venerdì 21 luglio 2017

Premio Liebster Award (2017)



Cari lettori, ho ricevuto la nomina per il premio Liebster Award, e questo non può che farmi tanto piacere.
Ringrazio la cara Ariel (L'angolo di Ariel) per il tag e per ora mi accingo a rispondere alle 11 domande, cui seguiranno le mie 11 per le blogger che taggherò.


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Queste sono invece le undici domande di Ariel:


1) Di quale libro vorresti essere la protagonista?

Forse di un romanzo di Jane Austen, per baloccarmi tra pomeriggi placidi a bere tè e a chiacchierare di tutto e un po'...!


2) Quali sono i tuoi film preferiti?

Come genere, sicuramente quelli drammatici e realistici.

3) Quale corrente pittorica ti piace di più?

L'impressionismo, per l'uso dei colori, il senso di calma che mi trasmettono i quadri di questa corrente. In particolare amo Claude Monet!!


4) Sei mai andata a teatro?

Sì, certo, però meno di quanto avrei voluto! In genere ci sono andata per vedere spettacoli prettamente musicali, però mi piacerebbe vedere anche opere teatrali, ma non ho nessuno che mi accompagni >_<

5) Capelli lunghi o corti?

Ehm... di media lunghezza; troppo lunghi mi starebbero male e cortissimi non mi piacciono perchè li ho mossi e sembrerei una pazza!! :-D

6) Mare o montagna?
Mah... entrambi in momenti diversi; un po' di mare ci sta bene perchè mi piace prendere un po' di abbronzatura, però quando fa troppo caldo mi piace cercare anche la frescura dei paesini di montagna!


7) Qual è il tuo cibo preferito?

Eeeh! I dolci... La "fregatura" (scusate il termine) è che mi piace sia farne che.. provarli, ovviamente ^_^


8) Fai qualche collezione?

Hum... no, però c'è stato un periodo in cui conservavo i bigliettini poetici dei Baci Perugina e le schede telefoniche.


9) Hai il pollice verde?

Questa è proprio facile: assolutissimamente NO.
Sotto le mie mani muore tutto, secca tutto, si prosciuga tutto, ingiallisce tutto.


10) Giochi a carte?

Non tanto e non so fare molti giochi. Diciamo pure che non li amo particolarmente...


11) Qual è la tua serie tv preferita?

Anche questa è facile: GOMORRA forever *_*


Ed ora ecco le mie domandine:


  1. Un libro dell'infanzia al quale sei particolarmente affezionata.
  2. Ti piaceva guardare cartoni animati da bambina? Quale era il tuo preferito?
  3. Pensa a un personaggio letterario che ami particolarmente: chi è e a quale fiore lo paragoneresti?
  4. Se fossi uno scrittore (magari lo sei ^_-), in quale epoca storica e luogo ambienteresti il tuo primo libro?
  5. C'è un genere letterario che proprio non riesci a leggere?
  6. Ti piace vedere film tratti dai libri o ti astieni perchè temi di restare delusa da trasposizioni troppo discordanti "dalla carta"?
  7. Cioccolato: fondente - al latte o bianco?
  8. Ti piace cucinare? Se sì, quale tipo di pietanze?
  9. Un aspetto caratteriale che di te vorresti cambiare/eliminare in toto.
  10. Il libro più bello del mese di giugno?
  11. Quali sono gli hobbies ai quali dedichi più tempo?

Ed ecco i blog che ho pensato di taggare:


http://lestoriedierielle.blogspot.com/

http://sognintrisinellinchiostro.blogspot.it/

http://andibelieveinabookagain.blogspot.it/

http://gattaracinefila.blogspot.com/

http://vivereromance.blogspot.it/

http://sofasophiablog.blogspot.it/

http://chiarabooklover.blogspot.it/

http://helenarrazioni.blogspot.it/

http://ilgiardinosegretodigretel.blogspot.it/

http://ilprofumodelleparole.blogspot.it/

http://www.scrittiapenna.it/

giovedì 20 luglio 2017

Recensione: LA SOSTANZA DEL MALE di Luca D'Andrea



Un triplice, feroce delitto che da trent'anni cerca un colpevole; una piccola comunità isolata e chiusa in se stessa, ostile ai forestieri (soprattutto se impiccioni e curiosi); uno scenario di montagna in cui si respira un'atmosfera tanto antica quanto angosciante; incubi e ossessioni che travolgono la vita di un uomo e di coloro che gli sono accanto; un susseguirsi di colpi di scena che rendono questo romanzo un  thriller sorprendente.


LA SOSTANZA DEL MALE
di Luca D'Andrea



Ed. Einaudi
451
18.50 euro
Jeremiah Salinger è un giovane autore televisivo di New York che, insieme alla moglie Annelise e alla figlioletta Clara (una bimbetta di 5 anni assai vispa e precoce), si è trasferito per un periodo a Siebenhoch, il piccolo centro del Sud Tirolo dove la moglie è cresciuta.

Affascinato dalla montagna e dalla gente che vi abita, Salinger comincia a realizzare un factual - a metà tra un film e un documentario - sul soccorso alpino, ma nel corso di un’emergenza - alla quale lui partecipa per fare delle riprese - accade qualcosa di inaspettato e terribile: un pauroso incidente, provocato da una valanga, coinvolge Salinger e tutta la squadra di soccorso, tanto che dalla tragedia ne uscirà vivo soltanto lui.

L’esperienza vissuta è talmente angosciante e forte che diventa un incubo quotidiano per Salinger, che è ossessionato dalle sensazioni di terrore provate quando s’è trovato in mezzo ai ghiacciai, solo, in compagnia soltanto della parte più oscura e pericolosa della montagna.

Mentre cerca in ogni modo di dimenticare la sua esperienza traumatica, viene a sapere per caso di un cruento fatto di sangue risalente a molti anni prima: il massacro di tre giovani, avvenuto durante un'escursione nella gola del Bletterbach, il 28 aprile 1985.

Per questo triplice assassinio nessuno ha mai pagato, il colpevole non è mai stato trovato e in paese nessuno vuole parlarne.
Come mai? Forse perché il solo pensarci crea dolore, brutti ricordi, tanto più in quanti hanno conosciuto le vittime e le loro famiglie personalmente? O forse - come man mano, ascoltando più versioni e più racconti da diverse voci, sta cominciando a sospettare Salinger - sono in troppi ad avere qualcosa da nascondere?

La voglia di sapere e poter raccontare una storia misteriosa come questa solletica l’intelligenza e la curiosità di Salinger, che dopo il trauma subito e l'inattività cui è stato “costretto”, tanto dai dottori quanto dalla premurosa moglie, è desideroso di tornare a far lavorare il cervello in qualcosa di stimolante. E il tremendo massacro di cui la gigantesca gola di Bletterbach è stata testimone sembra davvero circondato da fitti misteri, segreti, verità nascoste che nessuno sembra intenzionato a rivelargli.

Ma Jeremiah è un testardo e, nonostante l'ostilità crescente incontrata presso i montanari di questa piccola e isolata comunità, e l'opposizione di Annelise (che vorrebbe accanto un marito più coscienzioso, un padre che metta l’amore per la famiglia prima di tutto, lavoro compreso), Salinger si mette a scavare nel passato, penetrando sempre piú a fondo nella vicenda.

Quello che non avrebbe mai immaginato è che dietro l’assassinio dei tre giovani - la bella Evi, il suo compagno Kurt e il fratello minore di lei, Markus - si celano imprevedibili e terrificanti verità, che qualcuno ha sapientemente depistato e insabbiato.

Il triplice omicidio è circondato da aspetti sinistri, come sinistro è il luogo in cui si è verificato: un posto che trasuda di antico, di storia, in cui sono presenti fossili di milioni di anni fa; il Bletterbach

“..non è una semplice gola (…) è un film, un documentario a cielo aperto che ha il suo inizio duecentottanta milioni di anni fa (…)”.

È come se in quel luogo si fosse risvegliato qualcosa di spaventoso che si credeva scomparso, antico come la Terra stessa, e per questa ragione esso fa paura, incute spavento con i suoi sentieri vecchi e pericolosi, le sue grotte buie che sembrano condurti verso l’inferno; lì possono avvenire temporali tremendi, valanghe di fango e melma ai quali è difficile sfuggire. È un posto in cui si respira una sensazione inspiegabile di puro terrore, come se la natura, la montagna con i suoi ghiacciai, diventasse un essere sovrannaturale capace di farti volontariamente del male, anche se in realtà - come viene detto a Salinger -:

“La montagna se ne frega di te. Non è né buona né cattiva. È oltre queste stupide considerazioni da mortali. Lei è lì da milioni di anni e ci resterà per chissà quanto altro tempo. Per lei, tu non sei niente.”.

A fornire al curioso Salinger le prime informazioni è il suocero, Werner, uno dei primi a fondare il servizio di Soccorso Alpino in quella zona; un anziano uomo di montagna, nato e cresciuto in quella terra, abituato alla durezza e alla praticità della vita da montanaro e da appassionato di escursioni; un uomo che ha visto di tutto e di più, e che racconta al genero quella che è stata l’esperienza più brutta della sua vita, vissuta non da solo ma in compagnia dei suoi amici di sempre: Max - che attualmente è la guardia forestale, colui che detiene l’ordine nella tranquilla e chiusa Siebenhoch -, e gli ormai defunti Gunther e Hannes, padre, quest'ultimo, del povero Kurt, barbaramente massacrato in quell’aprile dell’85 insieme ad altre due persone.

Cosa videro realmente quel giorno? È possibile ancora andare indietro nel tempo e ricostruire i fatti, così da dare un volto e un nome al feroce assassino?
Le persone che Salinger interpella e dalle quale esige la verità, sanno più di quello che son disposti a raccontare? Nascondono qualcosa, e se sì… perché?

Il pensiero di sbrogliare la matassa occupa la mente di Salinger e l’ossessione per il Bletterbach divora giorno per giorno, travolgendolo come un torrente in piena che, togliendogli ogni forza per respingere la corrente, lo porta dove vuole.
Portare avanti le proprie personali indagini è difficile per Salinger, almeno per un paio di importanti motivi: anzitutto i montanari lo considerano un mezzo forestiero, un impiccione che vuol solo far soldi su quella lontana disgrazia.
E inoltre, essendo morbosamente concentrato sul caso, l’uomo finisce per trascurare Anneliese e la piccola Clara, deteriorando il rapporto con la prima e rischiando di non proteggere adeguatamente, come un padre dovrebbe fare, la seconda.


Considerazioni.

L’autore, con una padronanza e uno stile magistrali, ha scritto un thriller che non è solo incentrato su un misterioso ed inquietante assassinio irrisolto, ma ancor di più su ciò che accade ad un uomo quando si fa travolgere dalla propria ossessione, fino ad arrivare al punto di mettere in pericolo il proprio equilibrio emotivo e la propria famiglia, pur di non tirarsi indietro dal proprio intento (risolvere il mistero).

Il ritmo è assolutamente incalzante, la scrittura accurata, trascinante; nessuna descrizione - della natura circostante, delle persone, dei fatti - è lasciata al caso; la suspense attraversa sapientemente tutta la narrazione per crescere soprattutto in certi momenti, quando vengono svelate importanti verità; ma attenzione, fino alla fine il lettore - come il protagonista - non deve abbassare la guardia perché i colpi di scena non sono solo in itinere ma fino alla fine non si è certi di nulla perchè nuove scoperte arrivano a dare ulteriori scosse e tensione alle vicende.

Si mette molto in risalto l’aspetto psicologico del protagonista, nonchè voce narrante, e il lettore viene messo faccia a faccia con i suoi incubi, con le sue paranoie, col pensiero fisso di trovare il colpevole, cosa che cozza però contro la sincera voglia di non portare anche i propri cari nel suo personale abisso di paure e fissazioni.

Un thriller mozzafiato, che si lascia divorare fino all’ultima pagina; uno stile ineccepibile; le sequenze narrative hanno un taglio cinematografico che incalzano il lettore, lo coinvolgono, creando attese e incertezze; lo scenario della montagna (così imponente, imprevedibile e anche pericolosa), unito al fascino oscuro di leggende e credenze legate a un passato che si perde nel tempo, costituiscono un elemento accattivante, come lo è la voglia di portare alla luce terribili verità in un contesto caratterizzato invece da una mentalità chiusa, propria di questa piccola località di montagna, i cui abitanti desiderano solo vivere tranquilli.

Non posso che consigliarlo, è davvero un gran bel libro, credo proprio vi catturerà, e 450 pagine neanche le sentirete ;-)


martedì 18 luglio 2017

Ebook gratis: “I’M RUNNING” di Gianfranco Virardi - solo oggi 18 luglio



Cari lettori, in questa giornata, 18 luglio, avrete la possibilità di scaricare e leggere GRATIS un ebook.
Si tratta del saggio “I’M RUNNING” di Gianfranco Virardi, scaricabile Gratis  in versione ebook dal sito di Amazon al seguente link:

https://www.amazon.it/RUNNING-superarsi-sviluppare-creativit%C3%A0-automotivazione-ebook/dp/B07335LG3M/ref=sr_1_4?ie=UTF8&qid=1499961387&sr=84&keywords=virardi+gianfranco


Questo libro non è stato scritto da un runner. O meglio, l'autore non ha ancora vinto nessun trofeo e non ha partecipato a
nessuna gara ufficiale. Chi lo ha scritto, corre per superarsi. Chi sta pensando di aver sbagliato libro, perché i propri lettori, cercavano un manuale di running si sbaglia. 
Questo è il testo giusto, in cui si
impareranno molte più cose di un manuale tecnico sulla corsa.
Imparerete a superare voi stessi e vincere qualsiasi sfida. 

L'autore è Gianfranco Virardi, autore di saggi di successo su Tecniche di Vendita,
Marketing e Comunicazione editi, tra gli altri, da Buffetti, Lupetti e il Sole 24Ore. Probabilmente vi state domandando se questo è un libro motivazionale oppure un libro per imparare a fare running.
Nel libro "I’M RUNNING" troverete una guida chiara per iniziare a correre e
allenarvi a far andare la mente più veloce delle vostre gambe.
Imparerete come migliorare il vostro pensiero proiettandolo sempre più
avanti. Scoprirete nella corsa un metodo per trovare soluzioni, idee creative, energia per affrontare i problemi e superarli.

lunedì 17 luglio 2017

Recensione: IO NON MI CHIAMO MIRIAM di Majgull Axelsson



La tragedia dell’Olocausto vissuta da una rom che si è ritrovata a mentire sulla propria identità, fingendosi ebrea, e ha costruito man mano un castello di bugie che le hanno permesso di sopravvivere in una realtà purtroppo caratterizzata da razzismo etnico e culturale..



IO NON MI CHIAMO MIRIAM
di Majgull Axelsson


JAG HETER INTE MIRIAM
Ed. Iperborea
SETTEMBRE 2016
PP. 576
TRAD. LAURA CANGEMI
€ 19,50
È il giorno del suo 85° compleanno e Miriam riceve in regalo dalla sua famiglia - composta dal figlio Thomas, dalla moglie Katarina e dalla loro figlia Camilla, a sua volta madre del piccolo Sixten - un bracciale con su scritto il proprio nome; ma alla vista di quell’oggetto, l’anziana donna svedese pronuncia una frase sibillina, una verità taciuta e celata per 68 anni nel suo cuore: “Io non mi chiamo Miriam”.
I famigliari non fanno caso a questa frase - o non vogliono perché questo significherebbe conoscere cose finora tenute nascoste? -, tranne la giovane Camilla, che alla prima occasione propone alla nonna una passeggiata nel parco di Nassjo e comincia a farle delle domande su quel passato oscuro che l’ha sempre avvolta e di cui sanno essenzialmente solo che è di origine ebraica.

Ed è così che Miriam è “costretta” ad aprire ad uno ad uno i cassetti della propria lunga memoria e a tirar fuori quello che vi è dentro.
In realtà il suo nome non è Miriam, ma Malika; e lei non è ebrea… ma una rom. Una zingara.

Negli anni del secondo conflitto mondiale, Malika è solo una bambina che viveva in Germania con suo padre (la mamma è morta quando lei era ancora piccolina), il fratellino Didi e la cuginetta Anuscha quando la polizia arriva a strapparla da casa sua per portare i tre bambini in un convento cattolico, dove essi restarono per un paio di anni. Al convento purtroppo seguì la deportazione ad Auschwitz a causa del loro “sangue misto”, in quanto anche se il loro padre è tedesco, la mamma era rom, e quindi andavano rinchiusi nei campi di concentramento preparati dai nazisti. Dopo un periodo ad Auschwitz, Malika viene trasferita, in condizioni inumane dentro vagoni sovraffollati, al campo di Ravensbruck; durante il tragitto accade qualche baruffa tra le prigioniere, alla ragazza si strappa la divisa e, per evitare punizioni e botte, prima di scendere dal treno, riesce a rubarne una appartenuta ad una ragazza morta durante il viaggio: scopre così di aver preso la divisa, e con essa l’identità e il numero (fortunatamente le ultime cifre delle due serie di numeri corrispondono), di un’ebrea: Miriam Goldberg. Per sopravvivere, quindi, Malika decide che da quel momento non ci sarà più posto per Malika la zingara, bensì per Miriam l’ebrea.
Del resto, si sa: gli zingari non vengono trattati bene da nessuno, anzi sono sempre stati oggetto di disprezzo da parte di tutti, ritenuti ladri, sporchi, senza fissa dimora; non che gli ebrei se la passino meglio, ma sempre meno peggio dei rom!

Ed è così che Malika si impossessa della vita di questa sconosciuta, Miriam, e continuerà a dire di essere ebrea anche dopo, quando sopravvivrà al lager e troverà rifugio in Svezia…

La passeggiata con Camilla, la pratica e insoddisfatta Camilla - studentessa di Medicina che ancora non riesce a completare gli studi, sempre in conflitto con l’acida e infelice madre Katarina -, diventa l’occasione propizia per l’ormai stanca ma lucida Miriam per raccontare chi lei davvero sia.

Ricordare è difficile, provoca l’apertura di ferite profonde mai rimarginate; a dirla tutta, Miriam vorrebbe non dover guardare indietro, perché sa che questo significa rivivere dolori e sofferenze atroci; e poi “Dimentica e vai avanti” è stato, da settant’anni a questa parte, il suo mantra, necessario per sopravvivere, per non soccombere sotto il peso dei ricordi e delle bugie raccontate per troppo tempo.

Certo, Miriam lo sa: quelle bugie erano necessarie! Cosa le sarebbe accaduto se avesse detto di essere rom? Sarebbe sopravvissuta comunque ad Auschwitz e poi a Ravensbruck?

E una volta trovato aiuto e riparo nella evoluta e bella Svezia, sarebbe stata accolta comunque se avesse detto la verità, cioè di essere una zingara? Evidentemente no, visto che anche in questo Paese era diffuso un atteggiamento di profondo disprezzo e discriminazione verso i tattare, cioè gli zingari, e Miriam - dopo aver vissuto l’inferno del campo di concentramento - non aveva alcuna intenzione di essere perseguitata anche fuori.

Lo scotto di una vita costruita sull’identità di un’altra persona è stato il sentirsi sempre e comunque “..un’estranea, un’esclusa, una che in realtà non c’entrava”, eppure “Silenzio, bugie e servigi possono certo essere un tormento, ma un tormento sopportabile, infinitamente più sopportabile di certe verità”.

Seguiamo le vicende drammatiche della protagonista passando dal presente al passato, conoscendo tutto ciò che ha patito nei lager, le condizioni in cui erano costretti a vivere i deportati, la miseria, la fame allucinante, i litigi per accaparrarsi un tozzo di pane con la segatura o una coperta lurida e sottile, per trovare posti meno in vista durante l’appello, i piccoli ma vitali accorgimenti per evitare di essere presa a manganellate da kapò e nazisti malvagi e privi di pietà.
Conosciamo anche le amicizie nate tra Miriam ed altre prigioniere, e come questo sia stato fondamentale per la sua sopravvivenza.

Anche se questo ha significato tradire il suo popolo, il suo povero e sfortunato fratellino, il suo caro papà, la sua lingua, le sue tradizioni. L’amore per loro resta immutato nel suo cuore, ma è bene tenerlo lì, al sicuro, come un segreto geloso da custodire perché, se scoperto, la sua vita potrebbe cambiare di nuovo e in peggio, e Miriam ha diritto ad avere una vita serena: una vita normale, in cui è circondata da gente che non la scaccia via, che non la guarda con disgusto e superiorità; una vita in cui ha una casa sua, in cui non deve mendicare per avere il pane, la coperta, un vestito…

“Fred. Pace, pensò Miriam. Fremid. Futuro. Due parole. Non aveva altro. Niente marito e niente figli, niente genitori e niente fratelli. Nemmeno un’amica. Ma cosa significavano in realtà quelle parole? In concreto? Cosa comportava vivere in pace? E avere un futuro?”.

Pensare solo al futuro, insomma, una volta fuori dal lager e giunta in Svezia:

…non pensare mai più a Ravensbruck e Auschwitz. Cercare di dimenticare. Rimuovere e seppellire quello che nonostante tutto si ricordava. Negare a se stesse il diritto alla propria storia”.

In “Io non mi chiamo Miriam” il lettore scende nell’abisso terrificante costituito dal campo di concentramento, in cui la vita e la dignità umane sono state calpestate in modo vergognoso; in cui l’uomo ha raggiunto una delle vetta più alte della propria meschinità e malvagità.

La descrizione meticolosa e precisa delle giornate nei lager è qualcosa che turba sempre, che non lascia indifferenti; ma in questo romanzo non c’è solo questo (non che sia poco), perché si guarda alle persecuzioni razziali ad opera del nazismo aprendo un velo sul destino del popolo rom, di cui si è parlato (e si parla) troppo poco; ci ricorda come in quegli anni, anche una nazione progredita come la Svezia ha avuto i suoi lati oscuri e ha fatto la sua parte (in negativo) nei confronti dei rom, agendo verso di essi con comportamenti profondamente ingiusti. Ci ricorda di come, immediatamente dopo la liberazione dei lager e quindi la diffusione dei racconti relativi alle abominazioni perpetrate dai tedeschi, in molti faticassero a credere ai sopravvissuti o comunque preferissero non sentire troppi particolari perché era assurdo immaginare come una tale atrocità fosse potuta accadere…

Posso dire di aver letto diversi libri sulle esperienze nei campi di concentramento narrate dai sopravvissuti, ma sono racconti ai quali non mi abituerò mai; anzi, ogni volta è un pugno nello stomaco che mi stordisce, mi sconvolge, mi lascia addosso una gran tristezza e un grosso magone, insieme alle fatidiche domande, per le quali forse non ci sarà mai una vera e sufficiente risposta: PERCHE’ C’È STATO TUTTO QUESTO? PERCHE’ L’HANNO FATTO? COME HANNO POTUTO?

L’Autrice ha la grande capacità di farci entrare dentro la storia, di mostrarci in modo vivido tutto quello che gli occhi della protagonista hanno visto, tutto ciò che ha sopportato, i suoi timori, i pensieri più intimi, tutta la sua sofferenza dovuta all’esperienza vissuta, alla perdita dei propri cari, alla paura e al terrore di essere scoperta e additata come bugiarda, una “ladra d’identità”, al dolore di aver tradito ciò che lei è davvero, di aver dovuto seppellire Malika per far posto a questa Miriam, una sconosciuta che è poi diventata se stessa (e la sua salvezza!).
Non possiamo non provare profonda empatia verso Miriam perché la sua vita di menzogne è nata dal legittimo desiderio di poter vivere serenamente, di essere accettata, amata, considerata. Quale essere umano non ha diritto a questo?

Un romanzo accurato storicamente, intenso, doloroso, uno stile scorrevole ma profondo, toccante, che scava nel suo personaggio principale, attraverso i cui occhi viviamo una pagina della nostra Storia contemporanea che non va strappata ma ricordata e raccontata.



READING CHALLENGE
Obiettivo n.35 - Un libro ambientato in un paese nordico.

domenica 16 luglio 2017

Cover&Fiori



Oggi mi sento floreale, benchè non sia primavera ma estate; poi col caldo soffocante che fa i fiori "s'ammosciano" alla grandissima :-D

Quale cover preferite? ^_-

Il fascino dei papaveri..., la forza di un rosa che più rosa non si può o la delicatezza della terza cover?








sabato 15 luglio 2017

Recensione: FORE MORRA di Diego Di Dio (RC2017)



Accattivante per stile di scrittura e storia, ricco di tensione, crudo, spiazzante, e un ritmo vivace che ti prende dalla prima all'ultima pagina, immergendoti in una realtà complessa, feroce, dove, se redimersi è quasi impossibile, combattere con tutte le forze, sperando almeno di sopravvivere, diventa necessario.


FORE MORRA
di Diego Di Dio



315  pp
Fanucci Ed.
LINK PER ACQUISTO

"Siamo uguali, Buba. Siamo due universi divisi a metà. La luce e il buio trovano lo stesso spazio dentro di noi. Combattono, si odiano. Si amano".

Alisa e Buba sono due sicari professionisti che svolgono benissimo il proprio lavoro e sono per questo molto noti nell’ambiente criminale.
Li conosciamo proprio il giorno in cui vengono assoldati per un lavoretto: devono ammazzare un piccolo boss che sta dando fastidio ad un altro più potente; i due killer si preparano per la missione in modo minuzioso ma scoprono, giunti sul posto, che è una trappola…

In realtà c’è qualcuno che sta dando loro la caccia da un po’ di tempo, più precisamente da quando cinque anni prima Buba e Alisa hanno fatto fuori un commercialista, tale Vito Pastore, che lavorava per un camorrista.
Ebbene, ad aver ordito la trappola contro i due killer è il fratello di Pastore, che vuol vendicare il parente.

Buba e Alisa hanno la pelle dura, non improvvisano nulla e sono allenati come soldati ad affrontare anche gli imprevisti, così con la calma razionale e fredda che appartiene a Buba, e l’agilità di Alisa, riescono a sfuggire a chi li vuol morti.

Ma i guai non sono finiti: c’è un pesce molto più grosso che sta col fiato sul collo ai due, o meglio ad Alisa: un boss potente, di cui loro non conoscono ancora l’identità, che è intenzionato a prendere Alisa viva, perché contro di lei sta organizzando un’atroce vendetta.

Di chi si tratta e perché ce l’ha a morte con la donna?

Alisa e Buba sanno di dover stare sul chi va là e che sono davvero poche le persone di cui possono fidarsi; una sola cosa è certa per loro: la consapevolezza di poter contare l’uno sull’altro sempre, perché ad unirli c'è un legame di affetto e stima molto forte che nulla può spezzare.

Oggi entrambi sono degli assassini spietati e impassibili ma tanto diversi per carattere e storia personale; sia Buba che Alisa hanno attraversato esperienze che li hanno formati e resi ciò che sono ora, lasciando però enormi cicatrici (sul corpo e nel loro cuore).

Buba è un uomo alto e atletico, dal fisico possente, è preciso e maniacale (è anche amante della letteratura), ma soprattutto è una macchina di morte cinica ed efficiente dal passato oscuro, che neanche la sua compagna di lavoro conosce.

Quest’ultima è una ragazza che è sopravvissuta ad esperienze terribili, passando attraverso un’infanzia di povertà, soprusi, botte e maltrattamenti da parte anzitutto di un padre che non l’ha mai amata e che ha riversato sull’unica figlia rabbia e dolore.
Alisa porta lo stesso nome della mamma, morta dandola alla luce; la donna era molto amata dal marito, Carmine, che quindi addossa la colpa della morte della compagna alla bambina.

La piccola Alisa cresce circondata dall’indifferenza di un padre che dovrebbe proteggerla e prendersi cura di lei ed invece la tratta come uno straccio; Alisa non ricorda un gesto d’affetto da parte sua, una carezza, un sorriso….

Al contrario: da Carmine riceve schiaffi, calci, insulti, ghigni che non fanno presagire nulla di buono e infatti quest’uomo sarà capace di commettere atti abietti nei confronti della figlia.

Alisa cresce senza amore, all’ombra di un padre che la guarda con odio e che la fa sentire in colpa per la morte della moglie; le uniche due persone che le danno momenti di serenità sono la vicina di casa, la buona signora Romeo (che purtroppo muore quando Alisa ha tanto bisogno di lei) e il cugino Tony, che però venera Carmine e lo ama come un padre, desiderando un giorno entrare anch’egli nella vita malavitosa e fare affari insieme a lui…

Sono anni terribili quelli vissuti nella casa paterna; è un incubo essere la figlia di un uomo così, che arriva a legarti ad una sedia durante il giorno mentre lui va a “lavorare”.

Un giorno la giovanissima Alisa trova il coraggio di disobbedirgli e scappare per ore dalle grinfie di Carmine, gustando il sapore della libertà: la libertà dalla paura, dalle sensazioni costanti di terrore, dalla crudeltà imprevedibile di un padre senza amore:

“So solo che per un istante assaporai la gioia di essere una cosa sola con la libertà. La respiravo, la sentivo scorrere in me. Ma quella libertà non era solo il grido di felicità di un prigioniero evaso. Mi sentii libera non dal dolore, ma dalla paura. I tormenti fisici c’entravano poco: gli schiaffi, i pugni, i calci lasciavano lividi che sarebbero spariti col tempo. Il vero strazio era il terrore, che mi soffocava le parole in gola, che mi stringeva lo stomaco in una morsa implacabile. Era questo il tranello ultimo di Carmine: la paura dell’imprevedibilità. Qualunque cosa, anche il gesto più insignificante, poteva scatenare la sua rabbia”.

Ed infatti quest’atto di ribellione le costerà una carissima punizione, che le procurerà molto dolore e le scaverà solchi di sofferenze e traumi che la segneranno per sempre.

Eppure quella giornata in libertà porta con sé qualcosa di buono: conosce infatti un gay, che ama travestirsi da donna e andare in giro per metrò a raccogliere qualche spicciolo sciorinando buffe rime e divertenti filastrocche. Si fa chiamare Pavella e, non troppo più tardi da quel primo incontro, Alisa incrocerà di nuovo il proprio cammino con quello di lui.

La narrazione procede, di capitolo in capitolo, passando dal presente al passato, ed infatti le vicende di Alisa adulta si intervallano con quelle di lei bambina e ragazza.

La donna di oggi si guarda indietro, fa un tuffo doloroso nel passato e comprendiamo come è arrivata a conoscere Buba e quali tristi vicende ha dovuto vivere e sopportare.
I suoi ricordi sembrano foglietti sparsi senza un ordine logico nella sua mente, e alcuni di essi sono più sbiaditi di altri, ma tra questi momenti confusi che formano il suo passato c’è un dolore che è il più vivido di tutti, capace non solo di crearle lacerazioni dentro e fuori, ma anche di innescare una serie di eventi ed incontri che daranno un determinato corso alla vita di Alisa, la quale a soli sedici anni vivrà un’esperienza traumatica, di tradimento, abuso, umiliazione…

Questo viaggio tra i ricordi è necessario tanto al lettore per capire gli avvenimenti del presente, quanto alla stessa Alisa, per la medesima ragione: il potente boss che le sta dando la caccia con insistenza, ammazzando chiunque incroci sulla via che porta a lei, chi è e da quale antro oscuro del suo passato viene fuori? A chi Alisa ha fatto un torto così grave da meritare un tale accanimento?

Proprio andando a ritroso nella memoria, riesplorando le violenze subite, la solitudine provata, la paura, la consapevolezza che la morte le è sempre in qualche modo passata accanto più di una volta, la donna potrà cercare di capire chi c’è dietro la intricata macchinazione organizzata contro di lei e, di riflesso, contro il fedele compagno Buba.


Insieme, i due devono guardarsi le spalle reciprocamente, addentrarsi per le vie di una Napoli pericolosa e in quelle, ancora più minacciose, di una mente umana devastata da odio e rancore, e in grado, per questo, di provocare spirali di violenze e morti, molte delle quali innocenti.

Considerazioni.

“Fore morra” è un thriller dal ritmo incalzante, che lascia senza respiro il lettore, coinvolgendolo nelle vicende di Alisa ragazzina e poi Alisa donna, la cui esistenza è costellata da pericoli, da poche persone che le vogliono bene e desiderano aiutarla e troppe che, al contrario, le faranno del male. La parte relativa alla sua infanzia è “tremenda” dal punto di vista emotivo, perché mostra in modo concreto e senza mezze misure quanto sia difficile nascere e vivere in un contesto malavitoso, in quei quartieri dove la criminalità organizzata comanda tutto e tutti, e se non trovi la forza per andartene vieni risucchiato in meccanismi perversi e molto pericolosi.

La parte di Napoli (le vicende, per un breve tempo, si spostano a Castel Volturno) che fa da sfondo alle vicende camorristiche è ritratta con pennellate vivide e realistiche, tanto che ci sembra di essere insieme alla protagonista mentre cammina per le strade e i quartieri, caratterizzati da determinati suoni - gli schiamazzi dei bambini, le voci delle donne e degli uomini… - e odori, che sia il profumo del cibo cucinato, del sapone dei panni stesi o della puzza delle fognature. È la Napoli, quella di “Fore morra”, degli spacciatori di droga, del traffico della prostituzione, delle lotte tra piccoli o grandi mafiosi che si contendono le piazze di spaccio o il contrabbando.

Le scene descritte si susseguono come delle sequenze cinematografiche ricche di suspense, la scrittura è dettagliata e asciutta ma allo stesso tempo, non si perde in eccessive descrizioni ma tutto è funzionale alle vicende narrate, che inevitabilmente sono molto dinamiche e i personaggi che intervengono a creare movimento sono come delle schegge impazzite che colpiscono in pieno petto.

C’è però anche spazio per la caratterizzazione psicologica dei personaggi, in special modo della protagonista e del suo amico e collega, Buba; verso di loro ho provato, nel corso della lettura, sentimenti contrastanti: da una parte non posso non scuotere la testa davanti alla loro fredda spietatezza nell’ammazzare le vittime designate e, ancor più, nel torturare persone alle quali bisogna estorcere informazioni; dall’altra, però, è inevitabile desiderare di scorgere quel guizzo di umanità che evidentemente in loro è ancora presente, e che li rende ben più che delle macchine da guerra senza emozioni.

Con Alisa non riesco a non “simpatizzare” (pur disapprovandone le scelte di vita) perché, se è vero che da adulta è un’assassina, è altrettanto vero che ne ha passate di tutti i colori (non che questo sia una giustificazione a diventare un killer, ovvio) ed è cresciuta in un contesto di violenza che l’ha segnata e comunque ha contribuito a renderla quella che è; Buba è un personaggio più enigmatico, ambiguo, sembra indossare perennemente una maschera di imperturbabilità che lo protegge da qualsiasi scalfittura, ma durante il racconto comprendiamo che anche dietro il suo comportamento si nasconde un dolore che non è riuscito a superare e che lo logora dentro.

Diego Di Dio scrive davvero bene, è coinvolgente, ti fa appassionare alla storia e ai personaggi coinvolti e leggi un capitolo desiderando andare oltre, perché non riesci a staccarti dalle pagine; è un po’ come quando guardi una puntata della tua serie preferita (ehm… tipo Gomorra?) e fremi all’idea che dovrai aspettare una settimana per vedere la prossima…! Fortunatamente, per un romanzo non devi soffrire, perché ti basta semplicemente proseguire con la lettura e soddisfare ogni curiosità.

Bramosia di potere, avidità insaziabile di far soldi, di svestire i panni del “pesce piccolo” per diventare un camorrista temuto a cui tutti obbediscono senza fiatare; patti e alleanze violati senza pensarci due volte, tutti sono pronti a tradire tutti…: la realtà raccontata dall’Autore è intrisa di sangue e violenza, è una tormentata denuncia di un modo di vivere fuori dalle regole, dal quale è difficilissimo uscire. Eppure, fino alla fine, tu lettore ti ritrovi a sperare (a me quantomeno è accaduto questo) che per Alisa e Buba ci sia “un altro finale” che li riscatti da tutto il marcio che hanno respirato da quando son nati.


Non so se si capisce che lo consiglio ^_^


READING CHALLENGE
Obiettivo n.29 -
Un libro ambientato a Napoli

Frammenti di "Io non mi chiamo Miriam"



Un passaggio del libro "Io non mi chiamo Miriam", che mi ha fatto pensare ad una nota poesia...


"Al di là del filo spinato c'era qualcosa che avrebbe potuto essere un prato, se non fosse stato così intriso d'acqua, e dietro c'era un muro grigio. Sì, in effetti, sembrava quasi un vero prato con solo qualche pozza qui e là e qualche chiazza di terra nuda, ma per il resto grandi alberi con rami grigi e zolle di erba verde. E fiori. Fiorellini gialli. Una farfalla si sollevò da un fiore e si avvicinò ignara alla recinzione dietro la baracca. Miriam trattenne il fiato. Sarebbe morta? No. Non voleva davvero che la farfallina morisse. Per un paio di secondi, quando si avvicinò al filo spinato, sembrò che dovesse accadere il peggio, ma poi, a una ventina di centimetri dalla corrente, frenò e riprese a svolazzare sul verde fino ad atterrare su un fiore distante, fermandosi lì per un po'. Infine si alzò in volo e sparì al di là del muro.Era salva."



LA FARFALLA


L’ultima, proprio l’ultima,
link
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.

(Pavel Friedman, Praga 1921 – Auschwitz 1944)

venerdì 14 luglio 2017

RITORNO ALLA BRUGHIERA di Thomas Hardy // TRISTANA di Benito Pérez Galdòs (mini-recensioni)



Qualche anno fa mio fratello pensò bene di acquistare la collana dei "Romanzi dell'Ottocento", composta da una sessantina di volumi, se non vado errata, e in vendita come allegati del giornale "La Repubblica".
Ricordo che lessi parecchi romanzi della suddetta collana, e che al tempo mi appuntai qualche riflessione in merito ad alcuni di essi.


Oggi vi parlerò di due classici dell'Ottocento, uno inglese, l'altro spagnolo.


RITORNO ALLA BRUGHIERA
di Thomas Hardy



“Ho detto addio alla pena, e credevo di averla lasciata dietro, lontana; ma lei, allegra, allegra, teneramente m’ama; e m’è così devota, è così buona. Potrei ingannarla, e abbandonarla, ma ah!, è così devota, è così buona”.


illustrazione di Arthur Hopkins
(Wikipedia)
Questo romanzo fu pubblicato nel 1878 e in italiano è anche noto come Il ritorno del nativo o La brughiera.

Il protagonista è Clym Yeobright, che fa ritorno al paese nativo per ritrovare in un certo se stesso, le proprie radici, oltre che il senso di una missione.
Clym ha vissuto lungo tempo a Parigi, commerciando diamanti, e ha conosciuto il mondo moderno, fatto di lussi e piaceri effimeri e finti, da cui è quindi fuggito per tornare alla casa materna, con lo scopo di rendere migliore la gente semplice della brughiera, costretta all'ignoranza dall'ingiustizia sociale.

Clym si innamora dell'irrequieta Eustacia Vye, che finisce per idealizzare, ma la donna non è come lui, anzi è il suo opposto: è capricciosa, appassionata, odia la brughiera, la noia, la fatica e lo squallore della vita di campagna e sogna di poter vivere “altrove”, tipo Parigi, e spera che Clym la porti lì dopo il matrimonio. 
Instabile nei sentimenti, ostinata ed egoista, Eustacia sogna cose decisamente diverse da quelle cui ambisce il marito e con lui, infatti, ha in comune ben poco...
Il loro matrimonio infelice provoca danni nella vita di quanti sono loro vicini, in particolare  Damon Wildeve, l'ex amante di Eustacia, la madre di Clym e la cugina Thomasin.

Il rapporto, ad es., con la suocera è davvero disastroso: la signora Yeobright non fa che discutere con il figlio e la nuora, arrivando ad architettare sotterfugi pur di tenere stretto a sè Clym e riconciliarsi con lui, andando incontro anche ad un drammatico destino...
Un altro personaggio che gravita attorno al filone principale è Diggory Venn, l’uomo dell’ocra tutto tinto di rosso che si aggira per la brughiera, malato d'amore per la giovane Thomasin, infelice sposa di Damon Wildeve.

Tutti i personaggi sono coinvolti nel ciclo degli eventi, a cominciare dal protagonista, che è così preso dalle proprie ambizioni da non accorgersi della realtà, e del resto la malattia agli occhi che lo colpisce in un certo senso rappresenta il male oscuro della sua anima.

A muovere le carte di tutti coloro che vivono nella brughiera è il destino, il quale sembra giocare con le esistenze di ciascuno di essi, di questi uomini e donne che amano, lottano, soffrono, vivono aspettando la fine del loro viaggio.

Siamo nel sud ovest dell'Inghilterra, nel Wessex, in particolare a Egdon Heath, una brulla e desolata distesa di terra, percossa dai venti, caratterizzata da primavere brevi, calde estati, lunghi inverni di neve e di buio.
Proprio questa aspra brughiera semideserta dà voce e forza, facendo da sfondo, alle vicende di due uomini e due donne in particolare - i cui destini si incrociano tra loro -, e di tali vicende diventa spettatrice e al contempo con esse sembra interagire.
Edgon Heath è in fondo la vera protagonista del racconto grazie al minuzioso ritratto che ce ne dà l'Autore e che simboleggia un vero e proprio paesaggio dell'anima.

Questo classico illustra quanto può essere tragica un'illusione romantica e come i suoi protagonisti non riescano a riconoscere le proprie opportunità per controllare i propri destini.

Ricordo che, pur non essendo un'amante delle sequenze descrittive, la narrazione non mi venne a noia perchè percepii l'importanza dell'ambiente naturale nella storia e ne fui affascinata, storia che tra l'altro si rivelò interessante; certo, la narrazione non ha un ritmo incalzante ma ho un ricordo positivo di questo romanzo.



Il secondo classico di cui vorrei parlarvi brevemente è...


TRISTANA
di Benito Pérez Galdòs 



Anno di pubblicazione: 1892.

Tristana è uno dei più brevi romanzi di Galdos; esso è una storia di amore e profonda perversione che inevitabilmente portano alla rovina.

Tristana, la protagonista di questo libro, è una giovane piena di passione, che cerca di ribellarsi a quelle circostanze familiari e sociali che le impediscono di raggiungere l'indipendenza e la felicità. 

La sua esistenza è legata a quella del gentiluomo Don Lope, un don Giovanni invecchiato, un aristocratico accantonato dal corso dei tempi, un padre adottivo che sottomette a sè Tristana, finendo però per confondere il ruolo di padre adottivo... con quello di amante.

Tra loro si frappone il pittore Horacio, che si innamora di Tristana e tenta invano di sottrarla a don Lope, diventando piuttosto una pedina nel vizioso gioco fra l’anziano gentiluomo e la giovane Tristana. 

Devo dire che, a differenza del precedente romanzo, questo non mi è rimasto granchè impresso, anche se rammento di averlo trovato abbastanza scorrevole, piacevole, tra l'altro è breve quindi si legge velocemente, e ben illustra il contrasto tra questo donnaiolo, Don Lope, ormai giunto al crepuscolo della propria vita da latin lover seduttore, che però distrugge l'innocenza della giovane, e quest'ultima, sognatrice e idealista, i cui tentativi di emancipazione da una società sordida e repressiva incontrano non pochi ostacoli.


giovedì 13 luglio 2017

Libro in lettura: IO NON MI CHIAMO MIRIAM di Majgull Axelsson



Carissimi, due giorni fa ho ricevuto quattro libri - in quanto giurata del Gran Premio delle Lettrici di Elle - e sono immersa nella lettura del primo.
Tutti e quattro devo recensirli entro il 1° agosto, quindi mi dedicherò a questi quattro bei romanzi, intanto vi lascio la trama di quello che ho in lettura, cioè IO NON MI CHIAMO MIRIAM di Majgull Axelsson; come vedete voi stessi, leggendola, affronta temi importanti.




«Io non mi chiamo Miriam», dice di colpo un’elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia.
Quello che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. 
Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado tutto, erano ancora perseguitati. Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l’Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d’Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz. 
"Io non mi chiamo Miriam" parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l’«altro» interrogandosi sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti: «Non si può dire tutto! Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero secolo.»


AVETE LETTO LETTO QUESTO LIBRO?

martedì 11 luglio 2017

Recensione: FLOX SORRIDE IN AUTUNNO di Elisabetta Gnone



Il terzo mistero di Fairy Oak, narratoci dalla dolce fatina Felì, ruota attorno all'amicizia, un valore importantissimo, vitale e di certo molto presente tra gli abitanti del villaggio e, in particolare, tra i membri della vivace Banda capeggiata dal bel Grisam.

FLOX SORRIDE IN AUTUNNO
di Elisabetta Gnone



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Età di lettura:
Da 8 anni 
A Fairy Oak sta per entrare l'autunno, con i suoi venti impetuosi che fanno alzare le foglie secche, e come ogni anno ecco che di punto in bianco, un giorno di settembre, qualcuno commette una stranezza più strana delle solite e la normalità sembra sparire per far posto alla "danza delle follie di stagione""

In quei giorni ciascuno sembra dare davvero il meglio di sé quanto a fantasia, forza, abilità e... stravaganza. 
Anche gli alberi non scherzano, l'intera Valle sembra stregata. 

Tanto per dirne una: il vecchio brontolone Meum McDale s'è appollaiato sul tetto di casa, dove c'è un nido di cicogna, con un cannocchiale in mano, e si ostina a non voler scendere giù, nonostante le insistenze della moglie Campanula e di altri abitanti del villaggio.
Che gli sarà preso al vecchio mago?
Tutti son curiosi, adulti, ragazzi e bambini, e tutti cercano di parlargli e di capire cosa ci faccia sul tetto e quanto tempo ha deciso di restarci.
Meum è scontroso, non bisogna insistere troppo con le domande, i ragazzini della Banda lo sanno bene, ma la loro curiosità è irrefrenabile comunque...!

Ma non c'è soltanto Meum a incuriosirli, bensì un altro mistero ben più intrigante: pare che ci sia qualcuno che si diverte a uscire e entrare dai sotterranei della scuola... 
Di chi si tratta e perchè se ne va in giro furtivo, nascosto da un mantello e con una lanterna in mano, cercando di non farsi beccare?

Il guardiano della scuola, Joe, dice che son tutte sciocchezze e che lui non ha visto nessuno, ma Vaniglia, Pervinca, Flox, Grisam e tutti gli altri della combriccola, sentono puzza di bruciato e sono intenzionati a sciogliere il mistero.

Del resto, curiosoni e vivaci come sono, chi riuscirebbe mai a farli desistere dalla loro impresa?

Al centro di questo terzo mistero, comunque, non c'è solo la "misteriosa figura" che gironzola nei sotterranei, ma soprattutto c'è lei, la dolce Flox,  la ragazza arcobaleno, l'amica del cuore di Vi e Babù, colei che ama i colori, la natura e che si veste in modo unico e particolare.
E proprio Flox ha tutta una sua teoria sul perchè accadono cose strane e un po' matte alla gente del villaggio quando fa capolino l'autunno: dipende tutto dal tripudio di splendidi colori che inonda la Valle...! 

Ma il giovane lettore scoprirà meglio la sua simpatica teoria avventurandosi tra le pagine di questo terzo appuntamento con i misteri di Fairy Oak, in cui si viene immersi nelle magiche e sognanti atmosfere che avvolgono le tante avventure di Vì, Babù e dei loro inseparabili amichetti, che non sono soltanto pimpanti e sempre alla ricerca del brivido, ma anche leali, affettuosi, comprensivi.
Sono dei veri amici gli uni per gli altri, e quando uno di loro è preoccupato o c'è qualcosa che non va, gli restano accanto e non smettono di parlare di tutto pur di distrarlo o di dargli rassicuranti pacche sulle spalle, perchè

"... questa era l'amicizia a Fairy Oak, ovunque ti giravi, te la ritrovavi davanti e qualche volta era così impetuosa che ti lasciava i lividi. E non solo sulla pelle.".


Il lettore ritrova i giovanissimi personaggi già incontrati nei volumi precedenti, le streghette e i maghetti del Buio e della Luce, ciascuno con la propria personalità, il proprio modo caratteristico di parlare, vestirsi...; ritrova la saggia strega Tomelilla, che sa sempre tutto ma a volte fa finta di non sapere nulla; l'antipatica smorfiosetta Scarlet Pimpernel, che la frizzante Pervinca si diverte a trasformare in qualche buffo animaletto; e ci sono i tanti e bizzarri uomini e donne di Fairy Oak, ognuno con le proprie stranezze, anch'essi spesso bisognosi di aiuto, solidarietà e di riassaporare il bello di avere degli amici.

Tra le marachelle magiche di Vì e Flox a scuola, tra i ragionamenti profondi della dolcissima Babù, tra i giri di perlustrazione al buio nei sotterranei, alla scoperta di nuovi eccitanti misteri, tra querce distratte e lettere romantiche..., Elisabetta Gnone ci regala un altro magico capitolo di questa deliziosa saga, ambientata in un posto senza tempo, che fa sognare per i suoi colori caldi e accesi, i suoi profumi buonissimi, la sua natura rigogliosa e viva, i suoi simpatici e stravaganti abitanti, e conquista ancora i suoi lettori con una scrittura semplice, ultra scorrevole ma anche attenta ai particolari, con descrizioni efficaci che stimolano l'immaginazione di chi legge... e intanto sogna ad occhi aperti!
Anche il presente volume è corredato di incantevoli illustrazioni, un'esplosione molto suggestiva di colori e immagini.

Dedicato ... "a chi sa colorare il vento"!!


Recensioni dei libri precedenti:

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