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giovedì 22 marzo 2018

Recensione: LA CUSTODE DEI BAMBINI MORTI di Maria Ielo



Una bambina morta, il cui "fantasma" continua a vagare tra le stanze della dimora in cui ha vissuto con l'amata madre, è al centro di questo romanzo dalle atmosfere malinconiche e struggenti.


LA CUSTODE DEI BAMBINI MORTI
di Maria Ielo



goWare
148 pp
2017
«Ho il lavoro perfetto per te. Si tratta di fare la custode della mia bambina. Ho un casale in campagna, a due ore di auto da qui. È disabitato. Una coppia di contadini se ne prende cura. Non manca nulla. In realtà, non è esatto dire che sia disabitato. Beatrice vive ancora in quelle stanze. Ha tredici anni. Le farai compagnia. Non dovrai stare con lei tutto il giorno. Avrai un sacco di tempo libero.»

Queste parole si sente dire Cristiana da uno sconosciuto che di lei sa diverse cose; Alessio è un ex-insegnante che ha viaggiato molto e che attualmente si è ridotto allo status di un barbone ubriacone.
Eppure quel "fagotto di stracci" sembra incredibilmente lucido quando le propone questo strano lavoro e le racconta la storia della sua famiglia.
La figlioletta, Beatrice, muore nel 1977, a tredici anni, in un incidente nella campagna umbra. 
E' trent’anni dopo che suo padre chiede a Cristiana di fare da custode alla figlia, rimasta sola nel casale di famiglia. 
La donna, perplessa ma evidentemente incuriosita, accetta, e si ritrova immersa in un mondo favoloso e inquietante, in cui si affollano misteri, protagonisti e “fantasmi” del passato.


"Chissà com’è restare per sempre ragazzini. Si mostrava nuda al mio sguardo. Non pensavo che l’avrei mai vista. Anche tu, Alessio, eri scettico. È come se lei avesse intravisto il mio cuore spezzato e compreso tutto. Nel preciso istante in cui apparve a me, la realtà di quella creatura, tutto quello che rappresentava e ancora mi era oscuro, divenne l’unica realtà possibile per me. (...) Ovunque fosse andata, l’avrei seguita. Ero venuta in questa casa per custodire una ragazzina morta: mi resi conto che era la cosa più importante da fare, ora. L’unica davvero necessaria, anche se non avevo idea di quale sarebbe stato il mio compito." 

A Cristiana si affianca Myrsine, una “governante” con poteri speciali e misteriosi.

Conosciamo quindi, grazie prima al racconto di Alessio e poi ai ricordi e alle parole di altri personaggi importanti - la stessa Cristiana, Myrsine, e un'amica di famglia, Alessandra - ciò che è avvenuto tra le mura de I Cipressi, il casale in campagna in cui la piccola Beatrice ha vissuto con la mamma Federica e dove la sua presenza ha aleggiato per più di trent'anni, dopo la morte improvvisa.
Federica era una donna che amava cimentarsi con la buona cucina umbra, e questo amore per i fornelli la induce ad aprire una piccola trattoria; ad aiutarla in cucina c'è un giovanotto discreto e fedele (innamorato di lei), Fabrizio, che le starà sempre accanto, anche quando la donna perderà ogni interesse per la vita in seguito alla tragica morte della figlia e inizierà a lasciarsi andare, a trascurare se stessa e la cucina.

Un'altra persona le resta vicina dopo la tragedia: Alessandra, un'amica carissima, che già frequentava i Cipressi quando Beatrice era viva e che diviene nel tempo anche l'amante di Federica; al contempo la donna, rendendosi conto di come Federica, pur stando bene con lei, non la ami davvero (non con la stessa intensità con cui è amata, quanto meno), non si risparmia dall'avere altre relazioni, tra cui quella, più importante e duratura, con una certa Marta; dal canto suo, Alessio aveva già da tempo lasciato il casale per vivere per conto proprio, in giro per il mondo, tornando di tanto in tanto a far visita all'ex-moglie e alla figlioletta.

Le mura de I Cipressi sono testimoni silenziosi di tutto questo, della tragedia di Beatrice come della depressione che ha spento ogni luce negli occhi di Federica, dell'amore passionale di Alessandra e di quello devoto di Fabrizio; a vegliare su di essi, contemplando impotente i giorni che trascorrono malgrado tutto e tutti, c'è lei, Beatrice, il cui spirito si è risvegliato poco tempo dopo la morte e ha iniziato a girovagare per le stanze della casa e per i terreni circostanti, guardando, con un dolore e una tristezza infiniti - consapevole di non essere vista da nessun essere vivente -, sua madre abbandonarsi all'alcool e al sesso con gli sconosciuti.

A farle compagnia, infatti, c'è solo un "fantasma" come lei, Samuele, un dolce bambino morto molti anni prima, che le sta attaccato come un'ombra, felice di avere finalmente un'amica con cui passare il tempo.

Beatrice fa tenerezza per questo suo struggente desiderio di "esserci ancora", di poter partecipare alla vita delle persone amate; vorrebbe con tutta se stessa che Federica, Alessandra... si accorgessero di lei, perchè lei c'è davvero, va da una stanza all'altra, continua a disegnare come faceva prima, trascorre ore ed ore in bliblioteca, legge tantissimo ed in particolare ama alla follia "Cime tempestose" e vorrebbe avere un'amica come Catherine, ribelle e impetuosa.

Myrsine e Cristiana riescono a "vedere" la figura evanescente di Beatrice, un'eterna tredicenne, che la morte ha reso bambina per sempre, ma questo non ha impedito al tempo di trascorrere anche per lei.
Arriverà un momento in cui il fantasma inquieto di Beatrice si stancherà di vagabondare, stanco di portarsi dietro il peso di una non-esistenza, fatta di invisibilità e di occasioni perdute per sempre?

Cristiana e Myrsine trascorrono molti anni insieme, custodi dei Cipressi e delle anime dei bambini morti che, negli anni, si affacceranno numerosi al casale, popolandolo invisibilmente di voci e risate, e per queste creature che solo loro vedono e ascoltano, esse cucinano amorevolmente, ignorando i commenti schernitori della gente di fuori.
Aspettando che la morte, serenamente, arrivi a prendere anche loro.

"C’è soltanto un modo per vincere la morte: riconoscerla. Aprirle la porta con un sorriso. (...) È struggente l’amore infinito che proviamo per il nostro corpo, perfino quando è corroso dalle malattie più terribili. Una nostalgia invincibile invade l’anima. Non vorremmo lasciarlo: è la nostra vera casa, l’unica che duri tutta la vita. Ci dà sicurezza, senso di protezione. L’idea di affrontare l’ignoto senza corpo è mostruosa. Che bello sarebbe portarlo con noi, di là... Però, se ci convinciamo che morire non è spiacevole né spaventoso, se comprendiamo che è stata la nostra mente, lei soltanto, a creare il mondo, e il mondo sarà sempre dentro di noi, attenueremo, e forse sconfiggeremo, il desiderio di tornare."

"La custode dei bambini morti" è un romanzo breve e corale che mi ha trasportato in una vecchia casa di campagna che, pur essendo collocata in una precisa regione italiana, in realtà è come se fosse isolata da tutto ciò che è ordinario, comune, normale..., terreno.

Procedendo tra passato e presente, dando voce a più di un personaggio e alla sua prospettiva personale, la prosa dell'Autrice affascina il lettore per il suo vestirsi di evanescenza, come se i fatti e le persone di cui si narra fossero sospesi tra la vita e la morte, tra la terra e il "regno dei morti", senza con questo assumere tratti angoscianti, bensì malinconici, tristi... ma di un triste non fastidioso, anzi dolce, quasi commovente.
Tra queste pagine ho trovato diverse interessanti dicotomie: ad es., da una parte c'è Alessio, che trascorre gran parte della propria vita come vagabondo, senza radici, dall'altra ci sono gli abitanti de I Cipressi, come Myrsine, Cristiana, Fabrizio, la cui esistenza sembra avere senso solo in quanto radicata lì, tra quelle mura.
Ancora, vi è tanto - per dirla "alla Freud" - una pulsione alla vita quanto un istinto di morte: se Federica muore dentro e si autodistrugge dopo la morte della figlioletta, quest'ultima sembra non accettare l'idea di essere morta, restando legata alla vita nel casolare di famiglia e desiderando con tutta se stessa che qualcuno si accorga di lei.

Se è vero che la morte sembra dominare tra queste pagine, accanto ad essa è però molto presente anche l'Amore: l'amore disperato e triste di una madre verso la figlia perduta per sempre; l'amore pacato e silenzioso di Fabrizio verso Federica; l'amore sensuale tra alcune delle donne di questa storia, un amore quasi sempre passionale, a tratti selvaggio, dirompente, affamato, voglioso di perdersi nell'unione di corpo e anima, senza freni; e ancora l'amore ossessivo di Cristiana verso l'unico uomo che abbia mai amato e che, per sua sfortuna, amava un'altra.
Una serie di inseguimenti d'amore, in cui sembra che nessuno trovi davvero appagamento e pace, ed infatti c'è sempre un filo di inquietudine e tormento che attraversa tutto il romanzo, fino a quando, dirigendoci verso la fine, una sorta di tranquilla serenità sopraggiunge nel casolare dei Cipressi, e tutti i sentimenti, i pensieri, le paure, le angosce, le tante emozioni che hanno mosso i suoi abitanti trovano finalmente requie.
Intrigante il riferimento a "Cime tempestose", il classico che personalmente amo di più, e che ben si colloca in questa atmosfera suggestiva, malinconicamente spettrale, impalpabile, intrisa di una ineluttabile nostalgia verso un passato che vive unicamente nella mente di chi ancora resiste allo scorrere impietoso del tempo.

Lettura molto piacevole, che cattura per la sua scrittura ammaliante e profonda, che sa esprimere la complessità dei sentimenti umani con vividezza pur essendo essi collocati in uno sfondo surreale, che ha i contorni di un sogno etereo.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz