giovedì 27 luglio 2017

Recensione: IL RUMORE DELLE COSE CHE INIZIANO di Evita Greco



Una ragazza speciale, piena di insicurezze e timori ma anche dall'animo ricco e profondo; una nonna saggia e amorevole, capace di incoraggiare la propria nipotina sensibile. Una storia lieve e dolce come una "mattina di maggio, che se anche piove, ogni cosa è pronta a sbocciare. Che se anche piove, ogni cosa pare una promessa di un giorno di sole".



IL RUMORE DELLE COSE CHE INIZIANO
di Evita Greco



Ed. Rizzoli
328 pp
18 euro
ANTEPRIMA
 "...per distinguere le cose che finiscono da quelle che iniziano, aveva imparato a stare attenta. Aveva capito che le cose, quando finiscono, lo fanno in silenzio. Mentre quelle che iniziano fanno un rumore bellissimo."


Ada è una giovane donna, bella, dolce, tranquilla, la cui vita gira attorno alla cara nonna Teresa, con cui vive sin da bambina dopo che sua madre l’ha abbandonata.
Sapere di essere stata lasciata dalla mamma come un oggetto inutile e privo di valore, con cui non valga la pena trascorrere del tempo, al quale non serva dedicare affetto e attenzioni, è qualcosa che l’ha segnata profondamente: Ada bambina cresce col terrore che da un momento all’altro anche la nonna possa abbandonarla, non ritenendola più importante.
Ada cresce concentrata solo sulle cose che finiscono, sul rumore triste che fanno e sul dolore che esse producono nel suo cuore.
Fortunatamente accanto ha nonna Teresa, una signora dolce e piena d’amore, che comprende la fragilità di questa nipotina che si sente sola, oppressa dalla sensazione di valere meno degli altri, dal temperamento malinconico, insicuro, di chi teme di non essere accettata per ciò che è.
E davanti alla sua “piccina”, davanti alle sue paure di andare a scuola, di non saper vincere i propri limiti, nonna Teresa inventa un gioco: ogni volta che una cosa bella sembra finire, bisogna stare attenti e prestare attenzione ai rumori, anche ai più insignificanti, perchè di certo, da qualche parte, c’è qualcosa che sta per iniziare e Ada deve imparare a riconoscerne il rumore, per apprezzare le cose belle lasciando indietro quelle tristi.

Ada cresce così, stando attenta a tutto ciò che le capita, a gesti, parole, sguardi, sorrisi. Ai particolari, alle piccole cose che sfuggono spesso ai più, presi come sono dalle incombenze quotidiane; e invece Ada viene su come una pianticella diversa dalle altre, speciale: lei guarda il mondo con occhi diversi, con semplicità e allo stesso tempo con attenzione, per non lasciarsi sfuggire nulla.
Sin dalle prime pagine al lettore Ada sembra “un tipo strano”, di quelli che pare che vivano “al di fuori dalla realtà”, con la testa fra le nuvole, che camminano quasi sospese da terra, attraversando luoghi e persone con leggerezza, che però non è superficialità, tutt’altro: è una sorta di placidezza e di pazienza che permette di guardare il mondo e chi lo abita da un punto di vista differente, più sensibile, più genuino, spontaneo, quasi con lo sguardo incantato e puro di un bambino. E Ada è un’anima pura, incapace di far del male e di immaginare che qualcuno possa farne a lei. È una piccola anima da proteggere, in un mondo fatto di tradimenti, di addii improvvisi, di persone che se ne vanno voltandoti le spalle e sparendo dalla tua vita, dopo averti trattato come un gattino trovato per strada al quale si danno attenzioni temporanee, accondiscendenti, per poi, di punto in bianco, mollarlo lì dov’era.

È un mondo in cui spesso sembra che le cose che finiscono siano di più di quelle che iniziano.
E Ada deve fare i conti con una dura realtà: anche la salute e la vita della nonna possono finire.
Nonna Teresa non sta bene, si è ammalata e per diverso tempo è costretta a restare in ospedale per la terapia. Nei corridoi bianchi dei reparti la paura di restare sola è così forte da toglierle il respiro, ma se si guarda intorno, Ada vede che in realtà lei non è completamente sola: ci sono altre due persone che sono entrate pian piano nella sua vita: Giulia, un’infermiera scrupolosa che si è affezionata a Teresa, e Matteo, un uomo di poche parole, che le regala margherite e sa travolgerla, facendole scoprire la forza dell’amore e della passione.
Parlando con Giulia, confidandosi con lei, confrontandosi con le sue esperienze (è fidanzata da diversi anni e sta per sposarsi), con il suo modo più pratico e logico di vedere le cose e le persone, Ada ha modo di considerare la propria vita, se stessa, e di farsi delle domande anche sul proprio rapporto con Matteo, quest’uomo di cui si è innamorata e che le fa capire di volerle bene, che le dona un po’ di tenerezza e di svago in un periodo difficile com’è questo che sta vivendo, in cui di giorno in giorno aumenta la consapevolezza che presto la nonna la lascerà, e lei non sa come farà senza la persona più importante per lei, il suo unico punto di riferimento.

Eppure Matteo è strano, è enigmatico, sembra avere una doppia vita: quella che trascorre con lei, e un’altra di cui Ada è all’oscuro, ma che di certo c’è. E il giorno in cui lo scoprirà potrebbe portare con sé dolore, sfiducia, amarezza, delusione.

Ma è la vita, Ada, ed è inevitabile: le cose possono cambiare quando meno te l’aspetti, in meglio o in peggio, e tu devi essere pronta ad affrontarle con coraggio, senza perdere la fiducia e la speranza, senza perdere il sorriso e non smettendo mai di fare attenzione ma di cercare sempre una nuova promessa di felicità, perché spesso la felicità è già pronta per noi ma devi imparare a riconoscerne il rumore.


Ada è un personaggio particolare, che fa tenerezza, simpatia e che mette al lettore una gran voglia di proteggerla perché ha davvero delle fragilità, ma allo stesso tempo c’è qualcosa di forte in lei, forse proprio per la sua capacità di andare oltre, di non fermarsi all’apparenza ma di dare valore alle piccole cose.
Non solo, ma Ada mi è piaciuta perché mi son ritrovata moltissimo in tanti suoi aspetti del carattere: mi sono rivista nella sua insicurezza, nel timore di essere sempre al posto sbagliato nel momento sbagliato, di 

“fare un passo indietro rispetto al mondo (…) Si sentiva d’intralcio. Per tutti. E per questo cercava il modo di occupare meno spazio che poteva”.

Simile a lei per la sensazione - non proprio piacevole - di essere vista e giudicata come 
“fuori dalla realtà” per certi modi di essere e pensare poco conformi alla massa; simile a lei per essere quel “genere di persona che passa molto tempo a immaginare conversazioni che forse non avverranno mai”.

“Il rumore delle cose che iniziano” è un romanzo delicato, scritto con tanta sensibilità, che mette in condizione il lettore di entrare in sintonia con la protagonista, di coglierne la bellezza, la genuinità, e questo raccontando una storia di per sé semplice, che avanza con un ritmo sempre costante e calmo, come lo è del resto Ada stessa. Si legge questo romanzo assaporando ogni parola e soffermandosi su si esse per riflettere, per lasciarsi stupire dalla verità spesso contenuta nei piccoli ma preziosi aspetti che caratterizzano il nostro quotidiano, nei gesti compiuti meccanicamente ogni giorno e che dicono tanto di noi, nei nostri sorrisi, negli sguardi che ci legano a qualcuno nei cui occhi, inspiegabilmente, ci specchiamo, ritrovando un pezzettino di noi: tutte quelle cose alle quali non facciamo quasi mai attenzione perché la vita è un correre continuo ma che, se solo ci fermassimo a guardarle davvero, l’arricchirebbero.

Ho apprezzato moltissimo la scrittura aggraziata, armoniosa dell'Autrice, che dà voce a ciò che è dentro di noi attraverso Ada - dalla personalità semplice e complessa insieme - e attraverso nonna Teresa, che dà l’impressione di una quercia secolare dal tronco grosso e forte, al quale ci si può aggrappare, e dal fogliame rigoglioso e fitto, sotto al quale ci si può rifugiare. Una “nonna Teresa” ci vorrebbe per ciascuno di noi, per incoraggiarci a non perdere la fiducia, a non dare nulla per scontato e a credere che lì dove sembra che una porta si stia chiudendo, altre se ne apriranno, pronte a donarci nuove possibilità. Basta avere pazienza e fare attenzione per sentire il rumore delle cose che iniziano.

Consigliato, in particolare a chi ama storie e modi di scrivere che, pur passandoci accanto con la leggerezza ipnotica di una piuma portata via dal vento, riescono a scavare in profondità e lasciarci piccoli ma importanti insegnamenti.

mercoledì 26 luglio 2017

Citazioni d'Autore (Fore morra)



Citazione riportata da Diego Di Dio in "Fore morra":


«Sono io la morte e porto corona, 
io son di tutti voi signora e padrona
e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare 
e dell’oscura morte al passo andare.» 

Angelo Branduardi, Ballo in fa diesis minore




"Iscrizione in fronte a un libro o scritto qualsiasi, per dedica o ricordo; più particolarm.,
citazione di un passo d’autore o di opera illustre che si pone in testa
a uno scritto per confermare con parole autorevoli quanto si sta per dire


lunedì 24 luglio 2017

Recensione: L’AMORE, QUANDO TUTTO E’ PERDUTO di Isabelle Autissier (RC2017)



Cosa faresti se ti trovassi naufrago su un’isola sperduta, in cui non c’è ombra di insediamento umano, circondato soltanto da una natura incantevole e selvaggia, popolata esclusivamente da pinguini, topi, otarie, uccelli? Pensi che riusciresti a tirar fuori tutto il meglio del tuo istinto di sopravvivenza e, proprio come un moderno Robinson Crusoe, trovare soluzioni per non morire di fame?

Questa è la storia di una coppia innamorata che si ritrova, dall'oggi al domani, sola su un’isola deserta. Riuscirà a sopravvivere? Cosa li aiuterà a non soccombere?


L’AMORE, QUANDO TUTTO E’ PERDUTO
di Isabelle Autissier

Ed. Rizzoli
trad. M. Ferrara
205 pp
17 euro
2016
Ludovic e Louise sono una coppia parigina, e più different caratterialmente tra loro non potrebbero essere: lui adora andare in barca a vela, lei scalare montagne. Lui è un giovanotto forte, dal fisico atletico, la cui esistenza finora si è caratterizzata per un'esuberante joie de vivre, spensieratezza e un pizzico di follia; lei è una ragazza assennata, ragionevole, riservata, da sempre chiamata “la piccola” sia per il fisico minuto sia per il carattere schivo, di chi non ama mettersi in mostra ma vive sempre all’ombra; eppure Louise è solo all’apparenza fragile: in realtà dentro di lei arde un fuoco, che il fidanzato ha imparato a conoscere e ad amare, e che emergerà nei momenti difficili con una tale intensità da spiazzarla.
I due sono accomunati da un forte spirito dinamico e avventuroso e così decidono di intraprendere una vacanza in barca a vela, concedendosi un anno di libertà prima di mettere su famiglia. Un’occasione per dare uno scossone ad una vita che sta diventando troppo piatta e abitudinaria, troppo comoda e priva di emozioni forti.

Mentre sono in mare, su insistenza di Ludovic - e senza l’approvazione di Louise - cambiano piano di navigazione e finiscono per commettere un’infrazione sbarcando sull’isola deserta di Stromness (al largo di Capo Horn), per una visitina in questo posto sperduto e pieno di fascino naturale: in realtà è proibito visitare l’isola per ragioni naturalistiche: lì vivono specie animali protette, in particolare i pinguini reali, ed è un posto frequentato, nella bella stagione, solo da membri della comunità scientifica per ragioni di ricerca, proprio a motivo della bellezza dei paesaggi e per la fauna specifica del posto.
A causa di un errore di valutazione e di un’improvvisa tempesta, una volta sbarcati sull’isola, la loro barca sparisce e affonda tra le onde del mare agitato, così i due si ritrovano soli, in mezzo ad una natura selvaggia, abbagliante per la sua bellezza, in cui però, a un primo sguardo, non pare esserci molto per loro, per sopravvivere.

Colti da sentimenti di impotenza, angoscia, paura, smarrimento, Ludovic e Louise in un primo momento non sanno che fare, ma poi il ragazzo cerca di scrollarsi di dosso ogni (legittima) inquietudine, e lo scoramento che ne consegue, per ragionare su cosa e come fare per resistere fino a quando qualcuno passerà di lì e li porterà a casa.

Perché sicuramente qualcuno - soprattutto i ricercatori - verrà a farsi un giro sull’isoletta e si accorgerà di loro, e li riporterà nella civiltà moderna, al caldo nei loro letti, al sicuro nella loro cucina, con davanti cibo e ogni cosa di cui hanno bisogno e alla quale sono abituati
.

Ma per adesso sono sull’aspra Stromness e devono vedere cosa inventarsi per non morire di fame e, eventualmente dovessero passarvi l’inverno, di freddo…
Col passare di ore, giorni, settimane…, Louise e Ludovic capiscono che devono tirar fuori tutto il coraggio, la pazienza, la lucidità e le proprie capacità di adattamento di cui sono forniti, mettendo in pratica ciò che sanno ma anche imparando cose decisamente nuove.

Immaginiamoci al loro posto: è traumatico solo pensare di passare da una vita “normale”, fatta di agi e comodità, ad un’altra in cui devi immedesimarti negli uomini primitivi, che solo con ciò che la natura offriva riuscivano a cacciare, scaldarsi, coprirsi, sfamarsi…
Ci si trova soli di punto in bianco; dall’aver tutto al non aver nulla; dall’essere circondati e ossessionati da mezzi di comunicazione che ti mettono in contatto con ogni parte del mondo in tempo reale… all’isolamento più totale.
Di quale capacità, gesti, intuizioni… l’uomo moderno deve reimpossessarsi per non soccombere in una realtà che è sufficiente a se stessa e ai suoi legittimi abitanti, ma che può rivelarsi nemica dell’uomo, che rappresenta un intruso? 

Luoise e Ludovic scopriranno, con loro sorpresa, di saper vivere anche in una situazione estrema come quella, scuoiando pinguini, costruendo baracche di fortuna per ripararsi…, ma soprattutto capiranno che per restare vivi hanno bisogno di essere uniti.
Certo non è semplice, perché la paura di morire lì, con il corpo rinsecchito dalla fame e dal freddo, magari rosicchiato dai topolini…, c’è ed è ragionevole; per non parlare del fatto che Louise attribuisce alle idee strampalate di Ludo questa disgrazia:

“…la paura si trasforma in collera. Litigano come se niente fosse, come se fossero comodamente seduti sul divano. Louise è colta da un senso di angoscia. Non soltanto sono abbandonati lì, senza casa, senza un tetto, ma sono condannati l’uno all’altra, l’uno alla compagnia dell’altra, l’uno contro l’altra. Quale coppia resisterebbe a una reclusione del genere?".

Eppure loro si amano e anche tanto! Si sono scelti, dopotutto, no? Il loro amore è forte e supereranno insieme questa prova, e un domani, al sicuro nella loro casa, ne parleranno e ne rideranno insieme…:

“Finchè saranno insieme, il loro amore li sosterrà, li proteggerà. Sta in questo la loro forza: un uomo e una donna, insieme contro le migliaia di chilometri di deserto liquido, contro la solitudine, contro la morte.”.

E se l’amore non bastasse? L’amore è in grado di resistere a tutto o il desiderio di vivere e la paura di morire potrebbero essere più forti, tanto da avere il sopravvento sulla solidarietà, sull’amore, sull’altruismo…?
Pur di non morire di fame e freddo, cosa è disposta a fare una persona disperata? Quale prezzo è disposta a pagare?


Considerazioni.

L’Autrice, con una scrittura estremamente asciutta, sobria, ci racconta la terribile esperienza della coppia su quest’isola, i loro tentativi per resistere, per non soccombere alla fame, al freddo e ancor più allo scoraggiamento, alla paura che nessuno venga a salvarli e che le loro giovani esistenze si spegneranno lì, lontano da tutto e tutti.

“L’amore, quando tutto è perduto” è la storia di un amore costretto a fronteggiare condizioni di vita al limite, in cui si è costretti a far emergere quella parte di sé antica, “primordiale”, selvaggia, necessaria per fronteggiare una natura che in sè non è ostile all’uomo ma può diventarlo perché è tanto satura e sufficiente a se stessa da non andare necessariamente incontro alle necessità dell’essere umano, in quanto... non è tenuta a farlo! È l’uomo che deve adattarsi a lei, ai suoi tempi, ai suoi ritmi, alle sue peculiarità, ai suoi abitanti.
È la storia tragica di come questo amore possa non bastare per restare uniti e trovare l’uno nell’altra la forza per non mollare.

La narrazione procede attraverso un punto di vista esterno molto realista e razionale, che ci restituisce una sorta di cronaca di quest’avventura fuori dall’ordinario; la scarsità di dialoghi tra i due naufraghi, il racconto distaccato dei loro gesti, delle parole, dei pensieri, degli stati d’animo, mi ha dato una sensazione di freddezza e ho trovato inizialmente difficoltà a empatizzare con i personaggi; non riuscivo ad emozionarmi.

In realtà, andando avanti nella lettura e familiarizzando con lo stile narrativo dell’Autrice - spigoloso, molto realistico, accurato circa gli aspetti naturalistici e pratici, ma meno intenso per quanto riguardava le emozioni -, ho capito che in realtà esso riusciva efficacemente a rendere la cruda drammaticità della situazione, perché il narratore esterno conferisce la lucidità necessaria al racconto, dando al lettore la facoltà di valutare, riflettere, forse anche giudicare le azioni e le scelte dei protagonisti.

Sì, perché questo libro è anche la storia di una donna che ha saputo uscire da un incubo, e che una volta fuori si ritrova sola con se stessa, con i propri sensi di colpa e rimorsi, travolta dall’interesse morboso, da parte della società, per l’avventura vissuta, per la sua eroicità. È anche una storia di rinascita: da un passato di cui non si va fieri, da scelte discutibili, da un dolore e da una cicatrice profondi che mai guariranno e con i quali bisogna imparare a convivere, se si vuol essere davvero liberi.

Un romanzo con una storia forte, d’impatto, dove l’avventura si mescola con l’elemento drammatico; un racconto che procede come una sequenza di scatti fotografici che immortalano la natura, i gesti, i pensieri e le parole dei protagonisti senza didascalie e “morale della favola”; al lettore la decisione di immedesimarsi, di immaginare se stesso al posto di Ludovic e Louise, mettendo da parte i giudizi morali espressi con troppa facilità e che potrebbero non tener conto della straordinarietà di determinate circostanze che  i personaggi hanno dovuto, loro malgrado, attraversare.

Consigliato; è un romanzo che ci scorre davanti come un film, concreto e pratico come la sua Autrice, la prima donna ad aver fatto il giro del mondo in barca a vela sola soletta.





Obiettivo n.33 - Un libro ambientato su un’isola

Frammenti da... sovrana lettrice



Piccoli ma significativi passaggi tratti da "La sovrana lettrice":

" Stava anche scoprendo che un libro tira l’altro; ovunque si voltava si aprivano nuove porte e le giornate erano sempre troppo corte per leggere quanto avrebbe voluto."


"«Passare il tempo?» esclamò la regina. «I libri non sono un passatempo. Parlano di altre vite. Di altri mondi."


"Leggere le dava una sensazione simile: la gioia dell’anonimato; della condivisione; della normalità. Lei, che aveva vissuto una vita diversa dalle altre, scopriva di avere un estremo bisogno di tutto questo. Fra le pagine e dentro le copertine poteva passare inosservata."

"Un libro è un ordigno per infiammare l’immaginazione".

" Ma per lei non c’era niente di più serio e nutriva per la lettura gli stessi sentimenti che certi hanno per la scrittura: era impossibile rinunciarvi e per lei, in quella fase della sua vita, era come una missione. È vero che all’inizio leggeva con trepidazione e un certo nervosismo. Si perdeva di fronte all’infinita quantità dei libri e non appunti erano venuti dopo; leggeva sempre con una matita a portata di mano, non per riassumere quello che leggeva ma solo per trascrivere i passaggi che l’avevano colpita. Fu solo dopo un anno di letture e di appunti che Sua Maestà si azzardò ad annotare un pensiero tutto suo. «La letteratura» scrisse «mi appare come un vasto paese dai confini remoti, verso i quali mi sono diretta ma che non mi sarà mai dato raggiungere. E ho cominciato troppo tardi. Non potrò mai recuperare»."

domenica 23 luglio 2017

Recensione: LA SOVRANA LETTRICE di Alan Bennett



Un libro molto breve ma delizioso per la sottile e piacevole ironia che lo attraversa e con la quale l'Autore ci offre il ritratto di una regina Elisabetta in veste di "lettrice accanita", che in età avanzata trova nella letteratura una valida "compagna di viaggio".


LA SOVRANA LETTRICE
di Alan Bennett


The Uncommon reader 
Ed. Adelphi
95 pp
2007
Quasi per caso e sulla soglia della veneranda età degli 80 anni, la regina d'Inghilterra, Elisabetta II, fa una scoperta che le cambierà (in meglio!) l'esistenza: i libri, la letteratura.
Cosa c'è di singolare e inopportuno nell'avere la passione per la lettura? Nulla!
Ma se a scoprire d'improvviso quest'hobby e a volerlo coltivare come, dove e quando vuole è niente meno che la sovrana inglese... e beh, forse qualcosa di strano potrebbe esserci.
E sì, perchè una regina non può dedicarsi anima e corpo ad un'attività che, per quanto apparentemente innocua, non è però in sintonia col suo ruolo istituzionale.
Un sovrano ha ben altre (ed alte) incombenze di cui impicciarsi, altro che ficcare (letteralmente) il naso tra le pagine di un volume preso dalla biblioteca degli Windsor e "perdere" il proprio tempo a leggere, leggere e ancora leggere...
Ma leggere cosa e chi, poi?
Tutti i funzionari vicini alla casa reale, tra cui il primo ministro, sono esterrefatti: la regina ha preso questo viziaccio - al quale ha contribuito un ragazzotto poco colto e bruttino, impegnato in cucina, che a sua volta ha la passione per la lettura - di punto in bianco e adesso non pensa che ai libri che sta leggendo o a quelli che ha intenzione di leggere, col risultato che ovunque va, tiene sempre un libro in borsetta, per emergenza, nel caso ci fossero dei "tempi morti" durante le uscite ufficiali, che lei puntualmente riempie a suon di pagine scritte.
E come se ciò non fosse sufficiente, s'è messa in testa pure di condividere le sue letture con chi la circonda, arrivando a chiedere a chicchessia se ama leggere, cosa legge di solito e se ha mai letto quel tale libro e quel tale autore...

Insomma, una follia! Una cosa oltremodo imbarazzante!!
L'austera sovrana, nota per essere un tipo discreto e riservato, poco propensa alle chiacchiere, dal volto tendente più al serioso che al gioioso, si è scoperta lettrice compulsiva dall'oggi al domani, e non ha alcuna intenzione di tener nascosta questa sua bizzarra passione che pian piano sembra alienarla dalla realtà di corte, renderla distratta verso l'etichetta, insofferente verso gli impegni istituzionali..., tanto da mettere in allarme tutti circa la salute dell'anziana regina: ma non è che sotto sotto sta cominciando a perdere qualche venerdì? Un inizio di Alzheimer, magari?

Ma non sanno quanto si sbagliano coloro che malignamente ridacchiano e scuotono il capo davanti all'amore, scoperto troppo tardi (e per questo Elisabetta prova rimpianto), per la letteratura, che le sta aprendo la via verso la comprensione di un mondo interiore che mai fino ad ora ella aveva esplorato.
Sì perchè leggere ha tanti benefici, tra cui quello di maturare una maggiore empatia, una più spiccata sensibilità verso chi ci è intorno, verso i loro pensieri, stati d'animo; la regina scopre la bellezza di prendere appunti, di riflettere, di fare considerazioni su cose semplici ma non per questo sciocche, alle quali non aveva mai davvero pensato.
Insomma, leggere arricchisce e inevitabilmente cambia il lettore appassionato, e questa graduale metamorfosi coinvolge anche la "sovrana lettrice", che - infischiandosene della perplessità della corte, delle reazioni seccate e falsamente accondiscendenti del primo ministro e degli altri funzionari - comincia a mostrare un atteggiamento più aperto ma anche sorprendentemente ironico, critico, provocatorio.
La lettura sta offrendo alla regina l'opportunità di essere ciò che finora ha dovuto mettere da parte per adempiere rigidamente un ruolo deciso dalla storia, dalle regole della monarchia: un essere umano.

Sarà lasciata libera di coltivare questa passione senza essere ostacolata dal proprio ruolo e da ciò che gli altri si aspettano da lei?

L'epilogo stupisce il lettore per l'originalità e la simpatia, ma in realtà è tutto il libro a stupirci per lo stile e la classe con cui è scritto: in poche pagine Bennett sfodera tutto l'umorismo britannico di cui è capace, la sua sagacia, la sua verve per parlarci di un personaggio non inventato - e non uno qualunque! -, unendo l'elemento reale con quello verosimile e/ fittizio per mostrarci come i libri siano strumenti potenti, al pari di "un ordigno" capace di "infiammare l’immaginazione”.
E' una lettura che sembra una pièce teatrale, piacevolissima, che strappa sorrisi e dà un pizzico di buon umore; non solo, ma mi ha fatto sentire - almeno su carta e "per gioco" - vicina alla regina lettrice, perchè anche lei (tra le altre cose) va a sbattere contro l'indifferenza e la perplessità di chi proprio si ostina a non voler capire perchè un lettore ami i libri tanto da tenerne uno sempre a portata di mano per non rischiare di restarne senza in determinati momenti della giornata.
Elisabetta, una di noi!, viene da pensare leggendo questo scritto di Bennett, consigliato e ideale come lettura estiva perchè, pur essendo non impegnativa e veloce, è tutt'altro che banale, anzi offre diversi spunti di riflessione.



sabato 22 luglio 2017

Frammenti di letture




"Com'era in realtà Auschwitz?
Che domanda. Come si faceva a rispondere? Fango. Melma. Non un filo d'erba. Terra senza alberi. Un'infinità di baracche. Corpi emaciati. Denti sporgenti. Occhi infossati. Latrati di cani. Mengele. Sorveglianti ucraine. Impiccagioni. Appello all'alba. Noma".


"...Miriam non era lì, le erano spuntate le ali sulla schiena, era diventata un uccello, un uccellino azzurro che poteva levarsi in alto e lo fece subito, e quando fu al di sopra del campo vide che sarebbe venuta fuori una giornata bellissima, e laggiù in lontananza stava arrivando un altro uccellino ed era Didi. Era diventato un uccello anche lui! Che fortuna! Avrebbero potuto volare insieme... Volare lontano. In un bosco da qualche parte".


"...questi sono i presupposti della vita. Siamo destinati a perdere tutto, anche le persone che hanno più importanza per noi. E per questo non tenta più di trattenere il pianto...".

- tratto da IO NON MI CHIAMO MIRIAM, di M. Axelsson - 




"Le idee arrivano e basta. Certe volte se ne vanno e certe altre attecchiscono. Come le piante. E come le piante crescono e crescono. Hanno vita propria".


"Ricordare fa male?
Da morire, - risposi (...) E' come un animale feroce che se ne sta nascosto dentro di me (...). E morde. Sempre. Forse un giorno riuscirò a mettergli guinzaglio e museruola. Ammaestrarlo. Tornare ad avere solo giorni buoni.".

- tratto da LA SOSTANZA DEL MALE di L.D'Andrea - 

venerdì 21 luglio 2017

Premio Liebster Award (2017)



Cari lettori, ho ricevuto la nomina per il premio Liebster Award, e questo non può che farmi tanto piacere.
Ringrazio la cara Ariel (L'angolo di Ariel) per il tag e per ora mi accingo a rispondere alle 11 domande, cui seguiranno le mie 11 per le blogger che taggherò.


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Queste sono invece le undici domande di Ariel:


1) Di quale libro vorresti essere la protagonista?

Forse di un romanzo di Jane Austen, per baloccarmi tra pomeriggi placidi a bere tè e a chiacchierare di tutto e un po'...!


2) Quali sono i tuoi film preferiti?

Come genere, sicuramente quelli drammatici e realistici.

3) Quale corrente pittorica ti piace di più?

L'impressionismo, per l'uso dei colori, il senso di calma che mi trasmettono i quadri di questa corrente. In particolare amo Claude Monet!!


4) Sei mai andata a teatro?

Sì, certo, però meno di quanto avrei voluto! In genere ci sono andata per vedere spettacoli prettamente musicali, però mi piacerebbe vedere anche opere teatrali, ma non ho nessuno che mi accompagni >_<

5) Capelli lunghi o corti?

Ehm... di media lunghezza; troppo lunghi mi starebbero male e cortissimi non mi piacciono perchè li ho mossi e sembrerei una pazza!! :-D

6) Mare o montagna?
Mah... entrambi in momenti diversi; un po' di mare ci sta bene perchè mi piace prendere un po' di abbronzatura, però quando fa troppo caldo mi piace cercare anche la frescura dei paesini di montagna!


7) Qual è il tuo cibo preferito?

Eeeh! I dolci... La "fregatura" (scusate il termine) è che mi piace sia farne che.. provarli, ovviamente ^_^


8) Fai qualche collezione?

Hum... no, però c'è stato un periodo in cui conservavo i bigliettini poetici dei Baci Perugina e le schede telefoniche.


9) Hai il pollice verde?

Questa è proprio facile: assolutissimamente NO.
Sotto le mie mani muore tutto, secca tutto, si prosciuga tutto, ingiallisce tutto.


10) Giochi a carte?

Non tanto e non so fare molti giochi. Diciamo pure che non li amo particolarmente...


11) Qual è la tua serie tv preferita?

Anche questa è facile: GOMORRA forever *_*


Ed ora ecco le mie domandine:


  1. Un libro dell'infanzia al quale sei particolarmente affezionata.
  2. Ti piaceva guardare cartoni animati da bambina? Quale era il tuo preferito?
  3. Pensa a un personaggio letterario che ami particolarmente: chi è e a quale fiore lo paragoneresti?
  4. Se fossi uno scrittore (magari lo sei ^_-), in quale epoca storica e luogo ambienteresti il tuo primo libro?
  5. C'è un genere letterario che proprio non riesci a leggere?
  6. Ti piace vedere film tratti dai libri o ti astieni perchè temi di restare delusa da trasposizioni troppo discordanti "dalla carta"?
  7. Cioccolato: fondente - al latte o bianco?
  8. Ti piace cucinare? Se sì, quale tipo di pietanze?
  9. Un aspetto caratteriale che di te vorresti cambiare/eliminare in toto.
  10. Il libro più bello del mese di giugno?
  11. Quali sono gli hobbies ai quali dedichi più tempo?

Ed ecco i blog che ho pensato di taggare:


http://lestoriedierielle.blogspot.com/

http://sognintrisinellinchiostro.blogspot.it/

http://andibelieveinabookagain.blogspot.it/

http://gattaracinefila.blogspot.com/

http://vivereromance.blogspot.it/

http://sofasophiablog.blogspot.it/

http://chiarabooklover.blogspot.it/

http://helenarrazioni.blogspot.it/

http://ilgiardinosegretodigretel.blogspot.it/

http://ilprofumodelleparole.blogspot.it/

http://www.scrittiapenna.it/

giovedì 20 luglio 2017

Recensione: LA SOSTANZA DEL MALE di Luca D'Andrea



Un triplice, feroce delitto che da trent'anni cerca un colpevole; una piccola comunità isolata e chiusa in se stessa, ostile ai forestieri (soprattutto se impiccioni e curiosi); uno scenario di montagna in cui si respira un'atmosfera tanto antica quanto angosciante; incubi e ossessioni che travolgono la vita di un uomo e di coloro che gli sono accanto; un susseguirsi di colpi di scena che rendono questo romanzo un  thriller sorprendente.


LA SOSTANZA DEL MALE
di Luca D'Andrea



Ed. Einaudi
451
18.50 euro
Jeremiah Salinger è un giovane autore televisivo di New York che, insieme alla moglie Annelise e alla figlioletta Clara (una bimbetta di 5 anni assai vispa e precoce), si è trasferito per un periodo a Siebenhoch, il piccolo centro del Sud Tirolo dove la moglie è cresciuta.

Affascinato dalla montagna e dalla gente che vi abita, Salinger comincia a realizzare un factual - a metà tra un film e un documentario - sul soccorso alpino, ma nel corso di un’emergenza - alla quale lui partecipa per fare delle riprese - accade qualcosa di inaspettato e terribile: un pauroso incidente, provocato da una valanga, coinvolge Salinger e tutta la squadra di soccorso, tanto che dalla tragedia ne uscirà vivo soltanto lui.

L’esperienza vissuta è talmente angosciante e forte che diventa un incubo quotidiano per Salinger, che è ossessionato dalle sensazioni di terrore provate quando s’è trovato in mezzo ai ghiacciai, solo, in compagnia soltanto della parte più oscura e pericolosa della montagna.

Mentre cerca in ogni modo di dimenticare la sua esperienza traumatica, viene a sapere per caso di un cruento fatto di sangue risalente a molti anni prima: il massacro di tre giovani, avvenuto durante un'escursione nella gola del Bletterbach, il 28 aprile 1985.

Per questo triplice assassinio nessuno ha mai pagato, il colpevole non è mai stato trovato e in paese nessuno vuole parlarne.
Come mai? Forse perché il solo pensarci crea dolore, brutti ricordi, tanto più in quanti hanno conosciuto le vittime e le loro famiglie personalmente? O forse - come man mano, ascoltando più versioni e più racconti da diverse voci, sta cominciando a sospettare Salinger - sono in troppi ad avere qualcosa da nascondere?

La voglia di sapere e poter raccontare una storia misteriosa come questa solletica l’intelligenza e la curiosità di Salinger, che dopo il trauma subito e l'inattività cui è stato “costretto”, tanto dai dottori quanto dalla premurosa moglie, è desideroso di tornare a far lavorare il cervello in qualcosa di stimolante. E il tremendo massacro di cui la gigantesca gola di Bletterbach è stata testimone sembra davvero circondato da fitti misteri, segreti, verità nascoste che nessuno sembra intenzionato a rivelargli.

Ma Jeremiah è un testardo e, nonostante l'ostilità crescente incontrata presso i montanari di questa piccola e isolata comunità, e l'opposizione di Annelise (che vorrebbe accanto un marito più coscienzioso, un padre che metta l’amore per la famiglia prima di tutto, lavoro compreso), Salinger si mette a scavare nel passato, penetrando sempre piú a fondo nella vicenda.

Quello che non avrebbe mai immaginato è che dietro l’assassinio dei tre giovani - la bella Evi, il suo compagno Kurt e il fratello minore di lei, Markus - si celano imprevedibili e terrificanti verità, che qualcuno ha sapientemente depistato e insabbiato.

Il triplice omicidio è circondato da aspetti sinistri, come sinistro è il luogo in cui si è verificato: un posto che trasuda di antico, di storia, in cui sono presenti fossili di milioni di anni fa; il Bletterbach

“..non è una semplice gola (…) è un film, un documentario a cielo aperto che ha il suo inizio duecentottanta milioni di anni fa (…)”.

È come se in quel luogo si fosse risvegliato qualcosa di spaventoso che si credeva scomparso, antico come la Terra stessa, e per questa ragione esso fa paura, incute spavento con i suoi sentieri vecchi e pericolosi, le sue grotte buie che sembrano condurti verso l’inferno; lì possono avvenire temporali tremendi, valanghe di fango e melma ai quali è difficile sfuggire. È un posto in cui si respira una sensazione inspiegabile di puro terrore, come se la natura, la montagna con i suoi ghiacciai, diventasse un essere sovrannaturale capace di farti volontariamente del male, anche se in realtà - come viene detto a Salinger -:

“La montagna se ne frega di te. Non è né buona né cattiva. È oltre queste stupide considerazioni da mortali. Lei è lì da milioni di anni e ci resterà per chissà quanto altro tempo. Per lei, tu non sei niente.”.

A fornire al curioso Salinger le prime informazioni è il suocero, Werner, uno dei primi a fondare il servizio di Soccorso Alpino in quella zona; un anziano uomo di montagna, nato e cresciuto in quella terra, abituato alla durezza e alla praticità della vita da montanaro e da appassionato di escursioni; un uomo che ha visto di tutto e di più, e che racconta al genero quella che è stata l’esperienza più brutta della sua vita, vissuta non da solo ma in compagnia dei suoi amici di sempre: Max - che attualmente è la guardia forestale, colui che detiene l’ordine nella tranquilla e chiusa Siebenhoch -, e gli ormai defunti Gunther e Hannes, padre, quest'ultimo, del povero Kurt, barbaramente massacrato in quell’aprile dell’85 insieme ad altre due persone.

Cosa videro realmente quel giorno? È possibile ancora andare indietro nel tempo e ricostruire i fatti, così da dare un volto e un nome al feroce assassino?
Le persone che Salinger interpella e dalle quale esige la verità, sanno più di quello che son disposti a raccontare? Nascondono qualcosa, e se sì… perché?

Il pensiero di sbrogliare la matassa occupa la mente di Salinger e l’ossessione per il Bletterbach divora giorno per giorno, travolgendolo come un torrente in piena che, togliendogli ogni forza per respingere la corrente, lo porta dove vuole.
Portare avanti le proprie personali indagini è difficile per Salinger, almeno per un paio di importanti motivi: anzitutto i montanari lo considerano un mezzo forestiero, un impiccione che vuol solo far soldi su quella lontana disgrazia.
E inoltre, essendo morbosamente concentrato sul caso, l’uomo finisce per trascurare Anneliese e la piccola Clara, deteriorando il rapporto con la prima e rischiando di non proteggere adeguatamente, come un padre dovrebbe fare, la seconda.


Considerazioni.

L’autore, con una padronanza e uno stile magistrali, ha scritto un thriller che non è solo incentrato su un misterioso ed inquietante assassinio irrisolto, ma ancor di più su ciò che accade ad un uomo quando si fa travolgere dalla propria ossessione, fino ad arrivare al punto di mettere in pericolo il proprio equilibrio emotivo e la propria famiglia, pur di non tirarsi indietro dal proprio intento (risolvere il mistero).

Il ritmo è assolutamente incalzante, la scrittura accurata, trascinante; nessuna descrizione - della natura circostante, delle persone, dei fatti - è lasciata al caso; la suspense attraversa sapientemente tutta la narrazione per crescere soprattutto in certi momenti, quando vengono svelate importanti verità; ma attenzione, fino alla fine il lettore - come il protagonista - non deve abbassare la guardia perché i colpi di scena non sono solo in itinere ma fino alla fine non si è certi di nulla perchè nuove scoperte arrivano a dare ulteriori scosse e tensione alle vicende.

Si mette molto in risalto l’aspetto psicologico del protagonista, nonchè voce narrante, e il lettore viene messo faccia a faccia con i suoi incubi, con le sue paranoie, col pensiero fisso di trovare il colpevole, cosa che cozza però contro la sincera voglia di non portare anche i propri cari nel suo personale abisso di paure e fissazioni.

Un thriller mozzafiato, che si lascia divorare fino all’ultima pagina; uno stile ineccepibile; le sequenze narrative hanno un taglio cinematografico che incalzano il lettore, lo coinvolgono, creando attese e incertezze; lo scenario della montagna (così imponente, imprevedibile e anche pericolosa), unito al fascino oscuro di leggende e credenze legate a un passato che si perde nel tempo, costituiscono un elemento accattivante, come lo è la voglia di portare alla luce terribili verità in un contesto caratterizzato invece da una mentalità chiusa, propria di questa piccola località di montagna, i cui abitanti desiderano solo vivere tranquilli.

Non posso che consigliarlo, è davvero un gran bel libro, credo proprio vi catturerà, e 450 pagine neanche le sentirete ;-)


martedì 18 luglio 2017

Ebook gratis: “I’M RUNNING” di Gianfranco Virardi - solo oggi 18 luglio



Cari lettori, in questa giornata, 18 luglio, avrete la possibilità di scaricare e leggere GRATIS un ebook.
Si tratta del saggio “I’M RUNNING” di Gianfranco Virardi, scaricabile Gratis  in versione ebook dal sito di Amazon al seguente link:

https://www.amazon.it/RUNNING-superarsi-sviluppare-creativit%C3%A0-automotivazione-ebook/dp/B07335LG3M/ref=sr_1_4?ie=UTF8&qid=1499961387&sr=84&keywords=virardi+gianfranco


Questo libro non è stato scritto da un runner. O meglio, l'autore non ha ancora vinto nessun trofeo e non ha partecipato a
nessuna gara ufficiale. Chi lo ha scritto, corre per superarsi. Chi sta pensando di aver sbagliato libro, perché i propri lettori, cercavano un manuale di running si sbaglia. 
Questo è il testo giusto, in cui si
impareranno molte più cose di un manuale tecnico sulla corsa.
Imparerete a superare voi stessi e vincere qualsiasi sfida. 

L'autore è Gianfranco Virardi, autore di saggi di successo su Tecniche di Vendita,
Marketing e Comunicazione editi, tra gli altri, da Buffetti, Lupetti e il Sole 24Ore. Probabilmente vi state domandando se questo è un libro motivazionale oppure un libro per imparare a fare running.
Nel libro "I’M RUNNING" troverete una guida chiara per iniziare a correre e
allenarvi a far andare la mente più veloce delle vostre gambe.
Imparerete come migliorare il vostro pensiero proiettandolo sempre più
avanti. Scoprirete nella corsa un metodo per trovare soluzioni, idee creative, energia per affrontare i problemi e superarli.

lunedì 17 luglio 2017

Recensione: IO NON MI CHIAMO MIRIAM di Majgull Axelsson



La tragedia dell’Olocausto vissuta da una rom che si è ritrovata a mentire sulla propria identità, fingendosi ebrea, e ha costruito man mano un castello di bugie che le hanno permesso di sopravvivere in una realtà purtroppo caratterizzata da razzismo etnico e culturale..



IO NON MI CHIAMO MIRIAM
di Majgull Axelsson


JAG HETER INTE MIRIAM
Ed. Iperborea
SETTEMBRE 2016
PP. 576
TRAD. LAURA CANGEMI
€ 19,50
È il giorno del suo 85° compleanno e Miriam riceve in regalo dalla sua famiglia - composta dal figlio Thomas, dalla moglie Katarina e dalla loro figlia Camilla, a sua volta madre del piccolo Sixten - un bracciale con su scritto il proprio nome; ma alla vista di quell’oggetto, l’anziana donna svedese pronuncia una frase sibillina, una verità taciuta e celata per 68 anni nel suo cuore: “Io non mi chiamo Miriam”.
I famigliari non fanno caso a questa frase - o non vogliono perché questo significherebbe conoscere cose finora tenute nascoste? -, tranne la giovane Camilla, che alla prima occasione propone alla nonna una passeggiata nel parco di Nassjo e comincia a farle delle domande su quel passato oscuro che l’ha sempre avvolta e di cui sanno essenzialmente solo che è di origine ebraica.

Ed è così che Miriam è “costretta” ad aprire ad uno ad uno i cassetti della propria lunga memoria e a tirar fuori quello che vi è dentro.
In realtà il suo nome non è Miriam, ma Malika; e lei non è ebrea… ma una rom. Una zingara.

Negli anni del secondo conflitto mondiale, Malika è solo una bambina che viveva in Germania con suo padre (la mamma è morta quando lei era ancora piccolina), il fratellino Didi e la cuginetta Anuscha quando la polizia arriva a strapparla da casa sua per portare i tre bambini in un convento cattolico, dove essi restarono per un paio di anni. Al convento purtroppo seguì la deportazione ad Auschwitz a causa del loro “sangue misto”, in quanto anche se il loro padre è tedesco, la mamma era rom, e quindi andavano rinchiusi nei campi di concentramento preparati dai nazisti. Dopo un periodo ad Auschwitz, Malika viene trasferita, in condizioni inumane dentro vagoni sovraffollati, al campo di Ravensbruck; durante il tragitto accade qualche baruffa tra le prigioniere, alla ragazza si strappa la divisa e, per evitare punizioni e botte, prima di scendere dal treno, riesce a rubarne una appartenuta ad una ragazza morta durante il viaggio: scopre così di aver preso la divisa, e con essa l’identità e il numero (fortunatamente le ultime cifre delle due serie di numeri corrispondono), di un’ebrea: Miriam Goldberg. Per sopravvivere, quindi, Malika decide che da quel momento non ci sarà più posto per Malika la zingara, bensì per Miriam l’ebrea.
Del resto, si sa: gli zingari non vengono trattati bene da nessuno, anzi sono sempre stati oggetto di disprezzo da parte di tutti, ritenuti ladri, sporchi, senza fissa dimora; non che gli ebrei se la passino meglio, ma sempre meno peggio dei rom!

Ed è così che Malika si impossessa della vita di questa sconosciuta, Miriam, e continuerà a dire di essere ebrea anche dopo, quando sopravvivrà al lager e troverà rifugio in Svezia…

La passeggiata con Camilla, la pratica e insoddisfatta Camilla - studentessa di Medicina che ancora non riesce a completare gli studi, sempre in conflitto con l’acida e infelice madre Katarina -, diventa l’occasione propizia per l’ormai stanca ma lucida Miriam per raccontare chi lei davvero sia.

Ricordare è difficile, provoca l’apertura di ferite profonde mai rimarginate; a dirla tutta, Miriam vorrebbe non dover guardare indietro, perché sa che questo significa rivivere dolori e sofferenze atroci; e poi “Dimentica e vai avanti” è stato, da settant’anni a questa parte, il suo mantra, necessario per sopravvivere, per non soccombere sotto il peso dei ricordi e delle bugie raccontate per troppo tempo.

Certo, Miriam lo sa: quelle bugie erano necessarie! Cosa le sarebbe accaduto se avesse detto di essere rom? Sarebbe sopravvissuta comunque ad Auschwitz e poi a Ravensbruck?

E una volta trovato aiuto e riparo nella evoluta e bella Svezia, sarebbe stata accolta comunque se avesse detto la verità, cioè di essere una zingara? Evidentemente no, visto che anche in questo Paese era diffuso un atteggiamento di profondo disprezzo e discriminazione verso i tattare, cioè gli zingari, e Miriam - dopo aver vissuto l’inferno del campo di concentramento - non aveva alcuna intenzione di essere perseguitata anche fuori.

Lo scotto di una vita costruita sull’identità di un’altra persona è stato il sentirsi sempre e comunque “..un’estranea, un’esclusa, una che in realtà non c’entrava”, eppure “Silenzio, bugie e servigi possono certo essere un tormento, ma un tormento sopportabile, infinitamente più sopportabile di certe verità”.

Seguiamo le vicende drammatiche della protagonista passando dal presente al passato, conoscendo tutto ciò che ha patito nei lager, le condizioni in cui erano costretti a vivere i deportati, la miseria, la fame allucinante, i litigi per accaparrarsi un tozzo di pane con la segatura o una coperta lurida e sottile, per trovare posti meno in vista durante l’appello, i piccoli ma vitali accorgimenti per evitare di essere presa a manganellate da kapò e nazisti malvagi e privi di pietà.
Conosciamo anche le amicizie nate tra Miriam ed altre prigioniere, e come questo sia stato fondamentale per la sua sopravvivenza.

Anche se questo ha significato tradire il suo popolo, il suo povero e sfortunato fratellino, il suo caro papà, la sua lingua, le sue tradizioni. L’amore per loro resta immutato nel suo cuore, ma è bene tenerlo lì, al sicuro, come un segreto geloso da custodire perché, se scoperto, la sua vita potrebbe cambiare di nuovo e in peggio, e Miriam ha diritto ad avere una vita serena: una vita normale, in cui è circondata da gente che non la scaccia via, che non la guarda con disgusto e superiorità; una vita in cui ha una casa sua, in cui non deve mendicare per avere il pane, la coperta, un vestito…

“Fred. Pace, pensò Miriam. Fremid. Futuro. Due parole. Non aveva altro. Niente marito e niente figli, niente genitori e niente fratelli. Nemmeno un’amica. Ma cosa significavano in realtà quelle parole? In concreto? Cosa comportava vivere in pace? E avere un futuro?”.

Pensare solo al futuro, insomma, una volta fuori dal lager e giunta in Svezia:

…non pensare mai più a Ravensbruck e Auschwitz. Cercare di dimenticare. Rimuovere e seppellire quello che nonostante tutto si ricordava. Negare a se stesse il diritto alla propria storia”.

In “Io non mi chiamo Miriam” il lettore scende nell’abisso terrificante costituito dal campo di concentramento, in cui la vita e la dignità umane sono state calpestate in modo vergognoso; in cui l’uomo ha raggiunto una delle vetta più alte della propria meschinità e malvagità.

La descrizione meticolosa e precisa delle giornate nei lager è qualcosa che turba sempre, che non lascia indifferenti; ma in questo romanzo non c’è solo questo (non che sia poco), perché si guarda alle persecuzioni razziali ad opera del nazismo aprendo un velo sul destino del popolo rom, di cui si è parlato (e si parla) troppo poco; ci ricorda come in quegli anni, anche una nazione progredita come la Svezia ha avuto i suoi lati oscuri e ha fatto la sua parte (in negativo) nei confronti dei rom, agendo verso di essi con comportamenti profondamente ingiusti. Ci ricorda di come, immediatamente dopo la liberazione dei lager e quindi la diffusione dei racconti relativi alle abominazioni perpetrate dai tedeschi, in molti faticassero a credere ai sopravvissuti o comunque preferissero non sentire troppi particolari perché era assurdo immaginare come una tale atrocità fosse potuta accadere…

Posso dire di aver letto diversi libri sulle esperienze nei campi di concentramento narrate dai sopravvissuti, ma sono racconti ai quali non mi abituerò mai; anzi, ogni volta è un pugno nello stomaco che mi stordisce, mi sconvolge, mi lascia addosso una gran tristezza e un grosso magone, insieme alle fatidiche domande, per le quali forse non ci sarà mai una vera e sufficiente risposta: PERCHE’ C’È STATO TUTTO QUESTO? PERCHE’ L’HANNO FATTO? COME HANNO POTUTO?

L’Autrice ha la grande capacità di farci entrare dentro la storia, di mostrarci in modo vivido tutto quello che gli occhi della protagonista hanno visto, tutto ciò che ha sopportato, i suoi timori, i pensieri più intimi, tutta la sua sofferenza dovuta all’esperienza vissuta, alla perdita dei propri cari, alla paura e al terrore di essere scoperta e additata come bugiarda, una “ladra d’identità”, al dolore di aver tradito ciò che lei è davvero, di aver dovuto seppellire Malika per far posto a questa Miriam, una sconosciuta che è poi diventata se stessa (e la sua salvezza!).
Non possiamo non provare profonda empatia verso Miriam perché la sua vita di menzogne è nata dal legittimo desiderio di poter vivere serenamente, di essere accettata, amata, considerata. Quale essere umano non ha diritto a questo?

Un romanzo accurato storicamente, intenso, doloroso, uno stile scorrevole ma profondo, toccante, che scava nel suo personaggio principale, attraverso i cui occhi viviamo una pagina della nostra Storia contemporanea che non va strappata ma ricordata e raccontata.



READING CHALLENGE
Obiettivo n.35 - Un libro ambientato in un paese nordico.
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