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lunedì 24 giugno 2013

Recensione: BARTLEBY LO SCRIVANO di Herman Melville




La recensione di oggi riguarda un mini classico del "papà" di Moby Dick.

Ed Newton Compton
Grandi Tascabili Economici
192 pp
6 euro
2010
BARTLEBY LO SCRIVANO
di Herman Melville


Sinossi

Bartleby è il nome di un grigio, sparuto impiegato di Wall Street che, senza fornire spiegazione alcuna, man mano rinuncia al suo lavoro di copista e rimane immobile in silenzio a fissare un muro, impervio a ogni tentativo di persuasione, mite e rispettoso ma graniticamente risoluto.
In questo straordinario racconto (fra i più belli dell'intera letteratura americana) Melville dimostra da grande maestro di saper trattare con sottile humour e felice leggerezza anche temi angosciosi e ossessionanti come la follia, la predestinazione, l'incomunicabilità, l'alienazione; temi che tornano anche nel racconto "speculare" che - non a caso - completa il volume, "Chicchirichì!", che con Bartleby viene a formare una sorta di bizzarro dittico, ovvero l'inquietante confronto con l'estremo della disperazione e l'estremo della gioia.




il mio pensier(in)o

Dire qualcosa su "Bartleby lo scrivano" è facile e difficile, allo stesso tempo.
Facile perchè la trama è semplice, brevissima, con pochi personaggi e con un intreccio narrativo tutt'altro che complesso....
Difficile perchè fa parte di quei libri che, proprio per il loro essere concisi, mi suscitano un sacco di pensieri e dubbi, del tipo: ma non sarà che dietro tutta questa semplicità si cela un significato nascosto che io proprio non ho saputo cogliere?
Ma andiamo con ordine.

La narrazione è in prima persona ed è affidata ad un avvocato della seconda metà dell'Ottocento, che vive e lavora a New York e che ha come suoi collaboratori tre "soggetti" curiosi e buffi: Tacchino (che è lucido e attivo fino a mezzogiorno, dopo di che cade in uno stato di esagitazione e malumore), Pince-Nez (un tipo poco mite, che manifesta la propria irascibilità di mattina, alternandosi al collega) e il dodicenne Zenzero; i primi due sono copisti, il ragazzino fa da fattorino.
Un giorno, in seguito alla pubblicazione di un'inserzione in cui l'avvocato cerca un altro copista, più solerte dei primi due e meno soggetto a cambiamenti d'umore, si presenta alla porta dello studio legale un giovane scialbo, nell'aspetto e nei modi, un certo Bartleby.
Inizialmente, il ragazzo mostra di essere un copista più sollecito degli altri, seppur un po' troppo silenzioso e schivo.
Di fronte ai tentativi dei colleghi e del datore di lavoro di cavargli di bocca qualche parola, le uniche frasi che riesce a pronunciare, con il suo modo di fare insignificante e imperturbabile, sono: "Preferirei di no".
Frase che ripete sempre e comunque, qualunque cosa gli si dica, che gli si chieda con gentilezza o che  gli si ordini con una voluta autorevolezza.
L'atteggiamento indifferente e insofferente irrita non poco tanto l'avvocato - nel quale l'irritazione è mista allo stupore - quanto i colleghi, che avrebbero voglia di sbatterlo a calci fuori dall'ufficio.
Il protagonista ci rivela tutti i suoi pensieri, i suoi dubbi, le mille domande: ma chi è davvero questo strano e solitario ragazzo? Non ha famiglia, non ha interessi, non sembra far mostra alcuna di passioni positive o negative...: un'ombra senza passato.
E poi quel suo atteggiamento strano, che al nostro narratore sembra ora irritante, ora da "sfasato", da uno cui manca qualche venerdì (e che quindi suscita un po' di compassione).
Eppure, l'avvocato non riesce a restare indifferente davanti ad un tipo di esistenza tanto solitaria, avulsa dal mondo esterno, rinchiusa tra le quattro mura dell'ufficio legale (in cui Bartleby decide di vivere, senza chiedere il permesso) ma soprattutto chiusa in una mente che sembra limitata, in un cuore che dev'essere necessariamente infelice e che nulla sembra poter risvegliare alla vita.
Neanche un uomo come il nostro avvocato, che si rivela fin troppo comprensivo e resistente al senso di fastidio che la risposta enigmatica dello scrivano "A dire il vero, preferisco di no" suscita anche nel lettore, riesce a lenire l'angoscia che di certo dimora in un'esistenza grigia quale è quella del giovane...

Ma allora, il senso di questo libro?
Ovviamente, non posso dirvi come si conclude e vi invito a leggerlo (è breve, una lettura velocissima!) ma mi son chiesta: cosa avrà voluto comunicare Melville?
Cosa/chi rappresenta Bartleby?
-
Non per nulla, questo breve racconto si presenta come un vero e proprio enigma, che ha scatenato fiumi di parole per tentare di dare una spiegazione alla figura dello scrivano e alla sua storia.

Bartleby forse rappresenta la figura di un uomo che rifiuta - intendo il concetto di rifiuto nel senso più generale del termine: della vita, di ogni passione ecc... - ma non per una qualche convinzione ragionevole, quanto piuttosto come colui che preferisce non schierarsi, non decidere definitivamente, tant'è che non dice mai, davanti ad una qualsivoglia richiesta, "no, non voglio", ma "preferisco/preferirei di no"; indifferenza, mancanza di volontà, assenza di desideri.

Bartleby è riuscito a mettermi su, in poche righe, un senso di irritazione, a volte inquietudine e angoscia, davanti a un modo di fare bizzarri, irrazionali cui l'Autore decide volutamente di non dare una vera e propria soluzione.
Cosa c'è di più snervante che fare una domanda precisa e non ottenere una vera ed esaustiva risposta, nonostante si cerchi di prendere il nostro interlocutore con le buone?!?

E, se vogliamo, lo stesso Melville in fondo fa lo stesso "gioco" del suo scrivano di Wall Street: ci mette addosso molta curiosità davanti alla bizzarria e alla'assurdità della situazione presentata attraverso Bartleby ma... non è che alla fine ci aiuti a capire più di tanto.
Sì, è vero che a fine racconto il narratore ci riporta una sorta di "voce di corridoio" che dà un tentativo di "soluzione" all'enigma Bartleby, ma anch'essa è lasciata di proposito "sospesa", non spiegata più di tanto.
Come se l'Autore si prendesse sfrontatamente gioco del lettore, che gli chiede: "Ma mi spieghi perchè Bartleby è tanto strano?" e lui rispondesse, con leggera ironia: "A dire il vero, in questo momento preferirei di no".

Sicuramente un racconto interessante, curioso, però fa parte di quella "categoria" di letture che non mi hanno donato qualcosa di indimenticabile.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz