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lunedì 9 gennaio 2017

Recensione: IL GATTOPARDO di Giuseppe Tomasi di Lampedusa



Il Gattopardo è il nostalgico ritratto di un nobile e burbero dongiovanni che si trova a vivere a cavallo tra l’antico che ancora vuol persistere e il moderno che intanto avanza prepotente; un principe fiero del proprio “sangue blu” che si ritrova spettatore del passaggio dalla monarchia borbonica a quella sabauda e, con esso, del decadimento del proprio casato e, ancor più, di un tipo di società arcaico e similfeudale che, nella “nuova Italia”, sembra non poter trovare alcuna collocazione.


IL GATTOPARDO 
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa



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“Ancora una volta  il Principe si trovò di fronte a uno degli enigmi siciliani. In questa isola segreta dove le case sono sbarrate e i contadini dicono d’ignorare la via per andare al paese nel quale vivono e che si vede li sul colle a dieci minuti di strada, in quest’isola, malgrado l’ostentato lusso di mistero, la riservatezza è un mito.”

Il Gattopardo è un romanzo del 1958 (pubblicato postumo) dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa che ruota attorno alla nobile famiglia siciliana dei Salina ed in particolare attorno al suo rappresentante, don Fabrizio, chiamato anche il PrincipeL'autore trasse ispirazione dalle vicende storiche della propria famiglia, gli aristocratici Tomasi di Lampedusa, e in particolare dalla biografia del bisnonno, il principe Giulio Fabrizio Tomasi

La storia si snoda essenzialmente nell’arco di un anno, salvo gli ultimi due capitoli, collocati diversi decenni dopo; la scena ha inizio nel maggio 1860, quindi meno di un anno prima dell’Unità d’Italia.

La Sicilia è dominata dai Borbone ma ancora per poco: Garibaldi coi suoi mille è alle porte e di lì a qualche mese i siciliani dovranno render conto ad un nuovo Re.
Chiaramente, tra la popolazione c’è chi è pronto a sostenere i prossimi regnanti e chi non li vuole perchè non vede nella cacciata dei Borbone un passo verso il progresso, tutt’altro.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, pur essendo un nobile, un aristocratico, don Fabrizio non ci mette molto a strizzar l’occhio a Garibaldi e ai Piemontesi, e quest’apertura è da attribuire, in una certa misura, alle idee politiche del nipote Tancredi, un giovanotto esuberante, pronto a combattere al fianco delle camicie rosse per mandar via il dominatore borbonico.
Tancredi è il nipote preferito di Salina, anzi, per lui è quasi un figlio, e don Fabrizio si preoccupa del futuro del giovanotto, compreso quello sentimentale.
Tutto sembra far supporre che Tancredi si dichiarerà a Concetta (una delle figlie di don Fabrizio) ma l’arrivo di una ragazza tanto bella quanto sensuale, Angelica Sedàra, cambierà le carte in tavola.

L’Autore ci lascia entrare nelle giornate di questa famiglia aristocratica attraverso il suo protagonista, un uomo sicuro di sé, arrogante, che sventola principi morali e una pia religiosità che si scontrano miseramente contro la sua condotta non proprio irreprensibile; ad es. non può fare a meno di sfogare le proprie passioni andando con altre donne, e spesso si ritrova a fantasticare anche su quelle più giovani, che per età potrebbero essere sue figlie…
È un uomo orgoglioso del proprio casato, del proprio buon nome, della propria nobiltà (convinto che certi titoli e i gloriosi natali gli diano un che di "eterno"), e per questo guarda con disprezzo e superiorità coloro che vogliono passare per aristocratici ma in realtà non ne hanno la “stoffa”, perché sono soltanto dei rozzi arricchitisi.

Don Fabrizio non deve dar conto a nessuno delle proprie azioni, e anche al suo fedele amico gesuita, padre Pirrone, non è permesso esagerare con i predicozzi perché Salina non ama essere ripreso o contraddetto, cosa che ovviamente lui può permettersi di fare con gli altri. Guai a non essere debitamente informato dei progetti – anche amorosi – dei membri della sua famiglia: il gattopardo - simbolo nobiliare dei Salina – che è in lui sbufferebbe e rizzerebbe i baffi minacciosamente!

Eppure, nonostante non strappi al lettore grandi simpatie proprio per questo carattere borioso, il Principe non è un gretto, anzi, si lascia spesso andare a serie e accorate riflessioni sulla vita, sulle persone e sugli eventi che lo circondano, e quando gli viene data la possibilità di prendere parte attiva al nuovo governo nell’Italia unificata, non ne approfitta, ma si lascia andare a una lunga, lucida e a tratti malinconica dissertazione sul popolo siciliano e sul futuro che lo aspetta:

“Sono un rappresentante della vecchia classe, inevitabilmente compromesso  col regime borbonico,  e ad esso legato dai vincoli della decenza in mancanza di quelli dell’affetto. Appartengo ad una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni…”

E così, pagina dopo pagina, passiamo attraverso il 1860 e ’61, saltando poi a venti anni dopo e, in ultimo, al 1910, quando ormai tante cose son cambiate e andate via per sempre, e ciò che ci lascia la lettura, alla fine, è un gran senso di “nostalgia decadente” verso un mondo lontano, antico, che non c’appartiene più, per idee, modi di pensare e agire, ma forse proprio per questo conserva il suo fascino.

L’uso di un linguaggio anch’esso antico, consono agli anni cui si riferisce, aiuta il lettore a trasferirsi, con l’immaginazione, totalmente in quell’angolo di Sicilia, che ci appare arretrato, “vecchio”, ma anche genuino e spontaneo; l’ironia presente nella narrazione conferisce un tono leggero a questo mondo “d’altri tempi” e ai suoi personaggi, come se l’Autore stesso non li prendesse troppo sul serio.

Un romanzo che senza dubbio è uno dei capisaldi della Letteratura Italiana del ‘900, che ci presenta il non facile e radicale cambiamento politico, sociale, economico ecc…, che ha rappresentato l’Unità d’Italia, e che purtroppo non è stato necessariamente accompagnato da conseguenze e risvolti positivi (e immediati)  in tutto il nostro Paese; del resto, il passaggio da un Re ad un altro non basta, da solo, a mutare in meglio (in termini di progresso, intendo) una società, come quella siciliana di allora, legata alla terra, alle proprie tradizioni, e per troppo tempo soggetta a un regime dai forti connotati feudali, quindi “ideologicamente arretrata” e poco avvezza ai cambiamenti.

Un libro che personalmente ho trovato piacevole da leggere, tanto più perché avevo attorno ad esso dei pregiudizi, nel senso che lo immaginavo terribilmente noioso e pesante, ma mi son ricreduta, soprattutto grazie allo stile dell’Autore, che risulta scorrevole nonostante impieghi un linguaggio “datato”.

4 commenti:

  1. Ciao Angela, non ho letto il romanzo, ma in passato, quando facevo ripetizioni, avevo cercato su di esso informazioni: di certo un romanzo molto importante per il suo risvolto storico-sociale, sinceramente anch'io lo penso "noioso" ma dalle tue parole nonm sembra così ;-)

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    1. si, è stata una piacevole scoperta! poi a me piace leggere libri ambientati in quegli anni!
      ciao! :)))

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  2. Uno di quei libri che mi riprometto sempre di leggere ma che poi rimando sempre, forse perché dopo aver visto il film conosco già la trama. Bella recensione, Angela, che mi invoglia a cercare di ritagliare un po' di tempo per dedicarlo al Gattopardo. :)

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    1. ciao Erielle!
      eh il film devo cercarlo, son curiosa adesso! :=)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz