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domenica 30 luglio 2023

# RECENSIONE # COSE CHE NON SI RACCONTANO di Antonella Lattanzi



Quanto può essere difficile raccontare un dolore.
Spesso, ci sembra che manchino le parole - quelle giuste - per descriverlo, per parlarne affinché gli altri (che ci ascoltano, ci leggono) abbiano un'idea più esatta possibile del nostro dolore.
Perché succede, quando un dolore è troppo intenso, di non riuscire ad esprimerlo come vorremmo e, anzi, sembra che, parlandone, quasi lo sminuiamo, privandolo dell'intensità che gli appartiene.
In queste pagine, che trasudano sofferenza e coraggio assieme, Antonella Lattanzi trova le parole per raccontare "le cose che non si raccontano", il fiume intimo e privato di pensieri, stati d'animo, paure, speranze..., che hanno caratterizzato la sua difficile esperienza della maternità.
Una maternità temuta, messa in stand by, desiderata, sofferta, negata.


COSE CHE NON SI RACCONTANO 
di Antonella Lattanzi


Einaudi
216 pp
"...sto scrivendo il mio libro.
Dopo tutto quello che mi ha abbandonata, questo resta. Questa testardaggine. Non si tratta di salvare. Non si tratta di redimere. Non si tratta di urgenza, né di necessità. Si tratta di cercare di creare qualcosa che abbia ancora un valore per me, di provarci con tutte le forze. Si tratta alla fine di esistere."

Ogni donna che desidera avere un figlio deve, superata una "certa età", tener conto del benedetto (o maledetto?) orologio biologico che, impietoso, le ricorda che più passa il tempo... e meno tempo ha, che si traduce in "meno possibilità hai di restare incinta in modo naturale", a cui segue: "eh ma se intraprendi un percorso di procreazione assistita, mica è detto che vada a buon fine, perché comunque l'età c'è...".

Senza considerare le frasi (sceme, inutili) di chi ti fa sapere ciò che tu non avresti mai immaginato (sono ironica): "Eh, c'è un tempo per tutto e i figli bisogna farli quando è tempo (= quando sei giovane). Non potevi pensarci prima?".

Quando Antonella comincia a maturare l'idea, il desiderio di diventare mamma, ha superato la famosa "certa età", che in questo caso è vicina ai 40.

Non è certo facile, del tipo < "speriamo di restare incinta subito" e così avviene > no no, figurati (al massimo questo accade agli altri, che te lo raccontano meravigliati e felici: "Ci siamo detti: dai, siamo pronti, adesso ci proviamo! E pouf!... incinta!" Più veloce di un ordine su Amazon, insomma), c'è da penare, ogni mese speri di non vedere quel sangue sugli slip che, puntuale, arriva eccome, frantumando ogni speranza e mettendo un'ulteriore X sul calendario - sempre quello biologico -, che ti ricorda che il tempo sta per scadere, datti 'na mossa!.

Antonella teme di non essere mai mamma e di meritarsi questa punizione: perché lei, quando era molto più giovane, ebbe ben due possibilità di diventare madre e cosa fece? Abortì, perché allora non era pronta.
C'era da lavorare, viaggiare, divertirsi, stare spensierati; poi si è concentrata sul voler diventare una scrittrice - la sua ambizione più grande - e l'ha inseguita con tenacia e determinazione.
Però, adesso che è attorno ai fatidici 40, è pronta: la sua relazione con Andrea è stabile, col lavoro tutto ok, insomma manca solo un figlio e la felicità sarà a portata di mano.
Sì, come no, credici.

Il corpo non è d'accordo e il bimbo tanto bramato non arriva; e così ha inizio lo sfiancante ma necessario iter per avere un figlio tramite l'aiutino della medicina, e quindi giù con punture, ormoni, visite, pillole, acido folico..., nella straziante attesa di restare in attesa.

Passa un po' di tempo e non accade nulla, se non che questo desiderio, che fatica a realizzarsi, semina angoscia, frustrazione, rabbia, nervosismo (ma ci sono sempre state tante donne col pancione in circolazione o aumentano di proposito nel momento in cui si desidera e si prova ad avere un figlio che non arriva??) e, non ultimi, sensi di colpa: perché se tu i figli li avessi fatti quando avevi vent'anni, invece di interrompere le gravidanze, ora saresti mamma e non dovresti passare questo strazio! Mamma scellerata che non sei altro: i figli si proteggono non si abortiscono! Te lo meriti di non averne e di soffrire per cercare di averne!

"...quando è successo tutto quello che è successo, e anche da molto prima, quando finalmente mi sono decisa e ho cominciato a provare ad avere un figlio, per anni, quando non arrivava mai, il pensiero di quei due bambini è diventato costante. Questa tragedia, non ho potuto che concludere, io me la sono meritata.
Nei momenti di dolore cerchi sempre un perché. Perché è successo tutto quello che è successo? ho chiesto. Perché non si gioca con la vita, mi ha risposto una voce ancestrale, una voce da pensiero magico. Hai rifiutato due vite. E allora sei stata punita."

Eppure, a un certo punto, qualcosa sembra - finalmente!! - andare per il verso giusto.
Certo, il periodo è tutto fuorché giusto: in piena fase Covid, per cui è complicato fare visite mediche, Antonella deve far tutto da sola perché al compagno non è permesso entrare per accompagnarla, c'è l'emergenza sanitaria dovuta al virus..., insomma restare incinta in quel frangente storico... se non è soggetto a sfiga poco ci manca!

Fatto sta, che in quel tunnel buio comincia a vedersi una piccola luce di speranza: la speranza di diventare genitori sembra concretizzarsi.

Purtroppo, la gioia di scoprire di aspettare un bambino viene presto offuscata da una serie di notizie non proprio rincuoranti che aprono lo scenario di una gravidanza complicatissima.

Il calvario non è finito e ciò che accadrà nei successivi mesi sarà un inferno privato fatto di dolore, molta paura e qualche timida speranza (per carità, sussurrata, ché a dirla a voce alta sicuro si schianta a terra in mille pezzi), lacrime, visite mediche, ecografie, messaggi con le poche amiche a cui ha confidato il dolce e complicato segreto, i silenzi sofferti con chi, invece, non sa niente ma, a modo suo, riesce a dare sostegno con la sola presenza, i malumori all'interno della coppia, il dover fare i conti con l'insensibilità di certi medici e infermieri ma anche con - fortunatamente - l'umanità di altri.

E intanto, in mezzo a tutta questa esperienza difficile e dagli esiti molto, troppo!, incerti, c'è un libro che incombe, che sta per uscire e va presentato, ci sono interviste da fare e in casa editrice non sanno nulla...

Maternità e sacrificio: un connubio che l'autrice odia ma che si rivela sempre presente.

Per qualcuno "uscire incinta", portare il proprio figlio in grembo per nove mesi e darlo alla luce, è una cosa naturale, semplice..., per altri può essere una via crucis.
E siccome la voglia di essere mamma è forte, lo si affronta 'sto percorso ad ostacoli.
Ma la volontà e il desiderio, da soli, possono non bastare.
Che altro ci vuole: la fortuna? la benedizione divina? 

Antonella non lo sa e vive giorno per giorno, durante il periodo in cui ha "della vita" dentro di sé, con un misto di ansia e gioia segreta, dicendosi "magari andrà bene, no? Perché non dovrebbe andare bene, dopotutto?".

Questo libro tiene il lettore incollato perché è autentico e vero, e non solo perché ciò che viene raccontato è autobiografico (la voglia di "andare a controllare" alcuni particolari della narrazione sui profili social dell'autrice c'è, non per sfiducia o incredulità, ma per una sorta di "desiderio di condivisione", un modo per empatizzare con lei, seppur a distanza di tempo e spazio) ma per il modo in cui è scritto: con onestà, senza sotterfugi né tentativi di indorare la pillola o di nascondere il fiume di pensieri e stati d'animo "negativi" (quelli che, quasi sempre, ci si vergogna di aver nutrito e che, quindi, teniamo per noi, non li condividiamo per paura di essere giudicati male) provato.

Le cose che l'autrice scrive e racconta sono di quel tipo che facciamo fatica a raccontare perché, come dicevo nell'introduzione, è difficile verbalizzarle.
Non soltanto perché ci sembra di non riuscire a dire con precisione ciò che ha caratterizzato quel particolare e doloroso vissuto, ma anche perché nel dirlo, lo riviviamo, riprovando (se mai se ne andasse...., ma non se ne va) lo stesso dolore, lo teniamo in vita e, soprattutto, realizziamo con più lucidità che... è successo davvero, che quella sofferenza c'è stata, che le lacrime versate ci sono state e pure tante.
Che ciò che è stato rotto, resta tale e non c'è tecnica giapponese che riesca a riparartelo, a valorizzarne le crepe.

"E allora perché adesso sto raccontando?
Io che non racconto mai niente.
Sto raccontando perché nella mia testa non c’è nient’altro."

Alla fine, si racconta perché nella testa e nel cuore, quello c'è, e prima o poi da qualche parte deve uscire.
E magari, dopo averlo tirato fuori, forse, si comincia a un po' a trovare pace, a guarire, poco alla volta, non del tutto, ma almeno un po'. 
Forse.

Si viene risucchiati dal racconto di Antonella Lattanzi, si trattiene anche un po' il fiato seguendo le peripezie relative alla gravidanza, al prima e al dopo; l'autrice sa come farci sentire con intensità il carico dei suoi pensieri, che vanno a mille, delle sue contrastanti emozioni, e ci si sente travolti dal dolore, dalla rabbia, dal senso di impotenza, da questa voglia di felicità che sbatte contro una realtà piuttosto avara di grazie e miracoli.

"Non credevo di essere una persona che non racconta niente di sé. Non ho mai creduto di esserlo. Adesso so che lo sono. Che ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono."

Quando l'ho iniziato, non ero certa che l'avrei proseguito e terminato, perché l'inevitabile immedesimazione mi sembrava emotivamente "troppa" da gestire, ma poi ho pensato che se l'autrice ha trovato il coraggio di scriverlo (rivivendo tutto), io potevo affrontarne la lettura e ciò che essa significa per me, personalmente. E così, leggerlo mi ha fatto bene perché quelle cose che non si raccontano sono anche un po' mie e, forse, di tutti noi.


ALCUNE CITAZIONI

"Se consegni a un’altra persona una parte così grande di te, come fai a proteggerti? Se consegni le tue cose più profonde a qualcuno, poi fanno più male. Perché da quel momento esistono. Non ci pensavo mai."
"La speranza è una macchia negli occhi per aver guardato il sole, si fa sempre piú grande, intacca tutto e si prende tutto. Ho imparato che la speranza quando è troppa diventa certezza. Che non è verde e nemmeno gialla. La speranza è nera, perché ti distrugge."

"...io non ne parlo mai. Questo mi fa ancora più male. Non avere nessuno che mi chiede più come stai, raccontami."

" La vita è quello che succede mentre combatti contro la paura? Oppure sono tutti gli attimi di gioia e inconsapevolezza che riesci a ricavarti per non farti prendere dalla paura?"

1 commento:

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz