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giovedì 22 novembre 2018

Recensione: OGNI RICORDO UN FIORE di Luigi Lo Cascio



In viaggio con il protagonista e narratore, Paride Bruno, aspirante scrittore affetto da una strana "sindrome" che gli impedisce di portare a termine alcunché, il lettore viene letteralmente travolto da un fiume di parole che spiazzano, forse a volte confondono, ma sicuramente affascinano perché l'incompiuto e l'imperfetto trovano spazio e senso nella penna elegante e intensa di Luigi Lo Cascio.



OGNI RICORDO UN FIORE
di Luigi Lo Cascio



Ed. Feltrinelli
334 pp
18 euro
"La vita è lo scavo all’aperto di un nostro pensiero. E mentre racconta una storia, seppure a frammenti, accerchia e costringe la morte al di fuori del mondo. Forse che queste pagine d’incipit sparsi sono in fondo il mio vero paesaggio? Lo specchio scomposto in cui la vita disunita si rifrange?"

E' un libro particolare, questo di Lo Cascio, attore e regista di talento, che tra queste pagine ci stupisce e ci incanta con la sua raffinatezza, la ricercatezza nell'uso di frasi, metafore e giochi di parole frutto di grande sensibilità e accuratezza, di una personalità brillante e colta, di un artista originale, geniale.

Solitamente questo genere di considerazioni le scrivo sempre a fine recensione, ma ammetto i miei limiti e vi dirò: non so se riesco a recensire questo libro come vorrei...

Di solito inizio sempre collocando la storia, i personaggi...., quindi passo alla trama e da lì analizzo i fatti salienti, gli intrecci, gli eventuali colpi di scena, cosa mi ha colpito di Tizio o Caio..., tutto sempre avendo in mente un filo conduttore, una logicità e una linearità necessarie per risultare chiara a chi mi legge e lasciar comprendere il mio parere in merito all'opera letta.
Ma evidentemente Lo Cascio e il suo Paride mi hanno "attaccato" l'incompiutezza cronica multifattoriale (ICM) per cui se iniziassi a blaterare qualcosa su di loro pretendendo di mantenermi razionale ed ordinata, non so quanto sarei efficace e forse finirei per bloccarmi e perdermi nei meandri dei miei stessi confusi pensieri.

Però ormai ho incominciato e qualcosa ve la devo dire, no? ^_-

Anzitutto, sappiate che per leggere queste pagine è necessario che stiate tranquilli e concentrati perchè è facile perdere la bussola e smarrirsi nel torrente di parole che vi passeranno sotto gli occhi; dopotutto, se deciderete di imbarcarvi in questa lettura, ricordatevi che sarete su un treno e, si sa, quando si viaggia non è che si possa fare chissà cosa o andar dove si vuole: ci si può solo accontentare di alzarsi ogni tanto dal proprio posto, fare un giro in corridoio (quando si può), provare ad iniziare una conversazione con qualche viaggiatore chiacchierone..., ma soprattutto, si ha tanto, tanto tempo per pensare. O per scrivere. O per leggere, fate voi.

Paride Bruno è colui che ci accompagna in questo viaggio su un Intercity non ad alta velocità, da Palermo a Roma, in cui egli cerca di "fare la pace" con se stesso, o meglio con un suo "difetto" che lo tormenta e lo innervosisce: tutte le volte che dà inizio a qualcosa, non riesce mai a portarla a termine perchè c'è sempre qualcos'altro che lo distrae... Il punto è che lui vuol fare lo scrittore e questa sua bislacca patologia fa sì che si ritrovi nella testa e tra le mani incipit su incipit, ne ha collezionati più di 200, scritti su fogli svolazzanti, tutti conservati gelosamente e riletti in questo percorso con la speranza di mettere ordine tra quello "svolazzo di pagine sparse" (e quindi in se stesso?) e di capire se sia possibile risolvere il problema dell'incompiutezza cronica, riuscendo finalmente a scrivere un romanzo come si deve, dall'inizio alla fine.

Tra un incipit e l'altro ci viene narrata la storia del viaggio, e così  ci sono i momenti in cui assistiamo insieme a Paride al treno che si ferma di stazione in stazione, al saliscendi dei passeggeri, alle chiacchierate, le litigate: buffi sono i bisticci con una coppia siciliana pronta a far baruffa  per un nonnulla; c'è poi la ragazza spaventata e sola che cerca compagnia o il ragazzino prodigio che ama leggere, ha una cultura ed un acume assolutamente fuori dal comune, e i suoi quesiti esistenziali sgomentano anche un tipo cervellotico come Paride, che pure butta giù parole su parole che sanno come essere contorte e complicate da seguire e comprendere.

Essere sul treno "costringe" l'uomo a fermarsi, a godersi ogni attimo in cui, dice Paride

"mi sarei soprattutto intromesso, contestualmente, sfacciatamente, nelle storie e nei destini di altri passeggeri – capita sempre d’imbattersi in qualcuno di davvero interessante nei treni più lenti – e in ogni caso poi, se il viaggio di per sé non fosse andato troppo bene – quanto a sorprese e ad avventure da annotare – allora pazienza, avrei comunque fatto finta e simulato ogni cosa, avrei magari sognato, immaginato, elucubrato,tanto il sud è inesauribile non solo d’incontri, ma ancor di più di spasmi onirici, miraggi, visioni, miracoli fantasticati, chimere, convulsioni..."

Dopotutto, cosa c'è di meglio per uno scrittore che osservare con attenzione i bizzarri soggetti che gli gravitano attorno, rubarne espressioni e gesti, parole, stranezze... e farne magari del materiale per la propria scrittura?

Ma siamo sempre al punto di partenza: di tentativi di iniziare un romanzo - il romanzo? - ne ha fatti a bizzeffe, ma ogni volta che sentiva di aver buttato giù un inizio buono e convincente, ecco che la vena narrativa gli si bloccava al primo punto fermo.

E allora, se il problema è questo, tanto vale rimandare questo benedetto punto, e allungare così la frase iniziale, riempirla di tanta roba, di tutto (o quasi tutto...) quello che vorrebbe poter mettere in un vero romanzo, così che noi lettori di Paride ci troviamo sommersi tanto da inizi composti da frasi brevi, lapidarie, ad effetto, quanto da altri davvero molto lunghi, verbosi, confusi, che inevitabilmente (e volutamente?) ci disorientano, facendoci dimenticare il soggetto e il filo che unisce pensieri, associazioni, dubbi e riflessioni.

Di cosa trattino queste centinaia di incipit lasciati incompiuti non è semplice dirlo; nel senso che essendo appunto delle "battute iniziali", in esse c'è il germe di qualcosa che non conosceremo mai a fondo, però alcuni temi emergono più frequentemente: il rapporto padre/figlio, la famiglia in generale, la nascita, la vita e la morte, l'amore, il dolore, il mare...

Ci sono incipit costituiti, come dicevo, anche da una frase sola, breve, e che hanno una forza struggente, evocativa, che tocca il lettore:

"Le nostre lacrime non sono pronte: è ancora troppo giovane il dolore; ma la certezza che lo scempio arriverà costringe gli occhi, in quest’ultima notte, a stare all’erta sul ciglio del pianto."


Altri mi hanno sorpresa per l'estro e l'ingegnosità:

"Quell’amo dell’ago di cromo, che punge in mezzo al corpo, tra quarantene non osservate nei giorni, lutto a mostri e a storpi, a seconda del mordere e molestare di quelli, va quasi a squarcio, tra un ospedale a destra e un ampio obitorio a sinistra; e in fronte, se il livido raggiunge le derive, l’arca prende l’ancora più estensibile al malocchio in questa biforcazione e impregna d’unto dove l’ago stressa, e l’asta carolingia si trasforma in ago longobardo d’anima privo, chiusa parentesi di un uovo, ragli all’ansia di sciogliersi di stenti e di rimorsi in cuori gonfi, in fiori quadri di ripicche e scambi ai compromessi estrosi del mistero d’ali e scandagli al buio palissandro dei calzoni".


Ma proprio questi tanti "cominciamenti" non sono forse tante piccole e sfaccettate schegge che ci svelano il protagonista stesso, con le sue ossessioni, le sue paure, i suoi desideri?


"A un certo punto sono inciampato sulla vita che nel frattempo mi era a sua volta caduta di senso. In me invece insiste un trambusto, un fracasso, un subbuglio di voglie, come un campo ormai invaso, travolto, soffocato da mille presenze, affollato e purtroppo mai solo. Chi scrive, seppure divaga, disegna in fondo sempre autoritratti. E questo è un alter ego all’incontrario."

Mi fermo..., credo che se continuassi finirei per infilarmi in un ingorgo, in un "impasto di parole" - come dice Paride - dal quale poi non saprei più uscire.
Ma poi..., chi l'ha detto che bisogna uscirne per forza? Chi l'ha detto che per ogni inizio ci dev'essere una fine? Finchè in noi scorre la vita, una vera fine non c'è mai. E chissà, forse neanche dopo.

Il significato del titolo di questo libro diviene chiaro verso la fine, e spero che ci arriviate come ci sono arrivata io, perchè secondo me quest'opera narrativa di Lo Cascio merita.
Se siete alla ricerca di una storia ben definita, con intrecci e sorprese, con personaggi delineati in modo chiaro, con dialoghi vivaci, con ambientazioni particolari ecc..., allora per adesso non leggetelo.
Non farò la splendida omettendovi che ci sono stati un paio di momenti in cui stavo per abbandonare la lettura perchè mi pareva di annegare nel mare di confusione di Paride Bruno, ma la fascinazione, prodotta dal sapiente uso della parola da parte dell'autore, esercitata su di me ha avuto la meglio, e ho proseguito fino alla fine, e ho fatto bene perchè ho potuto apprezzare la validità di questo attore, che stimo moltissimo artisticamente, anche come narratore, e mentre leggevo mi sono immaginata che lui fosse davanti a me e recitasse, con l'intensità e la bravura e la sensibilità che gli appartengono, le proprie parole dando corpo e vibrazioni ai pensieri di Paride.

Consigliato a... chi non ha fretta, a chi è pronto a libri non certo leggeri e semplici, ma che nel loro apparire complicati riflettono qualche frammento di ciascuno, perchè in ognuno di noi ci sono incertezze, azioni incompiute, pensieri lasciati a metà, emozioni inespresse, cassetti mai aperti.., e chissà, anche romanzi iniziati e mai portati a termine.
Quanto di Paride ho ritrovato in me...!



"Quell’uomo d’Appennino considerato matto – forse perché poeta in ogni verso della vita –, una volta si trovò a scoprire il mare, se lo racchiuse tutto dentro il petto e lo fece diventare il suo cuore."

"La vita è sempre più giovane e perciò più forte del dolore perché è il dolore che l’ha messa al mondo".



2 commenti:

  1. Ciao Angela, non credo sia un libro che faccia al caso mio, ma mi ha fatto piacere leggere la tua recensione :-)

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    1. È un libro che va letto con attenzione, concentrazione, quindi magari ci sono periodi in cui può essere più o meno indicato ;-)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz