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sabato 10 ottobre 2020

Recensione: LA VITA INVISIBILE DI IVAN ISAENKO di Scott Stambach



È possibile narrare di sofferenze e solitudine, di giorni sempre uguali - fatti di cavoli a colazione, compagni con gravi malformazioni e con cui è impossibile interagire -, con un'ironia caustica e intelligente capace quasi di far dimenticare tutto il dolore che si respira nelle corsie di un ospedale che ospita bambini gravemente ammalati (a causa delle radiazioni liberate dall’esplosione di uno dei
reattori nucleari della centrale di Černobil’)?
Sì, è possibile se il narratore è un tipo come Ivan Isaenko, un ragazzo di diciassette anni che vive in questo triste istituto a Mazyr da sempre; Ivan ha deciso di scrivere un diario e di raccontarci com'è la vita in ospedale, chi sono i pazienti, come si comportano le infermiere, che razza di uomo (mediocre) sia il direttore, e soprattutto leggiamo di come a salvare il ragazzo da una quotidianità drammaticamente desolante, c'hanno pensato i libri (Ivan ama la letteratura russa) e l'amore per la bellissima Polina, anch'ella ricoverata lì a causa della leucemia. 



LA VITA INVISIBILE DI IVAN ISAENKO
di Scott Stambach



Ed. Marsilio
302 pp
Com'è vivere nell’Ospedale per i bambini gravemente ammalati di Mazyr (in Bielorussia)?

Ivan Isaenko ha avuto la bella idea di scrivere per ore e ore e ore, tutto di fila, proprio per raccontarcelo: perché anche le storie tristi è giusto che vengano raccontate.
Perché anche un ragazzino affetto da patologie che ne hanno stravolto l'aspetto fisico - limitandone moltissimo l'autonomia e rendendolo poco più che uno... "sgorbio" - ha il diritto di essere ricordato, di scoprirsi protagonista indiscusso della propria esistenza - seppur da "mutante" poco attraente.

Perché se nessuno prende a cuore il racconto di chi sono e come passano le giornate quelli come lui - costretti a vegetare tra le grigie pareti dell'Ospedale per i bambini gravemente ammalati di Mazyr -, se non lo fa lui che, per monco che sia  (dispone di una sola mano con tre dita; al posto delle gambe, due moncherini), ha però un cervello funzionante e una cultura invidiabile per uno che a scuola non è mai andato, chi lo farà?

"Perché se non documento il nostro mondo proprio ora, su questo foglio coperto di macchie equivoche, con la penna ormai scarica e la mia delirante calligrafia da mancino, rischieremmo di svanire tutti nella schiuma della storia senza essere mai stati nominati."

Ed è così che il lettore si immerge nella lettura di questo diario, facendo la conoscenza dell'intelligentissimo e arguto Ivan (colpito molto probabilmente dalla sindrome di Beals, una malattia del tessuto connettivo) e, grazie a lui, degli altri ospiti dell'istituto, povere creature affette da gravi malformazioni, catastrofica conseguenza dello scoppio del reattore nucleare n.4 della centrale di Černobil’, il 26 aprile 1986.

Ivan, con la lucida tranquillità propria di chi vede bimbi malati da quando è nato, ci descrive i suoi "compagni" d'istituto, e non esita a dirci come essi non abbiano le sue stesse capacità intellettive; le malattie da cui sono affetti hanno intaccato non solo l'aspetto fisico ma anche la psiche, per cui non c'è verso di avere con loro alcun tipo di rapporto e dialogo...

C'è da sentirsi soli, povero Ivan, ed è per questo che un modo per passare le giornate deve inventarselo per forza, se non vuole impazzire; e così si diverte ad origliare le conversazioni di infermiere e dottori, fingendosi catatonico, o a far loro dispetti anche parecchio perfidi.

"Nonostante la piccolezza del mio mondo, sono in grado di mischiare le mie osservazioni a un po’ d’immaginazione e farle diventare sceneggiature affascinanti di cui sono io l’unico protagonista. Recito tutte le parti, dall’eroe al cattivo, ma mai l’osservatore, perché quello lo sono già, in ogni minuto di ogni giornata. Apprezzo la libertà; molto tempo fa ho imparato che ciò che accade dentro la mia mente non ha conseguenze."

A farlo sentire giustificato ad avere comportamenti odiosi e e parole spesso molto ciniche e pungenti, contribuisce l'atteggiamento della maggior parte delle infermiere, scevre di empatia, pazienza, affettuosità; forse perché per lavorare in corsie impregnate di gemiti, sofferenze e morte a un certo punto è necessario operare un distacco emotivo, altrimenti non si resisterebbe per anni? Oppure la vista quotidiana di questi bambini bisognosi di cure, di sovente abbandonati (del tutto, come Ivan, o quasi, dai famigliari) e ridotti a vegetali, si tramuta (magari inconsapevolmente) in qualcosa cui ci si abitua e che non desta più, col passare del tempo, grosse emozioni?

Qualunque sia la risposta, fa eccezione l'infermiera Natal'ja, l'unica presenza materna, gentile, sinceramente affezionata al proprio difficilissimo lavoro e ai propri fragilissimi pazienti; in particolare ad Ivan, di cui si occupa con premura e amore, assecondando tante sue richieste (di vodka, ad esempio) e andando incontro al suo spirito acuto, al suo intelletto straordinario, fornendogli libri su libri.
Ivan ama in special modo la letteratura russa, ma la sua fame di sapere e conoscenza lo spinge a leggere qualunque cosa gli passi sotto il naso, compresi testi medico-scientifici, religiosi e altro ancora.
Leggere diventa davvero per lui un'opportunità di uscire, anche soltanto attraverso la fantasia, dalle pareti di un posto che è praticamente casa sua, al quale è sì abituato (non conosce altre realtà) ma che egli riconosce essere certamente desolante.

"Non ho metri di paragone, ma da quel poco che so del mondo esterno sono piuttosto sicuro che io e i miei compagni ci troviamo all’inferno. Per molti di noi, l’inferno è il nostro corpo; per gli altri, l’inferno è nella nostra testa. E non c’è dubbio che, per ciascuno di noi, l’inferno siano le pareti di mattoni bianchi macchiate, vuote, asettiche, perfettamente adeguate che ci tengono rinchiusi qui dentro."


Tutto scorre sempre uguale, fino al giorno in cui a scuotere la sua routine ci pensa una nuova residente dell’ospedale, Polina.
L'Intrusa ideale. Insopportabile perché insolitamente bella (quando mai c'è bellezza nell'ospedale per bambini gravemente ammalati di Mazyr?) con la sua pelle come porcellana, i suoi capelli lunghi, il suo visetto angelico.

Ivan all’inizio non la sopporta e lei non fa molto per rendersi simpatica, anzi, lo tratta con un misto di sufficienza e repulsione. 
Polina gli ruba i libri, sfida le regole del suo universo magico, si fa amare da tutte le infermiere. 
Può negarlo in tutti i modi ma Ivan ne è attratto in modo irresistibile.

"Era il vuoto dell’ospedale. La statistica mancante. Uno sconvolgente miscuglio di cherubino e demonietto. Era una dea infantile con un tale desiderio di letteratura russa autentica da rubarla a un convalescente. Il che significava che era una persona in grado di vedere la mia realtà e rifletterla verso di me. Era una persona in grado di farmi sentire qualcosa di più che un fantasma che si aggira per i corridoi. Ero abituato a giocare con le chimere, non con i miei pari. (...) Era l’autentica Intrusa. Era perfetta e perfettamente sbagliata."

Tra i due inizia un gioco dialettico, di schermaglie verbali, opinioni su ciò che succede tra quelle mura, sul direttore e sulle tresche con le infermiere, sui libri che hanno letto e che amano (Lolita di Nabokov è in cima) e tra battute sarcastiche e rispostacce spietate, tra i due nasce un'amicizia, un sentimento tenero e coraggioso, che diviene per entrambi un'àncora di salvezza, un'opportunità irripetibile per scoprire il mondo come mai avevano fatto prima, per provare sensazioni sconosciute fino ad allora.
Polina è differente dagli altri malati: se il suo corpo deperisce e si consuma giorno per giorno, la sua mente e il suo spirito sono vive più che mai e con il suo caratterino e la sua intelligenza, tengono testa 
alla lingua tagliente e spesso cinica del giovanotto, che si innamora perdutamente. 

La vita di Ivan Isaenko è stata invisibile prima di Polina, limitandosi egli ad osservare, con distacco e quasi un senso di superiorità, ciò che si svolgeva attorno a lui e le persone con cui veniva in contatto.
Dopo Polina, tutto cambia e le giornate non sono più un susseguirsi di attività noiose e ripetitive, scandite dalle lancette dell'orologio, ma attimi preziosi trascorsi con lei, pensando a lei, parlando e ridendo con lei...

«Se non fossimo dentro quest’ospedale e tu mi vedessi in un ristorante, saresti così bella da provare disgusto per me e abbastanza sensibile da provare pena.» 
«Se fossimo dentro due corpi diversi, in un qualsiasi altro posto, in qualsiasi altro momento, mi sentirei comunque come quando ci siamo conosciuti, come due quark qualche secondo dopo il big bang.»
 
L'amore ai tempi della malattia, delle disabilità; l'amore che travalica il dolore, la solitudine, l'amarezza per una non-vita piatta, invisibile e anonima; la tristezza davanti al pensiero di essere un errore umano, una disgrazia vivente; l'amore che dà valore e significato alle ore, ai minuti, ai secondi.

"...il tempo risiede nella mente e quando hai il cuore in fiamme i secondi smettono di essere tali".

L'amore che piange, sogna ad occhi aperti, che veglia al capezzale dell'amata, che spera fino all'ultimo che lei sia risparmiata dal maledetto cancro che la divora da dentro.
L'amore che cambia chi da esso si lascia travolgere; perchè per amare non ci vogliono le gambe o una bella faccia: basta un cuore affamato di vita.
Quella vita cui si resta attaccati anche quando intorno non c'è che afflizione e monotonia; perché fino all'ultimo battito la vita va vissuta, anche se ti manca qualche arto, anche se vieni a scoprire la verità sulla tua nascita e ne resti sconvolto. Anche se sei un bambino gravemente ammalato dell'ospedale di Mazyr.

Questo libro (basato sul diario redatto da un adolescente di nome Ivan Isaenko, ospite di un ospedale pediatrico in Bielorussia, e che fu scovato da un giornalista irlandese e successivamente editato da un dottorando della New York University) commuove, fa sorridere, stimola l'empatia del lettore, che inevitabilmente si vede trasportato, con l'immaginazione, in questo istituto in cui si respira tanto dolore, morte, il puzzo di disinfettanti, in cui l'occhio - se fossimo là, tra quelle spoglie pareti - verrebbe ora respinto ora morbosamente attratto da quei corpi così giovani e irrimediabilmente segnati da malattie terribili; un luogo che il giovane narratore non esita a paragonare a un inferno (è la vita stessa ad esserlo, se di vita si può parlare per quelli come lui), ma dove possono, inaspettatamente!, nascere anche l'amore, l'amicizia, la complicità, la compassione.

Una lettura che mi ha coinvolta molto emotivamente, di cui ho apprezzato la scrittura umoristica ed incisiva dell'autore, che ha dato al narratore una personalità energica, vivace, una voce vibrante che si fa portavoce dei dimenticati, di quegli sfortunati costretti a vivere la propria esistenza dal basso di una carrozzina o stesi su un letto d'ospedale, che racconta con piglio graffiante, mordace, senza peli sulla lingua, di malattie, impulsi sessuali, scherzetti sadici ma divertenti, di infermiere streghe o materne, di cibi insipidi, di pomeriggi noiosi, di un'amicizia e di un amore che arrivano quando proprio non te l'aspettavi.

Io non so in che misura questo libro sia fedele al diario originale di questo paziente di Mazyr, quanto ci sia di lui e quanto sia frutto della fantasia dello scrittore; quello che so è che, anche se del vero Ivan ci fosse una percentuale irrisoria, questo libro merita comunque di essere letto, perché offre la preziosa opportunità di vedere il mondo con gli occhi di un disabile in mezzo ad altri disabili, di ascoltare una voce che, per quanto torturata e lontana da noi, dal nostro mondo, arriva al cuore del lettore e gli chiede semplicemente di ascoltarla.


8 commenti:

  1. Non conoscevo ma al solito mi incuriosisci. :)

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    1. bello ed emozionante per i contenuti, con uno stile vivace ed ironico che invoglia alla lettura!

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  2. Ciao Angela, questo libro rappresenta una lezione di vita per tutti noi che ci lamentiamo per ogni cosa senza apprezzare, invece, quanto siamo fortunati per ciò che abbiamo. Il fatto che sia basato su una storia vera lo rende ancora più coinvolgente. Bello!

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    1. È una riflessione molto bella giusta la tua, erielle! Spesso siamo proprio ingrati :/

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  3. Ciao Angela! Non lo conoscevo, ma devo dire che sembra super interessante! :)

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  4. Davvero un libro che merita di essere letto per il tema trattato e per l'originalità con cui viene trattato. Complimenti non solo fai ottime recensioni ma sai scovare e portare alla luce scrittori davvero interessanti

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz