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martedì 1 novembre 2016

Recensione film: GOSFORD PARK di Robert Altman



Un bellissimo film che, seguendo le orme di una commedia teatrale e procedendo con un ritmo volutamente pacato e indolente, ci dà il ritratto di un piccolo angolo dell'Inghilterra degli Anni '30 del Novecento, popolato da personaggi frivoli, apatici, pettegoli - appartenenti a due opposte classi sociali -, che non si smuovono davanti a nulla, presi come sono dai propri egoismi ed interessi.


GOSFORD PARK


USA 2001
Genere: Drammatico
durata 137'

Regia di Robert Altman

Con Michael Gambon, Kristin Scott Thomas, Jeremy Northam, Maggie Smith, Ryan Phillippe, Clive Owen, Helen Mirren, Emily Watson



Gosford Park è una bellissima tenuta di campagna, appartenente a sir William McCordle e a sua moglie Sylvia.
La coppia organizza una festa destinata a durare tutto il weekend, alla quale partecipano diversi amici, indolenti e superficiali come loro: c'è una contessa, un eroe della Prima guerra mondiale, un idolo delle folle e il produttore americano dei film di Charlie Chan sono gli ospiti che affollano la villa, e ciascun ospitato porta con sè il proprio domestico/valletto di fiducia. 

Le giornate nella prestigiosa e antica dimora si susseguono lente, tra le chiacchiere e i pettegolezzi dei ricchi padroni e dei loro indaffaratissimi domestici, che mentre ottemperano ai servizi richiesti, tendono le orecchie per sapere i fatti e gli intrighi dei loro signori, da cui vengono trattati con tanta sufficienza.

Tutto sembra procedere per il verso giusto, fino a che non viene commesso un omicidio.

L'immensa e austera villa inglese, sempre poco illuminata al suo interno (come a voler essere quasi complice dei segreti e dei piccoli grandi tradimenti che avvengono tra le sue mura, coprendoli e dando loro un'aura di mistero), fa da palcoscenico a queste due categorie di attori: i nobili, spocchiosi, che si guardano tra loro con diffidenza si relazionano con i domestici con superiorità, e questi ultimi, che sanno di essere chiamati ad obbedire, riverire e servire i loro padroni, ma poi nei confronti degli stessi nutrono svariati sentimenti, e non sempre positivi.

Tra i due ceti sociali c'è una differenza abissale, ed è in questo ambiente solo apparentemente rilassato che  ci scappa il morto.

Una sera, mentre gli invitati giocano a bridge e ascoltano uno di loro cantare e suonare al pianoforte, sir William, il padrone di casa, viene silenziosamente ammazzato; la stessa servitù, divertita e intrattenuta dalla musica che viene dal salotto, non veglia sulla casa e non s’accorge di niente. 

Ma un urlo squarcia la lieta atmosfera quando viene ritrovato il cadavere riverso sulla scrivania e con un coltellaccio da cucina conficcato nel petto.

Chi è stato? 
Tra loro si nasconde un omicida e immediatamente viene chiamato il commissario di polizia, che con apparente leggerezza inizia a far domande a tutti.

La cosa che stupisce e fa quasi sorridere, dando una velata ironia a una commedia che dovrebbe tingersi di giallo, è la consapevolezza che il morto non abbia sconvolto praticamente nessuno, in primis la moglie.

E' come se tutti si aspettassero che William dovesse essere ammazzato...
Forse perchè conoscono il passato di quest'uomo, sanno che non è proprio limpido e che qualcuno potrebbe avercela con lui?

Giunte alle ultime battute, scopriremo cosa è successo ma senza clamori, anzi quasi in sordina, perchè di per sè l'assassinio non è al centro del film, che si sofferma piuttosto sulle dinamiche relazionali tra tutti gli abitanti della casa.
Mi incanta l’ambientazione inglese, piovosa, malinconica, cosi come mi piacciono le storie caratterizzate da 
intrecci, segreti, misteri (un po' in stile "Dowton Abbey"),
collocate in un luogo "chiuso", dal quale non è possibile sfuggire, fatto che riveste un'importanza simbolica rilevante e che mi ha ricordato i romanzi gialli di Agatha Christie.

Sono tanti i personaggi che compaiono su questo palco, pochi spiccano per personalità, visto che la maggior parte sono anonimi, pigri, superficiali: il vivace produttore cinematografico americano col suo valletto e le due domestiche, Mary ed Elsie, la prima per la sua innocenza e, allo stesso tempo, la caparbietà nel voler capire chi sia l'assassino; la seconda perchè riesce ad uscire dalla villa con la prospettiva di una nuova vita.

Molto bello, un gioiellino, mi è piaciuto tanto e lo consiglio, soprattutto se gradite, come me, i film in cui ci sono servi e maggiordomi costretti al silenzio davanti ai loro padroni, dei quali conoscono vita morte e miracoli.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz