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martedì 6 novembre 2018

Recensione film: DOGMAN di Matteo Garrone // FIGLIA MIA di Laura Bispuri



Due film made in Italy decisamente differenti, per tematiche e stile narrativo.
Il primo si ispira molto liberamente ad uno dei crimini più efferati risalenti agli Anni Ottanta - il delitto del Canaro -, mentre l'altro racconta il dramma di due donne che si contendono la stessa bambina, della quale ciascuna vorrebbe essere l'unica madre.


DOGMAN 

Regia: Matteo Garrone
Cast: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi.

Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha ottenuto 9 candidature e vinto 7 Nastri d'Argento ed è stato selezionato per rappresentare l'Italia ai premi Oscar 2019 nella categoria per il miglior film in lingua straniera.


Prima di questo film ammetto di non aver mai sentito parlare del delitto compiuto da Er Canaro, al secolo Pietro De Negri, che s'è fatto più di venti anni di carcere per aver barbaramente ucciso Giancarlo Ricci, 27enne criminale e pugile dilettante, con cui il De Negri aveva avuto uno strano e torbido rapporto d'amicizia e "collaborazione" criminale, che culmina in un feroce assassinio per il quale, alla fin fine, non è che si siano capite le vere ragioni...

Non sto qui a riassumervi il caso di cronaca nera (nerissima, se consideriamo i particolari raccapriccianti riportati nel proprio memoriale dall'assassino) perchè chi è interessato non deve far altro che cercarne informazioni in web; piuttosto ci interessa il film di Garrone.

Che tragga spunto dal delitto è pacifico, ma senza dubbio se ne discosta nell'intento, nel senso che al regista non interessa raccontare i dettagli truculenti per impressionare lo spettatore e soddisfarne così quella morbosa (e un tantino inquietante) curiosità che spesso si prova verso ciò che ci disgusta o ci fa accapponare la pelle.
Ammetto di aver pensato, prima di vedere la pellicola, che essa potesse essere troppo fedele quindi alla realtà (raccontata nei tanti articoli circa le modalità del delitto), ma mi son dovuta ricredere ed essere d'accordo con il non voler spettacolarizzare l'esplosione di violenza.
Attenzione, non sto dicendo che non ce ne sia, di violenza; c'è, ma è misurata e comunque contestualizzata in quella ambientazione scelta, la periferia romana selvaggia, degradata, sporca, triste, grigia, frequentata da gente tutt'altro che raccomandabile, in cui si spaccia e si sniffa cocaina e in cui non manca mai il bullo che è poi la piaga del quartiere.

Marcello è un uomo tranquillo che possiede un negozio di toelettatura dei cani; ama il proprio lavoro, lo svolge con passione, ama i cani di cui si prende cura, con loro è paziente, dolce, si rivolge ad essi come se fossero persone in grado di capirlo.
Ed effettivamente Marcello si trova meglio con gli animali che con le persone, e con loro riesce ad avere quell'autorevolezza che proprio non gli è consentita con i suoi simili; l'unica persona cui riesce a dare amore e tenerezza e a riceverne incondizionatamente è la figlioletta Alida.

Marcello è un uomo mite, cerca di essere amico dei commercianti del quartiere, di farsi benvolere... ma purtroppo per lui ha tra le sue amicizie un soggetto assolutamente poco rassicurante: Simone, pugile, violento, cocainomane e delinquente.
Di lui gli uomini della zona hanno paura e sono ormai stufi delle sue angherie; l'idea di farlo fuori è molto concreta...
L'unico che non vuole fargli del male è proprio Marcello, che partecipa a piccole rapine con Simone, gli fornisce la coca..., insomma i due sembrano amici; sembrano perchè in realtà c'è un rapporto di sudditanza del mingherlino canaro nei confronti del pugile, grande e grosso e con modi di fare  da criminale psicopatico.
Marcello fa ciò che gli dice l'altro, abbozza dei dinieghi ma poco convincenti e Simone riesce a fargli fare ciò che vuole quando vuole. E si riserva pure il diritto di non renderlo partecipe di quella parte di "bottino" che spetterebbe all'amico, fedele come un cagnolino.

Quella narrata in questo film è quindi una storia di violenza e microcriminalità collocate in un contesto abbandonato, brutto, dove non possono che svilupparsi sopraffazioni ed umiliazioni da parte del "pesce grosso" verso quello piccolo.

Ma insospettabilmente può arrivare il giorno in cui il pesce piccolo tira fuori coraggio e aggressività e decide che è giunta l'ora di dire basta a questo amico che tale non è che non ha fatto mai altro che maltrattarlo e umiliarlo.

Marcello architetta una trappola per rinchiudere Simone nel proprio negozio, sperando che questi possa finalmente fare ammenda e chiedere scusa per tutti i soprusi compiuti..., ma le cose precipitano e il canaro è quasi costretto a tirar fuori il sangue freddo e a fare quello che nessuno avrebbe mai creduto fosse capace di compiere.

Marcello Fonte è straordinario nel ruolo del Canaro, conferendogli quella mitezza e quel suo essere vittima di un uomo più grosso di lui e animalesco, contro cui egli non riesce nè fisicamente nè psicologicamente a opporre la benché minima resistenza; però allo stesso tempo, Marcello non è un santo, è comunque un delinquentello che ha deciso di stare dalla parte sbagliata, e purtroppo neanche il pensiero della figlia, che pure gli vuole un gran bene, lo fa desistere.

Il personaggio di Edoardo Pesce, appunto Simone, lo si odia dai primi momenti e un po' si finisce per sperare che qualcuno gliela faccia pagare una volta e buona.
Certo, chi potrebbe mai sospettare del secco e umile Marcello?

Ho guardato il film con molto interesse, è girato e recitato splendidamente, realistico, e ho apprezzato, come ho anticipato più su, la scelta di non soffermarsi sul "fattaccio", al quale in fin dei conti son dedicate le battute finali, che pure però erano cariche di tensione e mi hanno tenuta col fiato sospeso in determinati momenti.
Bello, son contenta che ci rappresenti agli Oscar.


Passiamo al film di Laura Bispuri con Valeria Golino, Alba Rohrwacher, Sara Casu, Michele Carboni: una figlia contesa tra la madre biologica e quella che l'ha cresciuta e amata come fosse propria.

FIGLIA MIA


Siamo in Sardegna e l'attenzione è tutta sulle tre donne protagoniste: la dolce Tina (V. Golino), la scapestrata Angelica  (A. Rohrwacher) e la figlia di quest'ultima, la rossa Vittoria (S. Casu).

La ragazzina è cresciuta con Tina, amata e coccolata da lei e dal marito, convinta di essere figlia loro, ma così non è; ben presto viene a conoscenza della dura verità: la sua vera madre è Angelica, una donna che vive alla giornata, schiava del demone dell'alcol, che si dà al sesso promiscuo e vive in una baracca disordinata e deprimente.
Angelica non ha un grande istinto materno, tant'è che "si è liberata" della sua creatura subito dopo la nascita, cedendola alla buona e brava Tina, che ha accolto quel fagottino strillante come una benedizione, non potendo, lei e il devoto marito, avere figli.
Per Tina Vittoria è la figlia che avrebbe voluto avere e non può che tirarla su con tutto l'amore e la cura di cui è capace una donna che sente dentro sè il forte desiderio di essere mamma ma che deve fare i conti con una maternità negata.

Arriva però il momento in cui Angelica si introduce nelle loro vite; a dire il vero, non se n'è mai andata e Tina non ha mai smesso, nel corso degli anni, di aiutarla economicamente e non solo, a patto però che ella stesse lontana da Vittoria.

Ma evidentemente il legame innato che unisce una figlia alla sua vera mamma è qualcosa di istintuale, e quando la ragazzetta capisce che quella sbandata di Angelica è la sua vera mamma, qualcosa la spinge a volerle stare accanto.
Nonostante veda coi suoi occhi che la donna non è in grado di prendersi cura neppure di se stessa, figuriamoci di una bambina.
Nonostante senta tante sciocchezze (alcune anche "crudeli") dalla bocca di quella snaturata che non sa cos'è la tenerezza.
Nonostante sappia che Tina è in grado di amarla come merita, e infatti è così da sempre.

Eppure, lo spettatore assiste impotente al "su e giù" di Vittoria che, da semplice figlia super amata di Tina, diventa la figlia che accudisce la madre che da sola proprio non ce la fa.
Vittoria è confusa, smarrita e anche arrabbiata nell'apprendere che la sua vita fino a quel momento è stata una bugia e che Tina l'ha tenuta lontana da Angelica, si ribella e vuole poter decidere da sola cosa è meglio per lei.
E se da una parte Angelica - troppo presa dai propri guai finanziari e inghiottita dai suoi problemi di disadattata - lascia che la figlia (ri)entri nella sua vita perchè dopotutto è sua, dall'altra Tina non può accettare che esca dalla propria, perchè l'amore che la lega a Vittoria è indissolubile, e lei sente di avere il diritto di considerarla figlia sua.

Vittoria sarà costretta a scegliere tra le due madri?

"Figlia mia" affronta il tema della figlia contesa, della maternità negata e di quella rifiutata, con garbo, sensibilità, delicatezza, ma anche con l'intensità propria dei sentimenti che legano le madri a questa figlia che entrambe rivendicano come "figlia mia"; sempre bravissime la Golino e la Rohrwacher in due ruoli tanto differenti tra loro; tutto si gioca attorno alle tre donne, non si può dire che ci sia un vero e proprio intreccio, che si creino dinamiche con altri personaggi, ma più che altro ci si concentra sulle singole donne e sul rapporto che c'è tra loro, sugli allontanamenti e i riavvicinamenti.
Parere positivo anche per questo film, la cui protagonista mi ha ricordato l'Arminuta (trovate la recensione sul blog) e la sua storia, anch'ella divisa tra due famiglie, quella d'origine e quella acquisita.


2 commenti:

  1. Tra i miei film preferiti di quest'anno!
    Fonte commovente, e le due mamme di una bravura impressionante. A volte, diciamolo, facciamo proprio belle cose. :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz