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sabato 14 novembre 2020

Recensione: LA CASA SULL'ARGINE di Daniela Raimondi

 


Due secoli di storia sono quelli che ci scorrono davanti leggendo le vicende della famiglia Casadio, in cui il peso delle superstizioni e delle credenze popolari si fa sentire puntualmente ad ogni generazione, portando con sé più amarezze che gioie, più disgrazie che belle notizie, tante nascite sì, ma anche tanti lutti. Ma la vita è fatta così, e poiché le avversità non mancano mai essa va presa come viene, non c'è da essere troppo tristi ("chi è triste nella vita continua a esserlo dopo la morte"): meglio alzare la testa e prenderla di petto perché "nella vita quello che conta è il coraggio!".


LA CASA SULL'ARGINE
di Daniela Raimondi



Editrice Nord
400 pp
I protagonisti di questa saga famigliare ambientata nel borgo di Stellata (Ferrara), situato a ridosso del fiume Po, sono i Casadio, una famiglia che, a partire dal 1800, mescola il proprio sangue con quello degli zingari: Giacomo sposa infatti Viollca, una zingara giunta in paese con una carovana in un giorno di pioggia.

Come conseguenza di questo matrimonio, i discendenti della famiglia si dividono in due ceppi: i sognatori dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, che raccolgono l'eredità di Giacomo, e i sensitivi, che hanno gli occhi e i capelli neri di Viollca, la veggente.

Conosciamo Dollaro, che sente le voci dei morti e parla con loro; Achille, assetato di conoscenza e amante della lettura; Edvige, bella e anticonformista, che combatte contro tutti e tutto per vivere il proprio amore romantico e appassionato, andando però incontro a tristi conseguenze.

Tra i Casadio spiccano personaggi femminili dalla tempra forte, come Neve,  miracolata dalla Madonna da piccolina, circondata sempre da api che le ronzano intorno, attirate da un inspiegabile aroma di zucchero, e che metterà al mondo un bel nugolo di bambini insieme al suo Radames; la bella Adele, sorella maggiore di Neve, che sposerà uno sconosciuto brasiliano, lascerà Stellata per raggiungere il marito in Brasile, divenendo una ricca proprietaria terriera; Donata, che aderisce con estrema convinzione alla rivoluzione proletaria, vivendo però un combattimento interiore per via dei propri intensi sentimenti per il giovane Stefano, assistente universitario dalle idee politiche decisamente opposte a quelle della ragazza.
E poi lei, la pittrice, Norma, l'artista che forse più di tutti i Casadio incarna ed esprime l'anima sognatrice della famiglia attraverso i suoi quadri meravigliosamente vividi.
 
Le vicende di questa gente semplice, attaccatissima al proprio paesello, alla terra, alle proprie abitudini, convinzioni e superstizioni, si susseguono di generazione in generazione, attraversando eventi storici importanti, quali l'Unità d'Italia e le avventure garibaldine, la prima e la seconda guerra mondiale, l'alluvione del Polesine nel 1951, passando ancora per gli anni di piombo, fino ad arrivare al 2013.

Che abbiano la testa immersa nei sogni e scrollino le spalle scettici dinanzi alle oscure profezie derivanti dalle carte e dalle leggende gitane trasmesse da nonna Viollca (attenzione a nutrire e a non ammazzare il serpente che c'è in ogni casa, perché dalla sua presenza dipende la fortuna o meno della famiglia che abita tra quelle mura) o che ci credano come se fosse la verità assoluta, i Casadio vivono tutti come sospesi tra il timore di un destino scritto nei tarocchi e raccontato in modo neanche troppo sibillino nei sogni, l'irrefrenabile desiderio di sfidare le carte e la pericolosa abitudine di inseguire passioni e sogni. 

«Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni e la nostra breve vita si completa in un sonno», scrive Shakespeare nell'opera teatrale "La tempesta" (citazione riportata dall'Autrice in apertura al prologo), e le vite di queste persone hanno la consistenza dei sogni, collocandosi in quella dimensione dove il reale e l'esperienza dei vivi sono incredibilmente vicini all'aldilà, al regno dei morti, ed infatti se c'è un filo rosso che unisce gli episodi narrati e i diversi Casadio che si avvicendano quali protagonisti, è questa connessione tra la vita e la morte, tra il passato, il presente e il futuro, tra chi c'è stato e non c'è fisicamente più, e chi viene dopo, che però conosce la storia dei genitori, dei nonni, dei prozii..., e riconosce come vitale e infrangibile il legame con essi, e ad onorarlo  e tenerlo vivo c'è la memoria, e attraverso il racconto di quel che è stato, delle "profezie" e dei sogni premonitori, delle scelte fatte - che siano state dettate dall'amore o dalla ribellione, dalla sete di giustizia o dalla volontà di cambiare il mondo, dalla ragione piuttosto che dall'istinto -, delle sconfitte e delle piccole conquiste, ogni membro della famiglia ritrova se stesso, le proprie origini...:

"Molti hanno gli occhi neri, la stessa espressione irrequieta nello sguardo; altri gli occhi chiari e lo sguardo inconfondibile dei sognatori. Ma in ognuno di loro vedo la stessa storia: una storia di terra. Mi sembra di scorgere ombre di terra sulla loro pelle; terra nei loro sguardi, polvere di campo nei capelli, sotto le unghie. E so che (...) me la porto dentro anch’io tutta quella terra, e lo stesso destino di questi sognatori sconfitti.".

Una saga famigliare che si lascia apprezzare - tanto più dagli amanti del genere -, scorrevole e con protagonisti interessanti, che vivono di volta in volta situazioni e dinamiche che personalmente ho seguito con un certo coinvolgimento; certo, ci sono stati personaggi e vicende che ho preferito (ad es. Adele in Brasile, o la storia di Donata) ad altri, ma nel complesso tutti hanno degli intrecci e degli sviluppi piacevoli da leggere.
Mi è piaciuta questa contrapposizione tra il "ramo dei sognatori" inguaribili, costantemente innamorati di qualcosa o qualcuno e con la testa tra le nuvole (caratteristica che porta con sè inevitabilmente qualche guaio)  e quello gitano, dei veggenti che credono nelle verità rivelate da tarocchi e sogni notturni.


"Ricordati che, se non li teniamo a freno, i sogni finiranno per portarci una tragedia peggiore di tutte le disgrazie che ci sono capitate. Lo ha visto nella carte quella nostra antenata, la zingara, e lei non si sbagliava mai".

"I Casadio avevano la follia nel sangue, e prima o poi quell’inseguire sogni impossibili li avrebbe portati alla rovina. Bisognava essere vigili, guardarsi dalle passioni sconsiderate, dagli innamoramenti folli."

Bello anche il borgo di Stellata, che è a tutti gli effetti un personaggio principale, spettatore costante di tutte le traversie di questa sua gente semplice, così profondamente legata alla propria terra, alla propria famiglia e alle proprie radici. 


"la casa non è un luogo, ma un sentimento, Qualcosa che custodiamo dentro di noi, che creiamo giorno dopo giorno con fatica e molta volontà".

Un bel romanzo; leggerlo è stato come sfogliare quei vecchi e impolverati album di famiglia, con numerose foto in bianco e nero, che ritraggono famigliari, molti dei quali magari non abbiamo conosciuto dal vivo, ma di cui abbiamo sentito parlare e con i quali sentiamo un forte e inevitabile legame di appartenenza.
L'epilogo è intriso di malinconia, di un'intensità struggente e poetica; anche se i personaggi che compaiono sono tanti non c'è da spaventarsi, anzitutto perché - come ho già scritto - i morti non se ne vanno per sempre, ma qualche capatina, a modo loro, la fanno sempre, e poi perché l'Autrice ha riportato, a fine libro, l'albero genealogico dei Casadio. Quindi, doveste chiedervi a un certo punto a chi è figlio Tizio, potete andare tranquillamente a controllare ^_-

6 commenti:

  1. Un libro particolare con una tematica molto delicata da toccare ma altrettanto profonda ed attirante.

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    1. Sì, anche perché l'attaccamento alle proprie radici co riguarda un po' tutti :)

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  2. Volevo ringraziare per questa bella recensione. :)
    Daniela Raimondi

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    1. Grazie a lei per avermi portata a Stellata e presentato i Casadio :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz