martedì 6 novembre 2018

Recensione film: DOGMAN di Matteo Garrone // FIGLIA MIA di Laura Bispuri



Due film made in Italy decisamente differenti, per tematiche e stile narrativo.
Il primo si ispira molto liberamente ad uno dei crimini più efferati risalenti agli Anni Ottanta - il delitto del Canaro -, mentre l'altro racconta il dramma di due donne che si contendono la stessa bambina, della quale ciascuna vorrebbe essere l'unica madre.


DOGMAN 

Regia: Matteo Garrone
Cast: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi.

Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha ottenuto 9 candidature e vinto 7 Nastri d'Argento ed è stato selezionato per rappresentare l'Italia ai premi Oscar 2019 nella categoria per il miglior film in lingua straniera.


Prima di questo film ammetto di non aver mai sentito parlare del delitto compiuto da Er Canaro, al secolo Pietro De Negri, che s'è fatto più di venti anni di carcere per aver barbaramente ucciso Giancarlo Ricci, 27enne criminale e pugile dilettante, con cui il De Negri aveva avuto uno strano e torbido rapporto d'amicizia e "collaborazione" criminale, che culmina in un feroce assassinio per il quale, alla fin fine, non è che si siano capite le vere ragioni...

Non sto qui a riassumervi il caso di cronaca nera (nerissima, se consideriamo i particolari raccapriccianti riportati nel proprio memoriale dall'assassino) perchè chi è interessato non deve far altro che cercarne informazioni in web; piuttosto ci interessa il film di Garrone.

Che tragga spunto dal delitto è pacifico, ma senza dubbio se ne discosta nell'intento, nel senso che al regista non interessa raccontare i dettagli truculenti per impressionare lo spettatore e soddisfarne così quella morbosa (e un tantino inquietante) curiosità che spesso si prova verso ciò che ci disgusta o ci fa accapponare la pelle.
Ammetto di aver pensato, prima di vedere la pellicola, che essa potesse essere troppo fedele quindi alla realtà (raccontata nei tanti articoli circa le modalità del delitto), ma mi son dovuta ricredere ed essere d'accordo con il non voler spettacolarizzare l'esplosione di violenza.
Attenzione, non sto dicendo che non ce ne sia, di violenza; c'è, ma è misurata e comunque contestualizzata in quella ambientazione scelta, la periferia romana selvaggia, degradata, sporca, triste, grigia, frequentata da gente tutt'altro che raccomandabile, in cui si spaccia e si sniffa cocaina e in cui non manca mai il bullo che è poi la piaga del quartiere.

Marcello è un uomo tranquillo che possiede un negozio di toelettatura dei cani; ama il proprio lavoro, lo svolge con passione, ama i cani di cui si prende cura, con loro è paziente, dolce, si rivolge ad essi come se fossero persone in grado di capirlo.
Ed effettivamente Marcello si trova meglio con gli animali che con le persone, e con loro riesce ad avere quell'autorevolezza che proprio non gli è consentita con i suoi simili; l'unica persona cui riesce a dare amore e tenerezza e a riceverne incondizionatamente è la figlioletta Alida.

Marcello è un uomo mite, cerca di essere amico dei commercianti del quartiere, di farsi benvolere... ma purtroppo per lui ha tra le sue amicizie un soggetto assolutamente poco rassicurante: Simone, pugile, violento, cocainomane e delinquente.
Di lui gli uomini della zona hanno paura e sono ormai stufi delle sue angherie; l'idea di farlo fuori è molto concreta...
L'unico che non vuole fargli del male è proprio Marcello, che partecipa a piccole rapine con Simone, gli fornisce la coca..., insomma i due sembrano amici; sembrano perchè in realtà c'è un rapporto di sudditanza del mingherlino canaro nei confronti del pugile, grande e grosso e con modi di fare  da criminale psicopatico.
Marcello fa ciò che gli dice l'altro, abbozza dei dinieghi ma poco convincenti e Simone riesce a fargli fare ciò che vuole quando vuole. E si riserva pure il diritto di non renderlo partecipe di quella parte di "bottino" che spetterebbe all'amico, fedele come un cagnolino.

Quella narrata in questo film è quindi una storia di violenza e microcriminalità collocate in un contesto abbandonato, brutto, dove non possono che svilupparsi sopraffazioni ed umiliazioni da parte del "pesce grosso" verso quello piccolo.

Ma insospettabilmente può arrivare il giorno in cui il pesce piccolo tira fuori coraggio e aggressività e decide che è giunta l'ora di dire basta a questo amico che tale non è che non ha fatto mai altro che maltrattarlo e umiliarlo.

Marcello architetta una trappola per rinchiudere Simone nel proprio negozio, sperando che questi possa finalmente fare ammenda e chiedere scusa per tutti i soprusi compiuti..., ma le cose precipitano e il canaro è quasi costretto a tirar fuori il sangue freddo e a fare quello che nessuno avrebbe mai creduto fosse capace di compiere.

Marcello Fonte è straordinario nel ruolo del Canaro, conferendogli quella mitezza e quel suo essere vittima di un uomo più grosso di lui e animalesco, contro cui egli non riesce nè fisicamente nè psicologicamente a opporre la benché minima resistenza; però allo stesso tempo, Marcello non è un santo, è comunque un delinquentello che ha deciso di stare dalla parte sbagliata, e purtroppo neanche il pensiero della figlia, che pure gli vuole un gran bene, lo fa desistere.

Il personaggio di Edoardo Pesce, appunto Simone, lo si odia dai primi momenti e un po' si finisce per sperare che qualcuno gliela faccia pagare una volta e buona.
Certo, chi potrebbe mai sospettare del secco e umile Marcello?

Ho guardato il film con molto interesse, è girato e recitato splendidamente, realistico, e ho apprezzato, come ho anticipato più su, la scelta di non soffermarsi sul "fattaccio", al quale in fin dei conti son dedicate le battute finali, che pure però erano cariche di tensione e mi hanno tenuta col fiato sospeso in determinati momenti.
Bello, son contenta che ci rappresenti agli Oscar.


Passiamo al film di Laura Bispuri con Valeria Golino, Alba Rohrwacher, Sara Casu, Michele Carboni: una figlia contesa tra la madre biologica e quella che l'ha cresciuta e amata come fosse propria.

FIGLIA MIA


Siamo in Sardegna e l'attenzione è tutta sulle tre donne protagoniste: la dolce Tina (V. Golino), la scapestrata Angelica  (A. Rohrwacher) e la figlia di quest'ultima, la rossa Vittoria (S. Casu).

La ragazzina è cresciuta con Tina, amata e coccolata da lei e dal marito, convinta di essere figlia loro, ma così non è; ben presto viene a conoscenza della dura verità: la sua vera madre è Angelica, una donna che vive alla giornata, schiava del demone dell'alcol, che si dà al sesso promiscuo e vive in una baracca disordinata e deprimente.
Angelica non ha un grande istinto materno, tant'è che "si è liberata" della sua creatura subito dopo la nascita, cedendola alla buona e brava Tina, che ha accolto quel fagottino strillante come una benedizione, non potendo, lei e il devoto marito, avere figli.
Per Tina Vittoria è la figlia che avrebbe voluto avere e non può che tirarla su con tutto l'amore e la cura di cui è capace una donna che sente dentro sè il forte desiderio di essere mamma ma che deve fare i conti con una maternità negata.

Arriva però il momento in cui Angelica si introduce nelle loro vite; a dire il vero, non se n'è mai andata e Tina non ha mai smesso, nel corso degli anni, di aiutarla economicamente e non solo, a patto però che ella stesse lontana da Vittoria.

Ma evidentemente il legame innato che unisce una figlia alla sua vera mamma è qualcosa di istintuale, e quando la ragazzetta capisce che quella sbandata di Angelica è la sua vera mamma, qualcosa la spinge a volerle stare accanto.
Nonostante veda coi suoi occhi che la donna non è in grado di prendersi cura neppure di se stessa, figuriamoci di una bambina.
Nonostante senta tante sciocchezze (alcune anche "crudeli") dalla bocca di quella snaturata che non sa cos'è la tenerezza.
Nonostante sappia che Tina è in grado di amarla come merita, e infatti è così da sempre.

Eppure, lo spettatore assiste impotente al "su e giù" di Vittoria che, da semplice figlia super amata di Tina, diventa la figlia che accudisce la madre che da sola proprio non ce la fa.
Vittoria è confusa, smarrita e anche arrabbiata nell'apprendere che la sua vita fino a quel momento è stata una bugia e che Tina l'ha tenuta lontana da Angelica, si ribella e vuole poter decidere da sola cosa è meglio per lei.
E se da una parte Angelica - troppo presa dai propri guai finanziari e inghiottita dai suoi problemi di disadattata - lascia che la figlia (ri)entri nella sua vita perchè dopotutto è sua, dall'altra Tina non può accettare che esca dalla propria, perchè l'amore che la lega a Vittoria è indissolubile, e lei sente di avere il diritto di considerarla figlia sua.

Vittoria sarà costretta a scegliere tra le due madri?

"Figlia mia" affronta il tema della figlia contesa, della maternità negata e di quella rifiutata, con garbo, sensibilità, delicatezza, ma anche con l'intensità propria dei sentimenti che legano le madri a questa figlia che entrambe rivendicano come "figlia mia"; sempre bravissime la Golino e la Rohrwacher in due ruoli tanto differenti tra loro; tutto si gioca attorno alle tre donne, non si può dire che ci sia un vero e proprio intreccio, che si creino dinamiche con altri personaggi, ma più che altro ci si concentra sulle singole donne e sul rapporto che c'è tra loro, sugli allontanamenti e i riavvicinamenti.
Parere positivo anche per questo film, la cui protagonista mi ha ricordato l'Arminuta (trovate la recensione sul blog) e la sua storia, anch'ella divisa tra due famiglie, quella d'origine e quella acquisita.


lunedì 5 novembre 2018

Recensione: LA ZANZARA MUTA di Gianfranco Spinazzi



Un romanzo particolare e "cervellotico" come questo di Gianfranco Spinazzi non poteva che avere un titolo altrettanto singolare, la cui associazione di significato forse non balza agli occhi immediata ma all'interno di fiumi di parole, ricordi, sensazioni, elucubrazioni mentali che, partendo dalla complicata mente dei due anziani protagonisti, arrivano dritti dritti in quella un po' spaesata e un po' divertita dell'impreparato lettore.


LA ZANZARA MUTA
di Gianfranco Spinazzi


Tragopano Ed.

"In entrata il corpo di un uomo giaceva a terra, come accartocciato sul lato inferiore del tappeto. Il vecchio l’aveva colpito in quel punto in cui la capigliatura fluente si ritirava in una stempiatura che divideva il gran ciuffo dalla massa dei capelli attorno all’orecchio. Il colpo s’era abbattuto proprio in quella zona chiara evidenziando il contrasto cromatico.
Non c’erano stati stadi preliminari, circonlocuzioni ambientali, formali galatei, né il visitatore, vecchio in apparenza quanto il padrone di casa, aveva avuto il tempo di proferire una sola parola e un solo moto di aspettativa, era entrato in casa ed era stato colpito."


Due anziani si incontrano e scontrano in una circostanza alquanto surreale; uno diventa sequestratore dell'altro e la coazione forzata di qualche ora li spinge a parlare, a dare il via a degli sfoghi non lineari, fatti di mezze frasi, ricordi accennati con tono amaro, schermaglie verbali ironiche e solo apparentemente sciocche.

Due anziani accomunati dall'abbandono e dai rimpianti: il sequestratore è rimasto solo con se stesso e il proprio umorismo nero dopo essere stato lasciato dalla moglie, il cui ricordo non l'hai mai lasciato.
Il sequestrato è vedovo, e anche per lui a fargli compagnia sono giorni spesi in compagnia solo di se stesso,
nonostante abbia due figli e uno di questi (il maschietto) lo vada anche a trovare ogni tanto.

Due passati diversi sì ma non troppo, perchè ambedue, seppur per vie e ragioni differenti, hanno trovato nell' "esperienza matrimonio" il dolore, l'affanno della solitudine.
C'è un fil rouge che attraversa tutto il romanzo: il pensiero di uccidere, che si tratti di colui che ha reso fedifraga la moglie dell'uno piuttosto che del bambino che prende a calci un colombo.

"Era solo un povero vecchio preda delle instabilità del giorno. Sballottato dalle sue stesse sferzate accusatorie, preda di cambi di vento, con la zavorra dei pensieri che gli infliggevano uno scoramento che suo malgrado fungeva da misericordia. Allora, vittima di se stesso, annullava annullandosi, e il perdono nei confronti degli humani prendeva il posto delle esecuzioni capitali."
Entrambi col pensiero hanno ucciso un sacco di volte, animali e persone, ma all'ossessione immaginata manca l'energia che la renda azione.

-Hai mai pensato di uccidere veramente?
-Molte volte.
-Anch’io.
-Tu chi uccidevi?
-È un discorso lungo.
L’elenco è lungo.
È la loro attenuante. Lo sterminio di massa. Non erano assassini ma giustizieri.
E così i due si specchiano l'uno nell'altro e parlano, si confrontano, prima con reticenza (da parte del prigioniero, che dopo un po' verrà liberato) poi come se fosse la cosa più normale del mondo, anzi... un qualcosa di necessario, anche se poi i loro discorsi sembrano paradossali e privi di logicità.

"Saltava di palo in frasca il sequestratore. E ora la sua vittima riconosceva nei termini “palo” e “frasca” la più opportuna verità. La concessa sregolatezza di una vecchiaia ricca e generosa. Il carceriere aveva tanti libri, leggeva o aveva letto molto, forse le parole che diceva risentivano di quelle lette, ma ciò che probabilmente valeva era il bisogno di parlare. Le parole in vecchiaia hanno il potere di prolungare la vita."

Due vecchi con cui la vita non è stata avara di delusioni e adesso loro sono disincantati e disillusi, e questo li porta a rimuginare sui fallimenti, a covare pensieri strani, a immaginare vendette, a provare le emozioni più contraddittorie, dall'odio per gli humani alla commozione per un animaletto morto, dal risentimento per la moglie e l'amante che gliel'ha portata via per l'uno, per il figlio su cui grava un orribile sospetto per l'altro.

Insomma, nel torrente di parole e, concedetemelo, deliri, si accavallano nostalgia e rimpianti da parte di chi è stato bambino ma non come avrebbe voluto, e a complicare le cose è sopraggiunta sempre lei, la Moglie e non solo, pure i figli.

Come dicevo nell'introduzione, è un libro particolare che ho messo un po' a terminarlo nonostante la brevità, proprio perchè avevo la sensazione di essere travolta dal vortice di confusione e illogicità e di capirci ben poco; ma poi mi son lasciata trascinare dai mille ingorghi mentali dei due protagonisti e ho accettato l'aspetto stravagante e volutamente contorto che caratterizza la narrazione, in cui ciò che conta non è tanto la presenza di una vera e proprio trama quanto l'immergersi in questi labirinti di fisse e paturnie mentali e delle emozioni di rabbia, amarezza ed euforia che portano con sè.

"Il tarlo cervellotico del settantenne non concedeva tregua ai dubbi e ai tormenti. La congestione di immaginario e reale affossava ogni tentativo di mediazione razionale. Quando si trattava di frenare gli ingorghi dei pensieri, era difficile per lui operare tagli e distanze, cedeva alla libertà che avrebbe dovuto conciliarlo con se stesso."

Anche il lettore si ritrova in mezzo a questi "tarli", assistendo ai dialoghi buffi ma tutt'altro che superficiali (come potrebbero apparire a una prima lettura) dei due vecchi, che conservano una sorta di fanciullezza che ce li rende simpatici e che ci fa provare una sorta di soddisfazione al pensiero che finalmente due anime si sono incontrate - dopo essersi scontrate - e hanno chiuso un cerchio nel quale ronzavano senza meta confusi e incompleti, trovando reciprocamente un'insperata e cameratesca complicità.
E se ne ha bisogno, sempre, anche quando ci si è ormai avviati al tramonto della propria vita.

Libro originale, adatto a quei lettori che amano un tipo di narrazione diversa,dal solito, che ci dà la sensazione di saltare da un fatto ad un altro, con personaggi e dialoghi bizzarri ma non per questo privi di senso, anzi esso lo si trova proprio nell'apparente caos in cui ci si trova invischiati.

domenica 4 novembre 2018

Prossime uscite nel mese di novembre




Alcune prossime uscite nel mese di novembre!!


DONNE CHE NON PERDONANO
di Camilla Lackberg



Ed. Einaudi
152 pp
14,50 euro
USCITA
13 NOVEMBRE 2018
Ingrid è un’ex giornalista che ha rinunciato alla carriera per il marito e ora scopre che lui la tradisce. 
Viktoria è scappata dalla Russia, dove rischiava la vita, ma in Svezia ha trovato l’inferno. Birgitta non va neanche dal medico per non mostrare i lividi che le lascia il marito. 
Non si conoscono, eppure possono salvarsi a vicenda. 
L’importante è prendere una decisione: smettere di essere vittime e diventare delle mantidi.




Una storia d'amore violenta e commovente. Il matrimonio di una coppia afro-americana distrutto da un sistema giudiziario imperfetto. Un capolavoro di narrazione, un implacabile affresco del razzismo che ancora permea l'odierna società americana.


UN MATRIMONIO AMERICANO
di Tayari Jones



Ed. Neri Pozza
18 euro
USCITA
15 NOVEMBRE 2018
Celestial e Roy sono l'incarnazione del sogno americano: lui, pur provenendo da una famiglia della classe operaia della Louisiana, è riuscito a frequentare il college e ritagliarsi un posto nella società come dirigente, lei è una promettente artista emergente. Sposati da appena diciotto mesi, hanno una splendida casa ad Atlanta e stanno cercando di avere un figlio. 
Durante una visita ai genitori di Roy, la giovane coppia pernotta in un hotel. Dopo un litigio di poco conto, Roy esce dalla stanza per prendere del ghiaccio. 
Nella hall dell'albergo incontra una donna con un braccio fasciato, che gli chiede una mano per risolvere un problema con il condizionatore della propria stanza. 
Dopo aver scambiato quattro chiacchiere con la sconosciuta, Roy torna da Celestial, si riappacificano e si addormentano. All'alba vengono svegliati dalla polizia che butta giù la porta della stanza e arresta Roy con l'accusa di stupro. 
Ad additarlo come il proprio aggressore è la donna a cui ha prestato aiuto la sera precedente. 
La donna è bianca, Roy e Celestial sono afro-americani. Roy viene condannato a dodici anni per un crimine che non ha commesso, solo e unicamente in virtù del colore della sua pelle e del pregiudizio che ne consegue. Benché fieramente indipendente, Celestial si ritrova all'improvviso sola, povera e disarmata, trovando conforto in André, un amico d'infanzia da sempre innamorato di lei. 
Dopo cinque anni di carcere, la condanna di Roy viene commutata e lui si ritrova libero, pronto a tornare ad Atlanta e a riprendere in mano la propria vita, inconsapevole dei cambiamenti avvenuti negli anni della sua detenzione.


Torna il buon Grisham in libreria con un nuovo romanzo che accompagna il lettore in un incredibile viaggio colmo di suspense alla ricerca della verità sulla guerra degli americani contro i giapponesi.




LA RESA DEI CONTI
di John Grisham




Ed. Mondadori
420 pp
22 euro
USCITA
20 NOVEMBRE 2018
Ottobre 1946, Mississippi. Pete Banning, cittadino modello di Clanton, reduce di guerra pluridecorato, patriarca di una nota famiglia locale proprietaria di campi di cotone, amato padre di famiglia e fedele membro della locale comunità metodista, in una fresca giornata di ottobre si alza presto, sale in macchina e si dirige verso la chiesa.
Entra nello studio del pastore, il suo amico reverendo Dexter Bell, e con calma e determinazione gli spara e lo uccide.
Da quel momento, l'unica cosa che Pete ripete a tutti, familiari, avvocati, uomini di giustizia, è "non ho niente da dire".
Qualunque sia stato il motivo del suo inconcepibile gesto non verrà svelato. Pete non ha paura della morte e viene giustiziato portando il suo segreto nella tomba, lasciando incredula l'intera comunità di Clanton.
Ma perché l'ha fatto?

Dagli Stati del Sud alla giungla delle Filippine, il lettore viene trascinato negli anni della guerra degli americani contro i giapponesi, fino a un claustrofobico manicomio pieno di segreti fino all'aula del tribunale dove l'avvocato del protagonista cerca invano di salvarlo senza la sua collaborazione, mostrando gli effetti che può avere a lungo termine un crimine terribile e inspiegabile.

Libri che diventano film - al cinema a novembre/dicembre



Ed eccomi ad aggiornare la sezione Anteprima Cinema, dando spazio ai film tratti/ ispirati a libri.


E' previsto per metà novembre Widows - Eredità criminale (Widows) il film che trae ispirazione dal thriller di Lynda La Plante; è diretto da Steve McQueen, che si è occupato anche della sceneggiatura insieme alla scrittrice Gillian Flynn. Fanno parte del cast principale Viola Davis,
Michelle Rodriguez, Elizabeth Debicki, Robert Duvall e Liam Neeson.

Trama del romanzo: Per Dolly essere la moglie del noto criminale Harry Rawlins non è mai stato un problema. Negli anni, si è tenuta alla larga dagli affari del marito, ottenendo in cambio tutte le attenzioni che ha sempre desiderato. Ma ora che Harry è morto, si ritrova sola di fronte a un destino ogni giorno più incerto. Finché non riceve un biglietto anonimo con precise istruzioni: deve presentarsi in banca sotto falso nome e accedere a una cassetta di sicurezza. Qui, oltre a dei contanti e a una pistola, trova il taccuino di Harry sul quale il marito ha annotato i nomi delle persone con cui ha avuto a che fare e le rapine che ha organizzato, compresa l’ultima. Per portare a termine ciò che Harry ha iniziato, Dolly si rivolge alle vedove dei complici di Harry, donne pronte a tutto e che non hanno la minima intenzione di tirarsi indietro. Nemmeno quando le cose non vanno secondo i piani.


Dal 15 novembre il memoir "Ancora un giorno" (link IBS), l'ultimo reportage pubblicato dallo scrittore Ryszard Kapuscinski, verrà trasmesso al cinema col tutolo Another Day of Life, film di animazione, diretto da Raúl de la Fuente, Damian Nenow. Uscita al cinema il 15 novembre 2018.
Scritto dal reporter all'indomani del suo viaggio in Angola nel 1975, nel pieno della Guerra Civile, il reporter polacco vuole essere sicuro che nessuno dimentichi ciò che è successo. Raúl de la Fuente e Damian Nenow recuperano il suo messaggio e lo trasformano con grande audacia in un lungometraggio animato, accompagnato da interviste in liveaction; è il resoconto coraggioso di una storia tristemente vera.



Chesil Beach è un film drammatico diretto da Dominic Cooke, con Saoirse Ronan e Emily Watson. Uscita al cinema: 15 novembre 2018.
Tratto dall'omonimo romanzo di Ian McEwan, il film racconta l'incontro, l'innamoramento e il matrimonio della violinista Florence e dello studente di storia Edward, nell'Inghilterra dei primi anni '60, pochi anni prima della rivoluzione sessuale. Hanno poco più di venti anni, si amano e sono vergini. Prigionieri dei tabù di un'epoca e delle convenzioni familiari e sociali, si ritroveranno a vivere la loro luna di miele a Chesil Beach, un luogo che li porterà verso altre strade, altri destini, altre vite.

C'è sempre qualcuno che ci riprova, come se non bastassero le pellicole già realizzate...: torna lui, il ladro leggendario che rubava ai ricchi per dare ai poveri, Robin Hood. Dal 22
novembre.
Diretto da Otto Bathurst, con Taron Egerton e Jamie Foxx, si racconta di Robin di Loxley, che al ritorno dalle Crociate in Terra Santa scopre che l'intera contea di Nottingham è dominata dalla corruzione. L'ingiustizia e la povertà in cui vive il suo popolo lo spingono così a tramare per organizzare un'audace rivolta contro la potente Corona d'Inghilterra.
Ma per farlo ha bisogno di un mentore: un abile quanto sprezzante comandante conosciuto durante la guerra...


E al cinema torna un personaggio della letteratura per l'infanzia  molto amato, Il Grinch (The Grinch), film d'animazione diretto da Yarrow Cheney e Scott Mosier. E' basato sull'omonimo racconto del 1957 scritto dal Dr. Seuss
E' possibile non amare il Natale? Certo, se si è solitari, brutti e cattivi come il Grinch, mostriciattolo perfido che vive nella città di Chi-non-so. Con il solo scopo di guastare le feste ai suoi concittadini Non-so-chi, si traveste da Babbo Natale e ne combina di tutti i colori. Dal 29 novembre.

Sul grande schermo la bella Keira Knightley interpreterà la scrittrice francese Colette in un film di Wash Westmoreland. Dal 6 dicembre.


Sempre a dicembre arriva Il castello di vetro, tratto dal libro autobiografico della giornalista
americana Jeannette Walls; alla regia Destin Daniel Cretton, nel cast Brie Larson e Naomi Watts.
Seconda di quattro fratelli, Jeannette cresce con una madre immatura e capricciosa (Naomi Watts), più attenta agli scorci da dipingere che alle necessità dei figli, e un padre affettuoso ma alcolizzato. Quando non è ubriaco, Rex Walls si getta in progetti sconsiderati, elabora complesse strategie di guadagno e infarcisce la mente dei figli di aneddoti bizzarri e fantasiosi, che col tempo alle due sorelle maggiori non bastano più. L'immaginario castello di vetro, che lo sconclusionato genitore progetta un giorno di costruire per le bambine, diventa perciò simbolo dei fallimenti e delle promesse infrante. Ma anche dei guizzi della follia e dell'immaginazione.


Macchine mortali è un film che uscirà nelle sale presumibilmente a metà dicembre, diretto da Christian Rivers, al debutto da regista. La pellicola è l'adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Philip Reeve. Nel cast: Robert Sheehan, Hera Hilmar.
Migliaia di anni dopo la distruzione del mondo civilizzato a causa di un cataclisma, la razza umana si è adattata e si è evoluta con un nuovo stile di vita. Gigantesche città in movimento vagano per la Terra, prendendo brutalmente di mira le più piccole città trazioniste. Tom Natsworthy proveniente da una classe inferiore della grande città trazionista di Londra si ritrova a dover combattere per la sopravvivenza dopo essersi imbattuto in Hester Shaw, una pericolosa fuggitiva.



Il ritorno di Mary Poppins - basato sui libri di P.L. Travers e in arrivo dal 20 dicembre - è diretto da Rob Marshall, con Emily Blunt e Meryl Streep.
I piccoli Michael e Jane Banks sono cresciuti e nella cameretta al numero 17 di Viale dei Ciliegi dormono i tre figli di Michael; il posto di governante è occupato dall'anziana Ellen. Una perdita improvvisa e dolorosa nella vita del nuovo signor Banks però, richiama l'attenzione di una vecchia amica: Mary Poppins, impersonata da Emily Blunt, non è invecchiata di un giorno ed è ancora "praticamente perfetta sotto ogni aspetto". Con un leggero cambio di stile, dettato dalla moda britannica anni Trenta, la bambinaia plana per la seconda volta nel vialetto alberato e spacchetta l'unico capiente bagaglio in vista della permanenza.

Arriva sul grande schermo un personaggio dell'infanzia che chi ha vissuto gli anni '80 come me ha amato: il dolce  Remi, adattamento cinematografico del romanzo Senza Famiglia di Hector Malot; diretto da Antoine Blossier, con Ludivine Sagnier, Virginie Ledoyen, Daniel Auteuil, Jonathan Zaccaï.
Racconta le avventure del piccolo Remi e la sua vita al fianco del musicista girovago Vitalis e dei suoi inseparabili compagni: il fedele cane Capi e la scimmietta Joli-Couer. Uno straordinario ed emozionante viaggio attraverso la Francia, fatto di incontri e nuove amicizie che porteranno Remi a scoprire le sue vere origini. Dal 20 dicembre.

sabato 3 novembre 2018

Recensione: IL BAMBINO IN FAMIGLIA di Maria Montessori



Un breve saggio di pedagogia scritto da una delle più autorevoli  esperte di educazione e del mondo dell'infanzia che ha tanto insegnare a genitori, educatori, insegnanti..., e i cui principi e consigli sono di un'attualità disarmante.


IL BAMBINO IN FAMIGLIA
di Maria Montessori


Ed. Garzanti
137 pp
12 euro

«Il bambino in famiglia» raccoglie i testi di una serie di conferenze tenute nel 1923 a Bruxelles, nelle quali Maria Montessori traccia le proprie proposte per una Scuola dei genitori. 
Questa breve raccolta, quindi, si propone quale guida di igiene mentale per genitori ed educatori, affinchè possano essere pienamente coscienti di quanto importante sia il compito che essi hanno di educare il bambino, il quale va conosciuto per le sue caratteristiche di sviluppo ed esigenze specifiche in modo da aiutarlo ad essere l'adulto di domani.
Il tutto nel pieno rispetto dell'anima infantile e cercando di individuare quelli che sono gli errori che da sempre la pedagogia e gli adulti hanno commesso nei riguardi dell'infanzia. 

La Montessori è diretta e non ci gira attorno: abbiamo sbagliato tutto.
Abbiamo creduto e preteso di conoscere il bambino, di poterne prevedere bisogni ed esigenze e di sapervi rispondere..., ma l'unica cosa che abbiamo saputo fare è stata questa: immaginarci un bambino a nostra somiglianza, una sorta di adulto in miniatura da allevare, educare, correggere, indirizzare... secondo i buoni e perfetti principi psicopedagogici di moderna generazione,  che però... lungi dalla perfezione di cui ci illudevamo fossero rivestiti, avevano un grosso limite: erano adultocentrici.

L'adulto non può e non deve pensare di poter comprendere il mondo dell'infanzia e andargli incontro nel rispetto che merita, se antepone le proprie esigenze, i propri ragionamenti, se si crede il maestro perfetto e infallibile, il faro che può illuminare il buio dell'ignoranza e dell'inesperienza in cui sguazza l'infante.
E' l'adulto a doversi adattare al bimbo, non viceversa.
E' l'adulto a dover predisporre l'ambiente giusto (quello che la Montessori chiama "Casa dei Bambini") che lasci il bambino libero di esprimersi, di tirar fuori (del resto, dal latino, educare viene da educĕre, che significa proprio questo, tirar fuori) la propria essenza, il buono e il bello che per natura è in lui, in modo da raggiungere l'autonomia nel pieno rispetto del suo carattere, dei suoi tempi, delle sue propensioni e attitudini.

La  rivoluzione montessoriana sta in questo: al centro vi è il bambino, ma non a chiacchiere bensì coi fatti; non bastano le teorie dell'educazione e i migliori principi pedagogici se poi in casa e a scuola tutto - dagli armadi, ai tavoli, agli oggetti... - è a misura di adulto e non di bambino.

L'adulto deve abbandonare la presunzione di potersi sostituire al bambino, deve farsi da parte per non divenire un ostacolo al suo sviluppo ma guidarlo a muoversi con spontaneità e liberamente in un contesto a lui adeguato così da permettergli di fare esperienze atte a svilupparne la concentrazione, l'intelligenza, l'ordine ecc...

"La maestra deve consacrarsi alla formazione di un'umanità migliore. (...) alla maestra è affidata la fiamma della vita interiore in tutta la sua purezza. Se questa fiamma sarà trascurata, si spegnerà per non accendersi mai più".

E questo è un pericolo da non sottovalutare in quanto

"l'educazione infantile è il problema più importante dell'umanità".

Ma per rispettare le leggi della natura e della crescita di ogni bambino non bisogna far riferimento
ingenuamente e semplicemente ai tanti insegnamenti e teorie appresi nei testi di pedagogia; no, per conoscere e amare il bambino, bisogna osservarlo, con attenzione, con calma, con amore, individuando ciò di cui necessita per vivere, per perfezionarsi, soddisfacendo non soltanto i bisogni fisici e prendendoci cura del suo corpo in formazione, ma ancor di più della sua psiche, della sua anima.

"...bisogna credere a tutto il bene che sta nascosto nel bambino e prepararsi a riconoscerlo con cura e amore; solo così saremo in grado di saperlo giustamente apprezzare"..

Non sarebbe corretto credere che una pedagogista attenta come Maria Montessori sostenga che il bambino va lasciato libero senza essere indirizzato dall'adulto per paura di sopraffarlo (come s'è sempre fatto, purtroppo)!
Tutt'altro, il compito dell'educatore è quello di presentare a ogni bambino i materiali con cui egli può "lavorare" per imparare e crescere verso l'indipendenza, e vigilare sulle sue azioni in modo che esse non siano mai disordinate e fine a se stesse.

Io credo che i consigli e gli insegnamenti propri della pedagogia montessoriana abbiano una forza e un'efficacia  straordinarie, siano assolutamente attuali e utili non solo a chi lavora nell'ambito dell'educazione, ma anche per quei genitori che desiderino conoscere meglio le caratteristiche di sviluppo del proprio bambino per poter relazionarsi con lui nel pieno rispetto della sua personalità, ricordando che il solo fatto di essere adulti non ci rende perfetti, ma al contrario, con tutte le nostre imperfezioni possiamo sforzarci di essere umili e "servi" di questa piccola vita che che ci viene affidata.

Davvero di grande interesse, è uno volumetto che si legge con incredibile scorrevolezza e dà una visione panoramica del pensiero di questa grandissima pedagogista italiana.

venerdì 2 novembre 2018

Recensione: PERSUASIONE di Jane Austen (RC2018)



Una protagonista femminile che racchiude in sè dolcezza, mansuetudine, rispetto per il prossimo, senza essere scevra di forza morale, carattere e coerenza. Può non esserci un lieto fine per una donna così?

Con Persuasione si conclude il mio ciclo Jane Austen, che ha compreso la lettura dei suoi romanzi più importanti.



PERSUASIONE
di Jane Austen



Ed. Newton Compton
4.90 euro
224 pp
O. De Zordo (a cura)
trad. F. Fantaccini
La ventisettenne Anne Elliot è la protagonista di questo classico di Jane Austen del 1818, scritto poco prima dell'aggravarsi della malattia che la portò alla morte (fu pubblicato postumo dal fratello dell'autrice), in cui ancora una volta l'Autrice inglese ci lascia un ritratto della società a lei contemporanea tanto fedele quanto ironico e non privo di una buona dose di polemica antiaristocratica.

Anne è una giovane donna appartenente ad una ricca famiglia; suo padre, sir Walter Elliot, è un baronetto vanitoso e superbo, convinto del prestigio del proprio buon nome e tendente a guardare gli altri dall'alto in basso.
Ma, ahilui, il casato di per sè non è sufficiente a garantire un'esistenza agiata, e nell'anno 1814 le sorti della famiglia non navigano in buone acque, anzi: a causa di problemi finanziari, sir Walter si vede costretto ad affittare la propria dimora di famiglia al gentile e socievole ammiraglio Croft.
Ciò che desterà stupore e inquietudine nella dolce Anne è apprendere che la moglie dell'ammiraglio altri non è che la sorella di Frederick Wentworth.
Mai nome fu più in grado di provocare capriole incredibili nel cuore della nostra Miss Elliot!

Sì perchè Frederick non è uno sconosciuto: otto anni prima i due sono stati fidanzati, ma a quel tempo la giovanissima e appena diciannovenne Anne si era lasciata persuadere dai familiari e, ancor di più, dalla cara e stimata amica di famiglia Lady Russell, a rompere il fidanzamento col giovane
ufficiale di marina, ritenuto sì caro e gentile ma... non sufficientemente ricco e quindi degno di sposare una Elliot.

Sono dunque trascorsi diversi anni e, nel rivederlo, Anne deve ammettere a se stessa due cose: anzitutto che lui non riesce ad esserle indifferente e rivederlo, ascoltarne la voce, i discorsi, scorgere in volto quelle espressioni che lei conosce benissimo e che ha tanto amato, fa saltare un battito al suo agitato cuore; in secondo luogo, Anne si rende conto che troppa acqua è passata sotto i ponti di quell'amore giovanile e per il quale ella non ha avuto, a quel tempo, il coraggio e la forza di combattere, contrapponendosi all'autorità paterna e alla disapprovazione di colei che considera quasi una seconda mamma (le sorelle Elliot sono infatti orfane di madre, e la perdita della genitrice ha influito molto sulla formazione del carattere di Anne, che vorrebbe tanto poterle somigliare anche solo un po'). 

Ha senso emozionarsi tanto alla vista di Frederick?
No, non ne ha, ed Anne lo sa bene, anche perchè, nelle diverse occasioni in cui i due si ritrovano insieme (in compagnia di altra gente), lui pare volerla ignorare di proposito e, quando si sente in dovere di rivolgerle la parola, lo fa con distacco.

Possibile che per il giovane capitano - che in mare ha fatto fortuna, tanto da diventare ricco e stimato - ciò che c'è stato tra loro anni prima - e in nome del quale avrebbero voluto sposarsi... - non conti nulla?
Anne cerca di controllarsi e di razionalizzare: a lei va addebitata la responsabilità della fine della loro relazione, ragion per cui è comprensibile che lui non abbia un ricordo bellissimo di lei  e che ora si senta pronto a cercar moglie... Cosa potrebbe mai rinfacciargli Anne?

Anne non è una sciocca; ella è saggia, mite, dolce, paziente con tutti... e ne deve avere di pazienza con il borioso padre, la snob sorella maggiore (anch'ella nubile e per questo alla disperata ricerca di un buon partito) e la sciocchina sorella minore, Mary, l'unica ad essersi maritata.
Anne è circondata da persone per lo più  frivole, vanesie e vanitose; da uomini impegnati nelle attività tipicamente maschili (caccia, conversazioni riguardanti  la carriera...) e donne occupate in ricevimenti, balli. visite di cortesia e, perchè no?, pettegolezzi.

Anne è una silenziosa ed acuta osservatrice, che partecipa a questa vita il minimo indispensabile senza assimilarne lo spirito lezioso, i modi affettati e non sempre sinceri, i pregiudizi verso chi appartiene a una categoria sociale ritenuta inferiore, "non all'altezza", il pensiero fisso di accaparrarsi un buon fidanzato; sensibile, desiderosa di capire ciò che si cela dietro i comportamenti altrui, empatica e comprensiva, sembra non appartenere davvero al mondo da cui pure proviene e che,  attraverso i suoi occhi tranquilli, non possiamo non guardare con quella chiave ironica che è l'Autrice stessa a fornirci, ma senza mai invitarci a condannarlo aspramente.


"...Anne, con la sua raffinata intelligenza e la sua dolcezza, virtù che avrebbero dovuto collocarla molto più in alto nella stima di chiunque fosse dotato di giudizio, non era nessuno né per il padre né per la sorella. La sua parola non aveva alcun valore, le sue esigenze erano sempre considerate poco importanti; era soltanto Anne".

La povera Anne non è apprezzata dai suoi cari  (fa eccezione la saggia Lady Russell per la quale è come una figlia), è vista più come una presenza grigia e ininfluente, della cui disponibilità è lecito approfittare quando se ne ha bisogno, e lei stessa non ci tiene ad essere al centro dell'attenzione; del resto, dopo la rottura del fidanzamento con l'amato di allora, si è lasciata un po' trascurare e da fanciulla graziosa e piacente, è diventata una donna adulta non più al colpo del proprio splendore.

Ma come sempre accade nei romanzi della "zia Jane", anche qui il destino ha in mente qualche novità e, attraverso fraintendimenti, gite in comitiva, coppie di fidanzati vere o presunte, Anne potrebbe ritrovarsi a fare nuovamente i conti con i propri sentimenti, che non sono mai morti, per il capitano Wenthworth.
Ma egli..., prova ancora del rancore verso Anne? O, peggio ancora, lei non conta assolutamente più nulla per lui?
Attenta, signorina Elliot, le vivaci donzelle, pronte ad accalappiarsi il giovanotto venuto dal mare, non mancano mai, e forse questa potrebbe essere l'ultima vera occasione per seguire il cuore e provare ad essere felice!

Piacevole, sufficientemente scorrevole, Persuasione ci dà sì un ritratto vivace della società inglese di inizio Ottocento, ma non lo fa con pesantezza, esagerando con passaggi troppo descrittivi, lenti e che quindi potrebbero risultare noiosi; tutt'altro, l'ho letto gustandomi ogni momento, ogni scena descritta, i dialoghi, l'ingresso di volta in volta dei vari personaggi, lo sviluppo delle vicende - che sembrano prendere una piega ma poi... - e la stessa protagonista, che è sì dolce, mite, colta e accondiscendente ma senza essere una "smidollata" priva di personalità. Diciamo che Anne Elliot sa aspettare il momento giusto per agire!

Confesso che nella mia personalissima top ten delle eroine austeniame, Emma Woodhouse stravince, perchè è la più frizzante e la più imperfetta; si piazza bene anche Lizzie Bennett per la sua schiettezza e perspicacia, mentre all'ultimo scalino collocherei Fanny Price, che è la miss che mi ha convinta meno.

Consigliato a chi ama i classici della letteratura inglese e, in generale, a chi ama tuffarsi in un mondo distante da noi  nel tempo e nei costumi, che ci strappa qualche sorriso, fa sognare le lettrici più romantiche mentre fantasticano di balli, schermaglie amorose, equivoci che poi si risolvono per il meglio, il tutto sorseggiando una tazza di the fumante e apprezzando quella  penna leggera e intelligente propria della Austen, che ha saputo descriverci con efficacia e acume gli uomini e le donne del proprio tempo... che, a ben guardare, non sono poi così differenti da ciascuno di noi oggi nei sentimenti, nelle contraddizioni e nei desideri.




Reading Challenge
Obiettivo n.1
Un libro scritto più di 100 anni fa



Classici austeniani recensiti sul blog:

giovedì 1 novembre 2018

Recensione: L'ARMINUTA di Donatella Di Pietrantonio



L'intensa voce di Jasmine Trinca mi ha accompagnata in Abruzzo e fatto conoscere la storia di un'adolescente forte, intelligente, contesa tra due madri accomunate da un incosciente, e forse non del tutto volontario, egoismo che le ha rese incapaci di amare in modo giusto e adeguato questa figlia  ceduta e restituita.


L'ARMINUTA
di Donatella Di Pietrantonio


Einaudi Ed.
2017
Supercoralli
pp. 176
€ 17,50
Con L'Arminuta Donatella Di Pietrantonio è stata la vincitrice del Premio Campiello 2017.


«Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere."


Non sappiamo il suo nome; non ci viene detto né all'inizio della storia, né viene pronunciato durante la narrazione, né tanto meno alla fine.
Per tutti, lettore compreso, la giovanissima protagonista è semplicemente "essa", l'Arminuta. La ritornata.

La sua è una storia di abbandoni e ritorni, di amore ricevuto, poi tolto e infine affidato alla freddezza di una famiglia che "è tua ma non ti appartiene davvero", perchè non la conosci, non ci sei cresciuta, non hai imparato a volerle bene, con i suoi membri non s'è mai stabilita alcuna intimità; è una storia che ci racconta della solitudine e del senso di inadeguatezza provato dalla protagonista a causa delle decisioni egoistiche e capricciose degli adulti, di queste sue due famiglie che l'hanno trattata come un pacco postale.

L'Arminuta ha tredici anni quando deve lasciare inspiegabilmente la casa in cui è cresciuta, la città in cui ha vissuto, le sue amiche, la scuola, le sue abitudini e soprattutto i suoi affettuosi genitori (in realtà, si tratta di parenti), per andarsene in un paese che non conosce, presso una famiglia che non ha mai visto... e abitarvi.
Ad accompagnarla è l'uomo che lei ha creduto fosse suo padre e che l'ha cresciuta, e che adesso, con estrema freddezza, le ordina di prendere la sua roba e di andare dalla sua vera madre, dal suo vero padre e dai suoi fratelli, che l'aspettano.
Incerta e con la valigia tra le mani, l'Arminuta entra in questa "nuova" casa (che nuova non è) e si ritrova al cospetto della sua vera mamma (colei che l'ha data alla luce), che però non ha verso di lei alcuno slancio di affetto; non c'è nessuna festa di benvenuto, nessun buon pranzetto ad attenderla, nè tanto meno "il padre" o i fratelli corrono ad abbracciarla.

La ragazza è smarrita, confusa, delusa...: ma chi sono questi selvaggi che s'avventano sul piatto come se non mangiassero da giorni e che mi ignorano...? E se proprio mi danno retta, è per deridermi, schernirmi o sottolineare che io con loro "non c'ho proprio nulla da spartire".

L'unica a darle retta - inizialmente perchè non ha altra scelta - è la sorella minore, di dieci anni, Adriana, con cui condividerà per diverso tempo il letto, dormendo "coccia e piedi", strette strette, in un guscio di intimità forzata ma, a lungo andare, consolante.

Col passare dei giorni, la nostra ragazza deve imparare diverse cose, per poter sopravvivere, resistere.
Deve accettare l'idea che i suoi (presunti) genitori l'hanno ceduta; perchè l'hanno fatto? E' colpa sua, ha commesso una cattiva ed imperdonabile azione? Si erano stufati di tenerla? O forse, la mamma s'è ammalata gravemente e mandarla via è il loro ultimo gesto d'amore, per evitarle la sofferenza di guardare la propria genitrice spegnersi pian piano.

Deve capire come funziona la vita in questa nuova famiglia (e anch'essa...,perché tredici anni prima l ha data via?) - che tanto nuova non è, visto che è quella in cui è nata -, come relazionarsi al padre assente ma, in certe occasioni, autoritario; con i fratelli strafottenti e famelici; con lei, cui ci si riferisce sempre e solo con l'appellativo "la madre", questa donna algida, distante, spesso rude, incapace di vere gentilezze, di una carezza, di un sorriso aperto e caloroso; una madre difficile da amare, da comprendere, da conoscere profondamente.

"Non l'ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori".

Gli unici alleati sono la sorellina Adriana, vivace, solare, chiacchierona, testarda ma anche fedele, leale fino alla morte; e c'è Vincenzo, poco più grande dell'Arminuta: egli prende le sue difese, la tratta con maggiore gentilezza ma tra i due si instaura anche un rapporto a tratti ambiguo perché la guarda come fosse già una donna, ed in effetti lei sta sbocciando come un fiore pronto a dischiudersi e a mostrarsi in tutta la sua innocente e prorompente bellezza; il suo sguardo irrequieto, smaliziato, di chi vorrebbe osare qualcosa di proibito, la turbano e al contempo le fanno provare fremiti e brividi sconosciuti fino a quel momento, segnali inevitabili di un giovanissimo corpo che sta crescendo.

Ma purtroppo, in questa piccola casa buia, in cui si parla quasi sempre in dialetto, in cui si vive ai limiti della miseria, in cui scarseggiano gli spiccioli, in cui le manifestazione d'affetto sono una rarità, in cui l'Arminuta continua a sentirsi un pesce fuor d'acqua, un'eterna ospite poco gradita, sopportata e accettata con indifferente rassegnazione, entra la perdita, il dolore, il lutto, che con sè porta giorni di tristezza, di silenzi, di un nuovo e sofferto abbandono contro il quale proprio non puoi far nulla.
Se non continuare ad andare avanti.

Menomale che c'è Adriana, con cui la ragazza stringe un legame fortissimo, indissolubile, fatto di piccoli segreti e di alleanze che corroborano la "sorellanza"; in lei, l'Arminuta troverà sempre una complice, una confidente, un sostegno, anche quando le vicissitudini le allontaneranno per un po'.

Il fatto di vivere nella propria famiglia d'origine non soffoca in lei il pensiero della sua vecchia vita, quella in cui era vezzeggiata, amata, circondata da cose belle, dove c'era l'amica Patrizia; cosa fa, come vive l'altra madre (di cui ci vien detto il nome, Adalgisa)? L'ha dimenticata? E' ancora ammalata o forse è addirittura morta? Ma in tal caso, "la madre" vera non gliel'avrebbe detto?

Una serie di particolari le fanno capire, a lungo andare, che le cose non si sono verificate come lei aveva sospettato, e che forse questo suo ritorno a casa è stato più frutto di un atto egoistico che un sacrificio d'amore.

Intanto, però, nonostante i dubbi, le amarezze, la presa di coscienza che da quella madre sarà molto arduo ricevere apprezzamenti, la ragazza mostra tutta la sua resilienza impegnandosi a scuola, tirando fuori una mente brillante, un talento fuori dal comune per gli studi, che può garantirle un luminoso futuro; a sostenerla non c'è solo la frizzante Adriana, ma anche gli elogi e gli austeri ma sinceri incoraggiamenti dell'insegnante Perilli, che insisterà presso la famiglia affinché non impedisca alla figlia di proseguire negli studi (cosa che è successa invece a Vincenzo, che pure prometteva bene).
Proprio per questa ragione, una volta finite le medie, la ragazza lascia il paese per frequentare un buon liceo in città, andando a vivere in casa di una brava donna.

La ricerca della verità (dei perché) del suo ritorno alla famiglia d'origine però non l'abbandona mai, anzi è quasi una piccola ossessione che la spinge a continuare a cercare un contatto con Adalgisa che, lei intuisce, pare far di tutto per evitarla... Come mai? Ha forse qualcosa da nascondere?

"Eppure, in certe ore tristi, mi sentivo dimenticata, cadevo dai suoi pensieri, non c'era più ragione di esistere nel mondo. Ripetevo piano la parola mamma cento volte finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi: una mi aveva ceduto con il suo latte ancora sulla lingua, l'altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute. Distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo, non lo so neanche adesso.".

In un paesino abruzzese poco conosciuto, ruvido, aspro e autentico, vive lei, la giovane Arminuta, e l'Autrice, con la sua narrazione molto fluida, realistica, schietta, potente e ammaliatrice, ci racconta una storia appassionante nella sua semplicità, che esprime delicatezza e forza allo stesso tempo, perchè se da una parte racconta una storia di abbandoni, di povertà, di difficoltà ad ambientarsi in un contesto da cui vieni ma che ti è estraneo, di maternità vissute con poca responsabilità e con poco "senso di cura", di ritorno alle proprie origini, dall'altra ha al centro una protagonista che resta nel cuore del lettore per la sua sensibilità, caparbietà, l'animo appassionato; una ragazzina la cui luce e bellezza neppure un contesto buio e triste e misero riesce a spegnere.

L'Arminuta l'ho ammirata perché non ha gradito essere trattata come un oggetto nelle mani di queste due madri che se la son passata come se niente fosse, e s'è fatta sentire, non accettando passivamente ciò che gli adulti avevano deciso al posto suo, ma alzando la propria voce, e non ho potuto non condividere la sua legittima pretesa di avere delle risposte alle proprie domande.
Pur essendo un'adolescente, la protagonista mi è apparsa più matura e coraggiosa di quegli adulti che avrebbero dovuto prendersi cura di lei, aiutarla a crescere e ad affermare la propria identità di persona ma che non si sono rivelati molto attenti in questo senso.


"Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. E' un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure".


Ho amato questo romanzo, mi ha regalato molte emozioni, trovo abbia una intensità che tocca il cuore, e a questo giudizio favorevole ha contribuito anche la voce calda, profonda, malinconica e carezzevole della bravissima Jasmine Trinca.

Se dovessi trovare un difetto, l'unico neo sta nel finale, che mi ha lasciato una sensazione di sospensione, di qualcosa che si poteva ancora dire ma che è stato stoppato troppo bruscamente.
Però magari è un qualcosa che ho provato proprio perchè mi ero così lasciata trascinare dalla storia che non avrei voluto finisse (così presto).

La mia valutazione complessiva è comunque assolutamente positiva, lo consiglio con tutto il cuore.
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