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domenica 28 ottobre 2018

Recensione film: EUFORIA di Valeria Golino



Due fratelli - che più differenti, per carattere, ambizioni, stile di vita.., non potrebbero essere trovano in un fatto drammatico, come può essere un male incurabile, l'occasione per ritrovarsi e conoscersi davvero.


EUFORIA


ottobre 2018
Regia: Valeria Golino.
Casto: Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Jasmine Trinca, Isabella Ferrari.


Matteo è un businessman di successo, è sicuro di sè,  spregiudicato, affascinante, sempre allegro e dinamico; sguazza nella bella vita, guadagna una barca di soldi, vive in un attico moderno e super arredato a Roma; trascorre le sue impegnatissime giornate tra il lavoro e i momenti goliardici con amici più matti di lui; narcisista fin nel midollo, si concede piaceri a più non posso, attraverso il sesso compulsivo e l'assunzione di droghe.

Quella di Matteo potrebbe sembrare, a un occhio superficiale, una vita spensierata, ricca di soddisfazioni, priva di problemi seri; uno come lui, di cosa si potrebbe mai lamentare?
E in effetti Matteo non si lamenta proprio, è cosciente di come non gli manchi nulla e tutto quello che vuole, ogni sfizio e desiderio, quando vuole, se lo toglie senza pensarci su.
Eppure dietro questa sorta di ottimismo, questa frenesia un po' folle, esagerata, sbattuta in faccia e vissuta senza freni e pudori, si cela un immenso vuoto interiore.

Scamarcio ha preso su di sè il personaggio di Matteo con convinzione, facendolo proprio, interpretandolo con tutta l'intensità e la passione di cui è capace, restituendoci il ritratto di un giovane uomo molto complesso, pieno di eccessi che però nascondono profondi limiti, una personalità ricca di sfaccettature e contraddizioni, che cerca di placare la propria irrequietezza, i propri dèmoni interiori  buttandosi a capofitto nella ricerca dei piaceri estremi, che sia attraverso il sesso promiscuo, sniffando polverina bianca o spendendo soldi come e quando vuole.

Matteo è un personaggio affascinante perchè, pur avendo delle caratteristiche di personalità e un modo di vivere che in diversi momenti possono costituire per lo spettatore un elemento di "disturbo" e addirittura infastidirlo, in realtà - a ben guardare - non si può far a meno di provare per lui simpatia, soprattutto quando lo vediamo interagire col fratello.

La sua esistenza esuberante e all'insegna di una felicità che non ha nulla di interiore ma solo l'ostentazione di un culto di se stesso, del denaro e della bella vita in senso materiale, viene in un certo qual modo "disturbata" da una brutta notizia, che manda Matteo - che pure potrebbe sembrare un superficiale - in crisi: suo fratello Ettore ha un tumore al cervello e le sue condizioni non sembrano far ben sperare...
Lui, però, ancora non lo sa. E Matteo è intenzionato a nasconderglielo.

Ettore è l'opposto esatto del fratello: insegnante di Scienze alle scuole medie, ha scelto di condurre una vita dimessa, tranquilla; vive ancora nella piccola città di provincia dove entrambi sono nati, è un tipo poco ambizioso, che non ha mai osato granchè nella sua vita; attualmente lui e la moglie (I. Ferrari) stanno attraversando una crisi matrimoniale...

Con la bravura che gli è propria, Mastandrea dà al "suo" Ettore un'aria grigia, triste, propria di chi è sull'orlo della depressione, di chi ha disimparato a gioire e a trovare un senso per vivere ogni giorno; da quando, poi, si è accorto di star poco bene (sa di avere un "problema alla testa", che gli provoca fitte, svenimenti e altri sintomi preoccupanti, ma non sa ancora di che si tratta) è diventato ancora più ombroso, taciturno, tende ad isolarsi e non sopporta la presenza (che lui giudica un po' invadente) della madre e della moglie (che si preoccupano della sua salute), e anche del figlioletto, limitandosi a trattar tutti con sufficienza e indossando una maschera di sarcasmo e cinismo dietro la quale si nasconde un uomo ormai disilluso e profondamente insoddisfatto.

Ettore e Matteo sono fratelli, sì, ma si conoscono molto poco; non hanno mai parlato davvero, non hanno condiviso mai grandi cose, essendo agli antipodi caratterialmente e per il personale modo di concepire la vita.
In realtà sono più affini di quanto possa apparire a un primo sguardo.

 La malattia, e lo spettro della morte che essa si porta dietro, diventano insospettabilmente l'occasione giusta per riavvicinarli, dando loro modo di trovarsi finalmente l'uno accanto all'altro, facendo i conti con una verità che fino a quel momento entrambi non avevano ammesso con loro stessi e che in fin dei conti è ciò che li accomuna: seppur per motivi opposti, sia Matteo che Ettore stanno rischiando di perdersi, il primo affogando in un'esistenza apparentemente piena ma sostanzialmente vacua, l'altro annaspando nella propria, depressa, frustrata, priva di stimoli.

Matteo prende con sè Ettore, offrendogli ospitalità così che possa sottoporsi alle cure giuste per quella che lui pensa si tratti di una semplice e benigna cisti, quando invece è un tumore inoperabile.
Matteo si ostina a voler nascondere la verità al fratello: non vuole che si scoraggi sapendo cos'ha realmente, perchè Ettore deve poter credere che la guarigione sia possibile, e se per farlo deve  riempirlo di bugie, pazienza, Matteo lo fa senza problemi, con la leggerezza che lo contraddistingue e con la innocente e quasi infantile presunzione da manipolatore inconsapevole che crede di poter controllare tutto, anche la malattia e la morte.

La convivenza sarà tutt'altro che facile e automatica e non mancheranno momenti di scontro, litigi, incomprensioni, con Matteo che rinfaccia ad Ettore di essere un fallito che non ha mai rischiato nella vita e Ettore che accusa il fratello di voler gestire la vita altrui perchè è un ricco che deve farsi "perdonare" la propria omosessualità.

Tra momenti più drammatici ed altri quasi comici, alternando un taglio narrativo da commedia che però resta sempre sobrio, discreto, intelligente e in grado di far sorridere lo spettatore, con uno drammatico che non è mai pietoso, melenso, Valeria Golino torna alla regia dopo "Miele", riproponendo un tema ad esso affine: la presenza della morte nella vita, che è poi qualcosa di estremamente "naturale", nel senso che - benchè aleggi attorno alla parola (e all'evento) morte qualcosa di cupo, pauroso, angosciante - essa è allo stesso tempo inevitabile tanto quanto il nascere e il vivere, è qualcosa cui proprio non possiamo sfuggire.

La Golino si riconferma un'ottima regista, sensibile, genuina, autentica, asciutta e diretta nello stile e al contempo capace di portare, con delicatezza e decisione insieme, lo spettatore a farsi delle domande su questioni importanti, senza necessariamente offrirgli alcuna "soluzione" o giudizio; come attorno a Miele non c'era l'ombra del giudizio morale circa il suo particolare lavoro e l'aspetto etico ad esso legato, così non ce n'è su Matteo e sulla sua joie de vivre decisamente sopra le righe.

Mi ha fatto tenerezza vedere come un uomo di successo e convinto di poter avere il mondo in mano o di poter ottenere ciò che vuole grazie ai soldi, faccia di tutto e si inventi le cose più strambe per far credere a quel fratello così diverso, che fino a quel momento era quasi un perfetto sconosciuto, che è tutto ok, che non è ancora finita, che c'è ancora la vita che lo aspetta.

In fondo, Matteo è meno "leggero" e superficiale di quanto sembri e forse prendersi cura del fratello è il suo piccolo riscatto da una vita frivola, e in questo, mi ripeto, Riccardo Scamarcio è stato eccellente nella sua interpretazione, permettendoci di entrare in empatia col suo non facile personaggio, che si fa amare pur non condividendo tutto di lui, anzi, forse il "bello" sta proprio qui; credo di non sbagliare sostenendo che è proprio lui, col suo effervescente Matteo, ad essere il motore trainante del film, in quanto concentra in sè complessità, contraddizioni, debolezze e punti di forza che gli conferiscono una grande efficacia e veridicità.

E' un film "al maschile", in quanto ci si concentra sul rapporto tra due fratelli, anche se le tre donne più importanti hanno comunque il proprio significativo ruolo, che sia la mamma, l'ex-moglie o l'amante.

Trovo sia davvero un film molto bello, girato e interpretato egregiamente, potente nelle tematiche e nella costruzione dei suoi due protagonisti, ma anche delicato nella scelta di come raccontare il tutto; non mancano scene intense e, soprattutto nel finale, emozionanti.


Curiosità: la Golino ha scelto questa parola, Euforia, come titolo per la propria opera, riferendosi a quella sensazione potente e pericolosa insieme che provano i subacquei quando si trovano a grandi profondità: si sentono pienamente liberi, felici. Ma proprio quando si affaccia in loro questa euforia, è arrivato il momento di risalire immediatamente, prima che sia troppo tardi.

4 commenti:

  1. Decisamente da vedere. Buona domenica e grazie.
    sinforosa

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  2. Vado martedì pomeriggio!
    Ti ringrazio per aver confermato le mie impressioni di base, ho aspettative altissime. :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz