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lunedì 28 aprile 2014

Recensione IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE di J.R. Moehringer



Ed ecco l'altra recensione!

IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE
di J.R. Moehringer


Ed. Piemme
Trama

Un bestseller intramontabile che vi lascerà "con un sorriso sulle labbra e una fitta nel cuore" (Kirkus Reviews). 
Figlio unico di madre single, J.R. cresce ascoltando alla radio la voce del padre, un dj di New York che ha preso il volo prima che lui dicesse la sua prima parola. Poi anche quella voce scompare. 
Sarà il bar di quartiere, con l'umanità varia che lo popola, a crescerlo e farne un uomo. 
Appassionata e malinconicamente divertente, una grande storia di formazione e riscatto, di turbolento amore tra una madre e il suo unico figlio, ma anche l'avvincente racconto della lotta di un ragazzo per diventare uomo e un indimenticabile ritratto di come gli uomini rimangano, nel fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti.


il mio pensiero

Il bar delle grandi speranze è il romanzo autobiografico che racconta il passaggio dall’infanzia alla giovinezza dell’Autore, nato in una famiglia particolare e cresciuto in un bar altrettanto particolare.

J.R. (la sigla del nome deriva da quello paterno, John Joseph, con l’aggiunta di Junior, da cui J.R.) cresce con la mamma Dorothy, separata dal marito, un uomo privo del senso di responsabilità, amante dell’alcool e delle scommesse, di natura violenta; proprio per timore di essere ammazzata (insieme al figlio) da un uomo privo di senno, la donna decide di vivere da sola col bambino, ma i problemi economici li accompagneranno sempre, così Dorothy dovrà spesso far ritorno all’odiata casa paterna, per garantire al piccolo J.R. tetto e cibo.
L’infanzia del piccolo sarà caratterizzata dalla presenza rassicurante della mamma, che per tutta la vita cercherà di incoraggiarlo, di educarlo a credere in se stesso e nel fatto che le cose non potranno sempre andar male, se si lotta per migliorarle; lei sarà per J.R. un costante punto di riferimento, cui lui tornerà ogni volta che avrà bisogno di comprensione e incoraggiamento.

Come tornerà sempre in quello che con gli anni, da subito, grazie al simpatico e bizzarro zio Charlie, sarà per un il rifugio”, il luogo sacro del suo cuore, quello al quale torni quando vuoi staccare la spina dai problemi e dalle delusioni della vita, che siano a causa della scuola, dell’amore, del lavoro.

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Ognuno di noi ha un luogo sacro, un rifugio, dove il suo cuore è più puro, la sua mente più lucida, dove si sente più vicino a Dio o all’amore o alla verità o a qualunque cosa gli capiti di venerare. Nel bene e nel male, il mio luogo sacro era il bar di Steve. E poiché l’avevo scoperto durante l’infanzia, era ancora più sacro, avvolto dalla particolare reverenza che hanno i bambini peri posti in cui si sentono al sicuro. (…) Ma il bar di Steve è stato l’anello di congiunzione di ogni rito di passaggio con quello precedente e successivo, e di tutte le persone che ho conosciuto.

L’affetto per gli uomini eccentrici e strani incontrati al bar di Steve, il Publicans (chiamato inizialmente il”Dickens”), il pendere dalle loro labbra, il desiderio e il bisogno di essere da loro stimato, apprezzato, ben voluto, consigliato, anche rimproverato, purché non ignorato, prende origine dalla mancanza di una vera e costante figura paterna.
Cresciuto senza l’affetto di un padre – un padre da imitare, da rispettare, da cui farsi coccolare o da cui imparare “l’arte di diventare uomo” - e in compagnia di un nonno sì dai tratti originali e spesso simpatici, ma in realtà gretto nell’animo, insensibile verso il genere femminile, è comprensibile che questo bisogno legittimo di un ragazzino venga in qualche modo appagato attraverso la presenza di codesti omaccioni, frequentatori del bar del mitico e quasi venerato Steve, la cui approvazione conta per sentirsi accettati e degni di rispetto.
E così, J.R. cresce all’ombra di zio Charlie (che lavora al bar, al bancone) e dei suoi amici, a suon di aneddoti, di consigli dati come se fossero le più grandi perle di saggezza, al ritmo di continue scommesse sportive, e impara a modo suo ad aprire gli occhi sul mondo, a maturare sogni, aspettative, ambizioni.
Certo, non è un ragazzino con molta fiducia in se stesso, e un vago senso di fallimento e inadeguatezza lo opprimono sin da piccolo (unito al senso del dovere verso la mamma, che lui sente di dover proteggere, aiutare)  lo accompagnerà anche da adolescente e da giovane, ma J.R. è e resta un tipo intelligente, sensibile, arguto osservatore dell’essere umano, un gran lettore e appassionato di scrittura.



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Vivrà momenti in cui si renderà conto che c’è tanto da imparare, da leggere, da sapere, da capire (e la lettura sarà un valido aiuto, in questo senso), altri in cui sentirà di aver fatto un passo in avanti, tanto in amore quando nell’ambito scolastico, per poi sbattere contro muri di delusione..., ma se c’è una cosa che lo caratterizzerà sempre sarà la forza di ricominciare, di non soccombere mai davvero e del tutto davanti ai primi fallimenti.
Del resto, ad aiutarlo a rialzarsi ci sarà sempre l’esempio materno (la Dorothy disperata per i conti da pagare ma allo stesso tempo capace di drizzare le spalle e andare avanti) e ancor più il bar, con i  suoi amici e i suoi bicchieri di whisky con cui mandar giù qualche magone.

La vita di J.R. non sarà mai in discesa ma egli dimostrerà di avere carattere e saprà trasmettere la sua natura a chi lo legge, facendo entrare il lettore nel “suo” mitico bar, invitandolo a sedere sugli sgabelli, con le braccia appoggiate al bancone, pronto ad ordinar qualcosa, mentre un avventore accanto comincia a raccontarti qualcosa di buffo, che ti farà sorridere o davanti al quale non saprai che rispondere.

Ironico, tenero, divertente, reale come può esserlo un’autobiografia in cui il protagonista è un ragazzino che guarda il mondo e le persone attorno a sé dal basso, con ingenuità e stupore, con curiosità e desiderio di imparare e assorbire al pari di una spugna assetata, Il bar delle grandi speranze è un libro che ha tutte le carte per restare nel cuore dei lettori, perché è schietto e vero.
Il ritmo narrativo non è particolarmente veloce o dinamico, ma non posso dire che sia pedante o noioso, perchè J.R. è molto simpatico.
In particolare mi è piaciuta quella vena di dolce malinconia che l'attraversa e che spinge il lettore a pensare a quanto certi luoghi e certe persone siano stati, in tanti casi, nelle vite di ciascuno di noi, importanti, tanto che nei momenti di "crisi", tornare ad essi (metaforicamente o fisicamente) costituisca un modo per riappropriarci di noi e delle nostre radici.

Consigliato!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz