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lunedì 10 novembre 2014

Recensione film 'LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO' di Gregory Wilson



La settimana scorsa ho visto un film che mi ha molto turbata per le scene e per la storia in sè.


LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO

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Questo film è tratto dall'omonimo romanzo di Jack Ketchum, che a sua volta prende spunto da un fatto di cronaca nera americana molto crudo: le torture e il feroce, barbaro assassinio della povera adolescente Sylvia Likens, ad opera della cosiddetta "madre tortura", tale Gertrude Baniszewski.

Del libro avevamo già parlato QUI.

Di questo film il "maestro dell'horror" ha detto: Il primo film americano realmente scioccante da quando vidi Henry: Pioggia di Sangue (1986) oltre 20 anni fa. Se siete facilmente impressionabili, non dovreste guardare questo film. Se, d'altro canto, siete pronti a dare uno sguardo verso l'inferno in stile suburbano, The Girl Next Door non vi deluderà. Questo è il lato oscuro della luna di Stand By Me

Regia: Gregory Wilson

Cast:

Blythe Auffarth: Meg Loughlin
Blanche Baker: Ruth Chandler
Daniel Manche: David Moran
Madeline Taylor: Susan Loughlin
William Atherton: David Moran adulto
Kevin Chamberlin: poliziotto


Siamo negli anni Cinquanta, in America, nel New Jersey, e un ormai adulto David assiste ad un incidente stradale e con la memoria torna all'estate di molti e molti anni prima, a quando aveva solo 12 anni.
Il David 12enne è un ragazzino "normale", tranquillo, con la sua combriccola di amici e un principio di interesse verso l'altro sesso.
Conosce la giovane Meg Loughlin, rimasta orfana in seguito ad un incidente (i genitori sono deceduti) e che si trasferisce con la sorellina Susan (che ha riportato un handicap fisico, alle gambe), nella casa accanto a quella di David, dove vive la strana zia Ruth...
Ruth, in apparenza ottima madre di famiglia, nasconde una vena di sadismo e alienazione, che sfoga dapprima sottoponendo le ragazze a percosse sempre più violente e dolorose, poi dando vita a una serie di torture fisiche e psicologiche di cui David e gli altri ragazzi del vicinato divengono testimoni e, in qualche modo, complici inconsapevoli.

Ruth è davvero un personaggio diabolico: con la sua calma imperturbabile e sospetta, la sigaretta sempre in bocca, i suoi occhi di ghiaccio e quell'espressione fredda e priva di sentimenti, pensa ogni giorno a come infierire sulle nipoti, sulla povera ed inabile Susan - che dice di voler "semplicemente" educare - e soprattutto su Meg, che è un'adolescente dolce, silenziosa e carina.
Così carina da destare evidentemente le ire della sola e magrissima Ruth, fissata in particolare sull'idea che la nipote se ne vada in giro a donare generosamente "le proprie grazie" ai giovanotti, David compreso, che lei conosce bene in quanto non solo vicino di casa, ma anche amico dei figli.

Questi ultimi sono completamente in balia delle follie sadiche e malvagie della mamma, che a un certo punto in poi non metterà alcun freno al comportamento dei ragazzi, che cominceranno molto orgogliosamente ad imitare le cattiverie materne e ad esercitarle verso la povera Meg.

Meg si ritroverà ad essere legata e messa in cantina, luogo che diverrà il suo personalissimo inferno, in cui subirà violenze fisiche e psicologiche inaudite.

La cosa drammatica del film, che lascia basiti ma anche indignati, è che Meg viene rinchiusa in una cantina dove è quotidianamente visitata non soltanto dalla pazza famiglia di Ruth, ma anche dai ragazzini che abitano nei dintorni, che divengono spettatori passivi (non tutti, alcuni vengono coinvolti da Ruth, affinchè si "divertano" anch'essi a infierire sulla povera vittima) di una atrocità che sembra uscire fuori dallo schermo e prendere lo spettatore... per la gola, lo stomaco... mozzandogli il respiro e lasciandolo inchiodato davanti al video.

Cosa spinge una persona a riversare su un proprio simile una dose inconcepibile di crudeltà?
Quanta cattiveria può risiedere nel cuore di un essere umano, che pure riesce a fingere una vita normale agli occhi della società, per poi trasformarsi (tra le mura di casa propria) in una sorta di ... "diavolo"?

Cosa scatta nella mente di un gruppo di ragazzini che, messi di fronte allo spettacolo della violenza gratuita, non riescono a ribellarsi ad essa, ma anzi ne restano atterriti, paralizzati, silenziosi, come se ciò che vedono non li toccasse, non richiedesse il loro intervento, come se il loro silenzio non li rendesse colpevoli?

Perchè David - forse l'unico del "gruppo di spettatori" a soffrire per le schifezze cui assiste - non denuncia Ruth e i figli? Perchè non si confida da subito con i genitori?
E quando si deciderà ad andare alla polizia, riuscirà a liberare la povera Meg - ormai ombra di se stessa - dalle grinfie di una matta senza scrupoli e senza moralità?

Il film inizia in un modo "soft": Ruth è acida, scostante, maligna, algida..., non risparmia insulti e minacce alle nipoti ma le due sono ancora in una condizione "vivibile", dalla quale potrebbero addirittura ancora fuggire!
E' da un certo momento in poi che lo spettatore viene scaraventato nella cantina con Meg, legata con le braccia in alto, nuda, imbavagliata (occhi e bocca), lasciata a se stessa, denutrita, picchiata, abusata... e l'incubo di Meg diventa quello di chi guarda.
Ne viene fuori qualcosa di devastante e crudo (per usare un eufemismo), ma in una maniera... esagerata.

Ho avuto spesse volte, durante la visione del film, la tentazione di spegnere il pc, perchè mi chiedevo: che senso ha questa "pornografia della violenza"? Che messaggio lascia allo spettatore questo film?

L'ho visto tutto, però; forse perchè sapevo che le torture inaudite subite da Meg nella finzione, qualcuno (Sylvia) le ha subite davvero, e qualcosa mi ha spinto ad arrivare alla fine...

Chissà, sarà quella parte (piccola, mi auguro) un po' oscura che c'è in ogni essere umano e che ci spinge a guardare da lontano la malvagità, la violenza, soddisfacendo quella inquietante, strana e morbosa curiosità che proviamo verso il Male..., per capire e vedere fino a che livello infimo può giungere la mente umana, quando perde ogni contatto con la realtà e col senso comune del bene e del giusto.

Non mi sento di consigliarne la visione..., soprattutto ai più sensibili; è un film che rischia di lasciare ben poco a chi lo guarda, se non un magone all'altezza dello stomaco e un sospiro di egoistico sollievo nello staccare gli occhi dallo schermo, guardarsi attorno e pensare: "Ok, sono al sicuro a casa mia, tra persone che mi vogliono bene e che non hanno alcuna intenzione di tenermi legato in cantina...".

Consigliato SOLO a chi ama il genere horror/splatter e ritiene di non essere un tipo impressionabile.


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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz