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lunedì 3 febbraio 2014

Recensione SE NON ORA, QUANDO? di Primo Levi



Terza recensione di oggi!!

SE NON ORA, QUANDO?
di Primo Levi


Einaudi
1982
Sinossi

La trama di Se non ora, quando? prende spunto da una storia vera: una banda di ebrei russi e polacchi combatte la sua guerra partigiana contro gli invasori nazisti, percorrendo l’Europa in lungo e in largo.
Questa lunga epopea – le vicende narrate si estendono dal luglio 1943 all’agosto 1945 – smentisce il cliché dell’ebreo remissivo, che si lascia condurre allo sterminio senza ribellarsi; per di più, il raccontarla ripaga Levi dell’essere stato, nel 1943, un partigiano inesperto, ben presto catturato dalla milizia fascista.





il mio pensiero

“Se non ora, quando? è il viaggio di una banda di partigiani, uomini e donne che, stanchi ma determinati,  partecipano a modo loro, e con i mezzi che hanno, alla guerra, con lo scopo di dare fastidio ai tedeschi  e sopravvivere al freddo, all’inedia, alla solitudine, alla confusione, ai Russi, agli alleati… per poter finalmente giungere “a casa”.
È un gruppo eterogeneo, formato in particolare da ebrei, ma anche da polacchi, russi.

Tutto ha inizio nel luglio 1943, con Mendel, un orologiaio ebreo che, dopo aver trovato in un certo Leonid (un giovane schivo e di poche parole) il proprio compagno di viaggio, si unisce alla banda di un altro giovane, Gedale, un ebreo partigiano, che con i suoi compagni (i gedalisti) cerca di sabotare l’esercito tedesco e di dare il proprio contributo, parallelamente ai Russi, alla cacciata dei nazisti.
Levi ci racconta in questo libro uno spaccato di vita partigiana, il modo in cui un gruppo di uomini e poche donne hanno cercato di sopravvivere a tutti i costi ad una guerra lunga e logorante, con la speranza di poter “tornare a casa", lasciandosi alle spalle gli orrori vissuti e quelli ascoltati dai racconti di chi è sopravvissuto ai lager.

Tornare a casa per questo gruppo di ebrei significa tutto e niente: forse per qualcuno vuol dire tornare al proprio paese di provenienza, per qualcun  altro provare a ricostruirsi una vita in Palestina; per qualcun altro è semplicemente fermarsi, finalmente, lasciando dietro sé la spaventosa sensazione di vivere continuamente braccati, guardandosi le spalle, tenendo la mano sempre pronta ad afferrare un’arma…

Un viaggio avventuroso attraverso l’arida e fredda Europa dell’Est e che si conclude in Italia, a Milano; un viaggio caratterizzato da discussioni interne e con altri gruppi di soldati, dalla ricerca di cibo, armi, mezzi di trasporto, di tentativi di creare problemi agli assassini nazisti, di dare un aiuto alla povera gente fatta prigioniera nei campi di concentramento; un viaggio fatto anche di amicizie, relazioni sentimentali..

Mendel – che è poi il protagonista della storia, anche se è narrata in terza persona e dando spazio anche ad altre prospettive – ad esempio si legherà a una donna, Line, pur consapevole che ella non è un tipo da relazione duratura: spigolosa, sicura di sé, ferma nelle proprie posizioni, restia a piangersi addosso…, disposta a darsi a più uomini…
Eppure, c’è un gran bisogno di creare legami, di sentirsi uniti, di sentirsi parte di una banda…., nonostante l’esperienza della guerra e il dover vivere in fuga, nascosti ed armati, renda necessariamente le persone sempre sul chi va là, diffidenti, fredde, poco inclini ai sentimentalismi e, per contro, pragmatiche e razionali.
Non di rado, i riferimenti alle relazioni uomo-donna hanno un che di “animalesco”, di primitivo: Gedale, Mendel, Marian, Piotr… scelgono alcune delle poche donne presenti come “loro donne” e viceversa, ma senza che questo implichi necessariamente una relazione amorosa, un sentimento; è più una necessità fisica, almeno in apparenza.
Eppure, Mendel, che soffre interiormente perché ha visto uccidere la propria famiglia e la propria donna, ha dentro sé l’intimo desiderio di sentirsi un uomo completo anche grazie ad una vera compagna, ad una casa, ad una vita .. normale, in cui i rumori della guerra non ci siano più.

La guerra rende feroci, anestetizzati davanti al dolore, alla morte; ha reso questi partigiani non necessariamente crudeli e indifferenti al male (Levi è ebreo e l'appartenenza a questo popolo percorre tutta la narrazione, nel tratteggio dei personaggi - che sentono e sanno di appartenere ad un popolo “particolare”, odiato da molti, non compreso ,- nelle parole usate, nei riferimenti a personaggi e storie bibliche; c’è una certa conoscenza della legge ebraica, dei comandamenti, delle tradizioni e un certo timore verso queste cose, nonostante gli uomini di Gedale si dichiarino poco osservanti) ma comunque desiderosi di vendetta; eppure, la loro non è una vendetta fine a se stessa e a muoverli nel loro cammino non è solo questo sentimento verso il nemico… Ciò che accomuna questi circa quaranta individui, diversi per età, carattere, ideologia, capacità…, e che fa da collante tra di loro nonostante le diversità, è la disperazione, il senso di smarrimento di fronte ad un mostro gigantesco, qual è la guerra, che va affrontato a muso duro, con astuzia, coraggio e un pizzico di fortuna.

Ho trovato buona parte della narrazione un po’ lenta e di per sé le dinamiche legate agli appostamenti, ai sabotaggi, agli incontri con i soldati, non mi hanno molto catturato; ho trovato più coinvolgenti gli aspetti legati alla psicologia dei personaggi (che comunque non sono tratteggiati con particolare finezza e ricchezza introspettiva, anzi ci appaiono essenziali, per taluni versi “piatti” emotivamente, da conoscere più che altro  attraverso le parole e le azioni), alle relazioni umani instaurate tra loro, alle riflessioni di Mendel sulla guerra e su se stesso; in particolare, la parte finale del viaggio è quella che ho seguito con più interesse, forse perché è come se il velo di cupezza e tristezza che Levi ha posato sulla storia e sui personaggi durante la loro fuga lungo l’Europa dell’Est, sembra essere rimosso una volta giunti “a destinazione”, per far spazio a uno scenario meno lugubre e solitario ma anzi illuminato da uno spiraglio di speranza per il futuro, simboleggiato dalla nascita di una nuova creatura.


Non è un romanzo che mi ha molto coinvolta, sia perché, ripeto, il ritmo è abbastanza lento e sia dal punto di vista emozionale, se non nel suscitarmi molta tristezza e pietà per coloro che hanno vissuto quel periodo e quelle esperienze, tra cui lo stesso Levi, che da ebreo-sopravvissuto e partigiano, sapeva bene di cosa stava parlando…; resta comunque un libro che merita d’esser letto perché, avendo sicuramente elementi autobiografici, ci fa stare gomito a gomito con chi, pur essendo sopravvissuto al conflitto bellico, ha dovuto caricarsi di tutto il suo inevitabile peso morale e psicologico. 

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz