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giovedì 1 novembre 2018

Recensione: L'ARMINUTA di Donatella Di Pietrantonio



L'intensa voce di Jasmine Trinca mi ha accompagnata in Abruzzo e fatto conoscere la storia di un'adolescente forte, intelligente, contesa tra due madri accomunate da un incosciente, e forse non del tutto volontario, egoismo che le ha rese incapaci di amare in modo giusto e adeguato questa figlia  ceduta e restituita.


L'ARMINUTA
di Donatella Di Pietrantonio


Einaudi Ed.
2017
Supercoralli
pp. 176
€ 17,50
Con L'Arminuta Donatella Di Pietrantonio è stata la vincitrice del Premio Campiello 2017.


«Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere."


Non sappiamo il suo nome; non ci viene detto né all'inizio della storia, né viene pronunciato durante la narrazione, né tanto meno alla fine.
Per tutti, lettore compreso, la giovanissima protagonista è semplicemente "essa", l'Arminuta. La ritornata.

La sua è una storia di abbandoni e ritorni, di amore ricevuto, poi tolto e infine affidato alla freddezza di una famiglia che "è tua ma non ti appartiene davvero", perchè non la conosci, non ci sei cresciuta, non hai imparato a volerle bene, con i suoi membri non s'è mai stabilita alcuna intimità; è una storia che ci racconta della solitudine e del senso di inadeguatezza provato dalla protagonista a causa delle decisioni egoistiche e capricciose degli adulti, di queste sue due famiglie che l'hanno trattata come un pacco postale.

L'Arminuta ha tredici anni quando deve lasciare inspiegabilmente la casa in cui è cresciuta, la città in cui ha vissuto, le sue amiche, la scuola, le sue abitudini e soprattutto i suoi affettuosi genitori (in realtà, si tratta di parenti), per andarsene in un paese che non conosce, presso una famiglia che non ha mai visto... e abitarvi.
Ad accompagnarla è l'uomo che lei ha creduto fosse suo padre e che l'ha cresciuta, e che adesso, con estrema freddezza, le ordina di prendere la sua roba e di andare dalla sua vera madre, dal suo vero padre e dai suoi fratelli, che l'aspettano.
Incerta e con la valigia tra le mani, l'Arminuta entra in questa "nuova" casa (che nuova non è) e si ritrova al cospetto della sua vera mamma (colei che l'ha data alla luce), che però non ha verso di lei alcuno slancio di affetto; non c'è nessuna festa di benvenuto, nessun buon pranzetto ad attenderla, nè tanto meno "il padre" o i fratelli corrono ad abbracciarla.

La ragazza è smarrita, confusa, delusa...: ma chi sono questi selvaggi che s'avventano sul piatto come se non mangiassero da giorni e che mi ignorano...? E se proprio mi danno retta, è per deridermi, schernirmi o sottolineare che io con loro "non c'ho proprio nulla da spartire".

L'unica a darle retta - inizialmente perchè non ha altra scelta - è la sorella minore, di dieci anni, Adriana, con cui condividerà per diverso tempo il letto, dormendo "coccia e piedi", strette strette, in un guscio di intimità forzata ma, a lungo andare, consolante.

Col passare dei giorni, la nostra ragazza deve imparare diverse cose, per poter sopravvivere, resistere.
Deve accettare l'idea che i suoi (presunti) genitori l'hanno ceduta; perchè l'hanno fatto? E' colpa sua, ha commesso una cattiva ed imperdonabile azione? Si erano stufati di tenerla? O forse, la mamma s'è ammalata gravemente e mandarla via è il loro ultimo gesto d'amore, per evitarle la sofferenza di guardare la propria genitrice spegnersi pian piano.

Deve capire come funziona la vita in questa nuova famiglia (e anch'essa...,perché tredici anni prima l ha data via?) - che tanto nuova non è, visto che è quella in cui è nata -, come relazionarsi al padre assente ma, in certe occasioni, autoritario; con i fratelli strafottenti e famelici; con lei, cui ci si riferisce sempre e solo con l'appellativo "la madre", questa donna algida, distante, spesso rude, incapace di vere gentilezze, di una carezza, di un sorriso aperto e caloroso; una madre difficile da amare, da comprendere, da conoscere profondamente.

"Non l'ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori".

Gli unici alleati sono la sorellina Adriana, vivace, solare, chiacchierona, testarda ma anche fedele, leale fino alla morte; e c'è Vincenzo, poco più grande dell'Arminuta: egli prende le sue difese, la tratta con maggiore gentilezza ma tra i due si instaura anche un rapporto a tratti ambiguo perché la guarda come fosse già una donna, ed in effetti lei sta sbocciando come un fiore pronto a dischiudersi e a mostrarsi in tutta la sua innocente e prorompente bellezza; il suo sguardo irrequieto, smaliziato, di chi vorrebbe osare qualcosa di proibito, la turbano e al contempo le fanno provare fremiti e brividi sconosciuti fino a quel momento, segnali inevitabili di un giovanissimo corpo che sta crescendo.

Ma purtroppo, in questa piccola casa buia, in cui si parla quasi sempre in dialetto, in cui si vive ai limiti della miseria, in cui scarseggiano gli spiccioli, in cui le manifestazione d'affetto sono una rarità, in cui l'Arminuta continua a sentirsi un pesce fuor d'acqua, un'eterna ospite poco gradita, sopportata e accettata con indifferente rassegnazione, entra la perdita, il dolore, il lutto, che con sè porta giorni di tristezza, di silenzi, di un nuovo e sofferto abbandono contro il quale proprio non puoi far nulla.
Se non continuare ad andare avanti.

Menomale che c'è Adriana, con cui la ragazza stringe un legame fortissimo, indissolubile, fatto di piccoli segreti e di alleanze che corroborano la "sorellanza"; in lei, l'Arminuta troverà sempre una complice, una confidente, un sostegno, anche quando le vicissitudini le allontaneranno per un po'.

Il fatto di vivere nella propria famiglia d'origine non soffoca in lei il pensiero della sua vecchia vita, quella in cui era vezzeggiata, amata, circondata da cose belle, dove c'era l'amica Patrizia; cosa fa, come vive l'altra madre (di cui ci vien detto il nome, Adalgisa)? L'ha dimenticata? E' ancora ammalata o forse è addirittura morta? Ma in tal caso, "la madre" vera non gliel'avrebbe detto?

Una serie di particolari le fanno capire, a lungo andare, che le cose non si sono verificate come lei aveva sospettato, e che forse questo suo ritorno a casa è stato più frutto di un atto egoistico che un sacrificio d'amore.

Intanto, però, nonostante i dubbi, le amarezze, la presa di coscienza che da quella madre sarà molto arduo ricevere apprezzamenti, la ragazza mostra tutta la sua resilienza impegnandosi a scuola, tirando fuori una mente brillante, un talento fuori dal comune per gli studi, che può garantirle un luminoso futuro; a sostenerla non c'è solo la frizzante Adriana, ma anche gli elogi e gli austeri ma sinceri incoraggiamenti dell'insegnante Perilli, che insisterà presso la famiglia affinché non impedisca alla figlia di proseguire negli studi (cosa che è successa invece a Vincenzo, che pure prometteva bene).
Proprio per questa ragione, una volta finite le medie, la ragazza lascia il paese per frequentare un buon liceo in città, andando a vivere in casa di una brava donna.

La ricerca della verità (dei perché) del suo ritorno alla famiglia d'origine però non l'abbandona mai, anzi è quasi una piccola ossessione che la spinge a continuare a cercare un contatto con Adalgisa che, lei intuisce, pare far di tutto per evitarla... Come mai? Ha forse qualcosa da nascondere?

"Eppure, in certe ore tristi, mi sentivo dimenticata, cadevo dai suoi pensieri, non c'era più ragione di esistere nel mondo. Ripetevo piano la parola mamma cento volte finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi: una mi aveva ceduto con il suo latte ancora sulla lingua, l'altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute. Distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo, non lo so neanche adesso.".

In un paesino abruzzese poco conosciuto, ruvido, aspro e autentico, vive lei, la giovane Arminuta, e l'Autrice, con la sua narrazione molto fluida, realistica, schietta, potente e ammaliatrice, ci racconta una storia appassionante nella sua semplicità, che esprime delicatezza e forza allo stesso tempo, perchè se da una parte racconta una storia di abbandoni, di povertà, di difficoltà ad ambientarsi in un contesto da cui vieni ma che ti è estraneo, di maternità vissute con poca responsabilità e con poco "senso di cura", di ritorno alle proprie origini, dall'altra ha al centro una protagonista che resta nel cuore del lettore per la sua sensibilità, caparbietà, l'animo appassionato; una ragazzina la cui luce e bellezza neppure un contesto buio e triste e misero riesce a spegnere.

L'Arminuta l'ho ammirata perché non ha gradito essere trattata come un oggetto nelle mani di queste due madri che se la son passata come se niente fosse, e s'è fatta sentire, non accettando passivamente ciò che gli adulti avevano deciso al posto suo, ma alzando la propria voce, e non ho potuto non condividere la sua legittima pretesa di avere delle risposte alle proprie domande.
Pur essendo un'adolescente, la protagonista mi è apparsa più matura e coraggiosa di quegli adulti che avrebbero dovuto prendersi cura di lei, aiutarla a crescere e ad affermare la propria identità di persona ma che non si sono rivelati molto attenti in questo senso.


"Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. E' un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure".


Ho amato questo romanzo, mi ha regalato molte emozioni, trovo abbia una intensità che tocca il cuore, e a questo giudizio favorevole ha contribuito anche la voce calda, profonda, malinconica e carezzevole della bravissima Jasmine Trinca.

Se dovessi trovare un difetto, l'unico neo sta nel finale, che mi ha lasciato una sensazione di sospensione, di qualcosa che si poteva ancora dire ma che è stato stoppato troppo bruscamente.
Però magari è un qualcosa che ho provato proprio perchè mi ero così lasciata trascinare dalla storia che non avrei voluto finisse (così presto).

La mia valutazione complessiva è comunque assolutamente positiva, lo consiglio con tutto il cuore.

2 commenti:

  1. Ciao Angela, ero curiosa di conoscere il tuo parere perchè, da bibliotecaria, mi capita spessissimo che mi venga richiesto questo romanzo. Non fa parte del mio genere di letture ma ammetto che le tue parole non mi hanno lasciata indifferente...

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    1. Che bello dev essere lavorare in biblioteca *____*
      Credo che meriti di essere conosciuto, questo libro ;-)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz