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mercoledì 25 settembre 2019

Recensione: UNA SCRITTURA FEMMINILE AZZURRO PALLIDO di Franz Werfel



È sufficiente una busta leggera e sottile, contrassegnata da una grafia femminile nota, che il passato ritorni ad imporsi con tutto il suo carico di sensi di colpa, seppur dopo quasi venti anni... Ed è così che il mondo di Leonida, con tutte le sue certezze e vanità, potrebbe accartocciarsi su se stesso.



UNA SCRITTURA FEMMINILE AZZURRO PALLIDO 
di Franz Werfel



Adelphi Ed.
trad. r.Colorni
131 pp
Alla vigilia del primo conflitto mondiale Leonida (chiamato familiarmente Leòn) vive a Vienna con la moglie Amelie, di dodici anni più giovane.

L'uomo, un cinquantenne ancora in forma, ammirato dalle donne e rispettato dagli uomini che lo conoscono, è un alto funzionario ministeriale che una mattina, smistando la folta posta arrivatagli negli ultimi giorni in occasione del suo 50° compleanno, nota una busta diversa da tutte le altre e che, al solo guardarla, lo fa sudare freddo e lo spinge immediatamente a nasconderla alla vista della moglie, una bella e ricca dama viennese sempre attenta a ogni minimo dettaglio e, soprattutto, con la fissa della forma fisica.

Quella busta, scritta con un'inchiostro azzurro pallido, una grafia ripida e severa, Leonida sa chi gliel'ha mandata prima ancora di leggere il mittente: Vera Wormser.
Senza neppure aprirla, la ripone nel portafoglio e intanto il pensiero di Vera si insinua immediatamente, come una lama, nella sua mente concentrata su se stesso e sulla bella vita che conduce da anni, ormai, grazie soprattutto al matrimonio fortunato con la benestante Amelie.

Quella scrittura femminile che egli riconosce e che lo raggela, gli rammenta, in modo inequivocabile, la sua viltà, il comportamento scorretto avuto con l'amante (una ragazza intelligente e colta, di origini ebraiche, di cui si era innamorato la prima volta quand'ella aveva solo quattordici anni), di cui non ha notizie ormai da 18 anni.
Rimasto solo con la busta in mano, incerto se aprirla o meno, Leòn ripensa a Vera, che lui ha ingannato e abbandonato senza fornirle mai alcuna spiegazione.

E non è la prima volta che lei gli scrive una lettera personale; già quindici anni prima era successo, ma lui quella lettera, molto vigliaccamente, aveva deciso di strapparla senza vedere cosa lei gli avesse scritto, per lavarsi le mani da ogni possibile colpa e responsabilità. Sì, perchè se non sai, non sei colpevole.
Ma è davvero così?

Il cuore di Leòn la pensa diversamente perché questa seconda busta è sufficiente ad aprire gli argini di un fiume in piena, fatto principalmente di sensi di colpa, e verso l'amante sedotta e abbandonata, e verso la moglie tradita.

Ma non è solo questo ad angustiarlo, bensì anche la consapevolezza che, se la moglie dovesse scoprire il tradimento, per lui sarebbero guai.
Già, perché Leòn sa chi è e da dove viene: figlio di un professorucolo che in eredità gli ha lasciato un nome altisonante difficile da dimenticare e una collana di libri di autori classici, sin da ragazzo ha dovuto fare i conti con la scarsità di risorse economiche, un carattere riservato ed un'innata goffaggine che lo rendevano un soggetto poco interessante, tanto più agli occhi delle donne.

Fino a quando, a motivo di un evento casuale e singolare e di un frac lasciatogli in dono da un compagno del college, a Leòn si aprono inaspettatamente le porte dell'alta borghesia, dei salotti viennesi, e comincia a frequentare persone di un certo rango, tra le quali conosce la bella e sofisticata Amelie Paradini, che s'invaghisce di quel bel giovanotto in frac, abile ballerino, sposandolo.

Leòn è tristemente cosciente di essere il "mantenuto" della moglie, che tutto ciò di cui gode, dal punto di vista materiale, appartiene a lei e lui ne usufruisce in quanto coniuge fortunato.
Si sente ospite nella casa coniugale, dipendente dalla consorte, e prova allo stesso tempo piacere e irritazione pensando alla propria esistenza artificiosa, fatta di gesti e parole cerimoniose, di convenzioni e formalità vuote cui egli è ormai abituato.
La sola idea di poter perdere i privilegi di cui gode lo terrorizza ed è per questo che, più si sofferma a guardare la lettera e il nome di Vera Wormser, più si sente male al pensiero di cosa lei potrebbe mai volere da lui, diciotto anni dopo il loro ultimo incontro.

Ma forse la cosa è meno tragica di quanto aveva paventato: apparentemente, in poche righe molto formali, la donna chiede l'aiuto del potente funzionario per trasferire in una scuola viennese un giovane tedesco di diciassette anni.

Benché non contengano nulla di personale, che rimandi alla loro breve ma intensa relazione, per Leòn quelle righe nascondono ben altri significati e lasciano riaffiorare i resti di un amore di molti anni prima, un amore cancellato con ogni cura.

E se il giovanotto da aiutare fosse nientemeno che suo figlio? Un figlio di cui non ha mai saputo l'esistenza e che adesso "prende forma" per richiamarlo a tutte le sue responsabilità!

Quella tresca, avvenuta solo un anno dopo le nozze con Amelie, che il brillante funzionario aveva accuratamente seppellito dentro di sé, adesso torna prepotente a gravare sul suo «cuore guasto», che ha rinunciato a quello che forse è stato davvero il suo unico amore per poter adeguare la propria vita alle esigenze della società viennese.

E adesso (siamo nel 1936) che questa vecchia fiamma gli chiede aiuto per suo figlio, visti i tempi difficili per gli ebrei, Leòn sente che forse è giunto il momento di fare i conti con questo segreto che si porta dietro da troppi anni.

Deve confessare alla moglie il vecchio tradimento? Come la prenderà Amelie? Lui sa che lei lo ama, ma a maggior ragione, sentendosi presa in giro, potrebbe non voler perdonare quel peccatuccio che ora lui si sente costretto a rivelare.

Vera, intanto, nella lettera specifica di volerlo incontrare: cosa potrebbe venir fuori da questo incontro? Come sarà per lui rivedere la donna amata tanti anni prima e consapevolmente ingannata con promesse d'amore e di un futuro insieme mai realizzate?

Con una scrittura elegante e precisa tanto nell'indagine psicologica quanto nell'analisi sociale di un contesto specifico (la società viennese degli Anni '30), l'Autore magistralmente mette in luce i pensieri, gli stati d'animo e le contraddizioni del protagonista, un cinquantenne sicuro di sé, un tipo comune, di umili origini che, per una serie di coincidenze, è riuscito a farsi conoscere negli ambienti altolocati e a sfruttare il proprio carisma e la propria avvenenza per farsi benvolere.

Leòn è un protagonista che si rivela, nelle pagine di questo breve romanzo, in tutta la sua fragilità, nelle sue miserie, nei suoi difetti: è consapevole dei propri errori - non è uno sciocco e, anzi, si ritiene un tipo fin troppo sensibile -, perde ore ad immaginare arringhe a difesa delle proprie azioni dinanzi ad un'immaginaria corte di giustizia, da cui si aspetta indulgenza, cerca di trovare dentro di sé le parole giuste per confessare le sue mancanze all'ignara e devota moglie, freme all'idea di sentirsi recriminare le proprie colpe dall'ex-amante..., ma al contempo, non riesce a pensare di poter rinunciare alla propria vita dorata, di uomo rispettato e agiato.

Leòn non sa - o meglio, non vuole - prendersi le conseguenze delle proprie egoistiche scelte, preferisce aspettare prima di agire per vedere se altri lo anticipano sul tempo,  esonerandolo dal peso di dire la verità; in una parola, è un vile.

Werfel ha una grande capacità narrativa, sa come rendere vivo ciò che descrive, che sia il paesaggio naturale, che muta al mutare dei sentimenti del protagonista, o ciò che si agita nella mente dello stesso; nazismo e antisemitismo in queste pagine ci sono ma non ancora in tutta la loro drammaticità, sono accennate ma questo basta a lasciare un senso di inquietudine per quell'ombra scura che, sappiamo, si farà sempre più minacciosa.

Un romanzo di poche pagine, scoperto un po' per caso e che mi ha colpito positivamente per la bravura di Werfel nell'analisi psicologica e sociale e nel saper tenere desta l'attenzione del lettore attraverso una storia di per sé semplice, che parte da un triangolo amoroso ma che è qualcosa di più.


4 commenti:

  1. E poi dicono che l'abito non fa il monaco... in questo casa mi sembra di capire che un frac abbia avuto un certo peso ;o)
    Come sempre, bellissima recensione. Alla prossima!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz