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sabato 25 maggio 2019

Recensione: LISSY di Luca D'Andrea



Una storia di dolore, solitudine, follia, violenza e, non ultimo, di tentativo di riscatto, ambientata in uno scenario montano, isolato, gelido, spaventoso e pieno di insidie, in cui gli incubi peggiori dell'infanzia trovano il luogo perfetto per prendere forma.


LISSY
di Luca D'Andrea



Einaudi
432 pp
"«Il mondo è un brulicare di segni, di miracoli e di misteri». Soprattutto di misteri."


Marlene è una giovane donna in fuga da una vita che le sta stretta.
Marlene vive come una principessa, in una bella casa, circondata
da lusso, comodità, gioielli; suo marito le ha pure regalato un atelier, affinchè non si annoi troppo.
Eppure Marlene è infelice, spaventata, disgustata dalla propria esistenza dorata: le sembra di essere un topolino rinchiuso in un piccolo spazio e che cerca freneticamente un buco per scappare; lei sa che da quella gabbia dorata è difficile uscirne ma deve provarci, e non solo per se stessa.
E così in una notte d'inverno del 1974, Marlene decide di tradire suo marito, che tutto è fuorchè il principe azzurro.
Herr Wegener è un ex nazista nonché il criminale più temuto in Alto Adige che, dopo aver conosciuto la violenza durante un'infanzia povera, in pieno conflitto mondiale, ha saputo imporsi nella propria regione attraverso varie macchinazioni criminali, costruendo un vero e proprio "impero" di traffici e attività malavitose.

Marlene sposa Herr Wegener e da ragazzina povera, proveniente da una famiglia di umili condizioni, cresciuta tra animali da nutrire e pulire e le incombenze del maso, diventa l'invidiata consorte di un pezzo grosso.
Ma Marlene è satura di questa vita agiata e, al contempo, sporca di sangue, così si arma di coraggio e fa qualcosa che mai avrebbe immaginato di fare: dal caveau di suo marito ruba un sacchetto prezioso, contenente nientemeno che zaffiri. Li prende, sale in macchina e fugge, senza voltarsi indietro,  determinata a cambiare vita ma anche terrorizzata al pensiero della rabbia e del desiderio di vendetta che si sarebbero impossessati di suo marito nello scoprire il tradimento.

La sua fuga viene fermata da un incidente: durante il viaggio esce fuori strada con la macchina, ma viene salvata da un uomo, un vecchio misterioso che vive in un maso in mezzo alle montagne. 

Ovviamente, quando Wegener scopre che sua moglie è fuggita coi zaffiri, è furioso e comincia a cercarla, facendo fuori coloro che sapevano qualcosa ma gliel'avevano nascosto; avendo poi il fiato sul collo da parte del Consorzio (un misterioso e potentissimo gruppo di criminali che dominano in Alto-Adige e al quale anche un Wegener deve rendere conto), è costretto a sguinzagliarle dietro un assassino professionista, chiamato l'Uomo di Fiducia.

Intanto, la ragazza si risveglia al sicuro nel maso dell'uomo che le ha salvato la vita, Simon Keller, un uomo anziano dagli occhi di ghiaccio, la pelle consumata dal freddo e dal vento gelido che soffia in alta montagna; un vecchio di poche parole, solitario, burbero, che però, come Marlene ha modo di capire giorno dopo giorno, sa essere gentile e premuroso con lei.
In casa di quell'uomo sconosciuto, che vive nel disordine e nel tanfo prodotto dai suoi "ragazzi" - i maiali -, le cui giornate trascorrono tra il riporre gli impasti disgustosi nel truogolo e l'andare a caccia, Marlene si sente per la prima volta al sicuro e riesce a immaginare il proprio futuro.
Un futuro ancora incerto ma possibile, in cui finalmente anche per lei e per il suo Klaus (non vi dico chi è, ve lo lascio scoprire, se leggerete il libro) possa esserci il lieto fine delle fiabe "...e vissero felici e contenti".

Ma Marlene non è una sciocca o una sprovveduta; benché molto giovane, ha già le sue ferite sulla spalle minute e, come le ha insegnato la sua fiaba preferita - Hansel e Gretel, dei Fratelli Grimm - per arrivare al lieto fine spesso bisogna passare per sofferenze, lacrime, pericoli, e aguzzare l'ingegno, tirare fuori tanto coraggio per poter sopravvivere e "mettere nel forno" la strega cattiva.

Solo che alle sue calcagna non c'è la strega cattiva ma un orco..., anzi forse anche più di uno.

Marlene è davvero al sicuro al maso di Keller? Quale pericolo la attende in montagna? 

Lei sa che sicuramente il marito la sta cercando per ucciderla e ha in mente di fuggire ancora per mettersi in salvo; il buon Simon le ha promesso di aiutarla però prima bisogna aspettare che la neve e il gelo diminuiscano; nel frattempo, nessuno la troverà per farle del male.

La convivenza con l'uomo è caratterizzata dalla pace, dall'abitudinarietà di una vita fatta di cose semplici; a Marlene sembra di essere tornata bambina e per lei non è un peso prendersi cura di Keller e dei suoi maiali, tra cui spicca una scrofa di 400 chili, rinchiusa in uno spazio a parte, sempre molto affamata, un'enorme belva nera con zanne affilate che le danno un aspetto decisamente inquietante. E Keller è così affezionato alle sue bestie (del resto, sono la sua unica compagnia) da dar loro dei nomi, ma è con la scrofa Lissy che si lascia andare ad atteggiamenti e parole di dolcezza: la coccola, la vezzeggia e si rivolge a lei come fosse una persona: dolce Lissy, piccola Lissy...

Simon Keller le racconta man mano qualcosa di sè, di questa sua esistenza isolata dal mondo, seguendo da sempre le tradizioni dei padri, di generazione in generazione, le leggi inflessibili e antichissime della sua famiglia; le racconta della sua bella mamma e della sorellina Lissy, entrambe morte troppo presto, e del padre, Voter Luis, un uomo dotato di grande fede e saggezza, un punto di riferimento per Simon, il quale è però divorato da un passato spaventoso che l'ha portato ad essere un uomo ben diverso dal mite Bau'r (contadino) che sta conoscendo l'ignara Marlene.

Chi è davvero Simon Keller? Un nonnino asociale, disordinato e un po' bizzarro che parla coi maiali? Cosa nasconde nello scantinato buio e puzzolente che stuzzica la curiosità di Marlene?

Presto la donna si troverà a dover capire chi sia per lei la minaccia maggiore: se il marito e il killer a suo seguito - che la stanno cercando ossessivamente -, o addirittura lo stesso Simon Keller. 
Oppure Lissy, la scrofa nera e perennemente, pericolosamente affamata, che quando ti guarda con i suoi occhietti pieni di odio animalesco pare sussurrarti diabolicamente: Sei tu il mio cibo.

"Lissy" è un po' noir e un po' thriller ma, a prescindere dalle categorie (etichettare viene spontaneo, a volte è necessario... ma è anche un po' antipatico, non credete?), a colpire sono diversi elementi fondamentali.
Anzitutto, l'ambientazione: come già nel romanzo d'esordio, "La sostanza del male", l'Autore sceglie come scenario la propria regione e, nello specifico, ci porta dritti in montagna e dentro l'abitazione caratteristica di questa zona, il maso, rivestendolo di tonalità cupe, sinistre, di un'atmosfera atavica, resa tale dalla presenza ingombrante delle tradizioni e delle abitudini degli avi; inoltre la dimora di Keller è lontana dal centro abitato, essere lì significa trovarsi soli, circondati dalla neve, lontani dai contatti umani e quindi senza la possibilità di chiedere aiuto, e questo basta a far venire su qualche brivido. Per non parlare del fatto che tra quelle mura dev'essere avvenuto qualcosa di tremendo e drammatico, che se solo Marlene sapesse..., il suo rapporto con Simon cambierebbe.

I personaggi: anche se potremmo considerare Marlene la protagonista, conosciamo bene tanto lei quanto gli altri personaggi perchè l'Autore ce ne dà un ritratto psicologico attento e molto interessante attraverso il racconto del loro passato, e ciò che essi hanno vissuto è importante per leggere e comprendere il presente. Simon Keller, Herr Wegener e l'enigmatico Uomo di Fiducia hanno dei punti in comune, e cioè hanno vissuto esperienze violente, forti, tragiche, che li hanno segnati e formati, che li hanno resi gli uomini volitivi e duri che sono; certo, se questo rapporto causa-effetto tra passato e presente è lineare nei due criminali, è più complesso in Keller, che non solo ha assistito ad episodi cruenti che l'hanno perseguitato dall'infanzia, ma ha anche sviluppato una personalità "doppia": egli è un uomo di fede, legge costantemente la Bibbia, sembra all'apparenza un vecchio un po' bizzarro ma innocuo..., ma in realtà tutto quel carico di brutte esperienze hanno fatto nascere in lui pensieri e desideri tetri, biechi, che hanno una fonte ben precisa: la Voce, una presenza invisibile che gli ronza nella mente e gli sussurra cose orribili, incitandolo a commettere azioni nefande... 
E quella maledetta Voce gli ricorda che la scrofa Lissy (da notare il nome, come quello della sorellina morta di Simon) ha sempre tanta fame, fame di sangue e carne... La stessa Lissy è un personaggio non secondario.

Anche Marlene non ha dei bei ricordi e i piccoli grandi incubi dell'infanzia non l'hanno mai abbandonata; a far da legante col passato è il libro di fiabe che le leggeva la mamma, quelle fiabe in cui l'aspetto truculento non manca mai, pur essendo racconti per bambini. E spesso la realtà sa essere assurda e malefica come, se non peggio, di una fiaba...

Lo stile e la storia: la storia è originale, per certi aspetti surreale, io l'ho letta tutta d'un fiato perchè mi ha preso dal primo momento. D'Andrea ha davvero talento, ha una scrittura che sa coinvolgere, creare suspense, focalizzarsi sui dettagli, sui singoli personaggi, sulla loro psiche, svelandone pian piano i lati torbidi, oscuri; sa come rendere il contesto suggestivo, impenetrabile, pieno di segreti terribili, pauroso, fatale; lo spettro della follia incombe e quando essa si mescola con un'attitudine alla violenza, un'abitudine alla morte e al male, le conseguenze possono essere nefaste.

Come già il precedente, anche questo secondo romanzo di Luca D'Andrea non mi ha deluso.

4 commenti:

  1. Avevo puntato il precedente in biblioteca. Al prossimo giro... 😁

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  2. Leggere le tue recensioni è sempre un gran piacere e il modo in cui hai descritto la trama e le tematiche di "Lissy" non ammette tentennamenti. Non so quando ma leggerò sicuramente questo intrigante romanzo :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz