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lunedì 7 gennaio 2019

Recensione: BELLA MIA di Donatella Di Pietrantonio (RC2019)



Quando la notte del 6 aprile 2009 l'Aquila e le località vicine furono scosse dal violento terremoto, entrato ormai a far parte della memoria collettiva di noi italiani, non andarono giù solo gli edifici, ma anche le esistenze delle persone coinvolte, di quelle che persero la vita ma pure delle sopravvissute alla tragedia e alla perdita dei propri cari. La protagonista si ritrova a fare i conti con il trauma del lutto e la difficile ricostruzione della propria vita a partire dalle macerie, fisiche ed emotive.



BELLA MIA
di Donatella Di Pietrantonio



Elliot Ed.
192  pp
"La mattina del 6 aprile, quattro anni fa, il dolore si è diffuso e ha riempito tutta la capacità disponibile, come i gas, è diventato la mia atmosfera, atmosfera, l’unico ossigeno respirabile. Non ho saputo provare altro, non mi sono distratta."


Siamo a L'Aquila, quattro anni dopo il disastroso terremoto che sconvolse la città (e la provincia) provocando più di trecento morti e migliaia di feriti e sfollati.

Caterina, la protagonista di questa storia, nonchè io narrante, ha perso la sorella gemella Olivia nel corso di quella notte: lei stessa era presente in quei tragici momenti (avendo deciso di dormire a casa della sorella per non trovarsi sola qualora le scosse si fossero fatte più allarmanti), insieme ad Olivia, rimasta poi sotto le macerie, e al figlio di lei, Marco, sopravvissuto come la zia.
Dopo essere stato affidato in un primo tempo al padre, che però s'è dimostrato poco adatto ad occuparsene, a prendersi cura di questo nipote silenzioso e ombroso sono la nonna e la zia, che vivono da tre anni nelle C.A.S.E (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili).

Avere a che fare con questo ragazzo secco, spigoloso, brufoloso e di poche parole, non è facile; Marco è un adolescente scontroso, chiuso nel dolore e nella rabbia per quella mamma perduta ingiustamente e queste emozioni le butta fuori attraverso atteggiamenti e comportamenti irritanti, sgarbati e anche un po' da "scapestrato".

Mentre osserva con commozione e impotenza la madre anziana addolorata, che ogni giorno si reca al cimitero a "far visita" a quella figlia bella e intelligente ormai perduta per sempre, Caterina si ritrova quindi a dover essere una figura di riferimento per un nipote ribelle, inquieto, incline a cacciarsi nei guai e in collisione col padre, Roberto.

Roberto - musicista sempre in giro per l'Italia (e non solo) a far concerti - aveva lasciato la moglie Olivia per un'altra; in seguito alla separazione, Olivia si era trasferita dalla capitale (dove abitava col marito e il figlio), al L'Aquila con Marco, che ha sviluppato inevitabilmente rancore e rabbia verso quel padre assente, che li ha lasciati per rifarsi una vita, e che oltretutto non c'era in quella maledetta notte in cui il ragazzo ha quasi visto morire sua madre sotto una grossa trave.

A dire il vero, da quando l'ex-moglie non c'è più, Roberto sta cercando di recuperare un minimo di rapporto col figlio, ma questi non fa che rifiutarne ogni approccio, dimostrando in modo palese la propria ostilità nei confronti dell'affranto e alquanto passivo genitore.

Caterina, quindi, oltre a dover fare da madre al nipote, non di rado veste i panni di mediatrice tra padre e figlio; verso Roberto, prova sentimenti contraddittori, che la spingono a non ignorarlo e, al contempo, ad avere spesso atteggiamenti acidi verso lo stesso: se da una parte, infatti, non può non detestarlo per aver fatto soffrire la sua adorata Olivia, dall'altra lui rappresenta quel periodo della sua vita in cui, da ragazza, riusciva ancora a trovare dei momenti in cui essere serena, quasi felice.

Da sempre "vittima" di una sorta di complesso d'inferiorità verso Olivia, da tutti (mamma compresa) considerata la gemella bella, quella "baciata dalla fortuna", dal carattere esuberante, dalla personalità carismatica, capace di farsi voler bene e di attirare le attenzioni di tutti, maschi e femmine, la sorella più forte, capace di proteggere lei, la gemellina meno bellina, più magrolina, bisognosa di essere difesa..., Caterina non è mai stata una persona davvero felice, forse per via di un'insicurezza di fondo che l'ha sempre indotta a starsene nell'ombra, a restare immobile e triste mentre la vita le scorreva davanti come sabbia tra le dita; perdere l'unico vero perno della propria esistenza non ha fatto che acuire questa sua "inadeguatezza esistenziale", rendendola anzi ancora più "strana", come se ogni tanto perdesse il filo dei propri pensieri e il contatto con la realtà e la sua testa si perdesse tra le nuvole:

"Potrei anche essere ottimista, ma era uno stato d’animo inconsueto già prima, per me, figuriamoci dopo il terremoto. Ovunque vedo catastrofi, in un futuro non so quanto prossimo. Così mi difendo, scommetto sempre sul peggio, perché non mi ancora. "

In attesa che le loro abitazioni (site nella "zona rossa", quella ancora pericolante, transennata e non accessibile ufficialmente) vengano ricostruite e riassegnate ai rifugiati, i giorni trascorrono senza che Caterina veda nulla di positivo nel futuro, e a dire il vero neppure nel presente.
Sua madre vive col cuore anch'esso sepolto nel cimitero con quella figlia perduta; suo nipote ne combina di tutti i colori, mettendola in difficoltà e l'impacciata zia non sa che fare, come muoversi con lui; con suo cognato Roberto i rapporti sono striminziti, imbarazzati; non parla molto, Caterina, con nessuno, tutt'al più si limita ad ascoltare ciò che hanno da raccontarle le vicine o la postina...

A lacerarle l'anima c'è il pensiero di Olivia, la cui presenza rassicurante e il cui amore incondizionato le sono stati tolti in una manciata di minuti, senza che lei abbia potuto fare nulla per impedirlo.

"Questo scorcio così nero della notte è sempre dedicato a lei, mi manca senza pietà mentre dorme il dolore degli altri due. Non occorre nascondermi, potrei anche piangere, se venisse. Le offro la mia insonnia, qualcuno deve restare a vegliarla, a rivolgere pensieri verso la solitudine indecifrabile dove sta, dove non è.

L'unica cosa nella quale riesce ad esprimersi e a trovare una valvola di sfogo è l'arte: la donna, infatti, crea oggetti in ceramica, ricavando anche dei guadagni da quest'attività.

Eppure..., nelle sue giornate un po' grigie e sentimentalmente piatte, si sta affacciando la presenza di un uomo, che riesce a suscitarle brividi e sensazioni non provate da troppo tempo: con la sua dolce e discreta insistenza nell'aprirsi un varco verso una Caterina chiusa, disillusa e schiva, potrebbe donarle un briciolo di rinnovata speranza?

Donatella Di Pietrantonio in "Bella mia" ci racconta, attraverso la storia di una donna, la condizione di coloro che si trovano vivi dopo un evento tragico, qual è un sisma; chi sopravvive deve fare i conti con un passato carico di ricordi, di nostalgia verso persone, gesti, parole, oggetti... che ormai appartengono solo alla memoria del cuore; con un  presente occupato da detriti, polvere, macerie, desolazione..., e con un futuro che si prospetta decisamente in salita, interamente da rifare (materialmente e non); a questo spaesamento, a questa paura di dover ripartire da zero, si affianca il senso di colpa proprio dei sopravvissuti alle tragedie, che quasi si vergognano di essere vivi rispetto a tanta gente, che invece è morta.

In un clima diffuso di smarrimento, gli abitanti dei rifugi si sentono estremamente nervosi, "logorati dalla cronica provvisorietà", indecisi tra l'attesa che la loro situazione cambi e la rassegnazione che ciò non accadrà (non a breve, quanto meno).

L'Autrice si sofferma sulla singola storia - quella di Caterina - che è anche specchio di una condizione più ampia, e lo fa con una narrazione intensa, da cui emana una straordinaria forza poetica e una grande sensibilità, con un linguaggio semplice ed evocativo insieme, capace di imprimere nell'anima del lettore tutto il groviglio di sentimenti ed emozioni che assalgono chi vive esperienze drammatiche, di chi si è trovato faccia a faccia con la morte e ne è sì uscito vivo..., ma a quale prezzo e con quale bagaglio di dolore!
Una scrittura intima, profonda, che dà voce a quanti, colpiti da un evento catastrofico, devono rimboccarsi le maniche e riscattare il diritto ad avere un futuro.
Caterina deve imparare che da questo evento doloroso che l'ha privata di un affetto fondamentale, può giungerle inaspettatamente l'opportunità di ritrovare gli affetti intimi da cui rischiava di sentirsi sempre più lontana, di aprirsi con fiducia alla vita, all'amore, in una parola, di riscattare se stessa da una passiva rassegnazione che non riesce ad evitare e dal voler essere per forza forte per amore della madre e del nipote.

E' il secondo romanzo di quest'autrice che leggo - dopo "L'Arminuta"- e per me si riconferma una scrittrice di talento, che sa come catturare l'attenzione del lettore narrandogli storie realistiche, che svelano il vissuto interiore della protagonista lasciandolo entrare in empatia con lei e, inevitabilmente, il pensiero va anche a chi ha vissuto i fatti devastanti che fanno da sfondo alla storia.

Consigliato!!


4 commenti:

  1. Ciao Angela, non ho mai letto nulla di quest'autrice, ma le tante recensioni positive che leggo mi incuriosiscono molto... chissà che questo non sia l'anno buono per conoscere le sue opere :-)

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    1. È una scrittrice che merita di essere conosciuta e apprezzata ;)

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  2. Ho letto "L'arminuta" un po' di tempo fa (più per spirito campanilistico che altro, visto che l'autrice è abruzzese come me...), e devo ammettere di averlo trovato piuttosto carino e ben fatto, se non proprio avvincente.
    Forse un giorno mi deciderò a recuperare anche quest'altro suo libro! ^____^

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    1. Ciao sophie!
      Beh sì, avvincente non è neppure questo, piuttosto sono storie che scavano nei sentimenti, e infatti a me piace moltissimo lo stile narrativo.
      E ti dirò, l Arminuta mi ha convinta anche di più ;-)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz