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sabato 21 dicembre 2019

Recensione: OSSIGENO di Sacha Naspini



Liberi: lo siamo davvero?
Essere privati della propria libertà fisica da qualcuno che crudelmente decide di rinchiuderti in una prigione da cui difficilmente potrai uscire, è terribile; eppure non è l'unica prigione nella quale possiamo essere segregati: ce ne sono di emotive, mentali, che si creano in seguito a meccanismi perversi messi in moto a volte da altri, altre da noi stessi.
E allora la domanda che continua a risuonare è questa: chi ha rinchiuso chi?



OSSIGENO
di Sacha Naspini



Edizioni E/O
224 pp
16 €
2018

"Il punto non è che mio padre è mio padre.
Il punto è che sono suo figlio."


Luca ha ventisei anni, è orfano di madre e vive con suo padre, il professor Carlo Maria Balestri, stimato antropologo, uomo sobrio, educato, dai modi gentili, poco propenso a litigare, pure con quel figlio che spesso e volentieri gli mette il muso e innalza irritanti silenzi, che il padre puntualmente rompe di propria iniziativa.
La sera del 6 ottobre 2013 i due stanno cenando quando in casa irrompono i Carabinieri, che portano via Carlo.
Le accuse sono gravissime: il professore Balestri è accusato di essere un rapitore di bambine; ad inchiodarlo è la testimonianza dell'unica sopravvissuta ai suoi crimini: Laura, rapita in una calda giornata d'agosto del 1999, a soli otto anni. 
Quando viene ritrovata, quattordici anni dopo, è una giovane di ventidue anni.

L'incubo della povera vittima pare essersi finalmente concluso...
Chiusa in un container per quasi tre lustri, è diventata una donna tra le fredde mura di una scatola di ferro e adesso è finalmente libera, può tornare alla sua vita, alla sua famiglia. Può tornare a vivere.

Ma è davvero così? 
Lasciarsi alle spalle quel pezzo (non piccolo) di vita, spesa in cattività (una catena le era stata messa al collo perché non potesse in alcun modo fuggire) per mano di un uomo che ha deciso di tenerla rinchiusa in una "gabbia"per ragioni oscure e perverse, è tutt'altro che semplice.
E poi..., tornare a quale vita? Cosa è cambiato nel corso di tutti questi anni? Come rapportarsi a una madre che ormai le è divenuta estranea?
Riuscirà mai Laura ad uscire definitivamente da quella maledetta gabbia di ferro che è stata la sua "casa" per tanto tempo?

L'autore ci racconta sia gli anni precedenti il rapimento - la Laura bambina, la sua vita famigliare, l'amichetta del cuore Martina - sia quelli vissuti nel container.
Come si comportava con lei il professor Balestri? Le ha mai usato violenza? Ha provveduto adeguatamente quanto meno ai suoi bisogni fisici e materiali?

La vicenda di Laura è davvero singolare, in quanto il suo rapimento è connotato da elementi diversi da quelli, tragici e terribili, che il più delle volte leggiamo/udiamo dalle testimonianze dei sopravvissuti a sequestri lunghi anni e anni.

Non voglio dirvi troppo in quanto preferisco lasciarvi la curiosità di scoprire da soli che tipo di esperienza - per quanto assolutamente terribile - Naspini abbia deciso di lasciar vivere alla propria protagonista; aggiungo solo che, benché il papà di Luca sia senza dubbio un mostro, il Male incarnato, per ciò che ha fatto a delle anime innocenti, una cosa emerge con chiarezza circa il suo modus operandi: non ha mai alzato un dito su Laura, nessuna violenza fisica o sessuale; anzi, in quattordici anni... non le ha mai rivolto la parola.
Una solitudine estrema, mista alla paura di un destino sconosciuto e soggetto alle bizze e alle intenzioni di un folle, il quale - inspiegabilmente? - ha portato anche lì, tra le quattro gelide mura del container, il suo essere uno studioso affermato, un uomo di cultura.

Il punto di vista di Laura si allarga e la vediamo anche dopo la liberazione: Laura torna a casa, da sua madre (il padre è morto e la donna ha un nuovo compagno), ha pure un fidanzatino; sorride, passeggia tanto e da sola, con un quaderno in mano su cui appunta costantemente qualcosa di importante, col cellulare sempre pronto, scatta foto a ciò che la circonda, che siano persone o oggetti; insomma, si comporta come una ragazza normale. 
Eppure a volte è colta da una sorta di raptus: dopo aver trascorso del tempo da sola gironzolando tra le strade di una caotica Milano, sente il bisogno impellente di entrare in un bar qualsiasi per chiudersi in bagno, dove - potendo - resta anche per un’ora. È il suo modo per riprendere fiato e poi tornare all’aperto, in apnea.

Ma questa ostentata normalità quanto può durare?
Cosa si cela nella mente di una ragazza che ha vissuto un'esperienza del genere?
E si è accorta Laura che qualcuno la sta seguendo?

Se Laura è stata costretta a vivere imprigionata in un buco per quattordici anni, altre persone - vicine a lei in modo diretto e non - hanno sperimentato un altro genere di prigionia e l'Autore lascia che ci inabissiamo nel fiume di pensieri e stati d'animo di queste persone, tanto da metterci nei loro panni.

Pensiamo alla mamma di Laura: com’è parlare e interagire con una figlia sopravvissuta a quattordici anni di reclusione e tornata a casa all'improvviso, da un giorno all'altro? Una figlia che intanto è cresciuta (seppure in condizioni assurde, strane, anormali), s'è fatta donna, ha acquisito abitudini, modi di fare e pensare che a te mamma sono sconosciuti, nonostante sia tua figlia. Una figlia estranea, riservata, inaccessibile, gentile e carina sì, ma terribilmente lontana.

"Laura è l’argine di un oceano sconosciuto. Che comunque inonda, travolge barchette. Per prima la mia."
"A volte ci sono distanze che diventano scudi; non possono più essere tradite."

E tu sei altrettanto distante da lei, chiusa nel tuo mondo fatto di bollette da pagare, di una relazione che boccheggia per mancanza di ossigeno, di aria pulita, e rischi di soffocare. 
Che ne sa questa ragazza - l'ultima volta che l'hai vista aveva otto anni! - di come tu hai vissuto per tutto questo tempo senza di lei?
Del dolore, dei sensi di colpa, della paura di non riavere più indietro la propria creatura, di non sapere come affrontare un giorno dopo l'altro con questa assenza atroce?

E cosa pensa e sente Martina, la migliore amica di Laura, l'ultima ad averla vista quel giorno maledetto? Martina, un po' insistente, capricciosa, poco sensibile verso i problemi della propria amichetta... Del resto, stiamo parlando di una bimba di otto anni, cosa avremmo mai potuto pretendere?
Come ha vissuto Martina in questi quattordici anni? Quante volte la sua mente è ritornata a quei momenti in cui ha parlato con Laura prima che lei sparisse?

E poi c'è lui, Luca, il figlio del Mostro.

"Tutti sanno chi sono, da dove vengo. Sono nato e cresciuto nelle stanze del Male. Non riescono a separare mio padre da me. Anche per il sottoscritto è un’impresa: la mia identità non è solo quel che percepisco; è ciò che percepisce la gente. (...) La prima cosa da fare sarebbe questa: andare via. Se vuoi modificare un documento devi rompere col passato, altrimenti suona come una buffonata. Sparire nel nulla, senza che qualcuno possa smentirti. O riconoscerti."

Cosa succede se un giorno scopri che la persona che ti ha generato è un sequestratore, un assassino, la malvagità fatta persona? 
La cattura del padre maniaco, del professore di antropologia acclamato, i cui saggi sono sempre andati a ruba, che teneva conferenze seguitissime ovunque, non è di certo la fine di un incubo, tutt'altro: segna l’inizio di nuove vite, di nuove scelte da parte di chi è in qualche modo sopravvissuto e adesso deve riorganizzare la propria esistenza, mettere insieme i cocci, cercare fessure e crepe dalle quali respirare per non soccombere. 

L’esperimento malato del professor Balestri continua.
Ad essere imprigionate non sono più delle bambine e le prigioni non sono scatole di ferro ma altre gabbie con le quali in molti devono confrontarsi. 
Nel caso di Luca, c'è la gabbia della genetica, del sangue: essere figlio di criminale fa sì che lui sia soggetto a maturare il medesimo tipo di condotta malata?

"Ricostruire tutta una vita sulla traccia segreta di un padre malato non è facile. All’inizio cercavo gli incastri, una parte di me non riusciva a bloccare la smania"

Luca cerca di capire chi sia davvero l'uomo che l'ha generato, come abbia fatto a vivere per tanti anni nell'inganno, tenendo figlio e moglie all'oscuro di quell'altra vita, di quella fissa degenere per le minorenni da segregare... per farci cosa poi?

Luca sviluppa malesseri, sensi di colpa ingiustificati per questo padre cattivo, e allora decide:

"La buona vita di Laura è la mia ossessione (...) Una forma di espiazione. Una forma di pazzia. Mi hanno chiuso in un barattolo: per i primi istanti sono rimasto immobile, cercando di non perdermi. Poi ho cominciato a muovere le antenne."
"A forza di cercare Laura l’ho trovata: sono diventato lei."

Controllare che Laura stia bene diventa la missione quotidiana di questo ragazzo la cui esistenza, a un certo punto, comincia a ruotare, in solitudine, attorno a colei cui suo padre ha fatto del male, per assicurarsi che nulla di brutto possa nuovamente accaderle.
L'importante è agire nel segreto, essere una sorta di invisibile angelo custode.
Dopotutto, lui ormai dell'invisibilità ha fatto il suo rifugio più sicuro, e in una città immensa come Milano ci vuol poco a diventare un'ombra tra le tante figure anonime che corrono e vivono di fretta, senza guardarsi, solo sfiorandosi occasionalmente,

"Le persone non mi vedono, l’invisibilità è pane quotidiano, la cerco ma lungo quelle strade sfiora il disumano."

E infine c'è lui, il piccolo Gavin, che è sparito all'interno della scuola e tutti - insegnanti e polizia - lo stanno cercando, non sapendo che il bambino sta facendo a tutti un bello "scherzetto".
Chi è Gavin, cosa ha a che fare con Laura e Luca, e cosa lo spinge ad eclissarsi volontariamente, a cercare un pertugio, un nascondiglio da cui guardare le persone che si stanno preoccupando per lui? Cosa o chi sta aspettando, chiuso nel suo nascondiglio?

"Ossigeno" è un racconto corale, ed è essenzialmente una "storia di gabbie", di scatole in cui ci si ritrova chiusi, soli e prigionieri: tutti i personaggi sono, infatti, incastrati in una scatola, che sia fisica o mentale. E non sempre è semplice per loro capire chi ha rinchiuso chi.
Chi ha manipolato e chi si è lasciato manipolare.
Forse perché in realtà prigionieri lo sono tutti e la libertà vera, quella che parte da dentro, è solo un miraggio, un'illusione, almeno fino a quando i fantasmi e i legami di un passato irrisolto staranno acquattati in un angolo della mente, pronti a venir fuori alla prima occasione, a lacerare, a separare.


Ossigeno è un romanzo davvero bello ed intenso, che coinvolge tanto a livello emotivo perché lo scrittore sa come condurre il lettore in queste diverse gabbie in cui si trovano i suoi personaggi, di cui "sentiamo" turbamenti, emozioni, paure, dubbi, ossessioni; è una scrittura intima, ipnotica, capace di creare ansia, suspense e attesa, di scavare e penetrare in profondità inchiodandoci pagina dopo pagina, e leggendo le vite di questi uomini e donne simili a insetti incastrati in qualche anfratto nascosto, ci troviamo ad osservarli con attenzione e inevitabilmente a pensare: "Vediamo cosa fanno". 

Consigliatissimo!!

"Un’urna con pareti invisibili e un mondo che comunque resta altrove. (...) un conto è farsi compagnia e vivere una vita fianco a fianco, un altro è controllarsi a vicenda, esistere ognuno nell’ombra dell’altro. Due solitudini non fanno la libertà. L’unica cosa a cambiare è questa: la percezione che hai del carcere. Va a finire che l’aria comincia a mancare lo stesso, e allora si cercano crepe, spiragli, fessure… "

4 commenti:

Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz