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domenica 24 luglio 2011

RANCORE: UN'EMOZIONE CHE SI ANNIDA IN NOI

Quanto spesso ci sarà capitato (e ci capiterà ancora, molto probabilmente) di star lì a pensare a una determinata situazione o persona che genera in noi, nella nostra mente, una serie di risentimenti, e che ci spinge e pensare e ripensare sempre allo stesso fatto, senza trovarne, il più delle volte, alcuna via d’uscita per sentirci meglio, più sereni?
Tra i tanti e complessi stati emotivi che caratterizzano l’essere umano, uno dei “meno
simpatici e positivi” è il rancore.
E’ interessante notare l’etimologia di questa parola: dal latino rancere, che si riferisce ad un cibo andato a male, che ha quell’odore sgradevole e quel sapore acidulo che tutti conosciamo.
Questo livello di significato inevitabilmente ci porta a riflettere sui connotati del rancore
stesso: un sentimento che si annida in noi, nel nostro cuore e nella nostra mente e che,
a lungo andare, se non viene eliminato, “puzza”, crea ancora più amarezza, tormento,
sofferenza, acredine.
Non è piacevole essere consapevole di avere rancore verso qualcuno, proprio perché non si
sta bene con se stessi, prima ancora che con la persona che ci ha fatto un torto: è qualcosa
che ci logora e ci fa a volte anche maturare sentimenti di vendetta o invidia verso l’altro.
La caratteristica principale del rancore è la ruminazione: perdere ore a rimuginare sull’accaduto, sull’umiliazione o frustrazione provata, sulla persona che lo ha provocato e su come ci si potrebbe rivalere su di essa.
Secondo gli psicologi, il rancore nasce quando una certa situazione spiacevole o vissuta
come ingiusta e offensiva, perdura nel tempo; il “contenuto” dei rancori dipende da alcuni
fattori, quali ad esempio l’età: i giovani tendono a provare rancore spesso per episodi legati
all’amicizia, all’amore, ai rapporti familiari e scolastici; le persone più adulte, invece, oltre all’amore e alla famiglia, provano rancore e risentimento per episodi legati al lavoro.
Attraverso questionari e incontri con vari soggetti sottopostisi alle ricerche psicologiche
sulle emozioni, è emerso come si provi rancore in particolare verso persone note, con cui
si hanno più spesso rapporti di affetto o parentela, dalle quali ci si aspettava sempre e solo bene e che invece ci hanno dato “una pugnalata”.
A volte i risentimenti nascono subito e sono accompagnati da reazioni forti – rabbia,
astio…-, altre volte sorgono dopo, a distanza dall’evento, come se il tempo ci avesse fatto
riflettere e riconsiderare il tutto.
Quando ci si trova in questo stato emotivo, si tende a condividerlo, a raccontare agli
altri “il fatto”, il che vuol dire che il rancore è un’emozione “sociale”, che viene condivisa e
alimentata proprio attraverso la “narrazione” nonché la rielaborazione dell’accaduto.
Ma perché ci si ostina a rievocare un certo evento se si comprende che ci sta logorando,
rendendo astiosi, come un dèmone imprigionato nella nostra testa e che noi stessi teniamo
in vita?
Una spiegazione potrebbe essere che pensare al passato, alle offese subite, ai “nemici”
vinti, ai problemi superati…, ci aiuta a dare maggior significato al presente e ci apre
una “speranza” per il futuro; è come se dietro al rancore ci fosse il pensiero: “Se sono
riuscito a superare quella difficoltà, quell’episodio negativo, evidentemente son capace di
affrontare e superare anche altre difficoltà, oggi e domani, se si presenteranno!”.

Ma a prescindere dai meccanismi di difesa inconsci che “lavorano” nella nostra mente e
che la psicologia ci illustra, la Parola di Dio, la Bibbia, ci esorta a non permettere che in noi e nel nostro cuore si annidino sentimenti negativi, di vendetta, rivalsa, invidia…: il Signore
detesta l’uomo il cui “cuore medita disegni iniqui” (Prov 6:18) e ci ordina di non serbare
rancore verso il nostro prossimo (Levitico 19:18), bensì di amarlo, perdonarlo (Col 3:13);

in Geremia 4:14, Dio chiede al suo popolo: “Fino a quando albergheranno in te pensieri iniqui?”.
Può succedere di sentirci offesi e tristi per un torto subito; Dio sa quanto sia difficile
perdonare per noi uomini orgogliosi, ma chiede a chi crede in Lui di farlo, di perdonare,
perché Egli stesso ha perdonato noi e perché solo così potremo riempire il nostro
cuore di un “buon tesoro” e non di cose malvagie, che ci avvelenano la mente, il cuore e
influenzeranno anche i rapporti con gli altri, rendendoci sfiduciati e sospettosi.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz