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domenica 1 settembre 2024

IL CAPANNO DEL PASTORE di Tim Winton [ RECENSIONE ]



Un adolescente fuggito di casa e da un padre violento si imbatte in un anziano prete, "in esilio" in una zona dell'Australia selvaggia e desolata.
Nonostante le differenze d'età e caratteriali, tra i due si instaura un legame, una sorta di amicizia che permette a entrambi, per mesi, di sopravvivere sentendosi un po' meno soli e in balia dei cattivi pensieri.


IL CAPANNO DEL PASTORE
di Tim Winton

 
Fazi Ed.
trad. S.Tummolini
276 pp
18.50 euro
Jaxie Clackton è soltanto un adolescente quando trova suo padre privo di vita nella rimessa della loro abitazione.
Spaventato, il ragazzo scappa via senza avvicinarsi al corpo né preoccupandosi di chiamare qualcuno: vuole solo allontanarsi di là e magari evitare che la gente - polizia in primis - possa sospettare che a far fuori il padre sia stato lui.
Forse Jaxie poteva avere delle (valide) ragioni per uccidere il padre?
Evidentemente sì e chiunque conoscesse i Clackton lo sapeva bene.

Dopo la morte della madre, Jaxie è rimasto solo con un padre - chiamato "affettuosamente" Capitan Segaiolo - estremamente violento e rozzo; l'uomo ha da sempre avuto la terribile abitudine di picchiare moglie e figlio, e quando beveva (ed era un alcolizzato, per cui accadeva spesso) la sua violenza sadica raggiungeva picchi alti, tanto da lasciare, ad es., brutti segni sul corpo del ragazzo.
Insomma, non proprio un genitore amorevole, tutt'altro: aggressivo fisicamente e verbalmente, sempre pronto a riempire Jaxie di calci, ingiurie e rimproveri, ci sta che il figlio non abbia versato lacrime per un tipo che non ha fatto granché per farsi amare e rispettare.

La stessa mamma - per quanto le abbia voluto bene - non ha saputo essere una donna pronta a difendere il figlio dalle botte del marito ubriacone, anzi, gli è stata sottomessa fino all'ultimo momento, lasciando il povero Jaxie solo e senza qualcuno che gli dimostrasse cura, protezione e affetto.

Quindi, nel vedere il padre (finalmente...) morto stecchito in garage, Jaxie non può che prendere questa morte accidentale come un'occasione per andarsene, ormai libero da una famiglia che, in realtà, era già smembrata, e soprattutto libero di andare alla ricerca del suo unico amore: la fidanzatina Lee, che gli è stata strappata dagli adulti proprio per porre fine al loro legame, da essi giudicato sbagliato.

Confuso e smarrito, Jaxie prende uno zainetto blu e poche altre cose (una tanica con dell'acqua, un binocolo...), utili per resistere in un territorio aspro e solitario, con la speranza di non morire prima di aver raggiunto Lee; quello che non immagina è che ad attenderlo c'è un vagabondaggio irto di difficoltà e solitudine, lungo distese semidesertiche e alla costante ricerca di qualche albero sotto cui ripararsi. 

Nel giro di pochi giorni, la sua avventura assume l'aspetto di una vera e propria quotidiana lotta per la sopravvivenza in uno dei luoghi più ostili del pianeta, in cui c'è tanto da camminare e poco di utile per trovare le forze e proseguire il cammino.
Resistere e non morire di fame e sete in quelle terre ostili è un'impresa non facile, ma per fortuna, proprio quando non gli è rimasta neanche più una goccia d'acqua, i suoi abiti sono ridotti a stracci puzzolenti e il suo fisico è praticamente debilitato, gli capita di notare un capanno che, per quanto non sia in ottime condizioni, è comunque abitato.

Grazie al suo binocolo, Jaxie capisce che nella catapecchia vive un vecchio tutto solo. 

L'uomo, quando si accorge del giovanotto - che da ore è acquattato tra i rovi per non farsi vedere ma che lo sta tenendo d'occhio con l'inseparabile binocolo -, lo invita ad entrare per mangiare, bere e lavarsi; diffidente e scontroso, Jaxie non è certo di potersi fidare, ma è consapevole di non avere molte alternative: o accetta le sue focacce, i suoi tè e la sua carne arrostita... o morirà di fame e sete.

Consapevole di come si stia riducendo a uno scheletro maleodorante e privo di energia, e di come non potrebbe mai presentarsi dalla sua Lee in quelle condizioni, Jaxie accetta di farsi ospitare dal vecchio, così può finalmente darsi una sciacquata e mettere qualcosa nello stomaco.

Quella che doveva essere un'ospitata breve, una sosta per poi riprendere il viaggio, diventa una convivenza, governata da una regola ben precisa: nessuno dei due è obbligato a raccontare nulla del proprio passato né deve fare domande impiccione e inopportune all'altro.

Il padrone del capanno si chiama Fintan MacGillis ed è un individuo molto strano; oltre a essere sordo, non fa che parlare e parlare di cose sciocche e inutili, e anche con Jaxie è eccessivamente loquace, riempiendolo di chiacchiere che snervano il ragazzo, che  - se potesse - gli tapperebbe la bocca a suon di pugni.

Stando ogni giorno per settimane l'uno accanto all'altro, inevitabilmente i due hanno modo di parlare e conoscersi un po', seppur con le dovute reticenze: Jaxie scopre, ad es., che Fintan è un prete che si trova in quel capanno abbandonato, in cui non va a trovarlo nessuno (se non delle misteriose persone che gli portano cibo, e altre cose pratiche, al massimo due volte all'anno), in esilio per aver compiuto azioni non degne delle tonaca che portava.

Jaxie ne resta sconvolto e indignato: cosa avrà mai fatto quel vecchio prete per meritarsi una vita di completo isolamento, come un appestato da scansare e tener lontano dalla società?
Forse è un bavoso pedofilo??

Il ragazzo è per sua natura già molto diffidente e poco incline a dare confidenza, ma quando il dubbio di star condividendo il tetto con un essere abietto si infila tra di loro, diventa ancora più scorbutico.
Ma non se ne va.
Perché avere un tetto sulla testa, un tè caldo e della carne di capra nella pancia, dei vestiti lavati e asciugati sulla pelle, è sempre meglio che starsene da soli in una zona priva di segni di civiltà e umanità.

E poi, Fintan si sgola nell'assicurargli che no, non si tratta di pedofilia e schifezze simili: ci sono tanti altri peccati che un uomo - prete compreso, purtroppo - può commettere, danneggiando il prossimo, e che lo rendono meritevole di tutta quella solitudine.

Passano i giorni e ad ogni alba Jaxie è intenzionato ad andarsene per raggiungere Lee, ma chissà perché rimanda; un giorno, poi, facendo un giro di perlustrazione della zona attorno al capanno, fa una scoperta che cambierà ogni cosa, per lui e per il vecchio prete chiacchierone.

Come in "Il nido", anche nel presente libro abbiamo un protagonista dal carattere spigoloso, burbero, tendente all'asocialità, anche se qui parliamo di un adolescente dal passato segnato da violenze domestiche, accanto al quale v'è un co-protagonista, anch'egli solitario, che proprio nell'isolamento spera di trovare una specie di espiazione per i propri inenarrabili peccati.

Questa è la storia di un incontro bizzarro tra due individui che, per quanto lontani anagraficamente e per esperienze di vita, uniscono le proprie personali solitudini per tentare di... non dico salvarsi, ma sopravvivere a vicenda, tra una risata sguaiata e un insulto.

Il linguaggio scelto da Winton è assolutamente in sintonia con la voce narrante, affidata a Jaxie: maleducata, scortese, senza filtri, infarcita di parolacce, rozza e molto schietta, caratteristiche che sicuramente rendono il personaggio (che, ricordo, ha comunque quindici anni) e il suo racconto più naturali e genuini.

Anche la scelta di non usare le virgolette nei dialoghi, a mio parere, contribuisce a conferire ulteriore spontaneità al contesto umano, alle parole, agli atteggiamenti e, pur non prediligendola, riconosco che può velocizzare il ritmo della lettura e avvicinare, in modo più "intimo", il lettore al punto di vista del narratore.

Mi è piaciuta l'ambientazione australiana selvaggia, brulla, impervia, che ben riflette sia le personalità dei protagonisti che il loro personale stato di alienazione.

Si affrontano
 i temi della famiglia, della complessità delle relazioni umane, dell'amore e dell'amicizia, del rapporto con la fede e con Dio.

Confessione: le mie aspettative sul romanzo erano differenti da ciò in cui poi mi sono imbattuta; non più alte o più basse, ma proprio diverse, forse perché mi ero immaginata (a torto, evidentemente) che questo prete avesse un altro tipo di carattere, di vissuto e di "profondità", e invece mi sono ritrovata con un individuo strambo, ciarlone, che del proprio passato da espiare non ha detto granché.
Il finale ha note quasi commoventi, tenere, e lasciano un misto di amarezza e timida speranza.

Non posso dire che mi abbia entusiasmata al 100%, anche se non mi ha tolto la voglia di provare a leggere altro di questo scrittore; non lo consiglierei a chi ha voglia di una lettura leggera e spensierata ma, semmai, a chi ha voglia di incontrare personaggi complicati e ai margini della società.


CITAZIONE

"La prima volta che riesci a capire il cielo, quando realizzi che quelle lune e quei pianeti sono dei posti che esistono davvero, è come toglierti il coperchio dalla testa. I corpi celesti. È bello vedere le stelle, sapete, ma la cosa più pazzesca è pensare che sono lì davvero, e che vivono e muoiono. E quando hai avuto una giornataccia, chiudere gli occhi e pensarci è una gran bella cosa, secondo me."

4 commenti:

  1. Ciao Angela, il mio commento era stato pubblicato e ora invece vedo che non c'è più... Blogger a volte è proprio strano 🤷

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    1. Sì, io certe volte devo riscrivere i commenti mille volte prima di ritrovarlo pubblicato ಠ⁠_⁠ʖ⁠ಠ

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    2. Ho controllato e non c'è né in spam né in quelli da moderare. Il caldo fa male anche a blogger 😅

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    3. A quanto pare il caldo da alla testa un po' a tutti 😉

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz