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lunedì 5 novembre 2018

Recensione: LA ZANZARA MUTA di Gianfranco Spinazzi



Un romanzo particolare e "cervellotico" come questo di Gianfranco Spinazzi non poteva che avere un titolo altrettanto singolare, la cui associazione di significato forse non balza agli occhi immediata ma all'interno di fiumi di parole, ricordi, sensazioni, elucubrazioni mentali che, partendo dalla complicata mente dei due anziani protagonisti, arrivano dritti dritti in quella un po' spaesata e un po' divertita dell'impreparato lettore.


LA ZANZARA MUTA
di Gianfranco Spinazzi


Tragopano Ed.

"In entrata il corpo di un uomo giaceva a terra, come accartocciato sul lato inferiore del tappeto. Il vecchio l’aveva colpito in quel punto in cui la capigliatura fluente si ritirava in una stempiatura che divideva il gran ciuffo dalla massa dei capelli attorno all’orecchio. Il colpo s’era abbattuto proprio in quella zona chiara evidenziando il contrasto cromatico.
Non c’erano stati stadi preliminari, circonlocuzioni ambientali, formali galatei, né il visitatore, vecchio in apparenza quanto il padrone di casa, aveva avuto il tempo di proferire una sola parola e un solo moto di aspettativa, era entrato in casa ed era stato colpito."


Due anziani si incontrano e scontrano in una circostanza alquanto surreale; uno diventa sequestratore dell'altro e la coazione forzata di qualche ora li spinge a parlare, a dare il via a degli sfoghi non lineari, fatti di mezze frasi, ricordi accennati con tono amaro, schermaglie verbali ironiche e solo apparentemente sciocche.

Due anziani accomunati dall'abbandono e dai rimpianti: il sequestratore è rimasto solo con se stesso e il proprio umorismo nero dopo essere stato lasciato dalla moglie, il cui ricordo non l'hai mai lasciato.
Il sequestrato è vedovo, e anche per lui a fargli compagnia sono giorni spesi in compagnia solo di se stesso,
nonostante abbia due figli e uno di questi (il maschietto) lo vada anche a trovare ogni tanto.

Due passati diversi sì ma non troppo, perchè ambedue, seppur per vie e ragioni differenti, hanno trovato nell' "esperienza matrimonio" il dolore, l'affanno della solitudine.
C'è un fil rouge che attraversa tutto il romanzo: il pensiero di uccidere, che si tratti di colui che ha reso fedifraga la moglie dell'uno piuttosto che del bambino che prende a calci un colombo.

"Era solo un povero vecchio preda delle instabilità del giorno. Sballottato dalle sue stesse sferzate accusatorie, preda di cambi di vento, con la zavorra dei pensieri che gli infliggevano uno scoramento che suo malgrado fungeva da misericordia. Allora, vittima di se stesso, annullava annullandosi, e il perdono nei confronti degli humani prendeva il posto delle esecuzioni capitali."
Entrambi col pensiero hanno ucciso un sacco di volte, animali e persone, ma all'ossessione immaginata manca l'energia che la renda azione.

-Hai mai pensato di uccidere veramente?
-Molte volte.
-Anch’io.
-Tu chi uccidevi?
-È un discorso lungo.
L’elenco è lungo.
È la loro attenuante. Lo sterminio di massa. Non erano assassini ma giustizieri.
E così i due si specchiano l'uno nell'altro e parlano, si confrontano, prima con reticenza (da parte del prigioniero, che dopo un po' verrà liberato) poi come se fosse la cosa più normale del mondo, anzi... un qualcosa di necessario, anche se poi i loro discorsi sembrano paradossali e privi di logicità.

"Saltava di palo in frasca il sequestratore. E ora la sua vittima riconosceva nei termini “palo” e “frasca” la più opportuna verità. La concessa sregolatezza di una vecchiaia ricca e generosa. Il carceriere aveva tanti libri, leggeva o aveva letto molto, forse le parole che diceva risentivano di quelle lette, ma ciò che probabilmente valeva era il bisogno di parlare. Le parole in vecchiaia hanno il potere di prolungare la vita."

Due vecchi con cui la vita non è stata avara di delusioni e adesso loro sono disincantati e disillusi, e questo li porta a rimuginare sui fallimenti, a covare pensieri strani, a immaginare vendette, a provare le emozioni più contraddittorie, dall'odio per gli humani alla commozione per un animaletto morto, dal risentimento per la moglie e l'amante che gliel'ha portata via per l'uno, per il figlio su cui grava un orribile sospetto per l'altro.

Insomma, nel torrente di parole e, concedetemelo, deliri, si accavallano nostalgia e rimpianti da parte di chi è stato bambino ma non come avrebbe voluto, e a complicare le cose è sopraggiunta sempre lei, la Moglie e non solo, pure i figli.

Come dicevo nell'introduzione, è un libro particolare che ho messo un po' a terminarlo nonostante la brevità, proprio perchè avevo la sensazione di essere travolta dal vortice di confusione e illogicità e di capirci ben poco; ma poi mi son lasciata trascinare dai mille ingorghi mentali dei due protagonisti e ho accettato l'aspetto stravagante e volutamente contorto che caratterizza la narrazione, in cui ciò che conta non è tanto la presenza di una vera e proprio trama quanto l'immergersi in questi labirinti di fisse e paturnie mentali e delle emozioni di rabbia, amarezza ed euforia che portano con sè.

"Il tarlo cervellotico del settantenne non concedeva tregua ai dubbi e ai tormenti. La congestione di immaginario e reale affossava ogni tentativo di mediazione razionale. Quando si trattava di frenare gli ingorghi dei pensieri, era difficile per lui operare tagli e distanze, cedeva alla libertà che avrebbe dovuto conciliarlo con se stesso."

Anche il lettore si ritrova in mezzo a questi "tarli", assistendo ai dialoghi buffi ma tutt'altro che superficiali (come potrebbero apparire a una prima lettura) dei due vecchi, che conservano una sorta di fanciullezza che ce li rende simpatici e che ci fa provare una sorta di soddisfazione al pensiero che finalmente due anime si sono incontrate - dopo essersi scontrate - e hanno chiuso un cerchio nel quale ronzavano senza meta confusi e incompleti, trovando reciprocamente un'insperata e cameratesca complicità.
E se ne ha bisogno, sempre, anche quando ci si è ormai avviati al tramonto della propria vita.

Libro originale, adatto a quei lettori che amano un tipo di narrazione diversa,dal solito, che ci dà la sensazione di saltare da un fatto ad un altro, con personaggi e dialoghi bizzarri ma non per questo privi di senso, anzi esso lo si trova proprio nell'apparente caos in cui ci si trova invischiati.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz