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venerdì 27 novembre 2015

Recensione: FUGA SENZA FINE. Una storia vera di Joseph Roth



Ed eccoci a parlare di un libro breve ma che si lascia apprezzare, in particolare per lo stile, asciutto e allo stesso tempo sensibile e attento nel descrivere personaggi, ambienti e situazioni.


FUGA SENZA FINE. Una storia vera
(Die flucht ohne ende)
di Joseph Roth


Ed. Adelphi
trad. M.G. Paci Manucci
151 pp
9 euro
1995
"Il tenente dell'esercito austriaco Franz Tunda finì prigioniero di guerra dei Russi nell'agosto dell'anno 1916. Arrivò in un campo, qualche versta a nord-est di Irkutsk. Con l'aiuto di un polacco diventato siberiano riuscì a fuggire. Nel triste, remoto, solitario casolare del polacco, ai margini della taiga, l'ufficiale rimase fino alla primavera del 1919."

Così inizia il racconto di Roth su questo personaggio particolare, Franz Tunda, salvato da un mercante di pellicce, tale Baranowicz, che lo nasconde in casa sua.

Quando la Prima Guerra Mondiale finisce, Franz viaggia in lungo e in largo, dalla steppa siberiana all'Europa - Germania, Francia - e vive molte avventure, anche sentimentali, ritornando poi finalmente in Austria.

Dopo aver lasciato Baranowicz, Tunda decide di tornare in Ucraina, perchè prima della guerra la sua fidanzata Irene aveva promesso di aspettarlo.
Ma strada facendo, il nostro austriaco cade nelle mani dei "rossi rivoluzionari" e combatte al loro fianco per la rivoluzione.
Conosce Natascia, una femminista emancipata, rivoluzionaria nell'animo e non solo nel pensieri.
Se Irene - il cui volto Tunda custodisce gelosamente nell'unica foto che ha di lei - rappresenta in un certo senso una sorta di amore idealizzato, romantico, che lo ricollega alla vecchia vita (prima della guerra), Natascia è l'amante soldato, contraria alla mentalità mediocre e borghese - che lei vede ancora in Franz e nel suo modo di concepire l'amore - e a ogni forma di legame sentimentale, romantico; per lei c'è solo la fisicità, che "utilizza" con gli uomini per sentirsi loro pari. 
Ma in mezzo ai rivoluzionari Tunda non è a proprio agio, perchè sente che nonostante ci si chiami compagno, il rivoluzionario  vive una condizione di estrema solitudine, non potendo fidarsi di nessuno (e nessuno si fida di lui), e l'individuo in quanto tale non ha alcun valore se non perché è membro di un gruppo.

Lascia anche i rossi e un'altra donna fa capolino nella sua vita: Alja, sua moglie, conosciuta a Baku (in Azerbaigian), dove l'uomo lavora facendo foto e video sulla vita delle popolazioni caucasiche.

Ma un altro incontro lo spinge a riprendere le sue peregrinazioni e a lasciare la Russia:

“Fu come se qualcuno avesse aperto una porta che per tutto il tempo avevo pensato non fosse una porta ma una parte del muro che mi circondava. Vidi un'uscita e la usai. Adesso mi trovo fuori e sono veramente perplesso. (...) Non ho nulla da perdere. Non sono nè coraggioso nè curioso di avventure. Un vento mi spinge, e non temo di andare a fondo."

L'autore si intromette nella narrazione delle peripezie del suo "eroe decadente" dicendo già nel prologo di conoscerlo personalmente, e ce lo descrive come uno spirito vagabondo e indipendente, volubile, senza carattere, individualista, che a un certo punto realizza di essere diventato "straniero in questo mondo".

Se fosse indispensabile caratterizzarlo con un attributo qualsiasi, direi che la sua qualità più evidente era il desiderio di libertà. Ifondo era un europeo, un 'individualista', come dicono le persone colte. Aveva bisogno, per godere a pieno, di situazioni più complicate. Aveva bisogno dell'atmosfera di intricate menzogne, di falsi ideali, di salute apparente, di marcio persistente, di fantasmi imbellettati, dell'atmosfera dei cimiteri che hanno l'aspetto di sale da ballo o di fabbriche o di castelli o di scuole o di salotti. Aveva bisogno di aver vicini i grattacieli, di cui s'intuisce la caducità e la cui durata è tuttavia garantita per secoli. Era un 'uomo moderno'.

Ed è così che decide di ritornare in Europa, cercando ospitalità dal fratello, in Renania.
Georg, fratello maggiore di Franz, è un direttore d'orchestra e tra i due i rapporti non sono mai stati idilliaci, e anche se si rivedranno dopo diverso tempo, tra loro non scatterà alcun particolare affetto fraterno.

Sono tante le persone incontrate da Tunda nel suo vagabondare: dagli uomini benestanti, che si credono importanti ma che in realtà nel parlare e negli atteggiamenti rivelano la loro ottusa mentalità borghese, alle donne, giovani e sensuali, insoddisfatte, anch'esse caratterizzate da atteggiamenti stupidi, superficiali, dal loro essere tutte uguali (e chissà se l'adorata e eterna fidanzata Irene è diventata come una di loro?, si chiede):

"Le donne che incontriamo stimolano più la nostra fantasia che il nostro cuore. Amiamo il mondo che rappresentano e il destino che ci additano".

Tunda è un personaggio che fa da specchio al suo autore, rappresentandone il pensiero circa il senso di alienazione provato dall'uomo moderno all'interno di un mondo che la guerra ha spazzato via e che ormai è in decadenza, svelandone debolezze e difetti, attraverso uno linguaggio ricco di descrizioni minuziose, oneste e argute, di similitudini a volte liriche e poetiche, altre volte più dure e brusche, e uno stile essenziale e misurato, attraversato da una inevitabile vena nostalgica e da una ironia delicata, che guarda con malinconia e una leggera comicità a quest'uomo moderno, "addomesticato", che Franz Tunda non apprezza perché

l'essenza dell'uomo addomesticato è la viltà.

Fuga senza fine è considerato il più autobiografico tra i libri di Roth, che con esso esprime tutto il disincanto, la solitudine e lo smarrimento che ha colpito la generazione vissuta in Europa tra le due guerre.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz