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mercoledì 14 dicembre 2016

Recensione: LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE di Gesuino Nemus (RC 2016)



Un romanzo particolarissimo, un esordio sorprendente, personaggi che affiorano da un mondo che ci appare antico (pur non essendo così lontano da noi, nè nello spazio nè cronologicamente), separato da tutto e tutti, soggetto a leggi proprie, portatore di lingue, costumi e usi arcaici, a volte incomprensibili ma forse proprio per questo affascinanti.

"La Teologia del Cinghiale" è stato premiato con il Premio Bancarella "Opera Prima" 2016; il vero nome del suo autore è Matteo Locci.


LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE
di Gesuino Nemus



Ed. Elliot
Collana Scatti 
pp. 240 
€ 17,50
Settembre 2015
La storia raccontata dall'Autore - che usa come pseudonimo* il nome del personaggio principale del romanzo - è collocata in Sardegna, nei Tacchi dell'Ogliastra, nel luglio 1969.

Sono giorni che la Storia ricorderà per quel memorabile sbarco sulla luna che tenne tanti incollati alla tv (per chi ce l'aveva), ma  Telévras, piccolo paese dell'entroterra sardo, ne conserverà memoria per altri fatti, strani e misteriosi.

Due ragazzini, amici per la pelle, vengono in qualche modo coinvolti in una serie di eventi apparentemente inspiegabili e che riguardano la morte di più persone.

C'è Matteo Trudìnu, talentuoso figlio di un sequestratore latitante: l'altro ragazzino è Gesuino Némus, un bambino silenzioso e con problemi "di testa", da tutti considerato "scemo".
I due ragazzini crescono sotto le ali protettive del parroco del paese, il prete gesuita don Cossu, che si prende cura di loro, dandoli non solo da mangiare ma anche un'istruzione, come fossero figli suoi.

Un giorno il padre di Matteo, scomparso da settimane, viene trovato morto a pochi chilometri di distanza da casa.

Ad indagare c'è il maresciallo dei carabinieri De Stefani, un piemontese che fatica a prendere confidenza con la realtà montanara sarda, con le sue logiche e le sue leggi non scritte ma note a tutti e da tutti seguite; accanto a lui, ad aiutarlo a districare la matassa - che si ingarbuglia quando vengono ritrovate morte altre due persone, collegate al primo morto - ci sono il carabiniere scelto Piras e lo stesso don Cossu che, in quanto "del posto", possono fornire al maresciallo una lettura e una comprensione degli eventi "interna".

Matteo ci viene presentato come un ragazzetto super dotato, intelligentissimo, che parla il latino speditamente senza averlo studiato per anni, che sa suonare le musiche senza aver studiato uno strumento musicale; conosce a menadito tutti i nomi dei diavoli che Don Co' scaccia dagli indemoniati e, soprattutto, è un tipo che sa osservare la realtà attorno a sè, comprendendo ciò che gli adulti pensano di potergli nascondere.

Di questa sua capacità mette a parte l'amico carissimo Gesuino, che lui non tratta come uno sciocco ritardato, anzi, lo rispetta e gli parla seriamente per insegnargli ciò che sa.
E Gesuino capisce tante cose, e ha pure un'ottima memoria, tant'è che ricorda, ad es., perfettamente strade e sentieri di montagna nei quali pure un pastore esperto rischierebbe di smarrirsi.
Certo, non parla, pare muto e per questo tutti lo ritengono scemo, ma non sanno che Gesuino scrive, e scrive pure tanto; scrive senza virgole e senza punti, fa impazzire chi legge le sue parole deliranti, ma intanto scrive sempre, e in ciò che esce dalla sua testa c'è più verità di quella che preti e marescialli saranno mai capaci di scovare e portare alla luce.

La verità riguardante Matteo, ad esempio.
Eh già perchè il suo amico, una sera, dopo il ritrovamento del cadavere del papà e dopo un ulteriore tragico avvenimento famigliare, decide di fuggire, di notte, andandosene su per i monti, nascondendosi in anfratti dove nessuno potrà trovarlo.
O per lo meno, così è convinto don Co', che teme che al suo pupillo possa accadergli qualcosa, solo soletto nella montagna aspra e solitaria, ma allo stesso tempo spera che il ragazzo, sveglio com'è, sappia cavarsela. Magari non tornerà, ma l'importante è che, ovunque vada, Matteo stia bene...

Ma cosa è accaduto davvero a Matteo?
E quelle morti che stanno rattristando Televras, a cosa o a chi sono da ricondurre? Chi è il colpevole?

Misteri, colpe antiche, segreti e rivelazioni giungono agli occhi del lettore pagina dopo pagina, mentre la storia pare tingersi di giallo..., ma attenti!, non è un giallo come gli altri; quello delle morti misteriose è più un espediente preso in prestito dall'Autore che il cuore della faccenda.

Attraverso le parole di Gesuino veniamo immersi in eventi sapientemente orchestrati, imprevedibili e tanto originali, che ci stupiscono per il tocco pieno di umorismo e di inventiva, per i personaggi caratteristici, che ci fanno ora sorridere ora ci suscitano tenerezza.

Ci piace don Cossu, per la sua cultura che sa essere tanto astratta (se vuole, sa filosofeggiare) quanto pratica, vicina al piccolo mondo in cui è nato, alle semplici anime di cui accoglie (non le ascolta semplicemente) le confessioni e che assolve; è simpatico e tenero con i suoi pupilli, è arguto e ironico con il povero maresciallo, che non sa raccapezzarsi dietro a questi sardi incomprensibili e omertosi, che sanno tutto di tutti ma non parlano manco se minacci di sgozzarli.

Così arrestare un delinquente diventa davvero un'impresa, e lo sa bene Piras, che svolge questo lavoro da una vita tra la propria gente e che sa quanto sia difficile acchiappare i colpevoli, perchè si finisce per conoscere tutti e chiudere non soltanto un occhio, ma pure l'altro, e orecchie comprese.

A differenza del maresciallo, un altro forestiero si troverà coinvolto - seppur come spettatore - nei fatti di quel luglio del '69 e nel corso della narrazione vedremo le cose anche dal suo punto di vista. 
Carlo è un giornalista che scrive articoli di viaggio ed infatti si trova in quella zona della Sardegna per prepararne uno che illustri la bellezza di quei posti per fini turistici.
Carlo si trova di fronte - anzi, dentro - ad una realtà a lui ignota, diversissima dalla sua Milano; conosce di persona questi sardi dal cuore grande, dalle mani generose, dall'atteggiamento affabile, ti chi subito di fa sentire a tuo agio, ti dà confidenza, trattandoti come uno di casa, offrendoti vino, liquore, formaggio, e mangiare insieme, si sa, è forse l'espressione massima della condivisione.
Carlo resta piacevolmente stupito dall'accoglienza calorosa del vivace e acuto don Co' e di tutti gli altri personaggi che incontra; comprende anche che il piccolo e minuto Gesuino non è stupido, anzi...: se quella bocca parlasse e dicesse tutto ciò che sa, quante verità emergerebbero!

Ma Gesuino è un sardo DOC; le parole le misura, le pesa, le scrive sul proprio "libro" e le sussurra all'orecchio solo di persone che si porteranno i suoi piccoli grandi segreti nella tomba.
Ma tranquillo, lettore, Gesuino non ti lascia nell'incertezza e il finale dà tutte le risposte, ma lo fa spiazzandoti. 

"La teologia del cinghiale" è un'opera pirotecnica, geniale e ricca di suspense che ci catapulta in un "piccolo mondo antico" (eppure odierno), come antichi, arcaici sono le sue voci, i suoi sapori, che ci avvicinano almeno un po' alla magia della terra sarda, raccontando gli ultimi cinquantanni di un'Italia sospesa fra modernità e tradizione.

Tutto è sardo, in questo libro, e per comunicarcelo l'Autore non esita a riempirci di parole e frasi in dialetto, perchè il sardo è una vera e propria lingua a sè; è sarda la mentalità dei suoi personaggi, i loro nomi e soprannomi; lo è il riferimento al paesaggio, che sa essere tanto brullo e aspro (come le montagne di notte) quando incantevole (come le spiagge e il mare cristallino); lo è nel cibo, nell'arrosto di pecora o di cinghiale, nel sapore deciso dei formaggi fatti in loco, nel cannonau che ti dà alla testa.

La narrazione è ora chiara, logica e ordinata, ora è un fiume in piena di parole e pensieri in apparenza sconnessi, quando è affidata a Gesuino.

Leggete questo romanzo, ve lo consiglio, perché credo che anche voi, come me, vi lascerete coinvolgere e lo troverete singolare e incredibile, per stile e trama, per il linguaggio genuino e verace, per il tono, ironico e nostalgico insieme, di chi questa terra meravigliosa la conosce da vicino e la ama; per la schiettezza dei suoi personaggi..., e non restarne affascinati sarà davvero un'ardua impresa.
Consigliato!!!


*ad essere precisi, l'Autore parla di eteronimo; Nemus in sardo vuol dire "nessuno", ma Locci non vuol dargli un'accezione negativa, bensì rimandare alla figura mitologica di Nessuno (Ulisse).



13. Uno dei finalisti del Premio Bancarella 2016

2 commenti:

  1. Ciao Angela, non conoscevo il romanzo ma la storia sembra interessante!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz