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domenica 21 maggio 2017

Recensione: E ORA PARLIAMO DI KEVIN di Lionel Shriver (RC2017)



Qual è la responsabilità civile e penale di genitori i cui figli commettono feroci atti criminali, organizzati nei minimi dettagli con uno spaventoso sangue freddo?
Questo libro di Lionel Shriver mette a nudo con una lucidità spiazzante i pensieri più reconditi di una madre la cui esistenza è stata letteralmente stravolta da un figlio assassino.



E ORA PARLIAMO DI KEVIN
di Lionel Shriver


Ed. Piemme
Trad. A. Romeo

"La madre del terribile Kevin Khatchadourian, ecco quello che sono adesso, un'identità che può essere annoverata tra le piccole vittorie di nostro figlio (...). Non sono sicura di voler capire Kevin, trovare un pozzo dentro di me così scuro da riuscire a dare un senso a ciò che ha fatto".

Il libro è impostato in forma epistolare; a scrivere le lettere è la protagonista, Eva Khatchadourian, e il destinatario è suo marito Franklin; esse raccolgono un arco di tempo che va da novembre 2000 ad aprile 2001; dalle prime righe comprendiamo che i due sono separati e che questo è avvenuto dopo i fatti del giovedì, di quel giovedì maledetto in cui si è verificata la tragedia che ha sconvolto la vita di tanta gente, compresa quella di Eva e della sua famiglia.

Ma procediamo con ordine.
Eva Khatchadourian è sposata con Franklin Plaskett, l'amore della sua vita; la coppia è felice e serena, nonostante le differenze di vedute su tanti argomenti; Franklin, ad esempio, è il classico americano DOC, fiero di appartenere alla nazione più democratica del mondo, al Paese delle grandi opportunità, in cui è possibile vivere un'esistenza appagante perchè Stati Uniti significa libertà, ricchezza.... Insomma, come si può disprezzare un Paese come gli USA?

Di diverso parere è sua moglie Eva - che ha fondato un'agenzia che pubblica libri di viaggio -, di origini armene, dalla personalità decisa, forte, molto pragmatica, poco incline ai sentimentalismi, che non riesce a sentirsi parte integrante del beone e ipocrita popolo americano (da lei ultra criticato e disprezzato), tutto patatine fritte e hamburger.

La vita dei due procede comunque alla grande, fino a quando, sulla soglia dei 40 anni, ai due non viene il desiderio di avere un figlio.

A Franklin piacerebbe essere padre; per Eva è un po' diverso: a lei piace l'idea di mettere al mondo una creatura che appartenga ad entrambi e che in qualche modo li aiuti a rispondere alle grandi domande esistenziali che da sempre l'essere umano si pone; un figlio ti fa capire chi sei, qual è il senso della vita, ti dà la sensazione che qualcosa di te non morrà mai perchè si protrarrà nelle generazioni successive.

Nonostante la comune decisione di avere un bambino, la scoperta della gravidanza mette in difficoltà Eva, che accetta con evidente disappunto l'idea di mettere da parte tutte le sue ambizioni professionali per fare la mamma.

Ma accetta comunque il compito... In fondo, avere figli è stata una scelta consensuale, no? Chi obbliga una coppia a fare i genitori, se non lo vuole? Non è il figlio che chiede di nascere, quindi è stupido scaricargli addosso frustrazioni e risentimenti!
Beh, questo è vero in teoria, ma poi gli stati d'animo, le paure, le ambizioni mortificate, i pensieri più intimi... sono un'altra cosa, ed Eva non può fare a meno di provare da subito per il suo bambino sentimenti contrastanti.

Quando Kevin nasce e le viene messo tra le braccia, e poi quando deve allattarlo per la prima volta, Eva non si sente travolta dall'emozione di essere madre; si deve sforzare per provare amore per quel cosino rosso che sembra guardarla torvo e disgustato!
E la sua sofferta indifferenza (Eva comunque avverte un certo senso di colpa per questo mancato feeling con la creaturina frutto del proprio seno) cozza, stride in modo evidente con l'entusiasmo e la tenerezza del marito, che accetta il ruolo di padre con una tale gioia da apparire tenera e patetica insieme, agli occhi di una donna pratica come Eva.

Le lettere di Eva al marito (e alle quali non riceve risposta) sono scritte con grandissima lucidità, quasi con distacco, non perché non traspaiano emozioni e pensieri - tutt'altro! - ma in quanto questi vengono quasi "dissezionati", vengono esplicitati con un'analiticità sconvolgente, che spiazza il lettore e allo stesso lo induce a continuare la lettura.
Il racconto del passato - di quegli anni che precedono il giovedì -, e quindi la genesi del rapporto con Franklin, il matrimonio, la gravidanza, l'arrivo della secondogenita, Celia, e il resto, inevitabilmente si mescola col presente, in cui capiamo che Eva vive da sola, isolata da parenti e amici; le è rimasto soltanto il lavoro e ad inseguirla ci sono gli sguardi di disprezzo delle persone e i ricordi dolorosi di ciò che è avvenuto e che è immutabile, la consapevolezza di un oggi intriso di solitudine, e un futuro che non ha nulla, ma proprio nulla, da regalare.

Ma cosa è accaduto che ha cambiato radicalmente la vita dei Plaskett?

Inutile girarci attorno: l'8 aprile 1999 Kevin, il sedicenne Kevin Khatchadourian (chiamato KK da giornalisti e opinione pubblica, dopo il giovedì), ha ucciso un gruppo di persone, tra studenti e un'insegnante; adesso è rinchiuso in carcere a Chatham, a scontare una pena che non potrà mai soddisfare alcun senso di giustizia, perché non restituirà i morti alle famiglie distrutte dalla tragedia messa in atto da questo ragazzino che sapeva quel che faceva.

Ecco, questo è il cuore del libro e tutto ciò che Eva ci racconta, o meglio che racconta e ricorda al marito, è funzionale a quel giovedì, agli omicidi commessi da Kevin.

Quando accadono stragi di tale portata, le domande che nascono istintive sulla bocca di chiunque ascolti l'orribile notizia, sono sempre le stesse: Perché? Perché un sedicenne, di una famiglia benestante, brillante, con ottimi voti, non rientrante nella "classica" categoria dello studente brufoloso sfigato, deriso dalle ragazze e bullizzato dai ragazzi, arriva a commettere tali nefandezze? Cosa lo ha spinto a macchiarsi di più omicidi?
E quanto è responsabile la famiglia, che nel proprio seno ha cresciuto un tale pericolo per la società? Ha forse voluto e preferito ignorare i probabili (?) segnali che il ragazzo (psicopatico? depresso? lucidamente folle? o semplicemente CATTIVO, arrabbiato col mondo?) ha lanciato agli inconsapevoli (quanto inconsapevoli??) genitori? Si sarebbe potuta evitare la tragedia?

Leggendo, veniamo a sapere da subito che Eva è stata processata in quanto genitore di un assassino minorenne e in quanto negligente nei suoi confronti.
Scopriamo anche che è l'unica della famiglia che va a trovare il carcerato, che non sembra affatto felice di vederla, tant'è che tra i due continua ad esserci quel rapporto conflittuale che c'è sempre stato.


Sì, perché tra Kevin ed Eva non è mai intercorso amore, comprensione, complicità, sintonia...; Eva ha sempre mantenuto un certo distacco emotivo e Kevin a sua volta ha sempre mostrato di andare maggiormente d'accordo col paparino, affettuoso fino all'eccesso; infatti, con Franklin, il piccolo Kevin si dimostra un bambino tranquillo, mentre con la madre continua a piangere, passando dal provocatorio mutismo infantile fino alla ribellione adolescenziale agli ordini della madre.

Ovviamente vi risparmio i particolari del difficile rapporto di Eva con Kevin, tutte le sensazioni di lei come madre circa il figlio, un ragazzino da sempre strano, arrabbiato col mondo, chiuso nel suo mondo ma per null'affatto stupido o asociale.
Anzi, crescendo, Kevin rivela un'intelligenza fuori dal comune, un intuito sorprendente, una capacità di leggerti dentro e prevenire le tue parole che fa paura.

A differenza del marito, reso quasi "ottuso" dal troppo ed eccessivo amore protettivo verso il povero piccolo Kevin, la lucidissima Eva vede ciò che nessun altro nota e rabbrividisce di fronte agli sguardi taglienti ed inquietanti del figlio, davanti ai suoi rari sorrisi, mai spontanei e onesti, ma sempre sarcastici e "in formato ghigno malefico".

Cosa c'è in Kevin che non va?

Nel corso degli anni, accadono tanti piccoli fatti che, alla luce di quel giovedì, Eva comprenderà essere i presupposti, i famosi segnali ai quali lei e il marito, in quanto genitori, avrebbero dovuto dare importanza, per interpretarli in modo giusto.

Considerazioni.

Leggere questo libro, questo epistolario, è stato, per me, emotivamente faticoso; lo stile è molto scorrevole e l'Autore dà alla narratrice una tale capacità di raccontare i fatti in modo ordinato e chiaro, che è impossibile staccarsi dalla storia; si è avidi di sapere, di giungere al cuore dei fatti..., ed in fondo è quello che succede ogni giorno al cospetto delle tante e frequenti brutali notizie di omicidi, che ormai sono diventati fatti quotidiani, che rischiano di non stupirci neanche più...: c'è o no un certo inquietante interesse, a tratti morboso, per i particolari truculenti degli omicidi, meglio ancora se commessi da serial killer, da geni del male che hanno architettato delle stragi per filo e per segno, con una perizia e un'attenzione quasi... affascinanti...?

Lettera dopo lettera, Eva ci mette davanti ad un susseguirsi di fatti e di episodi che scavano nell'intimità di una famiglia come tante, e ne viene fuori un quadro lacerante, doloroso, sofferto, filtrato dalla controllata razionalità, dall'intelligenza e dalla profonda umanità di Eva, che - nonostante un'iniziale ed inevitabile impressione non proprio positiva (quella di essere una donna fredda, una madre anaffettiva, scostante, troppo dura) - non smette di chiedersi se la colpa per la tragedia perpetrata dal figlio non sia anche sua, e del rapporto indubbiamente ostile con lui.

La storia raccontataci da Eva solleva una fiumana di sentimenti ed emozioni contrastanti nel lettore: dall'indignazione alla pietà, dalla rabbia allo sconcerto, dal dolore alla tristezza impotente, dalla certezza della disapprovazione e della condanna al cospetto di efferati assassinii alla perplessità nell'attribuzione delle colpe e di fronte alla prospettiva del perdono.

È una lettura che, quindi, non lascia assolutamente indifferenti, ma coinvolge, solleva interrogativi, dubbi, anche paure (soprattutto se i lettori hanno figli, o sono educatori/insegnanti...), che fa scuotere il capo, che mozza il respiro quando si giunge a certi momenti cruciali, sconvolgenti ed emotivamente forti.

Shriver ha scritto un libro che disorienta, turba, indigna, ferisce, e tutto questo a maggior ragione perché a narrarci ogni cosa è una madre: una madre distrutta e terribilmente sola che non viene meno al dovere di autoesaminarsi, che affronta la sofferenza derivante dal ripercorrere un passato immodificabile, che guarda in faccia la desolazione del proprio presente, privato degli affetti più cari, e alla quale resta soltanto la possibilità di andare avanti, di sopravvivere.
Nonostante tutto. Nonostante le turpe azioni commesse da Kevin.

Un libro tagliente, doloroso, nel quale spicca la figura di questo ragazzo, del quale leggiamo la storia - la personalità, le azioni... - e stentiamo a credere che possa essere realistico, verosimile.

Però l'Autore stesso - attraverso la voce narrante - ci ricorda che... accidenti se la storia è lontana dalla realtà...! A rammentarci quanto giovani in carne ed ossa possano essere dei possibili Kevin, ci pensano i telegiornali, i fatti di cronaca, e questo pone interrogativi urgenti a tutta la società, in primis a quanti sono impegnati nell'educazione delle giovani generazioni.

Consigliato a quanti si sentono in grado di affrontare una lettura a forte impatto emotivo, cruda e, perché no, scioccante.
So che c'è il film, per cui conto di vederlo al più presto; intanto, vi lascio il trailer:





Obiettivo n.26 - Un libro scritto in forma epistolare



8 commenti:

  1. Il film è straordinario, una Swinton gigantesca.
    Che rabbia. Che dolore.
    Il romanzo vorrei leggerlo. Sono masochista, ma non abbastanza. Per ora sta in whishlist. :)

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    1. Ti dirò, il film l' ho visto ieri e un po'mi ha deluso...
      Coglie sì i momenti cruciali dell'infanzia di Kevin,il rapporto conflittuale con la mamma ma a livello emotivo l'ho trovato poco coinvolgente...,forse perche avevo appena terminato il libro che è tostissimo. Forse avrei dovuto aspettare un po' :-D

      Cmq la Swinton è straordinaria

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    2. Ah, sicuramente. Di solito preferisco non recuperare subito subito le trasposizioni, meglio aspettare.

      Lei splendida, ma lui non da meno. Ricordo con i brividi l'incontro finale, quando lui ammette di avere paura di ciò che sarà.

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    3. si, il problema non è la performance degi attori ;)
      non so, l'ho trovato "frettoloso", e quindi poco intenso, però ripeto, confrontato al libro (tra l'altro appena terinato); preso in sè, non è male sicuramente :)

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  2. Ciao Angela, sul tuo blog scopro sempre letture molto particolari, come questa, che dev'essere veramente intensa dal punto di vista emotivo! Non so se la leggerò ma la terrò in considerazione! Buona giornata :-)

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    1. si, Ariel, è bene leggerelo "nel momento giusto" (in cui si è pronti) ^_-

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  3. Ho visto prima il film , per caso, e poi ho cercato il libro - ricerca difficile - in quanto fuori catalogo solo in lingua originale, attori bravissimi soprattutto i protagonisti; li ho trovati tutti e due libro e film sconvolgenti. Il mito della maternità fatto a pezzi, e nel nostro Paese è tutto da dire, ma spietato lucido vero. Non per tutti ma per chi ha il coraggio di guardare ogni tanto in faccia la realtà

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    1. Assolutamente si, è proprio il tema ad essere sconvolgente e forte, ed è trattato in modo spiazzante e nel libro e nel film.
      Personalmente ho preferito il libro ma sicuramente anche il film è fatto bene!
      Ciao e buon anno :))

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz