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venerdì 5 novembre 2021

Recensione: DONNE CHE PARLANO di Miriam Toews



Tra il 2005 e il 2009, più di trecento ragazze e donne, appartenenti a una comunità mennonita (nella colonia di Molotschna) sono state rese incoscienti e stuprate nei loro letti. In media, uno stupro ogni tre o quattro giorni.
Come comportarsi, per proteggere se stesse e le proprie figlie? 
Far finta di nulla e perdonare, da buone cristiane? Rispondere con la violenza? Andarsene?
Le donne della comunità si riuniscono per decidere la "strategia" da adottare verso i colpevoli.



DONNE CHE PARLANO 
di Miriam Toews



Ed. Marcos y Marcos
trad. M. Balmelli
253 pp

Violenze perpetrate di notte, col favore delle tenebre. Proprio "loro", gli uomini della comunità, i capi-famiglia che si definiscono cristiani, osservanti delle Sacre Scritture e che dovrebbero dimostrare di essere "figli della luce".
Violenze perpetrate da padri, mariti, nonni, zii, nipoti, amici, fratelli, a danno di madri, sorelle, nipoti, amiche....; uomini che, solo poche ore dopo, di giorno, si comportano come se niente fosse.

Come si può continuare a vivere in un contesto in cui la sicurezza delle donne - giovani e meno giovani - non è garantita, anzi, è decisamente in pericolo?

Tra queste pagine, l'Autrice (a sua volta cresciuta in una comunità mennonita a Manitoba, in Canada, e da essa allontanatasi) immagina un gruppo di donne che si riunisce in gran segreto all'interno di un fienile per decidere, di comune accordo, la strategia da seguire a fronte dei ripetuti stupri commessi a loro danno.
Hanno scoperto, infatti, con gran sgomento, paura e raccapriccio, che tante di loro sono state narcotizzate con uno spray (un anestetico usato per le mucche) e poi stuprate nel sonno. 

Le povere vittime si svegliavano doloranti, sporche di sangue e liquido seminale, con segni di corda su polsi e caviglie, e non capivano cosa fosse loro successo durante la notte.

Il pastore della comunità, Peters, spiega che questi "malesseri" o sono frutto della loro sfrenata immaginazione, o eventualmente del diavolo. Eh sì, il diavolo faceva loro del male a motivo dei peccati commessi e che dovevano espiare (!!).
Stuprate e colpevolizzate, come nelle "migliori" (sono ironica) tradizioni maschiliste e patriarcali.

Ma altro che fantasmi violentatori! I colpevoli erano uomini della comunità: zii, fratelli, vicini, cugini! Persone con cui, durante il giorno, erano fianco a fianco, il che rende tutto ancora più orribile, spaventoso e minaccioso.
La più giovane delle vittime è una bimba di soli tre anni e mezzo, che da allora si è chiusa in se stessa! Stessa triste reazione hanno avuto altre vittime molto giovani, che hanno riportato conseguenze di tipo psicologico a causa delle violenze sessuali. Per non parlare delle gravidanze...
A queste ragazze/donne - figuriamoci! - il pastore Peters non ha concesso nè sostegno medico nè tantomeno psicologico.

Gli stupratori sono attualmente in carcere ma purtroppo stanno per uscire su cauzione (ovviamente quest'ultima è pagata dagli altri uomini della comunità che, in questo modo, è come se si schierassero con i "mostri") e torneranno a casa.

Che fare con loro?

Perdonare, come vorrebbe il pastore Peters? Rispondere con la violenza alla violenza?
O andare via, per sempre, per conquistare una vita diversa, di rispetto, amore e libertà?

È vero, la maggior parte di esse non ha memoria delle violenze subite perché erano incoscienti, addormentate: questo fa sì forse che non ci sia nulla da perdonare solo perché non ricordano lo stupro?
Ovviamente le vittime si rifiutano di abbassare il capo, per cui urge una decisione.

Il romanzo parte proprio da questo punto: dal momento in cui le donne devono decidere cosa fare. Si incontrano di nascosto e ammettono tra loro un solo uomo: August Epp, un membro della comunità che però vive un po' per i fatti suoi, dopo aver vissuto per anni fuori da Molotschna (è stato anche in carcere), esiliato insieme ai suoi genitori (considerati anticonformisti, ribelli); alla morte di questi, è stato riammesso nella colonia mennonita come insegnante dei bambini, ma in realtà non è un integrato, anzi: è considerato da tutti un "mezzo uomo", un effeminato, uno smidollato che non sa lavorare la terra.
August è da sempre innamorato di una delle donne presenti alla riunione, ma sa che ella non lo ricambia, pur trattandolo con estrema gentilezza.
Al buon August le otto donne chiedono di redigere il verbale della loro riunione, volta a stabilire la linea d'azione.

Nello scambiarsi animatamente e disordinatamente opinioni e suggerimenti, esse arrivano a formulare tre possibili decisioni:

1.  Non fare niente
2. Restare e combattere
3. Andarsene

È possibile accettare con rassegnazione la condotta scellerata di questi uomini e continuare la vita con e tra loro senza che nulla sia successo? Se si rifiutano di perdonare, dovranno lasciare la comunità (!) e sicuramente perderanno il posto in Paradiso, pensano le donne.

Se decidono di andarsene fuori dalla comunità, come sopravvivranno in un mondo esterno a loro sconosciuto?

"Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni..."

Le otto amiche si rendono conto di essere trattate male da questi uomini che hanno la Parola di Dio sulle labbra ma, a quanto pare, non nel cuore.

"Non saremo forse bestie, dice, ma ci hanno trattato peggio, e di fatto le bestie di Molotschna corrono meno rischi delle donne di Molotschna, e sono meglio accudite."

È inaccettabile che il pastore minimizzi ciò che è successo e soprattutto è pericoloso: come fanno ad avere la certezza che non riaccadrà?
Loro sono madri che hanno il dovere e il diritto di proteggere le proprie figlie!

Per quanto furiose, indignate, ferite, le donne non accantonano la propria fede; esse non hanno smesso di credere in Dio, nella sua giustizia, nel suo amore, ma al contrario: vogliono prendere decisioni sulla base della propria fede sincera!

Durante l'accesa discussione, emerge la convinzione che andarsene dalla colonia sia un modo per esercitare la fede, perché se è vero che in quanto cristiane sono chiamate al pacifismo, al perdono, alla compassione, all'amore, all'assenza di vendetta e odio..., restando lì - accanto ai colpevoli! - tutte queste nobili virtù vengono seriamente compromesse.
Continuando a vivere accanto agli aggressori, infatti, si ritroverebbero a desiderare di vendicarsi e il massimo che potrebbero offrire è un perdono falso, ipocrita.
Allora che fare? Andarsene? Lasciare mariti, figli, case...? Con quale prospettiva di futuro?
Non è una scelta facile.
Cosa decideranno di fare queste otto donne?

Le protagoniste femminili di questo libro sono spesso eccentriche e un po' sopra le righe, ma anche forti e tenaci, con dei sogni di libertà e di vita a motivarle.
Sono donne abituate ad essere sottomesse, ad obbedire, a sopportare percosse e sgridate, a non rispondere ai maschi; non sanno né leggere né scrivere e questo analfabetismo le limita tantissimo nella propria libertà di scelta, rendendosi conto che, se dovessero andar via, non saprebbero neppure leggere una mappa...!

Sono donne avvezze ai silenzi, a chinare il capo, ma quando possono stare tra di loro e parlare liberamente, ecco che vengono fuori le personalità di ciascuna e scopriamo che sanno divertirsi, fare battute, prendersi in giro, bisticciare.
Hanno età diverse e, di conseguenza, visioni diverse della vita, ed infatti litigano, si interrompono a vicenda, si contraddicono, a volte cambiano argomento e cominciano a discutere di cose che nulla hanno a che vedere con il tema principale, che le ha viste riunite.
August le osserva con attenzione, ammirazione, imbarazzo, sorridendo della loro vivacità.
Del loro coraggio.
Perché finalmente, nascoste in quel fienile, esse hanno già fatto il primo ed importante passo di fede: ribellarsi e provare a prendere in mano il proprio destino. 

Nonostante l'argomento in sé sia drammatico e delicato, i toni restano sempre leggeri, grazie ad un linguaggio colloquiale, molto semplice, come semplici sono i personaggi che intervengono, a partire da colui che redige i verbali e riporta non solo le discussioni tra le donne, ma anche i loro gesti, atteggiamenti, espressioni, dandoci modo di capire i loro caratteri.

"Donne che parlano" è un romanzo pieno di coraggio, necessario, perché con esso Miriam Toews ha dato voce a tante donne mennonite, lasciando emergere realtà spesso nascoste, taciute, ma che sono proprie di comunità patriarcali in cui la donna è trattata come un essere inferiore.
Se non si è infastiditi dallo stile particolare, che può apparire confusionario ma che in realtà ben riflette la vivacità delle donne, l'euforia di potersi finalmente confrontare, sfogare e organizzare assieme un principio di ribellione -, è un libro che si legge velocemente e fa riflettere su ciò che accade in certe realtà religiose (che si basano su interpretazioni parziali ed errate della Bibbia) poco conosciute. 


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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz