domenica 29 novembre 2020

Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese - scrittrici palestinesi


Il 29 novembre è la Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese *; in questo post vorrei soffermarmi su alcune scrittrici palestinesi.


Susan Abulhawa, cittadina americana, è nata da una famiglia palestinese in fuga dopo la
Guerra dei Sei Giorni e ha vissuto i suoi primi anni in un orfanotrofio di Gerusalemme. In seguito ha abitato in diversi paesi, tra cui anche il Kuwait e la Giordania. Si laurea in scienze biomediche all'Università della South Carolina. Autrice di numerosi saggi, relatrice a diversi convegni e attivista in ambito umanitario, ha fondato l'associazione Playgrounds for Palestine, che si occupa soprattutto dei bambini dei Territori Occupati. Vive in Pennsylvania. I suoi articoli sulla situazione palestinese sono apparsi su numerose riviste (da IBS).


OGNI MATTINA A JENIN (IBS): racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di "senza patria". In primo piano c'è la tragedia dell'esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, come rifugiati, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. L'autrice non cerca i colpevoli tra gli israeliani, che anzi descrive con pietà, rispetto e consapevolezza, racconta invece la storia di tante vittime capaci di andare avanti solo grazie all'amore.

CONTRO UN MONDO SENZA AMORE (IBS): la storia di una donna rinchiusa nel Cubo, tre metri quadrati di cemento armato levigato, privata di tutto. Il mondo lì fuori chiama Nahr una terrorista e una puttana; altri una rivoluzionaria o un esempio. Ma la verità è che Narh è stata una ragazza che ha imparato, presto e dolorosamente, che quando sei un cittadino di seconda classe l'amore è un solo tipo di disperazione; ha imparato, sopra ogni cosa, a sopravvive.

NEL BLU TRA IL CIELO E IL MARE (IBS): la storia ha inizio a Beit Daras, sulla via che dalla Palestina conduce verso Il Cairo, dove vivono Umm Mamduh con le figlie Nazmiyeh e Mariam e il figlio Mamduh. Nel 1948, l'anno della Nakba, la famiglia è costretta dai bombardamenti israeliani a lasciare il paesino, e tra lutti e varie traversie. per i sopravvissuti comincia la dura vita da profughi...


SUAD AMIRY
: è una scrittrice e un architetto palestinese, fondatrice del Riwaq Centre for Architectural Conservation a Ramallah, dove risiede. Nata a Damasco, ha vissuto tra Amman, Damasco, Beirut e Il Cairo, ha studiato architettura all'American University di Beirut e all'University of Michigan, specializzandosi infine a Edimburgo. Attualmente si muove fra Ramallah, New York e l'Umbria. Suad Amiry ha scritto Sharon e mia suocera (2003), a cui hanno fatto seguito Se questa è vita (2005), Niente sesso in città (2007), Murad Murad (2009), Golda ha dormito qui (2013) e Damasco (2016), tutti pubblicati da Feltrinelli. Ha vinto il premio internazionale Viareggio Versilia nel 2004 e il premio Nonino Risit d'Aur nel 2014 
(da Mondadori).


STORIA DI UN ABITO INGLESE E DI UNA MUCCA EBREA (IBS): nel raccontare fatti realmente accaduti e di persone realmente esistite, Suad Amiry, con la grazia e l'ironia che le sono proprie, ci parla di amore, di dolore, di sopraffazioni, affidandosi alla forza dei ricordi di chi la Nakba (catastrofe) e la Shatat (diaspora) le ha vissute sulla propria pelle. (RECENSIONE).


SHARON E MIA SUOCERA (IBS): Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un "diario di guerra". Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, "spara" anche la madre del marito.

MURAD MURAD (IBS). Cambiare sesso. Suad Amiry sa benissimo che è questo l'unico modo per raccontare la paradossale condizione dei lavoratori palestinesi costretti a superare il confine con Israele per trovare lavoro. E così fa. Suad si traveste da uomo e raggiunge nottetempo un villaggio vicino a Ramallah da dove comincia il suo viaggio, lungo le strade costeggiate di olivi che conducono in Israele, insieme al fido Mohammad, a Murad e ai loro amici. Quando, dopo una marcia sulle colline e una serie di traversie, riescono infine a superare il muro e a mettere piede in Israele, è tardi: il lavoro non c'è più. Si confondono con i civili israeliani e salgono su un autobus per cominciare il viaggio di ritorno verso casa. Davanti a loro un paesaggio non ignoto ma visto forse per la prima volta con occhi diversi: tutto quello che era stato "palestinese" non c'è più, non c'è più memoria dell'architettura, delle coltivazioni, della vita quotidiana di un popolo che lì è vissuto per secoli.



OLIVIA ELIAS: originaria di Haifa, in seguito alla nascita dello Stato di Israele e alla Nakba, che
segnò la cacciata delle popolazioni non ebree che vivevano nelle aree israeliane nel 1948, fu costretta a seguire la famiglia in esilio in Libano; successivamente ha vissuto in Canada e infine a Parigi. Economista, poeta ed autrice di studi sulla colonizzazione della Palestina, sostiene i diritti del popolo palestinese attraverso il proprio blog e l’Association France Palestine Solidarité. Oltre ad occuparsi dell’aspetto economico dell’occupazione israeliana (Palestine occupée, la colonisation à marche forcée; Le dé-développement économique de la Palestine), ha pubblicato anche versi che testimoniano il legame più intimo che la unisce alla sua terra natìa (Je suis de cette bande de sable; L’espoir pour seule protection). << fonte 1 - fonte 2 >>



RULA JEBREAL: è nata ad Hajfa nel 1973. Palestinese con passaporto israeliano, in seguito
si è trasferita a Gerusalemme dove frequenta il corso di Laurea in Lingue straniere e Letteratura inglese. Nel 1993 si trasferisce in Italia, a Bologna, con una Borsa di Studio. Inizia a collaborare con «il Resto del Carlino» nel 1997, dove si occupa di cronaca cittadina e per lo stesso giornale, dal 1999, passa alla politica estera con una particolare attenzione alle questioni Medio Orientali. In quegli anni collabora anche con il quotidiano romano, «Il Messaggero», come analista dei conflitti tra il mondo arabo e l'Occidente. Nel 2002 arriva a LA7: prima come ospite di programmi di approfondimento e poi come giornalista per le rassegne stampa dei quotidiani e siti internet in lingua araba. Dal 2003 conduce l'edizione della notte del tg LA7 e in dicembre, il programma Altri Mondi. Frequentemente ospitata in tutte le trasmissioni di approfondimento politico, la Jebreal esordisce nell'editoria nel 2004 per la con Rizzoli con La strada dei fiori di Miral. Nel 2005 conduce su La7 Pianeta 7, il programma di approfondimento nato per raccontare quei paesi che stanno vivendo grandi cambiamenti e che sono protagonisti di una fase significativa della propria storia. Ha condotto nell'estate 2005 Omnibus estate e si è alternata ad Antonello Piroso nel dibattito sul Tema del giorno nella scorsa edizione di Omnibus.
(fonte: la7.it)


MIRAL (IBS): romanzo autobiografico nel quale la giornalista unisce tre generazioni di donne accomunate da un destino che è quello di un popolo e di un Paese. Il romanzo vero di una pluralità di vite, una scrittura capace di evocare un passato perduto e tutta la nostalgia per un futuro di pace che sembra destinato a non arrivare mai.


LA SPOSA DI ASSUAN (IBS): sullo sfondo di una regione del mondo dilaniata dai conflitti, la protagonista fa i conti con la disperazione di un popolo privato non solo della terra ma anche della sua identità. E, giorno dopo giorno, impara a resistere alla violenza costruendo intorno a sé una fitta rete di legami solidali.


(link)
SELMA DABBAGH
: scrittrice anglo-palestinese, avvocatessa, ha lavorato nell’ambito dei diritti umani e del diritto penale internazionale. Vive a Londra e il suo romanzo d'esordio ha vinto il Guardian Book of the Year nel 2011 e nel 2012
(fonte).

FUORI DA GAZA (IBS): ambientato tra Gaza, Londra e il Golfo, il libro ripercorre le recenti vicende del popolo palestinese attraverso le vite di Rashid e Iman nel loro tentativo di costruirsi un futuro nel bel mezzo dell'occupazione, il fondamentalismo religioso e le divisioni tra le varie fazioni palestinesi. 


 
SAHAR KHALIFA
: nata a Nablus, in Cisgiordania, nel 1941, scrive opere di impegno civile per la "causa palestinese" e di denuncia della condizione della donna nella società araba contemporanea
(fonte).

LA PORTA DELLA PIAZZA: Nello scenario dell’intifada palestinese, vicende umane e destini di donne s’intrecciano nella storia di un quartiere, simbolo di una terra occupata.

UNA PRIMAVERA DI FUOCO: nella primavera del 2002, al tempo della seconda Intifada, il libraio e giornalista Fadel al-Qassam vive con la famiglia nel campo profughi di Ein al-Murgian, vicino a Nablus. Devoto alla causa palestinese, l'uomo si scontra spesso con i due figli: il primogenito Magid che vive per la musica e sogna il successo all'estero, e Ahmad, un sensibile adolescente appassionato di pittura e fotografia. Una cotta per Mira, figlia di coloni in un insediamento israeliano, trascina Ahmad in una disavventura che lo porterà dapprima in carcere e poi su posizioni sempre più radicali, mentre Magid passa dapprima alla guerriglia e viene poi reclutato fra le guardie di Arafat. Culmine drammatico del romanzo è l'assedio alla Musqata'a, sede dell'Autorità palestinese a Ramallah, da parte dell'esercito israeliano, con la prigionia di Arafat e la costruzione del Muro fra territori palestinesi e colonie israeliane.



SALWA SALEM
: nata nel 1940 a Kafr Zibàd, un villaggio della Palestina a pochi chilometri da Yaffa, dove si trasferisce con la famiglia per qualche anno prima di dover abbandonare la propria casa a causa del conflitto arabo-israeliano del 1948 e doversi rifugiare nella città di Nablus in Cisgiordania. Qui trascorre parte della sua giovinezza, partecipando alle frequenti riunioni tenute dal fratello, arrestato più volte per il suo impegno politico in difesa dei diritti dei palestinesi. Nel 1970 si trasferisce in Italia; colpita da un cancro che la porta alla morte nel 1992, ha raccontato la propria  esperienza di palestinese esule in una lunga testimonianza, scritta in collaborazione con Laura Maritano, da cui è nato il libro "
CON IL VENTO NEI CAPELLI".

In esso Salwa Salem racconta la sua storia di palestinese nata in quella terra di aspri conflitti e costretta a un lungo esilio. Quando Salwa ha 8 anni la famiglia viene sradicata dalla sua terra in seguito all'esodo di massa di tre quarti della popolazione palestinese dovuto alla fondazione dello Stato di Israele, e si trasferisce a Nablus. A soli 15 anni Salwa entra nel partito Ba'ath, fa volantinaggio per la causa palestinese, discute con le compagne sui diritti delle donne. Negli anni successivi lotta per poter studiare, lavora come insegnante in Kuwait e riesce a iscriversi all'università di Damasco. Si sposa per amore, e col marito si trasferisce a Vienna e poi in Italia. In un intreccio di fattori storici ed economici, fedi politiche e religiose, scelte complesse fra emancipazione e tradizione, fra desiderio di pace e necessità di lotta, emerge l'originale personalità di una donna che ha voluto essere soprattutto se stessa (GIUNTI).





*  in questo giorno (dichiarato nel 1977 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite) si vuole ricordare che ad oggi "il conflitto" che si consuma in Palestina non solo non ha visto ancora una soluzione, ma al popolo palestinese vengono negati i diritti fondamentali ed inalienabili che appartengono a ogni persona e a ogni popolo, che sia il diritto all’autodeterminazione senza alcuna interferenza esterna, all’indipendenza e alla sovranità nazionale, e il diritto di fare ritorno alle proprie abitazioni che hanno dovuto abbandonare.

Perché proprio questo giorno? Perchè il 29 Novembre 1947  fu approvata dall'assemblea generale la risoluzione 181 che prevedeva il piano di partizione della Palestina elaborato dall'Onu e che definiva l'istituzione di uno stato ebraico e di uno arabo in Palestina, ma solo il primo è stato creato. 

venerdì 27 novembre 2020

Prossimamente in libreria (dicembre - gennaio 2021)



Diamo un'occhiata a qualche pubblicazione futura?

Partiamo da un romanzo della fortunatissima serie I bastardi di Pizzofalcone.


FIORI
per i bastardi di Pizzofalcone
di Maurizio De Giovanni



Einaudi Ed.
272 pp
USCITA
1° DICEMBRE 2020
Savio Niola, proprietario di uno storico chiosco di fiori, è stato ammazzato. Un delitto che sconvolge Pizzofalcone, perché l'anziano era amato da tutti nel quartiere. 
Lo consideravano una specie di «nonno civico», che non avendo una famiglia propria si prodigava per quelle degli altri. Aiutava i giovani spingendoli a studiare, cercando di tenerli lontani da strade senza ritorno; chiunque si rivolgesse a lui poteva contare su una parola gentile, su un po' di attenzione, se necessario su un sostegno materiale. 
Eppure è stato letteralmente massacrato. 
Chi può avere tanto odio, tanta rabbia in corpo da compiere un gesto simile? 
Poco tempo prima l'uomo si era esposto contro il racket che taglieggia i commercianti della zona, ma la pista della criminalità organizzata non convince i Bastardi, ancora una volta alle prese con un caso difficile da cui, forse, dipendono le sorti del commissariato. 
Un commissariato che, per loro, è ormai molto piú di un luogo di lavoro. Come per Savio era il suo chiosco.






Il secondo libro racconta la saga di una famiglia che si dipana lungo tutto il Novecento, in un Paese diviso e segnato da carestie e guerre, dittature e rivoluzioni. Tre generazioni di donne forti, che affrontano la vita con coraggio e determinazione. 




QUANDO LE MONTAGNE CANTANO
di Phan Que Mai Nguyen



Editrice Nord
trad. F. Toticchi
USCITA
11 GENNAIO 2021
Dal loro rifugio sulle montagne, la piccola Hương e sua nonna Diệu Lan sentono il rombo dei bombardieri americani e scorgono il bagliore degli incendi che stanno devastando Hanoi. 
Tornate in città, scoprono che la loro casa è completamente distrutta, eppure non si scoraggiano e decidono di ricostruirla e, per infondere fiducia nella nipote, Diệu Lan inizia a raccontarle la storia della sua vita: degli anni sotto l'occupazione francese e durante le invasioni giapponesi; di come tutto fosse cambiato con l'avvento dei comunisti; della sua fuga disperata verso Hanoi senza cibo né denaro e della scelta di abbandonare i suoi cinque figli lungo il cammino, nella speranza che, prima o poi, si sarebbero ritrovati. 
E così era accaduto, perché lei non si era mai persa d'animo. Quando la nuova casa è pronta, la guerra è ormai conclusa. I reduci tornano dal fronte e anche Huong finalmente può riabbracciare la madre, Ngọc. 
Ma è una donna molto diversa da quella che lei ricordava. 
La guerra le ha rubato le parole e toccherà a Huong darle una voce, per aiutarla a liberarsi del fardello di troppi segreti...





Proseguo con un'autrice romance italiana di cui ho letto diversi romanzi appartenenti alla serie Roma Caput Mundi.


FIGLIA DI ROMA
di Adele Vieri Castellano


Amazon Crossing
USCITA 
12 GENNAIO 2021

È una donna, non più una bambina, e solo lui può aiutarla

Britannia, 61 d.C. Le orde di Boudicca hanno invaso la pianura. Animata da un devastante desiderio di vendetta, la regina guerriera ha realizzato l’impossibile: unire tutte le tribù britanniche contro l’invasore romano.
Ad assistere alla devastazione c’è un uomo. Osserva gli edifici in fiamme, aspira l’odore degli incendi, ascolta le grida disperate delle vittime. Impotente, solo, ha quasi dimenticato il suo vero nome ma non la missione che gli ha affidato l’imperatore cui deve fedeltà. Nessuno potrà fermarlo perché il destino di molti, forse anche quello dell’Impero, è nelle sue mani.
La sua determinazione è però destinata a scontrarsi con un’ombra dal passato che potrà mettere in discussione la sua stessa identità. La ricordava bambina ma adesso è una donna e ha bisogno della forza, della lealtà e del valore di un soldato romano. 
Valeria, la figlia di Marco Quinto Valerio Rufo, ha un nuovo, pericoloso incarico per lui.





giovedì 26 novembre 2020

Recensione: LA COSA VERAMENTE PEGGIORE di Torey L. Hayden



Ogni bambino ha il diritto di avere una famiglia che gli doni amore, cura, protezione..., e quando questo non si verifica, è inevitabile che il bambino che ne è privato cresca sentendosi poco amato, non voluto, insomma un oggetto, anzi un peso di cui gli adulti vogliono sbarazzarsi il prima possibile.
Non è questa una delle cose peggiori che possa capitare a un bambino?




LA COSA VERAMENTE PEGGIORE 
di Torey L. Hayden



Corbaccio Ed.
trad. L. Corradini Caspani
176 pp
David è un ragazzino di undici anni che sin da piccolino ha avuto un'infanzia davvero difficile, fatta di abbandoni, case famiglia e genitori affidatari che l'hanno mandato via all'insorgere dei primi problemi.

Il primo abbandono è stato quello della madre; il padre, poi, non lo ricorda neppure!
L'unico legame famigliare è costituito dalla sorella maggiore Lily, con cui però non ha un gran bel rapporto, perchè la ragazza è più problematica del fratello: è un'adolescente ribelle, ingestibile, ha tentato molte volte di fuggire dagli istituti e ha sempre dato del filo da torcere alle famiglie affidatarie e ai servizi sociali.
E poi Lily è poco carina e gentile con lui, lo tratta con sufficienza, quasi con disprezzo e chiamandolo "stupido" e "ritardato".

Ma David non è stupido ed è, anzi, molto consapevole dei propri "problemi" e limiti: parla con difficoltà (balbetta), tende ad avere reazioni violente quando si sente accusato, aggredito, non compreso, ed è un po' lento nell'apprendimento. 

La sua vita è tutt'altro che lieta, la sensazione che nessuno lo voglia e lo amerà mai, è forte e concreta.
In un'esistenza così frantumata, spezzata, il suo tentativo di mettervi ordine per capirci qualcosa, si traduce nello stilare (e aggiornare di volta in volta) una lista di cose brutte, per trovare ogni volta «la cosa veramente peggiore»; la scelta di "cose peggiori" è certamente vasta, dall'andare dal dentista all'essere picchiato dai compagni, al non avere nessuno che si preoccupa per lui. 

"Sapeva anche quale fosse la cosa veramente peggiore. Era il nulla. Quando non c'era nessuno a cui  importasse qualcosa di ciò che ti capitava. Era il non appartenere a nessun luogo e a nessuna creatura.
Ecco cosa c'era al Primo Posto nell'elenco delle Cose Veramente Peggiori. David lo sapeva, perché l'aveva provato."

Eppure, anche per uno sfortunato cronico come il nostro David, sono in arrivo alcune novità.
Anzitutto viene affidato ad una signora anziana, Mrs Granny, che si rivela da subito affettuosa, dolce, comprensiva; la donna lo tratta con rispetto e affetto, lo ascolta, gli parla con amore, mostrando un sincero interesse per questo ragazzino strano e solo.

Ma non è l'unica cosa positiva che gli capita: un giorno, in cui è molto arrabbiato, si ritrova a prendere a calci un nido di gufi, e la sua attenzione viene catturata da un uovo non ancora dischiuso.
David lo prende e decide di tenerlo con sé, sperando che si schiuda e dia alla luce un bel gufetto da allevare che possa diventare per lui un amico.
Ma il bambino non sa nulla di gufi e uova da custodire, e rischia di far morire l'uovo prima ancora che si rompa; per fortuna a scuola conosce una bambina particolare - o meglio, ritenuta dai coetanei strana, come lui -, Mab (Madeleine).

Mab è piccolina, minuta, ha otto anni ma, avendo un'intelligenza spiccata e fuori dal comune, è due anni avanti, a scuola.
Per questo suo essere piccola d'età e nel fisico, è oggetto di emarginazione e derisione da parte di ragazzi più grandi, che altro non sono che bulli stupidi e prepotenti, abituati a prendersela con i più deboli.
David compreso, che viene preso facilmente di mira dallo stesso gruppetto di ragazzi maleducati e strafottenti.

David non vuole ammetterlo, ma si sente attratto dalla piccola e vivace Mab perché c'è qualcosa che li accomuna; beh, lei è più fortunata di lui - ha mamma e papà, due fratellini, una casa, giochi, computer... -, ma è anch'ella sola, esclusa, costantemente presa in giro.

Tra i due, nonostante la diffidenza e i timori di un impacciatissimo David, nasce un rapporto di amicizia, che inizialmente ruota attorno al piccolo uovo di gufo; la ragazzina propone, infatti, a David di porre l'uovo in un'incubatrice collocata nel capanno appartenente alla famiglia di Mab.
In questo modo, i due ragazzini sono "costretti" a vedersi ogni giorno per controllare i progressi del gufo - che viene battezzato, prima della "nascita",  con il nome di "Re Artù"- e il legame dì amicizia tra due emarginati, ritenuti dagli altri "fenomeni da baraccone", cresce di giorno in giorno, diventando un punto di riferimento importante per entrambi.

"Ecco cos'è un fenomeno. È soltanto una persona diversa".

Ogni tanto spunta Lily, che con il suo modo di fare instabile e irruento, cerca di travolgere il fratellino nelle sue "pazze idee"; a scuola poi i dispetti perfidi dei bulli non accennano a smettere e la frustrazione provata da David nei confronti di questa situazione è tanta..., insomma, le cose non vanno benissimo, però, gli basta sentire il profumo delle prelibatezze cucinate amorevolmente da Granny, osservare i progressi di Re Artù e, perché no?, anche bisticciare con Mab, perché David si renda conto che forse - ma è bene dirlo a bassa voce e con cautela - qualcosa di buono sta per accadere anche a un tipo come lui.

David è un ragazzino che fa tenerezza perchè le sue fragilità, le lacune emotive, affettive, frutto del suo vissuto, sono tutte chiare ed evidenti; e come spesso capita, sembra che la sfortuna sia dietro ogni angolo, pronta a ricordargli la sua condizione di abbandonato, di bambino solo, sbattuto qua e là da una famiglia all'altra, con l'incubo dell'assistente sociale a riportarlo in orfanotrofio in attesa di "ricollocarlo" presso nuovi genitori adottivi (e con la speranza che siano finalmente "quelli giusti!).
Ma anche per un bimbo "sfortunato" come lui c'è uno spiraglio di nuove opportunità e David avrà modo di scoprire cosa voglia dire instaurare rapporti con persone che lo stimano, gli vogliono bene e che meritano, da parte sua, lealtà e affetto.

E soprattutto, finalmente potrà fare esperienza di cosa significhi appartenere a qualcuno, e questo infonderà in lui fiducia nelle persone e in se stesso: 

"appartenere (...) vuol dire prendersi cura l'uno dell'altro. Vuol dire prendersi a cuore il destino di qualcun altro. Prenderselo a cuore tanto da volere che non gli capiti niente di male, anche quando questo significa non poter avere ciò che si vorrebbe."

Un romanzo breve, che pur essendo essenziale e asciutto nello stile, si sofferma con delicatezza (e senza fare psicologia spiccia) su un tema complesso e importante qual è quello dell' abbandono dei minori, degli affidi e delle sofferenze emotive e psicologiche che insorgono in questi poveri bambini e adolescenti "senza famiglia".

mercoledì 25 novembre 2020

Segnalazione: IL GIARDINO DELLE MELE di Maria Giovanna Farina (II edizione)




In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne vi segnalo la seconda edizione (ampliata e corretta) in ebook del libro IL GIARDINO DELLE MELE di Maria Giovanna Farina, ad un prezzo vantaggioso ( 3.50 euro), che possono permettersi anche i giovani.
 Il libro è solo su Amazon >> LINK


La mancanza di parità è terreno fecondo


per la violenza, Il Giardino delle mele ribalta ironicamente la condizione femminile a partire da Adamo ed Eva: se fosse stato Adamo a tentare Eva? Come sarebbe finita la storia dell'umanità? 
Nella seconda parte, il libro affronta con determinazione la violenza sulla donna con l'obiettivo di dare uno strumento di prevenzione. 

Una seconda edizione che contiene riflessioni per aiutare ad elaborare gli stereotipi ed individuare i diversi volti della violenza, sono proposte filosofiche pratiche atte a favorire l'applicazione della nonviolenza alle relazioni.

COVER REVEAL >> "Quello che non ti aspetti" di Giovanna Roma




Cari lettori e lettrici, il post di oggi è dedicato all'uscita del nuovo romanzo di Giovanna Roma: si tratta di una storia di sport, amicizia e vita, la cui uscita è prevista per il 9 dicembre.



Quello che non ti aspetti

FORMATO: digitale e cartaceo
Self-pubblishing
GENERE: Sentimentale
DATA PUBBLICAZIONE: 09 dicembre 2020
GRAFICO: SP Graphic Design

GOODREADS: https://bit.ly/3nxEWA8


SINOSSI

Sono noto per i miei scatti di rabbia. Ho il numero maggiore di penalità nella squadra di hockey e la faccia sulle riviste scandalistiche. Metto nei guai chi se lo merita e Hope Harley lo merita più di tutti.
Questo finché scopro che qualcosa di più grande di lei manovra la sua vita. All'improvviso i miei soldi sono carta straccia, i muscoli inutili. La mia sregolatezza diventa un'esistenza vuota.
Hope è cieca ai rischi. Sfida Golia, si lancia nel dirupo, non rimanda e ricomincia da zero ogni giorno.
La lezione più dura che mi abbia impartito? Lei è la verità, mentre io sono una bugia.

BIOGRAFIA AUTRICE.
<<Sono nata e cresciuta in Italia e viaggiato sin da bambina. I generi che leggo spaziano tra thriller, psicologia, erotico e dark romance. Anche quando un autore non mi convince, concedo sempre una seconda possibilità, leggendo un altro suo libro. Sono autrice dei romanzi "La mia vendetta con te, il suo sequel "Il Siberiano", lo storico "Il patto del marchese" e la serie dark "Deceptive Hunters".>>








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sabato 21 novembre 2020

Libri in lettura (novembre 2020)

 

Buongiorno, lettori carissimi!

Come procedono le vostre letture?

Io proseguo con Leggere Lolita a Teheran, e ho iniziato questi tre libri:


LA COSA VERAMENTE PEGGIORE di Torey Hayden (Corbaccio Ed., trad. L. Corradini

Caspani, 176 pp).

David è un ragazzino difficile: abbandonato dalla madre da piccolo, parla con difficoltà, è violento e apparentemente ritardato. Le famiglie alle quali è stato affidato insieme alla sorella hanno finito per rispedirlo agli assistenti sociali. Il suo modo di fare ordine in una vita spezzata è quello di trovare «la cosa veramente peggiore»: andare dal dentista, essere picchiato dai compagni, non avere nessuno che si preoccupa per lui. Fino a quando, insperabilmente, i brandelli della sua esistenza cominciano a trovare un significato: la «nuova famiglia» è una donna sola che potrebbe essere sua nonna, ma che lo tratta con rispetto e affetto, e i suoi nuovi amici sono una bambina più piccola e geniale – e per questo emarginata proprio come lui – e un piccolo gufo orfano. 

Torey Hayden, una delle autrici più esperte e attente al mondo dell'infanzia e ai suoi problemi, ha scritto questo libro sui bambini e rivolto anche ai bambini con la maestria e la delicatezza che l'hanno resa un vero e proprio punto di riferimento amatissimo dal pubblico.


LA DONNA DEL RITRATTO di Kate Morton (Sperling&Kupfer, trad. E. Cantoni, R. Salerno, 496 pp).

Nell'estate del 1862, un gruppo di giovani artisti si riunisce a Birchwood Manor, una grande casa nella campagna dell'Oxfordshire.
A guidare il gruppo è Edward Radcliffe, il più appassionato e promettente di loro. A lui è venuta l'idea di immergersi nella natura per trenta giorni, lontano da Londra e dalla sua formalissima society, per dare libero sfogo alla creatività. 
E invece, alla fine di quel mese, la tragedia stravolge le loro esistenze: una donna viene uccisa, un'altra sparisce nel nulla e un prezioso gioiello scompare. 
Più di centocinquanta anni dopo, una giovane archivista di Londra s'imbatte in una scoperta che la riporterà sulle tracce di una storia dimenticata nel tempo, dei segreti di Birchwood Manor e di una ragazza apparsa in un ritratto perduto e ritrovato.




LA VITA STRAORDINARIA DI SAM HELL di Robert Dugoni (Amazon Crossing, trad. R. Marasco, 493 pp).

Sam Hill ha sempre guardato il mondo con occhi diversi. È nato con le pupille rosse, e i compagni lo chiamano “il bambino diabolico” o Sam “Hell”, come l’inferno.  
Per sua madre, invece, l’albinismo oculare indica la “volontà di Dio”, ciò che lo rende straordinario. Confortato dalla fede materna, lui tiene duro, anche grazie alla solida saggezza del padre e a due amici insostituibili: Ernie Cantwell, l’unico afroamericano della scuola, e Mickie, che irrompe nelle sue giornate come un tornado.
Oggi che ha quarant’anni ed è diventato un oftalmologo, Sam non crede più che la sua vita sia straordinaria, tanto meno dopo la tragedia che lo ha costretto a voltare le spalle al mondo che conosceva. 
Scappare dal dolore a occhi chiusi però non gli è servito. 
Guardando indietro alla sua esistenza, mentre viaggia per il mondo, ha gli occhi bene aperti e sa distinguere con chiarezza ciò che l’ha cambiato, l’ha plasmato e l’ha tanto spaventato. E finalmente riuscirà a mettere a fuoco quel che conta davvero.

venerdì 20 novembre 2020

Recensione: L'EROE DI ELEANOR (Natale in città, vol. 2) di Jill Barnett



A Natale manca poco meno di un mese, è vero, ma io ho avuto modo, attraverso il delizioso racconto che vi propongo oggi, di immergermi nella fredda, innevata e frizzante atmosfera natalizia newyorchese, e di godermi momenti di dolcezza e romanticismo.



L'EROE DI ELEANOR
(Natale in città, vol. 2)
di Jill Barnett



Babelcube Inc.
75 pp
trad. Isabella Nanni
"Tutte le volte che era con lui, non era se stessa. Il brutto dell'amore era che rendeva diversi; ti faceva comportare in modo irrazionale. L'amore era molto simile al clima invernale. Arrivava nel momento peggiore e ti rendeva la vita impossibile. come la neve e il ghiaccio che cadevano, poi si scioglievano. Non ce n'era motivo, succedeva e basta. L'amore ti dava uno schiaffo in faccia senza alcuna spiegazione logica. Ci si poteva chiedere perchè all'infinito, ma questo non cambiava il fatto che si amava la persona che si era destinati ad amare." 

Ah, che fascino New York a Natale, tra cumuli di neve bianca, slitte, gente che canta canzoni natalizie: il periodo e la location adatte per innamorarsi, vero?

Siamo verso la fine del 1800 e la signorina Eleanor Austen è costretta, dopo la morte del nonno, a trasferirsi in un angusto appartamentino all’ultimo piano dell’edificio che l'anziano aveva affittato a Conn Donoughue, proprietario di una palestra piuttosto rumorosa.

Il bello ed aitante Conn è un famoso pugile irlandese, di 32 anni, ed è pure single. Ma non per molto, perché il destino - o lo spirito del Natale - ha deciso di dargli un aiutino in amore!

Quando scopre che, da un giorno all'altro, l'appartamento del quarto piano dello stabile in cui ha la palestra, sta per essere occupato dalla legittima proprietaria, si infuria perché lì ci sono alcune sue cose, che egli ha temporaneamente sistemato in quei locali sapendoli disabitati.

Ma a quanto pare la bella Eleanor ha deciso di riappropriarsene; del resto, non avendo un lavoro e non potendo, quindi, permettersi un affitto, deve necessariamente andare ad abitare nella casa del nonno.
Tra i due non scorre proprio una grandissima simpatia: lei si rivolge al giovane cercando di mantenersi altezzosa, distante, ma è solo perché quel benedetto ragazzone tutto muscoli e con un sorriso furbo e intrigante, in realtà le provoca più di un brivido e la fa arrossire come mai nessuno è riuscito a fare.

Conn, dal canto suo, si mostra sicuro di sè, ironico, pronto a far battute per mettere in imbarazzo la bella proprietaria, ad es. rivolgendosi a lei con un nomignolo, Nellibelle, che alla donna fa saltare i nervi.

Eppure..., a dispetto di menti alzati e braccia incrociate, risposte secche e ghigni sarcastici, Conn ed Eleanor si piacciono, e anche tanto.
Cosa li frena allora dal dichiararsi l'uno all'altra?

A dire il vero, tempo prima tra loro c'è stato un piccolo avvicinamento, ma qualcosa è andato storto, e  adesso, se lui cerca di farle capire quanto gli piaccia, la donna scappa a gambe levate.
Come mai? Eppure, non solo l'attrazione per Conn non è scemata, ma anzi i sentimenti sono sempre più forti.
Cosa impedisce a Nellibelle di lasciarsi andare e vivere un amore appassionato con l'uomo che le ha fatto perdere la testa e che sembra contraccambiare?

La motivazione risiede nella paura di fare la cosa sbagliata, di essere giudicata male dagli altri e di non essere la donna adatta per Conn, facendogli più male che bene.
E già, perché tra i due ci sono otto anni di differenza d'età.
Lei ha quarant'anni suonati e lui trentadue: cosa direbbe la gente di una donna non più giovanissima che si fidanza con un giovanotto nel pieno del suo vigore?
Considerato il periodo storico in cui la vicenda è ambientata (che poi, diciamocelo: non è così raro anche ai nostri giorni vedere gente che storce il naso di fronte a coppie in cui lei è più grande di lui), questi dubbi ci stanno, ma quando c'è l'amore, un ostacolo come otto anni di differenza può essere tranquillamente superato.

Donn è caparbio, determinato e, soprattutto, sinceramente innamorato della sua Nellie, e non è intenzionato a perderla, anche perché per lui Eleanor è a dir poco bellissima e poco gli importa che lei sia più "vecchia" di lui.

È un racconto che si legge con molta scorrevolezza, è davvero piacevole, delizioso, romantico al punto giusto e con due protagonisti che entrano facilmente nelle simpatie del lettore: lei è fragile, insicura, cerca di mostrarsi forte e indipendente ma ha un disperato bisogno di protezione, amore, di una famiglia; lui, nonostante i pettorali d'acciaio e l'altezza notevole, è un cucciolo tenero e pieno d'amore da dare.

Conn ed Eleanor sono due persone terribilmente sole e trovano nel sentimento che li lega un'ancora di salvezza, una preziosa opportunità per riempire certi vuoti delle loro esistenze con un affetto importante e dare un senso a una quotidianità altrimenti triste e grigia.  

Il romanticismo presente in questo racconto natalizio di Jill Barnett, lungi dallo scadere nella stucchevolezza e nelle smancerie patinate, ci regala anche diversi momenti buffi, ironici, che fanno sorridere perché la protagonista, più cerca di darsi un contegno e di dimostrare di non avere bisogno di Conn, più combina guai..., e menomale che c'è lui a correre in aiuto della sua Nellie!
Mi è piaciuto anche il contesto, che non è quella parte di New York ricca, ma una zona di quartieri dove vive gente semplice, cui piove dentro casa perché l'acqua filtra da un tetto in pessime condizioni.

Lettura agile e gradevole, ideale per chi ama storie romantiche e l'atmosfera magica e da sogno che  il Natale sa creare.

mercoledì 18 novembre 2020

Recensione: IN UN MILIONE DI PICCOLI PEZZI di James Frey


Tra queste pagine, terribili e inesorabili, si consuma il difficilissimo tentativo di disintossicazione da alcool e droga da parte di un giovane di 23 anni, che altri non è che l'Autore, il quale quindi ci parla di se stesso e dell'esperienza vissuta in prima persona, e lo fa con una narrazione frenetica, sofferta, cruda, da cui trasuda tutto il dolore per il male fatto (a se stesso, ai propri cari e non solo) e tutta la tenera - sì, tenera! - tenacia di chi sta provando ad uscire dal tunnel, a resistere alla tentazione di ricaderci, a trovare in se stesso la forza per vivere libero da ciò che lo porterebbe sicuramente alla morte. 
La tenacia e la disperazione di chi sta provando a rinascere dalle proprie ceneri, a rimettere insieme quel milione di piccoli pezzi in cui si era ridotto e frantumato.


IN UN MILIONE DI PICCOLI PEZZI 
di James Frey





Tea Edizioni
trad. B. Amato
459 pp

Un ragazzo di 23 anni si risveglia a bordo di un aereo in uno stato di totale confusione, al confine tra la vita e la morte, conseguenza del massiccio (e protratto nel tempo) abuso di alcol e droghe. 

La famiglia, sbalordita, smarrita e disperata, lo accoglie all'aeroporto di Chicago per trasferirlo in una clinica di riabilitazione del Minnesota. 

James è un ragazzo pienamente consapevole di se stesso, dell'esistenza sbandata condotta fino a quel momento, e lo è anche delle conseguenze tragiche cui andrà incontro se non decide una volta per tutte di cambiare strada.
A confermarglielo è il dottore che lo visita e che, senza troppi giri di parole, gli dice che, se dovesse toccare un goccio di alcol o "farsi" anche solo una volta, ad attenderlo c'è la morte sicura.
Il suo corpo è al limite, è stato provato in una maniera allucinante e non sarebbe in grado di reggere l'assunzione di quella robaccia che è pane quotidiano per James da tantissimi anni.

E allora che si fa, caro James? Resti o scappi? Vivi o muori?
Perché la scelta è tutta lì, ed è la più importante della tua vita, la più tosta che dovrai mai capitarti di prendere.

La tentazione di mollare quel percorso neppure iniziato c'è e non è facile resisterle; ma qual è l'alternativa? 
James lo sa: se non scegli la vita, allora ti aspetta la morte.

Certo, restare ed affrontare la disintossicazione è spaventoso e nei due mesi che trascorre in clinica il ragazzo dovrà combattere contro i propri demoni e contro la Furia, la rabbia cieca e violentissima che gli monta dentro e che pretende di essere placata con lo sfogo più animalesco: James ha una rabbia dentro di sé talmente (auto)distruttiva da provarne lui per primo paura.

Eppure con quella Furia interiore è praticamente cresciuto, visto che la cova da quando ha incominciato a sbandarsi, a vivere come uno scapestrato, il che ha avuto inizio a soli dieci anni.
Già, dieci anni. Un bambino.
Un bambino che ruba le bottiglie di liquore ai genitori, che comincia a fumare e poi ad assumere droghe, per poi darsi a vizi e stravizi sempre più illeciti e pericolosi man mano che gli anni passano, con relativa e costante infrazione di ogni tipo di regole, commettendo molti reati e maturando problemi con la giustizia.
Anni vissuti facendosi del male e facendone anche ai propri cari, agli amici e a tante persone incrociate lungo il proprio cammino, molte delle quali sono state vittime della condotta terribile di un James fuori controllo e privo di freni morali, che agiva spinto da una cattiveria che, colpendo gli altri, cercava di distruggere principalmente la propria persona.

James, all'interno della struttura, interagisce col personale che vi lavora e con gli altri ospiti, uomini che, come lui, sono stati feriti e messi in ginocchio dalle dipendenze.
I rapporti interpersonali già non sono semplici in casi normali, figuriamoci in un contesto popolato da individui che hanno sempre vissuto infischiandosene di tutto e tutti, con l'unica preoccupazione di soddisfare la propria voglia di droga, sesso, alcool.
Con qualcuno avrà inizialmente delle rogne, con altri "pazienti" instaurerà rapporti di amicizia, fatti di scherzi, risate, confessioni, pianti e abbracci: sono quelle amicizie particolari ed uniche nel loro genere, che possono nascere soltanto in situazioni anomale, straordinarie, quando a incontrarsi sono esseri disperati, giunti al limite, che sanno che quella è, molto probabilmente, la loro ultima possibilità per non morire da drogati e alcolizzati.

Stare senza bere e farsi non è una passeggiata, e James dovrà davvero fare appello a tutte le proprie energie fisiche e mentali, alla propria sincera e convinta volontà di non soccombere ma di rinascere, di riprendersi la propria vita di ventitreenne, per dare un senso al percorso in Clinica.

James riconosce che c'è un sacco di gente che cerca di far bene il proprio lavoro e di aiutare davvero chi è affetto da forti dipendenze, eppure egli non condivide la logica e l'ideologia "spirituale" che c'è dietro ai cosiddetti "Dodici Passi", che è il programma portato avanti in clinica e che si basa sull'intraprendere un cammino di "redenzione" attraverso degli step che permettano alla persona con queste problematiche di affidare a un "potere spirituale superiore" (Dio, per chi ha fede) la propria vita e il proprio desiderio di rinascere; pensare di uscirne contando esclusivamente sulle proprie forze, è da pazzi, e il fallimento è una possibilità concreta.

E poiché James non nutre alcun tipo di fede in un essere superiore, o trova la giusta forza e motivazione in se stesso, o è destinato all'insuccesso.

Ma ecco che, proprio quando si sente poco motivato a restare, i suoi occhi incrociano quelli di Lilly, una ragazza minuta, bella, magra come uno scricciolo, che ha alle spalle una storia di abusi, soprusi e sofferenze che nessuno dovrebbe passare nella propria vita; Lilly è un'anima in pena, bisognosa di amore e sicurezze, di conforto e di un po' di pace, e James sente nascere e crescere dentro di sè un sentimento di amore e di tenera protezione per questa ragazza dalle ali spezzate, che si lega a lui con il medesimo slancio e la medesima disperata necessità.
Il loro amore non nasce nel posto e sotto gli auspici migliori: basterà a dar loro la motivazione per cercare di guarire e uscire dalla clinica pronti ad affrontare il mondo?

Lo scrittore scrive scrive scrive... ed è un fiume in piena, che "vomita" (passatemi l'espressione poco piacevole, ma credo renda bene il concetto) con un ritmo frenetico ("su di giri") parole, frasi, pensieri tortuosi e tormentati di un'anima angosciata e impaurita, la cui fissa è bere/drogarsi, perchè è questo che il suo corpo pretende, perché a questo è stato abituato negli ultimi dieci anni.
Sono pagine piene di sofferenza fisica e psicologica e ci sono diversi passaggi descritti con una spietata onestà da suscitare il rigetto nei lettori più sensibili.

A predominare in James è la PAURA, e con essa la triste sensazione di essere irrimediabilmente solo, incompreso, e di non meritare amore da nessuno, genitori compresi.
il racconto del presente è interrotto dai flashback che ci riportano indietro nel tempo, ad esperienze passate, agli incontri sbagliati, ai tanti terribili errori commessi.

Volutamente, l'Autore fa un uso essenziale e molto parco (ed arbitrario, se vogliamo) della punteggiatura, usando molte coordinate ed omettendo virgole, punti, le virgolette del discorso diretto ecc..., come per rovesciarci addosso il vissuto emotivo del protagonista - un individuo a pezzi - e tutta l'ansia, il senso di urgenza (basta orpelli, inutilità, basta perdere tempo in cose che non servono: è tempo di dire tutta la verità, di tirar fuori tutto quello che c'è nel corpo e nella mente, per liberarsi di ciò che è "sporco", cattivo"), di frenesia, di rabbia, insomma tutto il carico di pensieri impetuosi e tortuosi e di emozioni intensissime che hanno travolto lui e che inevitabilmente travolgono il lettore.

È un libro che "fa male" male, e non potrebbe essere diversamente, in quanto leggere il tipo di sofferenza provata da chi sta cercando di disintossicarsi è faticoso emotivamente; James pronuncia spesso frasi come "Mi faccio schifo", "Non ho fiducia in me, stima di me, senso del mio valore".

"Le ferite che non guariscono mai possono essere piante solo da soli".

Accanto a quella "massa di dolore, tristezza, afflizione, angoscia e pena" ci sono diversi momenti di solidarietà, tenerezza e commozione, perché in fondo queste persone ferite e rotte hanno bisogno di sentire che non sono sole, che non tutto è perduto e che c'è un briciolo di speranza anche per loro.

Ho sofferto con e per James, il quale però - a dispetto delle pessime condizioni emotive e psicofisiche in cui è al suo arrivo in Clinica - mostra un'incredibile resistenza al dolore (per la sua crudezza, la descrizione dell'intervento ai denti senza anestesia mi ha provocato veramente dei brividi), che viene descritto in tutta la sua ferocia.
In certi momenti alla pietà per lui si accostava una sorta di leggera antipatia, frutto dei suoi atteggiamenti oppositivi e molto irritanti verso i famigliari e gli operatori, soprattutto quando questi manifestavano l'intenzione di aiutarlo.
Ma quando si leggono libri di questo tipo - in cui le sofferenze sono una conseguenza diretta di scelte personali sbagliate - bisognerebbe sospendere giudizi e pregiudizi e predisporsi a comprendere e, in un certo senso, a perdonare.
E il primo che deve avere il coraggio di perdonare è proprio lui, James, che quando arriva in clinica non ha neppure la forza di guardare nei propri occhi riflessi in uno specchio.

È un romanzo in parte autobiografico (nota) scomodo, non facile da leggere proprio perché crudo (nel linguaggio e nell'argomento), estremo, senza freni, e non potrebbe essere diversamente, visto che il protagonista è un ragazzo che ha vissuto gli ultimi dieci anni della propria vita così: letteralmente senza freni, senza regole, in balìa di se stesso e delle proprie dipendenze.
Tra queste pagine viene fuori tutto il marcio che può inondare l'esistenza di una persona quando appunto vive priva di qualsiasi limite, diventando schiava di sostanze che alterano il suo equilibrio psico-fisico, emozionale, sociale, relazionale...: non sei più tu, quando fai uso di schifezze che azzerano la tua volontà, la tua personalità.
E questo non può che essere l'inferno, per il tossico/alcolista, ma anche per chi gli è vicino e lo ama.

Frey ha scritto un tipo di esperienza tremenda, brutta, dolorosa, e non poteva che raccontarla in modo tale che tutto questo dolore e questo marciume venissero fuori in modo esplicito. 
Cosa pensano, sentono, vogliono, come soffrono e fanno soffrire gli altri, delle persone che fanno uso di sostanze stupefacenti e di alcool?
Frey ce l'ha scritto e non c'è nulla di eroico né in lui né negli altri personaggi che gravitano attorno a James in Clinica, ciononostante è giusto ricordarli perché a modo loro, con tutte le fragilità, i tormenti, gli errori..., restano dei guerrieri che c'hanno provato: a combattere contro le proprie insane voglie, ad uscire dall'incubo in cui si sono (più o meno consapevolmente) infilati.

Una lettura adatta a chi si sente pronto a scendere, insieme al protagonista, nel suo personalissimo inferno e a conoscerne con feroce lucidità ogni demone, tormento, pensiero ed emozione.



nota → a proposito di quanto vero sia il racconto del proprio passato da alcolizzato e tossicomane, dopo che sul sito The Smoking Gun è emerso come molti dettagli riguardanti i presunti reati commessi da Frey (e descritti nel romanzo) non fossero veritieri, l'Autore ha ammesso di aver sì calcato un po' la mano e di aver aggiunto dettagli fittizi ad altri assolutamente personali e realmente vissuti, ma anche di non aver avuto mai l'intenzione di scrivere un libro totalmente autobiografico, quindi essendo lui un romanziere, è ovvio che ha mescolato finzione e realtà. 

lunedì 16 novembre 2020

Libri a tema - Le "donne di conforto"


Con il post di oggi, oltre a darvi il buongiorno e ad augurarvi un sereno inizio di settimana, desidero porre alla vostra attenzione un argomento delicatissimo e molto, molto triste e doloroso: le "donne di conforto".

La guerra - ogni guerra - porta con sé tante, troppe brutture, e se c'è una cosa che ci ricorda - se mai ce ne fosse bisogno - è quali bassezze è in grado di compiere l'essere umano verso i propri simili.

Chi erano le donne di conforto?
Erano donne e ragazze (parliamo anche di ragazzine di 12-13 anni) ridotte in schiavitù sessuale dall’esercito imperiale del Giappone, prima e durante la Seconda guerra mondiale, e comunque negli anni tra il 1932 e il 1945.

Queste povere vittime erano sottoposte a violenze e torture, umiliate e violentate anche 40 volte al giorno.

Perché siano state chiamate "comfort women" è intuibile, il che rende il tutto (se possibile) ancora più raccapricciante.

Il sistematico sfruttamento sessuale, fatto di stupri, torture e uccisioni, non ha soltanto rovinato la vita a quelle donne in quel periodo, ma anche successivamente: molte di esse si tolsero la vita e le sopravvissute hanno vissuto (e vivono) in povertà, isolate, oggetti di stigma e in pessime condizioni di salute fisica e mentale.

Quante donne furono coinvolte in questo miserabile sfruttamento?
Benché non tutti gli studiosi siano d'accordo, la stima si aggirerebbe dalle 50mila alle 200mila donne,  provenienti principalmente da Corea, Taiwan, Cina, Giappone e, in misura minore, da Filippine, Tailandia, Birmania e Indonesia.


I giapponesi hanno cercato di negare una connessione diretta tra il loro esercito, i rapimenti e gli stupri. 

Lo storico giapponese Ikuhiko Hata ha di recente pubblicato un libro in cui tratta la questione (Comfort women and sex in battle zone), sostenendo che le donne costrette a prostituirsi saranno state al massimo 40mila, perché in realtà la maggior parte delle prostitute era assolutamente consenziente, trattandosi  soprattutto di case gestite da «privati» e dunque non direttamente collegate all’esercito imperiale. 

Ma tali ipotesi sono state smentite da testimonianze, oltre che dall’ammissione stessa del governo giapponese. 
Le donne che hanno vissuto questa atrocità e che ancora sono in vita (parliamo ovviamente di anziane over 80) sono diventate oggetto di battaglia politica, e in Corea si radunano ancora, accanto a una statua (collocata di fronte all'ambasciata giapponese a Seul) che raffigura una ragazza, simbolo delle «donne di conforto».

Negli ultimi 30 anni, le sopravvissute spesse volte si sono rivolte ai tribunali giapponesi per ottenere giustizia ma hanno sempre perso.

Nel 2015, in seguito ad esplicita richiesta da parte di alcune sopravvissute coreane, il Giappone aveva riconosciuto sì la sua responsabilità, con la promessa anche di istituire un fondo da 1 miliardo di yen per assistere le donne, per poi però tirarsi indietro, sostenendo che la controversia era già stata risolta nel 1965, quando i due paesi aveva normalizzato i legami diplomatici e il Giappone aveva dato oltre 800 milioni di dollari alla Corea del Sud come indennizzo per tutti i crimini di guerra, incluse le ferite procurate alle donne di conforto.


Di seguito vi segnalo alcuni libri nel caso foste interessati all'argomento.

LE MALERBE di Keum Suk Gendry-Kim (Bao Publishing, trad. M. L. Emberti Gialloreti): è il dolorosissimo racconto, basato sulla testimonianza diretta di una sopravvissuta, del dramma delle comfort women. Questo libro si sofferma su un passato che spesso si è cercato di dimenticare o negare, ma che è importante conoscere e ricordare. 



Storia della nostra scomparsa di Lee Jing-Jing (Fazi Ed., trad. S. Tummolini).

Wang Di ha soltanto sedici anni quando viene portata via con la forza dal suo villaggio e dalla sua famiglia. Siamo nel 1942 e le truppe giapponesi hanno invaso Singapore: l'unica soluzione per tenere al sicuro le giovani donne è farle sposare il più presto possibile o farle travestire da uomini. 
Ma non sempre basta. Wang Di viene strappata all'abbraccio del padre e condotta insieme ad altre coetanee in una comfort house, dove viene ridotta a schiava sessuale dei militari giapponesi. 
Ha inizio così la sua lenta e radicale scomparsa: la disumanizzazione provocata dalle crudeltà subite da parte dei soldati, l'identificazione con il suo nuovo nome giapponese, il senso di vergogna che non l'abbandonerà mai. 
Sessant'anni più tardi, nella Singapore di oggi, la vita dell'ormai anziana Wang Di s'incrocia con quella di Kevin, un timido tredicenne determinato a scoprire la verità sulla sua famiglia dopo la sconvolgente confessione della nonna sul letto di morte. 
È lui l'unico testimone di quell'estremo, disperato grido d'aiuto, e forse Wang Di lo può aiutare a far luce sulle sue origini. 


La responsabilità legale degli Stati per le azioni passate: La situazione delle 'Donne di conforto' di Naoko Adachi (Ed. Sapienza).

Un certo numero di donne sono state schiavizzate sessualmente dall'esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale ed erano conosciute come "donne di conforto". Si tratta di un atto illecito dello Stato giapponese del passato che ancora oggi attira l'attenzione internazionale. Al fine di superare il passato, tali azioni sbagliate dovrebbero essere considerate nel contesto della responsabilità legale dello Stato, processo importante per ottenere una giustizia adeguata nella comunità internazionale.






Figlie del mare di Mary Lynn Bracht (Ed. Nord,  trad. K. Bagnoli, 288 pp).

Corea, 1943. Nata e cresciuta sotto il dominio giapponese, Hana ha un’amatissima sorella minore, Emi, 
con cui presto condividerà il lavoro in mare, a cercare conchiglie e molluschi da vendere al mercato. Ma i suoi sogni si infrangono il giorno in cui, per salvare la sorella da un destino atroce, Hana viene catturata dai soldati giapponesi e deportata in Manciuria, dove verrà imprigionata in una casa chiusa gestita dall’esercito.
Corea del Sud, 2011. A  ottant’anni, Emi non ha ancora trovato pace: il sacrificio della sorella è un peso sul cuore che l’ha accompagnata tutta la vita. 
In Figlie del mare rivive un episodio che la Storia ha rimosso: una pagina terribile che si è consumata sulla pelle di intere generazioni di giovani donne coreane. E insieme vive la storia di due sorelle, il cui amore resiste e lotta nonostante gli orrori della guerra, la violenza degli uomini, il silenzio di oltre mezzo secolo finalmente rotto dal coraggio femminile.


LE FIGLIE DEL DRAGONE di William Andrews (Neri Pozza, trad. C. Brovelli, 304 pp).

Nata in Corea e adottata da una coppia di americani quando aveva solo cinque mesi, la ventenne Anna Carlson non ha mai avvertito il desiderio di cercare la donna che la ha messa al mondo. Ma dopo la morte di Susan, la sua madre adottiva, Anna sente la necessità di raggiungere la Corea per conoscere le sue origini.
Nell’orfanotrofio di Seoul in cui la giovane si reca per avere notizie del suo passato, tuttavia, la attende un’amara verità: sua madre è deceduta vent’anni prima, nel darla alla luce.
Pronta a ripartire senza le risposte che cercava, Anna viene avvicinata da un’anziana con i capelli grigi legati in una treccia, che le mette in mano un pacchettino. All’interno c’è un foglio con un indirizzo di Seoul, scritto in un corsivo elegante, e un pettine in cui è intagliato un drago con il dorso d’oro massiccio. Qual è il significato di un dono tanto prezioso?
Recandosi all’indirizzo scritto sul foglio, Anna non solo scoprirà che la donna, Hong Jae-hee, è la sua nonna materna, ma verrà a conoscenza della sua drammatica storia.
Una storia che ha inizio nel 1943, quando Hong Jae-hee e la sorella maggiore, Soo-hee, vengono reclutate dall’esercito giapponese per lavorare in una «casa di conforto», dove diventano ianfu, «donne di conforto», ovvero prostitute, schiave sessuali dei soldati giapponesi. Resistere all’orrore diventerà, per le due sorelle, l’unico modo per sopravvivere…
Affrontando un argomento quasi sconosciuto, la tragedia delle donne di conforto coreane al servizio dei soldati giapponesi, William Andrews racconta una struggente storia di dolore, coraggio e speranza.






Fonti consultate:

- https://lepersoneeladignita.corriere.it/2020/08/14/dopo-75-anni-le-donne-di-conforto-chiedono-ancora-giustizia-al-giappone/
- https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2016/02/lee-il-manifesto.pdf

sabato 14 novembre 2020

Recensione: LA CASA SULL'ARGINE di Daniela Raimondi

 


Due secoli di storia sono quelli che ci scorrono davanti leggendo le vicende della famiglia Casadio, in cui il peso delle superstizioni e delle credenze popolari si fa sentire puntualmente ad ogni generazione, portando con sé più amarezze che gioie, più disgrazie che belle notizie, tante nascite sì, ma anche tanti lutti. Ma la vita è fatta così, e poiché le avversità non mancano mai essa va presa come viene, non c'è da essere troppo tristi ("chi è triste nella vita continua a esserlo dopo la morte"): meglio alzare la testa e prenderla di petto perché "nella vita quello che conta è il coraggio!".


LA CASA SULL'ARGINE
di Daniela Raimondi



Editrice Nord
400 pp
I protagonisti di questa saga famigliare ambientata nel borgo di Stellata (Ferrara), situato a ridosso del fiume Po, sono i Casadio, una famiglia che, a partire dal 1800, mescola il proprio sangue con quello degli zingari: Giacomo sposa infatti Viollca, una zingara giunta in paese con una carovana in un giorno di pioggia.

Come conseguenza di questo matrimonio, i discendenti della famiglia si dividono in due ceppi: i sognatori dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, che raccolgono l'eredità di Giacomo, e i sensitivi, che hanno gli occhi e i capelli neri di Viollca, la veggente.

Conosciamo Dollaro, che sente le voci dei morti e parla con loro; Achille, assetato di conoscenza e amante della lettura; Edvige, bella e anticonformista, che combatte contro tutti e tutto per vivere il proprio amore romantico e appassionato, andando però incontro a tristi conseguenze.

Tra i Casadio spiccano personaggi femminili dalla tempra forte, come Neve,  miracolata dalla Madonna da piccolina, circondata sempre da api che le ronzano intorno, attirate da un inspiegabile aroma di zucchero, e che metterà al mondo un bel nugolo di bambini insieme al suo Radames; la bella Adele, sorella maggiore di Neve, che sposerà uno sconosciuto brasiliano, lascerà Stellata per raggiungere il marito in Brasile, divenendo una ricca proprietaria terriera; Donata, che aderisce con estrema convinzione alla rivoluzione proletaria, vivendo però un combattimento interiore per via dei propri intensi sentimenti per il giovane Stefano, assistente universitario dalle idee politiche decisamente opposte a quelle della ragazza.
E poi lei, la pittrice, Norma, l'artista che forse più di tutti i Casadio incarna ed esprime l'anima sognatrice della famiglia attraverso i suoi quadri meravigliosamente vividi.
 
Le vicende di questa gente semplice, attaccatissima al proprio paesello, alla terra, alle proprie abitudini, convinzioni e superstizioni, si susseguono di generazione in generazione, attraversando eventi storici importanti, quali l'Unità d'Italia e le avventure garibaldine, la prima e la seconda guerra mondiale, l'alluvione del Polesine nel 1951, passando ancora per gli anni di piombo, fino ad arrivare al 2013.

Che abbiano la testa immersa nei sogni e scrollino le spalle scettici dinanzi alle oscure profezie derivanti dalle carte e dalle leggende gitane trasmesse da nonna Viollca (attenzione a nutrire e a non ammazzare il serpente che c'è in ogni casa, perché dalla sua presenza dipende la fortuna o meno della famiglia che abita tra quelle mura) o che ci credano come se fosse la verità assoluta, i Casadio vivono tutti come sospesi tra il timore di un destino scritto nei tarocchi e raccontato in modo neanche troppo sibillino nei sogni, l'irrefrenabile desiderio di sfidare le carte e la pericolosa abitudine di inseguire passioni e sogni. 

«Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni e la nostra breve vita si completa in un sonno», scrive Shakespeare nell'opera teatrale "La tempesta" (citazione riportata dall'Autrice in apertura al prologo), e le vite di queste persone hanno la consistenza dei sogni, collocandosi in quella dimensione dove il reale e l'esperienza dei vivi sono incredibilmente vicini all'aldilà, al regno dei morti, ed infatti se c'è un filo rosso che unisce gli episodi narrati e i diversi Casadio che si avvicendano quali protagonisti, è questa connessione tra la vita e la morte, tra il passato, il presente e il futuro, tra chi c'è stato e non c'è fisicamente più, e chi viene dopo, che però conosce la storia dei genitori, dei nonni, dei prozii..., e riconosce come vitale e infrangibile il legame con essi, e ad onorarlo  e tenerlo vivo c'è la memoria, e attraverso il racconto di quel che è stato, delle "profezie" e dei sogni premonitori, delle scelte fatte - che siano state dettate dall'amore o dalla ribellione, dalla sete di giustizia o dalla volontà di cambiare il mondo, dalla ragione piuttosto che dall'istinto -, delle sconfitte e delle piccole conquiste, ogni membro della famiglia ritrova se stesso, le proprie origini...:

"Molti hanno gli occhi neri, la stessa espressione irrequieta nello sguardo; altri gli occhi chiari e lo sguardo inconfondibile dei sognatori. Ma in ognuno di loro vedo la stessa storia: una storia di terra. Mi sembra di scorgere ombre di terra sulla loro pelle; terra nei loro sguardi, polvere di campo nei capelli, sotto le unghie. E so che (...) me la porto dentro anch’io tutta quella terra, e lo stesso destino di questi sognatori sconfitti.".

Una saga famigliare che si lascia apprezzare - tanto più dagli amanti del genere -, scorrevole e con protagonisti interessanti, che vivono di volta in volta situazioni e dinamiche che personalmente ho seguito con un certo coinvolgimento; certo, ci sono stati personaggi e vicende che ho preferito (ad es. Adele in Brasile, o la storia di Donata) ad altri, ma nel complesso tutti hanno degli intrecci e degli sviluppi piacevoli da leggere.
Mi è piaciuta questa contrapposizione tra il "ramo dei sognatori" inguaribili, costantemente innamorati di qualcosa o qualcuno e con la testa tra le nuvole (caratteristica che porta con sè inevitabilmente qualche guaio)  e quello gitano, dei veggenti che credono nelle verità rivelate da tarocchi e sogni notturni.


"Ricordati che, se non li teniamo a freno, i sogni finiranno per portarci una tragedia peggiore di tutte le disgrazie che ci sono capitate. Lo ha visto nella carte quella nostra antenata, la zingara, e lei non si sbagliava mai".

"I Casadio avevano la follia nel sangue, e prima o poi quell’inseguire sogni impossibili li avrebbe portati alla rovina. Bisognava essere vigili, guardarsi dalle passioni sconsiderate, dagli innamoramenti folli."

Bello anche il borgo di Stellata, che è a tutti gli effetti un personaggio principale, spettatore costante di tutte le traversie di questa sua gente semplice, così profondamente legata alla propria terra, alla propria famiglia e alle proprie radici. 


"la casa non è un luogo, ma un sentimento, Qualcosa che custodiamo dentro di noi, che creiamo giorno dopo giorno con fatica e molta volontà".

Un bel romanzo; leggerlo è stato come sfogliare quei vecchi e impolverati album di famiglia, con numerose foto in bianco e nero, che ritraggono famigliari, molti dei quali magari non abbiamo conosciuto dal vivo, ma di cui abbiamo sentito parlare e con i quali sentiamo un forte e inevitabile legame di appartenenza.
L'epilogo è intriso di malinconia, di un'intensità struggente e poetica; anche se i personaggi che compaiono sono tanti non c'è da spaventarsi, anzitutto perché - come ho già scritto - i morti non se ne vanno per sempre, ma qualche capatina, a modo loro, la fanno sempre, e poi perché l'Autrice ha riportato, a fine libro, l'albero genealogico dei Casadio. Quindi, doveste chiedervi a un certo punto a chi è figlio Tizio, potete andare tranquillamente a controllare ^_-

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