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lunedì 2 marzo 2015

Recensione: "Shikasta" di Doris Lessing



Buon lunedi, lettori!
Eccomi a parlarvi di un romanzo che proprio non mi ha "rapita", anzi..., avrei voluto mollarlo più volte nel corso della lettura, ma alla fine ho deciso comunque di terminato.

Sto parlando di Shikasta, il primo libro (dei cinque) del ciclo "Canopus in Argos", in cui Doris Lessing ha creato un nuovo cosmo, dove la Terra è il campo di battaglia di tre imperi galattici rivali.

La Lessing ha avuto il Nobel per la Letteratura nel 2007, il che contribuisce a far sentire la sottoscritta - che non ha apprezzato appieno il capolavoro letterario in questione - un'emerita ignorante (e qui scatta Sgarbi che mi urla "Capra!" a ripetizione).


SHIKASTA
di Doris Lessing


Shikasta
Ed. Fanucci
Trad. O.Palusci
496 pp
20 euro
2014
Questo librone di quasi 500 pp narra gli ultimi giorni della Terra, che è chiamata appunto Shikasta (termine che significa "distrutta, indebolita, che si può rompere"); tale cronaca è raccontata attraverso i resoconti personali e la documentazione raccolta da un certo Johor, un emissario inviato da Canopus per mettere un freno al declino. 

Se prima del Tempo della Catastrofe, il pianeta era una realtà pacifica e in armonia con fauna e flora, in seguito è divenuto teatro di guerre, carestie, epidemie e disastri ambientali, per non parlare degli abitanti, che sono stati contaminati dal "Morbo Degenerativo", che oltre a causare un decadimento ecologico, sociale, politico, etico-morale (che porta  a disobbedienza, orgoglio...), conduce anche a problemi di natura fisica e psicologica.

Canopo, attraverso i suoi inviati, desidera frenare il decadimento imponendo delle regole (nessuna violenza, nessuna crudeltà, niente spreco di risorse...) e grazie al Sigillo cerca di ricordare agli abitanti la Legge di Canopo e la loro origine.

La Lessing, pur creando una realtà a noi aliena, non può non fare riferimento ad avvenimenti a noi noti, quali le guerre mondiali, sottolineando come esse non abbiano affatto arrestato l'imbarbarimento delle popolazioni, anzi...:

"Dopo una guerra, la rinnovata discesa nelle barbarie era molto visibile - ma di fatto, la mente degli abitanti di Shikasta non collegava causa ed effetto".

Inquinamento ambientale, uso smodato di tecnologia (quale unica chiave di benessere), consumismo, contrapposizione tra bianchi e neri, tra ricchi e poveri, gli effetti devastanti del colonialismo, guerre e stermini condotti nel nome di una presunta democrazia, dell'uguaglianza e del progresso...: sono le tematiche principali che l'Autrice affronta, e lo fa attraverso uno sguardo lucido ma non spietato, e servendosi del genere fantascientifico intriso di sufismo (una dottrina islamica di perfezionamento spirituale, che è ricerca di analisi interiore, la via del cuore, la purezza di una vita senza il Male).

Nel libro non mancano riferimenti culturali importanti, come alla Divina Commedia o all'Antico Testamento, ma per lo più la religione non fa una bella figura, in quanto, pur riconoscendo che essa potrebbe essere uno strumento potenzialmente positivo (frena la brutalità nell'uomo), la stessa ha però creato la casta sacerdotale; inoltre, non è stata realmente in grado di trasformare l'interiorità della persona, ma solo di favorire l'ipocrisia e un falso senso di religiosità.

Se la prima parte del libro è costituita dalle relazioni degli Archivisti di Canopo, soprattutto di Johor, la seconda si concentra su documenti più personali; infatti, oltre a conoscere la situazione di una certa Lynda Coleridge, chiusa in un ospedale psichiatrico, leggiamo le pagine del diario di Rachel Sherban, sorella terrestre di Johor (che si chiama George).

Verso la fine del romanzo si rende noto che c'è stato un processo, che vede coinvolto sempre George/Johor, il quale accusa pubblicamente le razze bianche di aver usato arroganza e stupidità verso i "diversi", in particolare verso le razze "di colore"; c'è il riferimento alla Gran Bretagna, che ha colonizzato l'India, non rispettandone cultura e identità.
Ma gli stessi Indiani hanno sbagliato contro il proprio popolo, attraverso la creazione delle caste (Intoccabili).

La "Terra", così come ce la presenta Doris, non ci piace perché va verso lo sfacelo; l'uomo per sopravvivere ha bisogno di una trasformazione, di una sorta di rinascita che lo allontani dalle brutture di cui si è macchiato. 
Purtroppo, la Terra vera - quella in cui viviamo - non è migliore dello scenario previsto dall'Autrice e non possiamo che concordare con la spiegazione di base che ella dà dei crimini commessi da parte degli esseri umani verso i propri simili: il disprezzo verso gli altri, l'arroganza che impedisce di conoscere le altre culture, la mancanza di umiltà e umanità.

Non sono forse questi gli atteggiamenti che conducono ai conflitti, agli stermini, alla distruzione...?

Cosa posso aggiungere su questo romanzo?
Non posso dire che mi sia piaciuto e che leggerlo sia stato un piacere; assolutamente no!
Lo stile e il linguaggio (mi tolgo il cappello davanti alla traduttrice Oriana Palusci, che secondo me ha fatto un lavoro di tutto rispetto) sono ricercati, ampollosi (frasi lunghissime!!!!!!), e per questo capaci di distrarre l'attenzione del lettore (l'emozione più forte che ho provato è stata la noia); leggendo, mi sono persa un sacco di volte e ogni volta che mi sembrava di riprendere "il filo del discorso" era solo un'illusione lessinghiana (cara..., carissima Doris, mia visionaria prestigiatrice!!!).

I personaggi principali sono pochi (benché il mondo di Doris sia affollatissimo - Giganti, Nativi e emissari...), e bisogna arrivare al diario di Rachel Sherban per sentire un minimo di curiosità accendersi, grazie alla presenza di persone normali e a fatti di vita quotidiana, in cui si abbandonano un po' il linguaggio "burocratese" e le frasi troppo lunghe (leggi leggi leggi e a un certo punto ti chiedi: aspè, qual era il soggetto?).

Zero emozioni, zero coinvolgimento; i fatti narrati non seguono un ordine cronologico e per la stragrande parte del libro le parole e le proposizioni si sono susseguite davanti ai miei occhi senza che io ci capissi un granché (ripeto: questo per la prima parte del libro, la seconda è un pochino meglio).

Insomma, sopracciglia inarcate per tutto il tempo.

Doris, scusami, ma proprio non sono riuscita ad amare né te né la tua Shikasta....
E non ci penso proprio a leggere gli altri 4 libri del ciclo su Canopo.
Lo so, è un libro con il suo peso nell'ambito della letteratura internazionale contemporanea, ma io davvero non sono riuscita ad apprezzarla.

Non mi chiedete se ve lo consiglio, tanto la risposta mi sa che si intuisca da quello che ho scritto sopra.
Chiaramente, se vi piace il genere e siete più arditi di me, leggetelo. Stiamo comunque parlando di un Premio Nobel, mica pizza e fichi  ^_^

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz