mercoledì 5 agosto 2020

Recensione: NOI CHE CI STIAMO PERDENDO di Manola Aramini



La tragica e violenta morte di una donna - madre di due gemelle preadolescenti e moglie di un famoso pianista - solleva il coperchio di un vaso di Pandora pieno di segreti torbidi, nascosti in anime tormentate che si portano sul cuore pesi e peccati inconfessabili.



NOI CHE CI STIAMO PERDENDO
di Manola Aramini



Milena Edizioni
190 pp
13 euro
Marzo 2019
Alma vive ad Asti, è una giovane donna con un grande talento nella musica: è, infatti, una brava cantante e proprio grazie alla sua voce seducente ha incontrato, e inconsapevolmente sedotto, un uomo, più grande di lei anagraficamente ma ancora molto affascinante.
Lui è Arthur Cortes, noto pianista di origine portoghese, latin lover incallito che ama sedurre tutte le donne belle che gli capitano a tiro e con le quali condivide attimi fugaci di passione.
E' sposato ma questo non gli impedisce di passare di fiore in fiore ed Alma lo sa, eppure questa consapevolezza (di essere "una delle tante" amanti) non la spinge a odiare l'uomo di cui comunque è stata innamorata; anche adesso che la sua storia con Arthur è finita da tempo, non riesce infatti a sentirlo indifferente e quando lui la contatta, non se la sente di ignorarlo.

Cosa vorrà mai da lei Arthur?

Lo scoprirà presto.
Tatiana, l'algida e snob moglie dell'uomo, è morta.
O meglio, è stata rapita e poi ritrovata morta. Assassinata.

Arthur Cortes sembra distrutto: è vero, non amava più Tatiana, ma non avrebbe mai divorziato da lei, anche perché hanno due splendide figlie (le gemelle undicenni Camilla e Gaia) e le sue erano solo avventure senza impegno, alle quali dedicare qualche ora senza avere strascichi.

Adesso che è rimasto senza Tatiana, ne sente improvvisamente la mancanza e vorrebbe aver fatto meno errori con lei.

Rimorsi a parte, resta la domanda fondamentale cui bisogna dare risposta: chi ha ucciso Tatiana?

Il commissario Fermi si occupa del caso e inizia subito a far domande a quanti conoscevano e frequentavano la vittima.
Ovviamente, il primo ad essere interrogato è il marito: chi più di lui poteva avere interesse a far fuori una moglie scomoda alla quale, se si fossero separati, avrebbe dovuto dare i soldi e gli alimenti?

E se la colpevole fosse la sua ex-amante, quella cantante giovane e bella di origine indiana, Alma? Magari quest'ultima è stata mossa dalla gelosia verso la rivale, nutrendo il desiderio di poter vivere serenamente la sua storia con Cortes una volta tolta di mezzo la moglie!

La vicenda scuote Fregene, nel litorale romano, dove Tatiana conduce una vita agiata e all'apparenza imperturbabile; esistenza attorno alla quale emergono man mano parecchi particolari poco limpidi, grazie ad un libro autobiografico cui la donna stava lavorando e tra le cui pagine ci sono dettagli, nomi ed episodi che potrebbero rivelarsi utili alle indagini.

Nel suo romanzo Tatiana esprime sentimenti, pensieri, dubbi, tormenti, non tralasciando giudizi sulle persone che la circondavano: la cognata Odette (sorella di Arthur) viene descritta come morbosa e appiccicosa; sposata ma senza figli, forse la donna covava gelosia per la cognata, così fine e delicata? Potrebbero essere state le mani dell'insicura e apprensiva Odette ad essersi sporcate del sangue di Tatiana?

O forse le indagini dovrebbero concentrarsi sull'inquietante giardiniere, un vedovo spione e ossessionato dalla bella signora?

A complicare le cose, e a mettere urgenza a Fermi per la risoluzione del caso, si aggiunge un altro omicidio: una ragazza, di nome Samanta, viene ritrovata morta e sulla scena del delitto ci sono particolari che collegano il suo assassinio a quello di Tatiana, in modo indiscutibile.
Samanta ha avuto una storiella con Arthur e la notte in cui è sparita si è vista con lui... 
Forse Cortes sta prendendo in giro tutti con la sua aria esageratamente affranta di vedovo inconsolabile quando in realtà è l'unico assassino?

Oliviero Fermi non sa che pesci pigliare: in questa storia di duplice omicidio ci sono troppe persone ambigue, dai comportamenti poco chiari: tutti ovviamente si dichiarano innocenti, ma dovrà pur esserci l'assassino tra loro!

Una cosa è certa: non tutti sono completamente onesti e c'è chi nasconde qualche segreto che si guarda bene dal far saltare fuori.
La stessa Tatiana, dall'apparente normale vita borghese, aveva i suoi scheletri nell'armadio....

Nessuno è esente da ombre, da colpe, da tormenti, da peccatucci più o meno gravi: ma essere fedifrago, essere stata l'amante di un uomo sposato, avere avuto una storia con una delle vittime.... non rende automaticamente colpevoli di omicidio.

Molte persone potevano avere un movente per uccidere Tatiana e di volta in volta, in base agli elementi che emergono e ai segreti svelati, il commissario Fermi nutre forti dubbi ora sull'uno ora sull'altro dei sospettati.

Ma non c'è tempo perdere: l'indagine sta prendendo una piega ancora più drammatica perché altre vittime innocenti rischiano di morire a causa della stessa mano assassina, che va quindi subito individuata e fermata.

"Noi che ci stiamo perdendo" è un giallo psicologico davvero intrigante; la narrazione procede dando spazio, di capitolo in capitolo, alla prospettiva personale dei diversi personaggi che intervengono a creare dinamiche e ad aggiungere di volta in volta nuovi elementi al caso; trovo che la penna dell'Autrice sia molto acuta e attenta nel soffermarsi sull'aspetto psicologico di quanti satellitano attorno a Tatiana, lasciando emergere di ciascuno luci ed ombre, fragilità e debolezze, creando aloni di sospetto su ciascuno per poi, a fine libro, diradare le nuvole e puntare i riflettori sul vero colpevole, la cui identità costituisce un colpo di scena.

E' un libro che si lascia leggere tutto d'un fiato, grazie ad una scrittura trascinante, a personalità ambigue e complesse, e ad un ritmo reso scattante dai capitoli brevi e dalla equilibrata alternanza dei dialoghi e della narrazione sia del passato che dei momenti in cui vengono resi manifesti i pensieri intimi e tormentati dei personaggi principali.

Ve lo consiglio, è un romanzo che sa catturare l'interesse del lettore e potrebbe costituire una buona lettura per le vostre vacanze!

Ringrazio la C.E. Milena Edizioni per il gentile invio della copia omaggio.

martedì 4 agosto 2020

Recensione: L'ATTENTATO di Yasmina Khadra


L'esistenza serena e agiata di un uomo che s'è lasciato alle spalle le proprie origini e il proprio popolo, con le sue infinite difficoltà e le sue miserie quotidiane, viene improvvisamente sconvolta da una tragedia famigliare che mette in crisi tutte le certezze su cui reggeva la sua felicità, di cui non resta che un cumulo di polvere, detriti... e lacrime.



L'ATTENTATO
di Yasmina Khadra


Ed. Sellerio
trad. M.Bellini
264 pp
«perché così tanto odio fra consanguinei?» «Perché non abbiamo capito granché delle profezie né delle più elementari regole di vita.»


Amin Jaafari è un affermato chirurgo di origine araba naturalizzato israeliano e ben integrato nella società di Tel Aviv, in cui vive; tutti lo rispettano per la sua carriera di medico e perché forma, insieme alla moglie, una coppia equilibrata e affiatata, stimata da amici e conoscenti.

Ma un giorno, l'ospedale in cui lavora si riempie di feriti, frutto di un terribile attentato kamikaze: un terrorista si è riempito di esplosivo facendosi saltare in aria all'interno di un ristorante in cui c'erano molti bambini. Per tutto il giorno Amin e colleghi lavorano a pieno ritmo per cercare di salvare più feriti possibili, tanti dei quali giungono in condizioni davvero gravi.
Ore ed ore in corsia e in sala operatoria lo distruggono nel corpo e nella mente, ma la stanchezza che prova a fine turno è nulla in confronto allo smarrimento e all'acuto dolore che di lì a qualche ora lo travolgeranno.
Nel cuore della notte, infatti, l'amico poliziotto Naveed lo sveglia per dargli una terribile notizia: la moglie è morta. Era lì, in quel locale affollato di Tel Aviv.

Strano, pensa Amin, Sihem è da tre giorni a casa della nonna a Kafr Kanna! Perché avrebbe dovuto essere al ristorante?
L'ultima volta che gli occhi dell'uomo hanno incrociato quelli della moglie è stato, quindi, pochi giorni prima, e adesso quegli occhi resteranno chiusi per sempre; il buio della morte l'ha avvolta e adesso anche Amin sta attraversando le proprie tenebre: quelle della disperazione lo avvolgono dopo aver appreso con sconcerto e profondo dolore di essere diventato vedovo, privato da un momento all'altro della luce dei suoi occhi, della sua ragione di vita.
L'incubo per lui è appena incominciato:

«Dalle prime risultanze dell'inchiesta, lo smembramento che il corpo di sua moglie ha subito presenta le tipiche ferite dei kamikaze integralisti.» Ho la sensazione che queste rivelazioni mi tormenteranno fino all'ultimo dei miei giorni. Si susseguono nel mio animo, prima al rallentatore poi, come nutrendosi della propria enormità, s'imbaldanziscono e mi assediano da ogni parte.

Hai capito bene, Amin? Tua moglie, la tua adorata Sihem, è morta non perché si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato; il suo corpo non s'è smembrato per una sfortunata coincidenza.
No, lei era quella donna che nascondeva una bomba sotto un pancione finto; lei è l'ammazzabambini che ha provocato morti e feriti e seminato panico e distruzione in un giorno qualunque a Tel Aviv.

Per tre giorni il dottore viene preso in custodia da agenti segreti che lo sottopongono a interrogatori serrati: dubitano di lui, di un suo possibile coinvolgimento nell'attentato; del resto, la terrorista era sua moglie...: possibile che lui non sapesse nulla delle intenzioni della donna, delle sue idee da fanatica islamica?

Quando gli agenti si convincono dell'estraneità di Amin, lo lasciano andare.
Egli è distrutto, allucinato, sfibrato; prova un dolore infinito e lui stesso non sa dire se è consapevole al 100% della tragedia che lo ha colpito o se ne è già stato annientato.

Nel fango di confusione e lacerazione interiore in cui versa, c'è una cosa che gli riesce come la più inaccettabile: davvero la sua bellissima moglie era legata a cellule terroristiche? Non è possibile, se così fosse stato, lui se ne sarebbe accorto, no?!?


"...mi sono chiesto perché Sihem fosse arrivata a quel punto. Da quando aveva iniziato a sfuggirmi? Come mai non ho notato nulla? Di certo ha cercato di mandarmi un segnale, dirmi qualcosa che non ho saputo afferrare al volo. Dove avevo la testa?"

Come ha potuto vivere accanto a una donna per anni e non riconoscere i segnali (perché ci saranno stati!!) che gli avrebbero permesso di aiutarla a venir fuori da quel meccanismo infernale che l'ha spinta a preferire la morte alla vita?
Può una moglie custodire un segreto di tale portata e non tradirsi mai, in nessuna occasione? E lui, marito devoto ed amorevole...., come ha fatto ad essere così accecato da non accorgersi che stava perdendo la sua Sihem? Chi l'ha plagiata e indottrinata al punto da convincerla ad arrivare al gesto estremo?

Inizia così l'indagine personale di un uomo costretto a scavare nel passato e nei segreti della donna che credeva di conoscere come se stesso, e con la quale sognava di invecchiare insieme.
Trovare le risposte alle mille domande che gli rimbombano in testa non è semplice e richiede da parte sua un grande atto di coraggio.
Il coraggio di voler schiudere il velo su sua moglie, accettando la realtà: non la conosceva davvero, non era stato capace di leggere le ferite nel suo cuore, i suoi tormenti, i suoi veri pensieri.
Lui - che è andato via dalla propria famiglia, gettandosi alle spalle tutto ciò che era legato al suo essere arabo, per costruirsi un'esistenza nuova, più stimabile, irreprensibile agli occhi della società israeliana -  dopo la tragedia si ritrova a pagare comunque il prezzo della propria non appartenenza a quella società e, soprattutto, quello di essere il marito di una kamikaze: lui, che ha voltato la faccia al proprio popolo, si ritrova a ricevere disprezzo e odio da parte di quella stessa gente con cui voleva confondersi e amalgamarsi... e che adesso lo chiama traditore!

Il viaggio verso la verità sarà sconvolgente anche perché finalmente dovrà ammettere come egli  fino a quel momento abbia evitato di prendere posizione circa il conflitto che oppone il popolo palestinese a quello israeliano.
Sarà  per Amin un percorso iniziatico che, ricordo dopo ricordo, lo condurrà nei luoghi e tra le persone frequentati da Sihem negli ultimi tempi; incontrerà membri della propria famiglia che sapevano dell'adesione della donna alla causa palestinese e che adesso hanno paura a parlarne con lui perché rischiano la vita.
Ed infatti il viaggio del dottore verso la verità sarà irto di ostacoli e minacce in quanto lo porterà proprio  là dove nascono e crescono l'odio, la decisione di preferire il martirio a una vita di umiliazioni, là dove matura la convinzione che solo attraverso certi atti estremi, colpendo con violenza il  nemico che ti assedia ogni giorno, rubandoti terre, diritti, sogni e libertà, si dà un senso alla vita e si muore degnamente, conquistandosi il diritto di essere annoverati tra gli Eroi, benedetti da Allah.

Amin trova il coraggio di rimettere piede in quei territori dove si consuma un conflitto lungo e sfibrante, dove Golia calpesta Davide ad ogni angolo di strada, dove Sihem aveva preso coscienza di appartenere a un popolo che ha dovuto imparare l'arte di resistere e dove lei ha fatto sua la rabbia di chi è saturo di disprezzo e umiliazione.

"La vita mi ha insegnato che si può vivere d'amore e acqua fresca, di briciole e di promesse, ma che non si sopravvive al disprezzo.  (...) Non si sopravvive al disprezzo, quando solo questo si è visto per tutta la vita".

"Questa dolorosa ricerca della verità è il mio percorso iniziatico. Ridefinirò l'ordine delle cose, lo rimetterò in discussione, cambierò prospettiva?" si chiede Amin, e il lettore intraprende questo viaggio non facile in una terra martoriata, dove, dice un comandante delle milizie islamiche, ai giovani è impedito di "sognare (...). Cercano di rinchiuderli in ghetti finché vi si annullano. Per questo preferiscono morire. Quando i sogni sono conculcati, la morte  diventa l'ultima salvezza… (...) Non c'è cataclisma peggiore dell'umiliazione. È una disgrazia incommensurabile, dottore. Ti toglie la voglia di vivere."


"L'attentato" è un romanzo che "parla" di terrorismo, ma ridurlo solo a questo credo non gli renda giustizia. 
Piuttosto, direi che l'attentato kamikaze - pur con tutto il carico reale di angoscia e terrore che si porta inevitabilmente dietro -  sia una sorta di "pretesto" per condurre il lettore in un mondo di cui sentiamo parlare ma che ci sembra sempre così lontano da noi e di cui forse non sappiamo poi tanto.
Mi riferisco alle condizioni in cui versa quotidianamente chi vive in queste terre, a Jenin ad es.; mi hanno colpito molto le pagine dedicate a Jenin, vista con gli occhi del protagonista - pieni di angosciato stupore - e che diventano anche i nostri: 

"Il regno dell'assurdo ha devastato persino la gioia dei bambini. Tutto è sprofondato in un grigiore malsano. Sembra di essere in un'ala dimenticata del limbo, frequentata da anime logorate, da esseri spezzati, metà spettri metà dannati, immersi nelle vicissitudini come moscerini in una colata di vernice, il viso disfatto, lo sguardo stralunato, rivolto verso la notte, così disperato che neanche il gran sole della Samaria riesce a illuminarlo. 

Jenin è ormai solo una città sinistrata, un'immensa rovina; non ha nulla da dire e ha l'aria insondabile come il sorriso dei martiri, i cui ritratti sono affissi a ogni angolo di strada. Sfigurata dalle innumerevoli incursioni dell'esercito israeliano, di volta in volta messa alla berlina e resuscitata per far durare il piacere, giace nelle sue maledizioni, senza fiato e a corto d'incantesimi…"

Leggiamo questo libro passando da una tragedia collettiva (l'attentato) ad una famigliare e quindi personale, e le situazioni drammatiche - che sono al centro della storia - si colorano di una sfumatura avventurosa e quasi poliziesca (nella ricerca della verità, che porta il protagonista in un contesto pericoloso); le vicende narrate sono attraversate da toni inevitabilmente tristi, perché a dominare sono sentimenti ed emozioni di angoscia, doloroso stupore, disperazione, rabbia, impotenza, paura.

Tra queste pagine conosciamo un uomo che, come lavoro e missione di vita, ha scelto di salvare vite, di mettere in campo le proprie competenze per strappare delle esistenze alla morte; una persona che fa una scelta di questo tipo non può di certo accettare l'idea che si vada incontro alla morte (e la si procuri agli altri) in nome di un'ideologia religiosa. Non solo, ma è anche un uomo che aveva scelto di vivere in una gabbia dorata, lontano dalla tragedia del proprio popolo, fingendo che non lo riguardasse.

E sentiamo parlare di una donna bella e intelligente che, pur avendo un'esistenza invidiabile e desiderabile, decide di ripudiarla, perché l'amore per il proprio popolo continuamente vessato è più forte di tutto: del proprio matrimonio d'amore, della propria posizione sociale rispettabile, della bella casa a Tel Aviv, del marito devoto e innamorato. 
Più di se stessa.

E' un romanzo che ci induce a soffermarci su quanto sia devastante e logorante questo odio che deteriora e corrode questa striscia di terra, teatro "degli orrori che stanno trasformando la terra prediletta da Dio in un inestricabile immondezzaio dove i valori fondanti dell'Umanità marciscono a cielo aperto, l'incenso puzza come le promesse che ci rimangiamo e il fantasma dei profeti si copre il volto a ogni preghiera che si frange nel ticchettio delle culatte e nelle grida d'intimazione.".


Ho trovato questo libro commovente, lacerante, capace di narrare e trasmettere il dolore: quello privato - vissuto da un marito che non ha saputo cogliere i segni della sofferenza di una moglie che ha preferito farsi esplodere piuttosto che accettare le angherie subite dal suo popolo - e quello, appunto, del popolo palestinese rispetto alle politiche e all'assedio da parte del governo israeliano.

Con una scrittura fluente ed emotivamente potente, l'Autore esplora con intensità la dimensione psicologica dei personaggi, ci lascia ascoltare le parole di chi fa della Causa la propria ragione di vita, risultando, a mio avviso, amaramente autentico.


Note biografiche

Yasmina Khadra, pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, è uno scrittore stimato e apprezzato nel mondo intero. Nato in Algeria nel 1956, reclutato alla scuola dei cadetti a nove anni, è stato ufficiale dell’esercito algerino. Dopo aver suscitato la disapprovazione dei superiori con i suoi primi libri, ha continuato usando come pseudonimo il nome della moglie. Nel 1999 ha lasciato l’esercito svelando così la sua vera identità e ha scelto di vivere in Francia. In Italia sono pubblicati molti dei suoi romanzi, tra cui i due noir Morituri (1998) e Doppio bianco (1999), e Quel che il giorno deve alla notte (2009), miglior libro del 2008 per la rivista letteraria «Lire» (adattato a film nel 2012). Con Sellerio: Gli angeli muoiono delle nostre ferite (2014), Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini (2015), L'ultima notte del Rais (2015), L'attentato (2016), dal quale è stato tratto il film di Ziad Doueirie, e Khalil (2018) .

lunedì 3 agosto 2020

Quotes about books&reading




"Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo
(Emil Cioran).


"Ma è bene se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile a ogni morso. Bisognerebbe leggere, credo, soltanto libri che mordono e pungono. Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martella sul cranio, perché dunque lo leggiamo? Buon Dio, saremmo felici anche se non avessimo dei libri, e quei libri che ci rendono felici potremmo, a rigore, scriverli da noi. Ma ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio. Un libro deve essere un'ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi.
(Franz Kafka)






"Un libro è un regalo che puoi aprire ancora e ancora."
(Garrison Keillor)


"I libri sono una buona compagnia in momenti tristi e felici perché i libri sono persone speciali che sono riuscite a vivere restando nascoste dietro alle copertine, tra le pagine."
(Elwyn Brooks White)


Alcuni libri ci lasciano liberi e alcuni libri ci rendono liberi." 
(Ralph Waldo Emerson)

domenica 2 agosto 2020

Libri che diventano film


Dopo la sosta obbligatoria per il Covid-19, che ha fermato, tra le altre cose, il mondo del cinema, ritorniamo a dare un'occhiata a quei film in preparazione/in uscita e che sono tratti o ispirati a libri.





Il primo è LEI MI PARLA ANCORA, film che vede alla regia Pupi Avati e che è tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Sgarbi.

"Ho voluto raccontare la storia di un grande amore, quello tra Nino e Caterina, un amore lungo 65 anni, un amore che dura oltre la morte", ha dichiarato Pupi Avati.

Nel cast Renato Pozzetto (Nino), Stefania Sandrelli (Caterina), Isabella Ragonese (Caterina giovane), Lino Musella (Nino giovane), Fabrizio Gifuni, Chiara Caselli, Alessandro Haber, Serena Grandi, Gioele Dix, Nicola Nocella.

Inizio riprese il 3 agosto.

Nino e Caterina sono sposati da sessantacinque anni e si amano profondamente dal primo momento che si sono visti. 
Alla morte di Caterina, la figlia Elisabetta, nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita della donna che ha amato per tutta la vita, gli affianca Amicangelo, un editor con velleità da romanziere, per scrivere attraverso i ricordi del padre un libro sulla loro storia d’amore. Amicangelo accetta il lavoro solo per ragioni economiche e si scontra subito con la personalità di un uomo che sembra opposta a lui. 
Ma il rapporto tra i due diventerà ogni giorno più profondo fino a trasformarsi in un’amicizia sincera.

"Hai sempre amato le attenzioni di Elisabetta. La tua voce cambiava quando
parlavi al telefono con lei. Capivo chi era all'altro capo del filo dal tono che usavi. Quella dolcezza era riservata a lei. A Vittorio hai sempre parlato come parla un padre. A lei come una madre. A me come una donna. Possedevi il dono delle lingue. A ciascuno la sua. Nessuna mi aveva mai parlato così. Né nessun'altra l'ha mai fatto. Credo sia questa la cosa che mi ha fatto innamorare. La tua bellezza era l'esca, certo, ma è stata la tua testa a pescare nel mio cuore. Mai conosciuto una testa così. Lucida, vivida, fulminante. E io non sono mai stato tanto felice di aver abboccato a un amo. Un amore che vive anche adesso che tu non vivi più. Per questo il dolore è così grande. 'Finché morte non vi separi' è una bugia. Il minimo sindacale. Un amore come il nostro arriva molto più in là. E il tuo lo sento anche da qui." 

L'amore di Giuseppe Sgarbi per la moglie Rina, scomparsa un anno fa, è di quelli che non si trovano più. È stato un amore che ha dato pienezza, significato, profondità, valore e bellezza a una strada percorsa fianco a fianco negli anni. 




Greyhound - Il nemico invisibile è un film diretto da Aaron Schneider ed è l'adattamento cinematografico del romanzo del 1955 The Good Shepherd scritto da Cecil Scott Forester.
Nel cast Tom Hanks, Elizabeth Shue e Stephen Graham

Il film è ambientato nei primi giorni dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale e segue la vera storia del comandante della Marina statunitense, Ernest Krause.
Dopo anni, finalmente Ernest viene messo a capo di un cacciatorpediniere, la Greyhound, e alla guida di una flotta di 37 navi alleate.
Oltre a fronteggiare i temibili U-boat nazisti, i sommergibili della Germania, nelle acque imprevedibili dell'Atlantico del Nord, l'uomo dovrà affrontare anche i suoi demoni e gli scontri interni con il suo equipaggio.



Il film è disponibile direttamente in streaming online su Apple Plus TV dal 10 luglio 2020.
Fonti:


sabato 1 agosto 2020

BILANCIO DI LETTURE - LUGLIO 2020


Le mie letture del mese di luglio!!




  • GLI SCOMPARSI di A. Tripaldi. Un cadavere orribilmente mutilato, rinvenuto nel bosco; un ragazzo smarrito e magro, l'unico che potrebbe dare informazioni utili per l'inspiegabile omicidio; una giovane donna, commissario di polizia, alla ricerca di risposte racchiuse tra i fitti percorsi di boschi impenetrabili tanto quanto la mente del ragazzo; un giovane uomo appassionato di Criminologia con un cognome attorno al quale pesano pregiudizi e diffidenza.
  •  IL COLORE DEI FIORI D'ESTATE di A. J. Mayhew. Ci sono romanzi che - grazie ad una scrittura penetrante e potente, a una trama importante inserita in un contesto ben preciso e difficile, a personaggi intensi e realistici - riescono a coinvolgere il lettore e a a smuovere in lui molte emozioni.
  • UNA VALIGIA PIENA DI SOGNI di P. Simons. Un viaggio in Europa prima di andare al college si trasforma, per quattro amici (nonché due coppie di fidanzati), in un'inaspettata e dolorosa occasione per svelare ipocrisie, mettere in discussione relazioni sentimentali ed amicizie e fare i conti con ciò che davvero vogliono essere nella vita.
  • "IL VANGELO EBRAICO. Le vere origini del cristianesimo" di D. Boyarin: un saggio interessante col quale l'Autore di propone di raccontare una verità storica diversa da quella comunemente narrata: c'è stato un tempo in cui ebrei e cristiani erano molto più vicini di quanto non lo siano adesso, e se comprendiamo questo forse riusciremo ad oltre le convenzionali semplificazioni della Storia.
  • IL PUPARO di S. Lecce e C. Cazzato. Puoi essere un bravo ragazzo quanto ti pare, ma se la vita, imprevedibile com'è, ti infila in situazioni estreme e pericolose, dove, per salvarti la pelle, devi fare scelte discutibili..., puoi riscoprire lati di te che non credevi di possedere. E quel che succede a Giacomo Reale, il protagonista di questo avventuroso noir.
  • IL KILLER DELLE TOMBE di A. Hartung. C'è un assassino cui dar la caccia, tanto pericoloso quanto molto intelligente, che individua le proprie vittime secondo precise ragioni e la cui morte è anticipata da lapidi in cui vi è scritta la data del decesso di ciascuna, che avviene puntualmente e con caratteristiche molto simili tra loro. L'ispettore Jan Tommen è di nuovo al lavoro e deve arrestare la serie di morti che sta spaventando Berlino.
  • RITORNO A BLUE RIVER di G. Caputo. Quanto può essere difficile ritornare nel luogo in cui hai trascorso parte della tua vita e al quale sono legati ricordi di esperienze umilianti e dolorose? Per Grace Jones, giovane scrittrice di successo, è un vero e proprio atto di coraggio tornare a Blue River, sapendo che c'è il rischio di ritrovare quelle persone che in passato le hanno fatto versare molte lacrime.
  • UN MOMENTO FA, FORSE di G. Ardemagni: l'Autore ci narra una storia sì di perdita, dolore e amarezze, ma altresì di amicizia e voglia di fermarsi: fermarsi a riflettere, ad assaporare i momenti, a dimenticare il ticchettio costante dell'orologio che ci ricorda quanto siamo soggetti al tempo che ci scorre tra le dita come sabbia, a ritrovare noi stessi, sempre noi eppure diversi da come eravamo un momento fa. Forse.
  • "IL FANTASMA DELL'ABATE. La tentazione di Maurice Treherne" di L. M. Alcott. Amore, passioni, segreti, intrighi e tradimenti popolano le stanze di un'antica dimora, sorta lì dove anni prima c'era stata un'abbazia; ma a rendere l'atmosfera misteriosa ci pensa un'oscura e indefinibile presenza, che non sembra avere fattezze umane.
  • WALTER T. di D. Di Lodovico: un distopico dai tratti oscuri ed inquietanti, che racconta di un protagonista destinato a essere l'anomalia che rischia di mandare in frantumi il sistema in cui vive. 

Questo mese è stato ricco di letture meritevoli di menzione, quindi decidere i tre più belli non è proprio semplicissimo, ma lo farò comunque  ^_^


1. GLI SCOMPARSI per la suspense che ha accompagnato la lettura.
2. UNA VALIGIA PIENA DI SOGNI per il groppo in gola e la commozione che mi ha donato, soprattutto verso la fine.
3. IL COLORE DEI FIORI D'ESTATE per il tema della discriminazione razziale, che mi ha suscitato tanta rabbia.


Non amo particolarmente fare foto (a me stessa poi... ), ma vi lascio questa a testimonianza del fatto che... sono andata al mare!! 😀😀





CITAZIONE DEL MESE

Cominciate col fare ciò che è necessario,
poi ciò che è possibile. E all’improvviso
vi sorprenderete a fare l’impossibile.

Francesco d’Assisi


CANZONE DEL MESE


That I Would Be Good - Alanis Morissette


That I would be loved even when I numb myself.
That I would be good even when I am overwhelmed.
That I would be loved even when I was fuming.
That I would be good even if I was clingy.

That I would be good even if I lost sanity.
That I would be good whether with or without you.


venerdì 31 luglio 2020

Frammenti di... "L'attentato" (Yasmina Khadra)



«Lascia che il rumore delle onde assorba quello che rimbomba in te» (...) «È il modo migliore per fare il vuoto dentro di sé…» (...) «Bisogna sempre guardare il mare. È uno specchio che non inganna. È così che ho imparato a non voltarmi più indietro. Prima, non appena mi guardavo dietro le spalle, ritrovavo intatti il mio dolore e i miei fantasmi. M'impedivano di ritrovare il gusto della vita, capisci? Mi toglievano ogni possibilità di rinascere dalle mie ceneri. (...) Chi guarda il mare volta le spalle alle sventure del mondo. In qualche modo se ne fa una ragione».



Pensiamo di sapere. Allora abbassiamo la guardia e facciamo come se tutto andasse per il meglio. Con il tempo finiamo per non prestare più attenzione alle cose come si dovrebbe. Siamo fiduciosi. 
Cosa possiamo volere di più? La vita ci sorride, e anche la sorte. Amiamo e siamo amati. Possiamo realizzare i nostri sogni. Tutto va bene, tutto ci arride… 
Poi, inaspettatamente, il cielo ci cade sulla testa. Una volta a terra ci accorgiamo che la vita, tutta la vita - con i suoi alti e bassi, le sue fatiche e le sue gioie, le sue promesse e i suoi fallimenti - è attaccata a un filo inconsistente e impercettibile, simile a quello di una ragnatela. 
D'un tratto il minimo rumore ci spaventa e non abbiamo più voglia di credere a nulla. Vogliamo solo serrare gli occhi e non pensare più a niente. 

Yasmina Khadra, L'attentato

giovedì 30 luglio 2020

Recensione: WALTER T. di Davide Di Lodovico - Review Party



Buongiorno lettori!!

Quest'oggi vorrei condividere con voi la recensione di un distopico dai tratti oscuri ed inquietanti, che racconta di un protagonista destinato a essere l'anomalia che rischia di mandare in frantumi il sistema in cui vive.

L'autore. Davide Di Lodovico si occupa da anni di editoria, sia come autore sia come editor; ha pubblicato per Lisciani Libri i romanzi Pinocchio Jamaal (2018), La fuga (2019) e Il cavallo di Troia (2019). Con lo pseudonimo Dave Lodi ha anche pubblicato e curato l’adattamento in italiano moderno delle fiabe non censurate, tradotte da Collodi: Cenerentola (2019) e Barbablu & Le fate (2019). Parallelamente al lavoro editoriale, conduce anche un’importante attività come produttore musicale nell’ambito della musica elettronica. Va ricordato il brano Under Control, colonna sonora del film Effacer L’historique (Orso d’Argento al festival di Berlino 2020).


Con questo post partecipo al Review Party; vi segnalo che le altre  recensioni del romanzo sono presenti sui blog che partecipano all'iniziativa e che sono menzionati nel banner.





WALTER T.
di Davide Di Lodovico

Lisciani Libri
240 pp
14.90 euro
Età lettura: 13-18 anni
USCITA:
15 LUGLIO 2020
 Immaginare un futuro, neanche troppo distante dal presente, in cui le vite degli uomini sono soggette ai rigidi dettami e alle subdole limitazioni di un Governo che mira al controllo assoluto di ogni singola persona e della società tutta, ha sempre un che di sinistro e cupo.
Sì perchè, non c'è nulla di peggio che a un essere umano venga tolta la libertà. Di pensiero, di parola, di azione.

Il mondo futuro creato in "Walter T." è un mondo che sembra perfetto, in cui cittadini paiono assolutamente liberi, già per il solo fatto di avere accesso a fiumi di informazioni; ed è pacifico che più sai, più conosci e t'informi... e più sei libero, no?
La conoscenza è luce, libertà.
Ma lo è anche quando quelle informazioni sono decise e veicolate dall'alto? Quando qualcuno decide per te cosa devi sapere o no?
Non c'è posto per l'autodeterminazione in questa società immaginata dall'autore, dove tutto è falso, artefatto, un inganno; la tanto decantata libertà è una finzione bell'e buona.

Eppure c'è una flebile speranza perché qualcosa intacchi il sistema, e questa speranza è una persona: Walter T., appunto.

 
"Noi cittadini siamo gli animali ammaestrati che popolano questa  specie di zoo tecnologico. Ma io sono la bestia rara. Sono Walter T. Sono morto tanti anni fa. Quando la prima versione di me, quella libera, terminò la sua storia in un pomeriggio di luglio, assieme agli amici più cari e fidati. Quel giorno morì ciò che ero, un essere libero. Da allora sono un numero di protocollo. Un abominio." 


Walter T. è l'anomalia interna al sistema, perché è l’ultimo, autentico, essere umano libero della Terra, al quale non sono stati impiantati microchip, e che quindi non è controllabile. 

Walter T. è come se non esistesse; e in effetti lui sa di essere morto tantissimi anni prima.
Adesso, nel suo presente, l'uomo è anziano, ma la sua memoria non l'ha abbandonato e lui continua a custodire un segreto.

"Dicono che tenere nascosto un segreto non sia una buona cosa, anzi. Ma io ho dovuto farlo. Il mio  segreto è come la mia pelle, l’ossigeno che respiro o le cicatrici che mi sono fatto nel corso della vita. Di tanto in tanto lo accarezzo con i pensieri, per vagare con la mente a momenti passati. Sono la mia isola privata, dove torno di tanto in tanto per trovare la calma".

E' vecchio, sì, ma proprio per questo ricorda com’erano le cose prima, non ha dimenticato gli amici di un tempo - Umberto F., Nevia D., Pablo R. - e il loro comune progetto, denominato RE-BOOT e a causa del quale hanno rischiato grosso.

Walter T. ha dovuto rinunciare a se stesso, in un certo senso, ed è stato costretto a rinascere all'interno di una società in cui alcuni individui sono stati resi metà umani e metà robot, in cui ogni minima opposizione al governo è considerata tradimento e punibile con la morte.

Il protagonista torna indietro con la memoria,  rivive i ricordi più dolci e più atroci della propria esistenza e lui sa, ricorda molto bene che c'è stato un  tempo preciso, ormai lontanissimo, in cui tutto è cambiato: le libertà individuali e i diritti hanno lasciato il posto a una "dittatura delle probabilità", a un nuovo regime intenzionato ad omologare le menti, abbattendo ogni forma di ribellione, ma il giovane Walter T. e il suo gruppetto di amici erano riusciti a ritagliarsi uno spazio segreto in cui coltivare il sogno di essere quell'anomalia che vuol restare sveglia, libera dalla dittatura di uno Stato tirannico che vuol controllare ogni angolo della vita del singolo e di tutti.
E nel loro covo segreto era nato RE-BOOT, un progetto top secret che attualmente sembra essere solo un amaro ricordo nella mente di Walter.

Un nuovo e pericoloso progetto è in preparazione; ovviamente il Governo lo spaccia come qualcosa di positivo e benefico per la popolazione, ma in realtà l'obiettivo è sempre lo stesso: addormentare i cervelli, rendere le persone sottomesse e manipolabili.

Intanto Walter T. scopre che negli anni si sono verificati degli strani omicidi, che hanno delle inquietanti caratteristiche in comune.
Scoprire chi c'è dietro quelle morti sarà fondamentale per Walter T. e ad aiutarlo ci saranno vecchie conoscenze che lui credeva di aver perduto per sempre.

Sarà disposto Walter T. a sacrificare se stesso per ridonare la libertà al resto del genere umano? E soprattutto, il suo sacrificio potrebbe davvero essere utile?

"Ho vissuto tutta una vita in attesa. Impaziente. A volte è comparsa la rassegnazione. Ma io ho tenuto duro. Per tutta la vita ho rinunciato a vivere. Per rinascere. Ora."

"Walter T." è un distopico che si legge molto fluentemente grazie a uno stile accurato e piacevole, alla rappresentazione di una società futura dalle sembianze perfette ma assolutamente ingannevole e pericolosa, che mira all'annientamento dell'individualità; mi è piaciuta la sfumatura "gialla" e l'alternanza tra le riflessioni del protagonista, la rievocazione del passato e il racconto del presente, che non manca di dinamicità e piccoli colpi di scena. 
Belle le illustrazioni di Savino Napoleone presenti ad ogni inizio capitolo.
Ringraziando l'Ufficio Stampa Saper Scrivere per l'opportunità di leggere questo libro, non mi resta che suggerirvene la lettura, in particolare se vi piacciono le storie ambientate in una società futura e alternativa alla nostra.

martedì 28 luglio 2020

Recensione: "IL VANGELO EBRAICO. Le vere origini del cristianesimo" di Daniel Boyarin



Un saggio interessante e chiaro col quale l'Autore si propone di raccontare una verità storica diversa da quella comunemente narrata: c'è stato un tempo in cui ebrei e cristiani erano molto più vicini di quanto non lo siano adesso, e se comprendiamo questo forse riusciremo ad andare oltre le convenzionali semplificazioni della Storia.


IL VANGELO EBRAICO.
Le vere origini del cristianesimo
di Daniel Boyarin


Ed. Castelvecchi
trad. S. Buttazzi
186 pp
Daniel Boyarin è fra i più importanti talmudisti viventi e tra le pagine di questo libro spiega come la figura di Gesù il Nazareno, il suo impatto sulla storia degli ebrei e del mondo, non abbia in sé alcun elemento di rottura rispetto al giudaismo.

Che un Messia sarebbe sorto tra il popolo ebraico, morto e poi risorto, non era una novità per gli stessi ebrei: tutt'altro, è riportato nelle Scritture, in quegli stessi scritti profetici in cui essi ripongono fede.

Altro che incolmabile scissione teologica tra cristiani ed ebrei! Essere (restare) convinti di questa rottura tra cristianesimo ed ebraismo, contrapponendoli quasi fossero due opposte fazioni, significa dimenticare che alla base di essi c'è una natura comune profondamente e radicalmente unitaria. 

Di solito, riflette Boyarin, ci si definisce membri di una religione usando una specie di lista di controllo, grazie alla quale individuiamo quelle caratteristiche che ci accomunano a chi la pensa come noi e ci distinguono (e separano) da chi, al contrario, ha un'altra "confessione di fede".
Ebbene, questo tipo di approccio ha portato a tracciare una linea netta di confine tra cristiani e non cristiani, tra ebrei e non ebrei, ed esso è maturato sotto il Sacro Romano Impero.

"Almeno da un punto di vista giuridico, nel Quarto secolo l’ebraismo e il cristianesimo divennero religioni nettamente separate. Prima di allora, nessuno (con l’ovvia eccezione di Dio) aveva avuto l’autorità di distinguere un ebreo da un cristiano, anzi molte persone avevano scelto di essere entrambe le cose. Ai tempi di Gesù, tutti i sui seguaci – persino coloro che credevano fosse Dio – erano ebrei!"

In special modo, il concilio di Nicea "creò efficacemente ciò che oggi chiamiamo cristianesimo, ma anche, per quanto strano possa sembrare, ciò che oggi chiamiamo ebraismo."

Ma in origine tale divisione non c'era, o comunque non è mai stato un intento di Gesù crearla.

Gesù si è presentato nel modo in cui molti ebrei si aspettavano che facesse il Messia: un essere divino incarnato in un corpo umano; alcuni Gli credettero, altri no, e oggi noi chiamiamo il primo gruppo cristiani e il secondo ebrei, anche se, in principio, le cose non stavano così. 

Boyarin si sofferma molto su espressioni quali "Figlio di Dio" e "Figlio dell'Uomo", precisando come quest'ultima espressione alludesse alla figura divina «simile a un figlio di uomo» che ricorre nel libro profetico di Daniele. In altre parole il profeta dell'Antico testamento parla di "un Dio avente le fattezze di un essere umano (da cui, letteralmente, Figlio dell’Uomo)", per cui questa definizione fa riferimento alla sua divinità dall’umana apparenza.

Il titolo «Figlio dell’Uomo» - attribuito a Gesù nella Bibbia - sottolineava come Egli fosse, quindi, "una parte di Dio" (in possesso di una natura divina), mentre il titolo «Figlio di Dio» indicava lo status di re Messia * (e l'appartenenza alla discendenza del re Davide).

Nella Bibbia ebraica, il termine Mashiach, cioè Messia, indica un essere umano realmente esistito che ha regnato su Israele; gli ebrei aspettavano (e lo aspettano ancora...) un vero sovrano, terreno, in grado di restaurare il casato di Davide come prima dell’esilio. 
Proprio in questa preghiera per un re che doveva venire si svilupparono i semi dell'idea di un redentore promesso, un nuovo re David che Dio avrebbe inviato in terra alla fine dei giorni, un Messia umano e divino (ribattezzato come «Figlio dell’Uomo»).

E' soprattutto nel Vangelo di Marco che vediamo questa precisazione:  Figlio di Dio indica l’umano Messia, in quanto Marco usa il vecchio titolo pensato per il re del casato di David; nel riferirsi a Gesù Cristo come «Figlio dell’Uomo» ne sottolinea la natura divina.

Alcuni ebrei si aspettavano un redentore umano elevato allo status di divinità, mentre altri aspettavano una divinità che scendesse sulla terra e assumesse forma umana.

"Molti ebrei credevano che la redenzione sarebbe stata portata a termine da un essere umano, un rampollo nascosto del casato di David – un «Anastasio», dal greco Anàstasis, «resurrezione» – che a un determinato momento avrebbe preso lo scettro e la spada, avrebbe sconfitto i nemici di Israele e l’avrebbe riportato alla sua antica gloria."

Lungi dal volersi ribellare alla propria "religione", Gesù ha vissuto da ebreo osservante, mangiava kosher * e in generale rispettava e difendeva la Torah. Ciò cui si opponeva erano le deviazioni frutto delle tradizioni farisaiche, che col tempo hanno cambiato le regole della Torah, aggiungendovi precetti su precetti.

L'ebraismo di Gesù, infatti, fu una reazione conservatrice ad alcune radicali innovazioni limitatamente alla legge da parte di farisei e scribi di Gerusalemme.

Il cristianesimo è uno dei sentieri più antichi dell'ebraismo; essi non sono in antitesi e anzi ogni elemento innovativo ravvisabile nel cristianesimo era già presente nella religione ebraica.

Personalmente non ero a digiuno sull'argomento in oggetto e quindi seguire i ragionamenti dell'autore non è stata un'impresa particolarmente ardua, ma c'è da dire che ha uno stile un po' complesso (cervellotico....), tende a ripetere un concetto o a spiegarlo e rispiegarlo in modo un po' prolisso (parere mio eh).

Comunque, a parte questo, ho trovato il presente saggio davvero ricco di spunti interessanti, condivido l'idea che sta alla base - e cioè che non sia giusto e corretto vedere il Cristianesimo come qualcosa di diverso e separato dall'ebraismo, anzi, il primo "deriva" dal secondo - e lo consiglio se avete voglia di approfondire l'argomento.


* puro; lecito (in riferimento al cibo, secondo la religione ebraica)

 * Messia (in ebraico, pronunciato «mashiach») significa ‘l’unto’, e Christos altro non è che la traduzione greca del termine.

lunedì 27 luglio 2020

Segnalazione urban Fantasy: "Melody, la Vestale di Inventia" di Roberta De Tomi



Buon pomeriggio, lettori!

Oggi desidero presentarvi un racconto urban fantasy ispirato alle maghette anime anni Ottanta!

I desideri sono il primo motore mobile di un essere umano. Noi siamo i nostri desideri. Senza di essi, non faremmo nulla. 
È l’idea dominante espressa nell’urban fantasy “Melody, la Vestale di Inventia”

Il racconton asce in un pomeriggio d’autunno di alcuni anni fa, sulla scia della passione dell’autrice per le storie di Michael Ende e per gli anime e manga con protagoniste maghette come Creamy, Magica Emi etc. 
Roberta De Tomi ha messo da parte la storia, per poi riprenderla nel periodo della quarantena legata al Covid-19. 
Dopo averlo sistemato, il racconto è stato messo a disposizione per il download gratuito sui portali eBookService e Google Drive a condivisione pubblica. In tre mesi (da aprile a luglio 2020) il racconto ha ottenuto più di 4mila visualizzazioni su eBookService. 
Ora “Melody, la Vestale di Inventia” è a disposizione su Amazon, sia in edizione digitale che in quella cartacea; quest'ultima è in un formato particolare, in quanto evoca i quaderni scolastici. Scelta volta a richiamare l’età della protagonista, rappresentando al contempo un invito alla scrittura nella lettura, per esprimere la nostra creatività. 
Età di lettura: dai dodici anni in su.



 Melody, la Vestale di Inventia
di Roberta De Tomi


Independently published
52 pp
LINK AMAZON

Tre desideri: sono quelli richiesti a Melody, una brillante e dolce quattordicenne, dal bizzarro Bambino dei Desideri. 
Orfana dei genitori a causa di un incidente stradale dal quale è miracolosamente sopravvissuta, la ragazza non riesce a non avere altro desiderio se non quello di poter riabbracciare mamma e papà.
Giorno dopo giorno, però, proprio grazie allo strano bambino - e alla sua innata creatività - Melody inizia a recuperare frammenti di memoria. C’è però un nemico, viaggiatore del tempo e tra i mondi paralleli, che incombe su di lei. 
La ragazzina si trova spesso sola e sospesa nell’oblio, in bilico sul filo del rasoio della scelta obbligata. 
Riuscirà a capire il senso degli accadimenti? I desideri sono davvero la salvezza di Melody e degli esseri umani? 

“Melody, la Vestale di Inventia” è una storia che parla di magia, sogni e realizzazioni. Parla anche di morte e di rinascita, arricchendosi di elementi emblematici legati al tempo. 


L’autrice.
Roberta De Tomi. Nata negli anni Ottanta, cresciuta a libri, anime, film più o meno trash e musica New Wave, Metal e Hip-Hop, scrive da sempre - online dal 2007 - gestendo blog come lapennasognante.blogspot.com e scrivendo articoli di varia. Tra i suoi lavori: “Come sedurre le donne” (HOW2 Edizioni, 2014), “Chick Girl – Azalee per Veridiana” (Delos Digital, 2016). “Alice nel labirinto” (DAE, 2017), ha ricevuto il secondo premio ex-aequo all’interno del Trofeo Cittadella per il miglior romanzo fantasy 2019. Il romanzo ha ispirato il booktrailer musicale “I’m a prisoner” dei NovelToy, diretto dal regista Giulio Manicardi. Di recente ha pubblicato i racconti lunghi: “Laura nella stanza” (thriller, con e senza finale, 2019) e “Melody, la Vestale di Inventia” (urbanfantasy, 2020), mettendolo a disposizione per il download gratuito in occasione della quarantena.



ESTRATTO

Incipit – Estratto 1 Intro
 - Una voce tra le foglie d’autunno 

«Devi esprimere tre desideri.» «Lo so! Cheppalle!». Lo gridò a tutti i venti possibili, stringendosi nel trench color fango, più per timore di quello che stava accadendo (di nuovo!) che per l’umidità dell’autunno appena iniziato. Un fruscio attirò la sua attenzione verso i rami dei Bagolari e dei Noccioli del Parco degli Scoiattoli. In alcuni punti le estremità si sfioravano come le dita di due timidi innamorati. I rami oscillarono all’improvviso, come se qualcuno li avesse percorsi in tutta la lunghezza. Sicuramente uno dei codosi, come chiamava di solito gli scoiattoli. Melody portò le mani ai lati della bocca. Congiunse le punte delle dita poco sopra alla piccola e odiata gobba del naso, richiamando così la forma di un megafono. «Ehilà? Ci sei?!». Fece una piroetta, mentre la bruma calava dall’alto, come un sipario fastidioso. «Insomma, vuoi mettere fuori il muso?». Scrutò ogni dettaglio del parco, invaso da un silenzio innaturale. Sentì il battito del cuore sincronizzarsi con il tic-tac dell’orologio da polso. Melody si guardò intorno, cercando di mettere a fuoco le forme più vicine a lei e non ancora strette nella morsa della nebbia. «Ehi, bambina, voltati!». Di nuovo, la voce infantile, leggermente rauca, le rammentò la sua presenza. Lei fece come le era stato chiesto, tenendo sul volto la smorfia indispettita. «E che cavolo! Qui dove? E, soprattutto, bambina un corno!».


domenica 26 luglio 2020

Recensione: IL COLORE DEI FIORI D'ESTATE di Anna Jean Mayhew



Ci sono romanzi che - grazie ad una scrittura penetrante e potente, a una trama importante inserita in un contesto ben preciso e difficile, a personaggi intensi e realistici - riescono a coinvolgere il lettore e a smuovere in lui molte emozioni. "Il colore dei fiori d'estate" è uno di questi.



IL COLORE DEI FIORI D'ESTATE
di Anna Jean Mayhew



Ed. Newton Compton
352 pp
Nel 1954 Jubie Watts ha tredici anni e vive a Charlotte, nella Carolina del Nord; in una caldissima giornata di agosto si appresta a lasciare temporaneamente casa per partire per una vacanza in Florida (dallo zio Taylor, fratello della madre); in macchina ci sono sua madre Paula, le sorelle Stell e Puddin, il fratellino Davie e Mary Luther, la domestica. 
Mary è una donna di colore che vive con loro da tanti anni; quando è entrata a servizio presso la famiglia Watts, Jubie aveva solo cinque anni; è cresciuta sentendo la dolce e rassicurante presenza dl Mary e infatti le è affezionatissima.

Da quanto Jubie ne ha memoria, Mary è sempre stata lì, tra le mura di casa sua, a cucinare, a pulire, a offrire il proprio affetto, discreto ma tangibile, la propria serena e pacata devozione, e con tutta la pazienza che le appartiene, ha saputo amare Jubie incondizionatamente e così compensare tanto la rabbia e l'aggressività del capofamiglia, William, quanto le contraddizioni e la freddezza della signora Watts, Paula.

Che i suoi genitori non vadano più molto d'accordo negli ultimi tempi, è pacifico; la curiosa e attenta Jubie se n'è accorta e ne è spaventata, soprattutto perché i litigi tra marito e moglie influiscono sulla serenità famigliare: il padre - che caratterialmente è burbero, scostante, manesco, prepotente - ha preso ad alzare il gomito, cosa che lo rende ancora più propenso ad usare la cinghia e a frustare la povera Jubie con una rabbia e una cattiveria da mettere i brividi.
Jubie è la sola a prenderle, sotto gli occhi tranquilli della madre, che si limita a rimproverarla per aver disobbedito al padre - che quindi aveva le proprie ragioni per punirla - e dandole la crema da mettere sulle ferite; Puddin combina un sacco di marachelle ma è ancora troppo piccola per essere picchiata, mentre Stell è la cocca di papà e ultimamente sta vivendo un risveglio spirituale che la rende, agli occhi di tutti, buona e diligente - la figlia perfetta, in pratica.

La sola presenza rassicurante in casa, dunque, è costituita da Mary, che dai Watts è trattata piuttosto bene, fatta eccezione per qualche atteggiamento un po' altero e distaccato di Paula.
Mary è una brava donna, credente e lavoratrice, ma ha una colpa gravissima agli occhi di molti: è una donna di colore in una società razzista. 

Jubie in vacanza sarà costretta a fare i conti molto da vicino con la discriminazione razziale verso i neri, vedrà con i propri occhi le restrizioni cui sono sottoposti ingiustamente, le umiliazioni, le parole di scherno o di disprezzo ad essi rivolte.

Jubie non lo accetta, e dentro di sé freme, soffre e vorrebbe che la gente vedesse ciò che vede lei, quando guarda la sua Mary: una signora dolce, che per lei è un membro della famiglia e che meriterebbe rispetto.

La ragazzina si sente sola e spaesata nel constatare come a nessuno importi granché se Mary viene chiamata "muso nero" e se non le viene concesso di usare le spiagge o i bagni frequentati dai bianchi; per tutti è normale, va bene così ed anzi... in tanti guardano con molta disapprovazione a quei neri che pensano di poter cambiare lo status quo rivendicando diritti al pari dei bianchi e creando in questo modo un clima di tensione.

Jubie è attratta dalla comunità nera e, in compagnia della fervente e ispirata Stell, riesce a partecipare a dei raduni religiosi insieme a Mary.
Ed è proprio sulla strada del ritorno da uno di questi mega incontri che accade un evento tragico, che segnerà per sempre Jubie.

Sulla scia della terribile vicenda che vedrà protagonista proprio la cara Mary - vittima di un atto vergognoso, manifestazione di un profondo odio razziale, oltre che di una orrenda ignoranza -, Jubie sarà costretta a confrontarsi con problematiche proprie della vita adulta: non solo con quella più grande del razzismo e dell'importanza di opporsi alle ingiustizie, di  difendere i diritti civili della gente di colore, ma anche quelle più "private", relative alla propria famiglia.
Jubie osserva i suoi genitori, ne vede le debolezze, i fallimenti e i limiti; non può evitare comunque di amare quel padre incline alla violenza davanti al quale però si scioglie al solo sentirsi da lui chiamare "Coccinella"; non può non provare comprensione - e a volte pure compassione - per sua madre, una donna bella, che ama piacersi e piacere, con una personalità forte, sebbene offuscata dalla presenza ingombrante e cupa di un marito egoista, che diventa un bruto quando beve un bicchiere di troppo.

Col passare dei giorni e delle settimane, col finire della vacanza, Jubie comprende che è tempo di crescere; Puddin e Davie hanno bisogno di una madre attenta alle loro esigenze, ma Paula non è abituata a vedersela da sola con quattro figli e ha bisogno di aiuto per non crollare.
Le donne della famiglia Watts a un certo punto si troveranno a dover guardare in faccia la verità: la loro famiglia si sta disgregando, e privati della dolce serenità e delle cure amorevoli di Mary, non resta che voltare pagina e costruire il proprio futuro. 
Con nuove consapevolezze.

Tra le pagine di questo bel libro, Anna Jean Mayhew offre uno spaccato realistico e appassionante della vita nel sud degli Stati Uniti negli anni in cui la società americana era ancora attaccata al proprio suprematismo bianco, i neri erano soggetti a moltissime discriminazioni e i loro diritti erano quotidianamente calpestati in ogni ambito della vita civile.
Attraverso gli occhi innocenti e stupiti di una sensibile tredicenne, mi sono sentita spettatrice in prima linea di una serie di avvenimenti ingiusti che mi hanno suscitato molta rabbia; viene spontaneo empatizzare con Jubie quando trema all'idea di contrariare quel padre veloce con la cinghia, o quando soffre e piange perché una persona cui vuol bene viene maltrattata senza che ci si possa opporre e neppure darle un minimo di giustizia. Con la madre di Jubie ho avuto più difficoltà ad entrare in sintonia, in quanto è un personaggio molto scostante, che manifesta poco il suo amore verso le figlie, ma allo stesso tempo ho provato - proprio come la protagonista - tristezza e pietà per lei, che in fondo è una moglie infelice, scarsamente considerata e rispettata da un marito concentrato esclusivamente su se stesso.

Lo sfondo della segregazione razziale (e quindi il periodo storico) avvicina questo romanzo al più famoso The Help, per cui se vi è piaciuto quest'ultimo (personalmente ho visto il film ma non ho letto il libro), il romanzo della Mayhew vi piacerà, come è piaciuto a me.
La giovanissima protagonista fa simpatia perché è coraggiosa, prende decisioni sull'onda delle emozioni, e se ritiene di far la cosa giusta, non ha paura delle conseguenze; la piccola Jubie cresce molto nel corso di quella torrida estate del 1954, e il dolore e le brutte esperienze l'aiuteranno nel suo cammino verso l'età adulta, anche se non sarà un passaggio dolce.

Con una narrazione fluida e limpida, potente nei temi e delicata nello stile, "Il colore dei fiori d'estate" sa toccare il cuore del lettore, non lasciandolo nella tristezza, bensì infondendogli anche la speranza e la consapevolezza che di fronte alle storture del mondo ci si può ribellare e opporre, anche quando sembra di essere soli con le proprie convinzioni.

Nel parlarvi di questo libro avrei desiderato poter iniziare con un pensiero tipo questo: "C'è stato un tempo in cui le persone di colore venivano viste e trattate come esseri inferiori; anni in cui la parola negro veniva sputata con disprezzo dalla bocca dei bianchi, i quali - ritenendosi migliori e superiori - si sentivano liberi di trattare i neri con arroganza e crudeltà. Ma adesso non è più così. Bianchi e neri convivono insieme, pacificamente".
Avrei voluto scriverlo, ma ahimè non sarebbe stato vero.

Molto bello, comunque, e non posso che consigliarvelo; penso possa rientrare  nei romanzi di formazione, per cui credo vada bene per lettori molto giovani (dalla preadolescenza in su).


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