prolunga e ancora si prolunga sotto i miei piedi che strisciano insicuri sul piancito buio” (cit.) e dare a loro stessi l’opportunità di mettersi alla prova, di rafforzare un’amicizia, di liberarsi di fantasmi tormentati e tormentanti, stringendosi insieme in un dolore unico, che li accomunerà e li avvicinerà per sempre.

Concludendo, davvero un bel romanzo, mi piace molto la scrittura di Pupi Avati, i suoi intrecci, l’attenzione posta sui rapporti umani e sulle loro difficoltà e implicazioni psicologiche; in tanti momenti mi ha fatto sorridere e sicuramente mi ha coinvolta, pagina dopo pagina; insomma il mio giudizio è assolutamente positivo e non posso che consigliarne la lettura!
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