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martedì 21 gennaio 2014

Recensione LE CENERI DI ANGELA di Frank McCourt



Recensione del giorno!!


LE CENERI DI ANGELA
di Frank McCourt



Ed. Adelphi
Trad. C.V. Letizia
377 pp
11 euro
2000
«Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un’infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un’infanzia infelice irlandese è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora».
Uno dei romanzi degli ultimi anni più amati in tutto il mondo.

Trama

Non capita spesso che la passione, condivisa da innumerevoli lettori, per il libro di uno sconosciuto si manifesti con tanta, travolgente, immediatezza. 
E dire che Frank McCourt, un sessantenne al suo esordio letterario, aveva previsto che Le ceneri di Angela sarebbe stato definito «come per lo più avviene con i libri irlandesi di memorie, “incantevole e lirico”» e che avrebbe avuto come unico esito un certo numero di «brevi e simpatiche recensioni».
Ma che cosa incontriamo nelle pagine delle Ceneri di Angela
La storia di «un’infanzia infelice irlandese», il che «è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora». Siamo negli anni fra le due guerre e le travagliate vicende coinvolgono una famiglia così misera che può guardare dal basso alla povertà, fra un padre perennemente ebbro e vociferante contro il mondo e gli inglesi e i protestanti e una madre che sbrigativamente trascina la sua tribù verso la sopravvivenza. 
Materiale pregiato per ogni sorta di patetismo. 
E invece qui avviene uno stupendo rovesciamento. Tutto ci arriva attraverso gli occhi e la voce del protagonista mentre vive le sue avventure. 
Questo ragazzino indistruttibile, sfrontato, refrattario a ogni sentimentalismo, implacabile osservatore – come solo certi bambini sanno esserlo –, crea con le sue parole, con il suo ritmo, un prodigio di comicità e vitalità contagiose, dove tutte le atrocità, pur senza perdere nulla della loro spesso lugubre asprezza, diventano episodi e apparizioni di un viaggio battuto dal vento verso una terra promessa che sarà, nei sogni infantili di quegli anni come in quelli del Karl Rossmann di Kafka, l’America.
Le ceneri di Angela è apparso per la prima volta nel 1996.

1930-2009
L'autore.
Frank McCourt è nato a Brooklyn nel 1930 da genitori irlandesi. Giovanissimo, torna con la sua famiglia in Irlanda. Dopo un'infanzia miserabile a Limerick rientra di nuovo negli Stati Uniti. Sopravvive grazie a piccoli e miseri lavoretti e poi si arruola nell'esercito americano, prima di cominciare gli studi di Letteratura che gli apriranno la strada alla professione futura. 
Diventa infatti professore prima alla scuola superiore e poi all'Università. 
Autore esordiente all'età di settant'anni, si è deciso a raccontare la sua infanzia e ascensione sociale nel nuovo mondo, pubblicando i due primi volumi delle sue memorie: Le ceneri di Angela(1997), dove le ceneri sono quelle del camino con le quali la madre Angela si riscaldava aspettando il ritorno del marito andato al pub a bersi lo stipendio e Che paese, l'America, apparso per la prima volta nel 1999. Le ceneri di Angela gli è valso il premio Pulitzer e il National Critics Award e l’ha consacrato come uno dei più grandi scrittori del Novecento per la rara e originale capacità di raccontare miserie e tristezze con l’occhio ironico e mai privo di speranza di un bambino.


il mio pensiero

C'è un modo di dire molto usato dalle mie parti (e non solo da me, suppongo) per indicare condizioni di estrema povertà (anche se molto spesso è detto ironicamente): "Non c'ho manco gli occhi per piangere", per dire che si dispone di pochi quattrini e non ci si può permettere spese extra perché a malapena ci sono per vivere.
Beh, questa frase esprime bene le condizioni di vita del bambino protagonista/ narratore e della sua famiglia, così com'egli stesso ce ne parla in questo romanzo autobiografico.

Frank McCourt ha sette anni, è figlio di irlandesi poveri che passeranno i "migliori anni" in Irlanda, a Limerick, città che più fiera di essere irlandese non potrebbe essere.
Frank è il primogenito di Malachy e Angela e sin da piccolo è messo gomito a gomito con privazioni e povertà, con la durezza della vita, che nulla regala e tutto richiede; suo padre è un ubriacone fissato per la propria amata patria, che beve come una spugna, perde continuamente il lavoro perchè, anche quando lo trova, invece di portare i soldi a casa e dar da mangiare a moglie e figli (e di figli ne procrea davvero tanti..., troppi, considerato che non c'è neanche un pezzo di pane in casa!), si va a bere lo stipendio al pub, tornando a casa più alticcio che mai, cantando le sue canzoni irlandesi e pretendendo che a qualsiasi ora del giorno e della notte i figli più grandicelli (Frank, appunto, e il secondogenito Malachy) si mettano in fila davanti a lui giurando solennemente fedeltà all'Irlanda e dichiarandosi anche pronti a morire per essa.

La povera Angela, perennemente incinta e perennemente arrabbiata col marito sciagurato, cerca di tirar su i propri figli, non esitando a recarsi agli enti umanitari che donano scarpe, indumenti ed altro alle fasce più povere, pur di garantire un minimo di beni necessari alle proprie sfortunate creature; molte sciagure e dolori attaccheranno impietosi la famiglia McCourt, che la povertà e la consunzione, con relative malattie, decimerà, ma Angela Sheehan sa il fatto suo e tirerà fuori unghie e denti perchè il marito ubriacone e incosciente non porti alla morte i figli che il Signore le ha risparmiato.

Frank e i suoi fratelli crescono, stretti e affamati in casa, curiosi e confusi a scuola (dove i ragazzi non hanno alcuna voglia di studiare ma il loro "pallino" è vedere come fare per giocare e raccattare cibo, mentre gli insegnanti si dimostrano per lo più duri, rigidi, ossessionati dalla religione e dalla disciplina), imparando quali sono le cose da fare e dire per poter sopravvivere in una società in cui la povertà dilaga sovrana.

Ma Frankie è un ragazzino intelligente, attento, curioso, si pone mille domande, non si accontenta delle stanche ed evasive risposte degli adulti e crescendo imparerà che nella vita bisogna farsi strada con un po' di furbizia e faccia tosta; non sempre le cose vanno come aveva immaginato, incontrerà persone amiche (che  riconosceranno  le sue doti e i suoi pregi) o persone che si divertiranno a burlarsi di lui, a considerarlo con disprezzo sempre e solo un povero straccione, ma Frank va avanti e, con l'ironia che lo contraddistingue, ci racconterà le sue avventure, le liti in famiglia, le marachelle, i lavoretti fatti per racimolare qualche spiccioletto,  a volte necessario per comprare latte o carbone, altre volte utilizzato per mangiar caramelle o andare al cinema, finchè negli anni, superata la pubertà, il ragazzino imparerà a dare un certo valore ai soldi guadagnati e a conservarli per raggiungere un determinato obiettivo.
Un obiettivo vòlto a migliorare e a dare un taglio netto alla degradante povertà che da quando è nato lo circonda; una povertà fatta di morte infantile, di urla e litigate, di offese, di piccoli furti..., una povertà dalla quale il piccolo irlandese desidera allontanarsi, prima o poi.

Attraverso un linguaggio molto crudo e "nudo" (non mancano le parolacce, ad esempio), aderente più che mai alla realtà di una cittadina irlandese degli anni '30 del Novecento in cui abbondavano i quartieri e le famiglie povere e degradate; attraverso personaggi pittoreschi, buffi, bizzarri, "forti" e ben delineati nella loro personalità, descritta attraverso azioni e parole di tutti i giorni....; attraverso gli occhi disincantati di un bambino in crescita, l'Autore/protagonista porta il lettore nel suo mondo e glielo mostra con quell'ironia essenziale e senza peli sulla lingua che a volte ci farà sorridere, a volte ci commuoverà, ma che di certo ci dipingerà un quadro di vita dai colori vivi, accesi, fedeli, in cui non si fanno sconti a nessuno e in cui emergono le reali esigenze, le paure, le speranze, "gli appigli per trovare consolazione e forza" (la famiglia MacCourt è molto cattolica, dà molta importanza alle tradizioni religiose, pur avendo ogni tanto qualche dubbio sulla provvidenza divina....), le domande, i dubbi.... di un bambino e della sua realtà quotidiana, fatta di persone che desiderano arrivare al giorno dopo, possibilmente con lo stomaco non del tutto vuoto.

Un romanzo che si legge con la consapevolezza che i fatti narrati sono del tutto veri. L'Autore è bravo ed efficace nel parlarci della propria infanzia, arriva al lettore per lo stile veloce ed essenziale (anche se a me non piacciono molto le narrazioni che hanno una "punteggiatura" particolare e non proprio presente, in cui si susseguono dialoghi, pensieri ecc... di seguito, come se fossimo in presenza del "parlato"  e non di una cosa scritta), il suo ritmo dinamico, il suo linguaggio informale, le sue descrizioni realistiche e vivide, i suoi personaggi sempre particolari, "un po' sulle righe", alcuni più piacevoli altri leggermente irritanti, ma di sicuro personaggi che non possono passare inosservati.

Lo consiglio se vi piacciono le storie realistiche/vere, in particolare aventi come protagonista il fiero popolo irlandese.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz