PAGINE

martedì 18 giugno 2019

Recensione: DI CHI E' QUESTO CUORE di Mauro Covacich



Un romanzo dallo stile particolare che ha la sua forza non tanto nella trama, anche perchè non c'è un'unica storia al centro, quanto nella voce narrante, che si fa portavoce di più spezzoni di storie, di pensieri e punti di vista circa il vivere quotidiano.


DI CHI E' QUESTO CUORE
di Mauro Covacich



Ed. La Nave di Teseo
Basta una visita medica, durante la quale un dottore rileva la presenza di una piccola anomalia cardiaca, per cambiare la vita al protagonista e narratore, che il lettore spontaneamente associa all’autore; questa scoperta improvvisa costringe l'uomo ad allontanarsi da un’attività sportiva eccessiva ed intensa, distruggendo la falsa convinzione di avere un corpo infaticabile, efficiente e privo di difetti.
E' questo l’innesco di un romanzo incentrato in particolare sul corpo, che qui si scopre difettoso a dispetto del dato di fatto che invece la società lo voglia bello, atletico, in forma.
Non solo, ma come il titolo stesso suggerisce, Covacich va in profondità e ci dice che in questo nostro corpo batte quel piccolo ma importante muscolo che è il cuore, quale luogo dei sentimenti, dei desideri, delle paure e dei destini individuali.

Le vicende personali del protagonista si alternano a riflessioni su svariati argomenti che, a prescindere dall'oggetto specifico, convergono tutti verso la disamina della società contemporanea e degli uomini e delle donne che la compongono.

L'io narrante è un uno scrittore 50enne, che vive a Roma con la compagna Susanna, con la quale ha un rapporto che si muove tra alti e bassi e i due si ritrovano spesso a punzecchiarsi; c'è la mamma del protagonista, una donna anziana, da tempo vedova che, grazie ai social (in primis Facebook) ha scoperto la bellezza di comunicare virtualmente con un sacco di gente, attività che le riempie le giornate e sembra averle donato un'inaspettata vitalità, oltre ad allontanarle lo spettro della solitudine.
E poi ci sono i rapporti con gli amici di sempre, i dialoghi tra loro, le trasferte di lavoro, i lavavetri fermi ai semafori, e ogni frammento di vita quotidiana è interrotto da riflessioni e pensieri su tante questioni.

Covacich si dimostra interessato e completamente rapito dal variegato e contraddittorio universo umano del quale egli stesso fa parte, e così si sofferma a scrivere su quanto paradossalmente - a dispetto del diffuso impiego di social per comunicare - le persone siano in realtà più sole e distanti che mai.

E non sono solo le persone a popolare queste pagine, ma anche i "fantasmi", due soprattutto: il protagonista non può fare a meno di pensare alla tragica morte di un ragazzo caduto (o forse lasciato cadere?) da una finestra di un albergo di Milano durante una gita scolastica. Una vicenda per la quale non si dà pace, anche perchè per i suoi genitori non c'è mai stata una vera e propria giustizia, visto che alla fine non s'è capito bene cosa possa essergli accaduto e non è stato individuato nessun responsabile.
Ma c'è un'altra strana figura che va a fargli compagnia praticamente ogni giorno: è un tizio grassone e laido che si intrufola di notte in casa sua, praticamente svestito, sgradevole nell'aspetto, volgare nel linguaggio, che è una sorta di alter ego, una "seconda coscienza" del protagonista stesso, che lo spinge a guardarsi dall'esterno, senza ipocrisie e false giustificazioni.

Il protagonista guarda, con spirito di osservazione e una leggera ironia, se stesso e le persone che ha accanto, ne esamina le parole, gli atteggiamenti, predisponendosi all'ascolto di ciò che è dentro l'uomo, il che ci fa capire come, nonostante i modi di fare non proprio affabili e socievoli, il protagonista sia in realtà sensibile e profondo; nutre una grande simpatia per Anne Frank, Etty Hillesum, di cui ama parlare e considerarne gli scritti, il pensiero, gli stati d'animo.

Diverse cose mi hanno colpito dei tanti "discorsi" che l'Autore fa, attraverso il  narratore: il ricordo di quando, da ragazzo, si è lasciato andare a comportamenti da bullo nei confronti di un compagno di scuola unicamente per spirito di aggregazione col gruppo (il branco) dei "più forti"; simpatici i dialoghi con la madre che, giunta alla terza età, s'è data ai social, traendone grande soddisfazione e sentendosi meno sola.
Mi è piaciuta molto la breve amicizia con un clochard e che ha il suo culmine nel dialogo intrattenuto tra i due verso la fine, che lascia comprendere come spesso gli individui si passino accanto per tanto tempo, magari ogni giorno, ma non si fermino a parlarsi, a conoscersi, abituandosi tiepidamente gli uni alla presenza degli altri.
E infatti, un argomento centrale credo siano proprio la solitudine e l'incomunicabilità che regnano al giorno d'oggi:

"Forse non possiamo fare altro che ignorarci, indaffarati come siamo a gestire – a sbrigare? – la vita che ci aspetta fuori.(...) Parlare non è più necessario. Lo era quando ero vincolato alla presenza e ne rispondevo con la mia faccia, col mio corpo. Ora che la presenza è solo apparente, o meglio vicaria, posso scambiarmi messaggi con più persone e condurre più vite nello stesso tempo, sempre in attesa del momento apicale della giornata (o della settimana), quando cioè finalmente vivrò in carne e ossa nel luogo e nell’attimo in cui respiro."

Ci sono molti elementi autobiografici in questo romanzo, ad es. la scelta di collocare le vicende nella città di Roma, nel quartiere del Villaggio Olimpico (dove vive lo scrittore), la passione per lo sport (corsa, nuoto): l'autore narra di luoghi, fatti e persone che conosce, tant'è che chiarisce che non si tratta di personaggi bensì di persone, perchè è l'interiore dell'essere umano che a lui interessa, le fragilità, gli equivoci, gli errori, tutto ciò che dà senso e colore al vivere quotidiano.

L'Autore osserva e scava sulla vita, propria e dell'altro, mettendosi a nudo e in perenne atteggiamento di ascolto del cuore, la cui attività ci ricorda come l'esistenza stessa sia una serie di battiti, di frammenti di vita che si susseguono.

Senza dubbio un libro diverso dal solito, che con grande lucidità, acume e una giusta dose di leggerezza, indaga sull'uomo e su ciò che c'è dentro al suo cuore, sulla fragilità e precarietà della vita, sulla morte, sui rapporti tra le persone.
La scorrevolezza e il piacere della lettura non sono inficiate dall'assenza di un'unica trama lineare, ma anzi  a colpire e a farsi apprezzare è proprio il modo in cui l'autore, con l'abilità narrativa che gli appartiene, ci travolge dando voce alla voce interiore del protagonista e ai suoi mille pensieri.

6 commenti:

  1. Questa volta no, la peculiarità della narrazione mi scoraggia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lo capisco, io devo stare "di genio" per apprezzare questo tipo di stile ;-)

      Elimina
  2. Ogni tanto fa bene leggere qualcosa di diverso dal solito. Una coinvolgente storia interiore mi attrae per il flusso di emozioni e pensieri che si crea quando si ascolta la voce della riflessione. La tua recensione, appassionante come sempre, mette in luce proprio i lati più godibili di questo romanzo. Mi segno il titolo :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lieta che possa aver solleticato il tuo interesse :)

      Elimina
  3. Temi molto attuali e profondi sono trattati in questo libro a quanto recepisco dalla tua brillante recensione. In primis, come tu stessa hai evidenziato, il contrasto tra il protagonista con un problema al cuore e la società di oggi che vuole e magnifica il corpo come macchina perfetta sempre e poi la profonda solitudine dell'essere umano, solitudine che nonostante la panacea dei social, tale rimane proprio perché l'amicizia virtuale è spesso solo una panacea e non risolve la vera mancanza di vita sociale all'esterno. Libro molto interessante, grazie per averlo così bene recensito e per averlo portato alla mia attenzione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Covacich è un autore che merita attenzione!
      Grazie a te :)

      Elimina

Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz