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sabato 21 settembre 2019

Recensione: LA CURA SCHOPENHAUER di Irvin D. Yalom



Improvvisamente costretto a confrontarsi con una malattia inguaribile e l'approssimarsi della morte, lo psicoterapeuta Julius Hertzfeld è costretto a riesaminare la sua vita e il suo lavoro, mettendosi così alla ricerca di Philip Slate, che anni prima non è riuscito ad aiutare. E adesso Philip afferma di essere guarito, miracolosamente trasformato dagli insegnamenti pessimisti del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer! Scettico ma curioso, Julius invita Philip a unirsi al suo gruppo di terapia: riuscirà questa volta ad essere di aiuto a Philip, prima che sia troppo tardi e la morte ponga fine a questa sua ultima missione?


LA CURA SCHOPENHAUER 
di Irvin D. Yalom



Ed. Neri Pozza
trad. S. Prina
440 pp
 18 euro
Julius Hertzfeld, è uno stimato e brillante professore di psichiatria presso l’università della California, oltre che un bravo terapeuta.
Vedovo, sente la mancanza dell'amata moglie - consapevole di come forse non sempre le abbia dato il giusto valore, quand'ella era in vita -, ma non sa che un'altra bella batosta sta per scaraventarsi su di lui che, con i suoi sessantacinque anni, ha sempre vantato una buona salute ed un fisico prestante.
Purtroppo gli viene diagnosticato un tumore (un melanoma aggressivo e ormai diffuso nel suo corpo) e gli viene comunicato, con fredda e brutale sincerità, che ha poco più di un anno di vita. Un anno, anzi, di «buona salute», come ha detto con amara ironia Bob, l’amico dermatologo, almeno finché il male non si manifesterà in altre parti del corpo.
Scoprire che è iniziato una sorta di tragico countdown della propria esistenza dev'essere qualcosa di difficilissimo da digerire, e il povero Julius passa i primi giorni dopo la diagnosi oppresso da un senso di impotenza, infelicità e depressione, al pensiero di come, da un momento all'altro, la propria esistenza
spensierata stia per terminare a causa di un nemico materializzatosi in tutta la sua terrificante realtà... e senza alcun preavviso!

Lo spettro della malattia e, ancor più, della morte, si fa sempre più concreto, pesante e pressante, divenendo un fardello emotivo e psicologico non indifferente.

Come si può continuare a vivere normalmente dopo aver saputo che la sabbia nella fragile clessidra della propria vita ha incominciato a scendere giù inesorabilmente, granello dopo granello? 
Forse la consapevolezza di essere affetto da una malattia mortale che non perdona può spingerlo a vivere con consapevolezza fino all'ultimo giorno, succhiando questa vita fino al midollo, per non lasciar sprecato neanche un attimo?

"«Consumate la vostra vita». «Muori al momento giusto». Queste due frasi colpirono nel segno. Vivere la nostra vita nel modo più completo: e allora, soltanto allora, morire. Non lasciarsi alcuna parte di vita non vissuta alle spalle."

O forse non sarà il caso di ricercare una maggiore saggezza, rinunciando a piaceri futili ed inutili, all’ambizione, al prestigio, all'approvazione degli uomini, in vista del raggiungimento di una sorta di nirvana, di liberazione dal dolore, allontanandosi da tutto e da tutti come insegna il Buddha?

Julius non è un uomo di fede, non cerca consolazione in un'entità ultraterrena come insegnano le religioni; lui è un uomo di scienza e non ha dubbi su come trascorrerà il suo "ultimo anno di buona salute": continuerà a occuparsi dei suoi pazienti e a cercare di ridestare, nella terapia di gruppo da lui portata avanti, il sentimento della vita dentro di loro

A questa mission, si affianca, per poi intrecciarsi, un'altra: il pensiero di morire lo induce a chiedersi come finora sia stato il proprio lavoro di terapeuta. È stato realmente in grado di aiutare i propri pazienti, che nel corso di decine di anni, sono venuti nel suo studio, trascorrendo del tempo con lui per riceverne aiuto? Quanti, al contrario, di questi suoi pazienti, sono stati un autentico fallimento?
Se dovesse pensare a quest'ultima categoria, il primo nome a venirgli in mente è uno ed uno soltanto: Philip Slate.
Philip si rivolse a lui venticinque anni prima, quand'era un giovanotto con un problema di difficile gestione e soluzione: il sesso compulsivo. Philip era alla continua ed ossessiva ricerca di donne da portarsi a letto, una a sera, nessuna relazione sentimentale ma solo e soltanto sesso, godimento dei sensi, ricerca del piacere fisico.
Purtroppo la terapia con Julius non portò ad alcun buon risultato e Philip abbandonò il suo terapeuta deluso e irritato.
Anni dopo, lo psichiatra lo contatta per sapere se quel loro rapporto professionale, al tempo fallimentare, abbia magari prodotto frutti buoni a distanza di tempo... 
Insomma, come stai Philip? La tua vita è migliorata? E la tua ossessione per il sesso...: sempre uguale?

Philip Slate accetta di incontrare il buon vecchio terapeuta, ma ormai è un altro uomo: altro che fornicatore seriale, adesso è un intellettuale, un dottore in counseling filosofico che ha aperto uno studio per aiutare i propri pazienti attraverso il pensiero di uno dei massimi filosofi dell'età moderna: Arthur Schopenhauer, le cui idee sono state per lui la sola cura efficace, che gli ha permesso di guarire dal suo problema e di raggiungere un equilibrio che le "normali" psicoterapie non gli hanno dato.

Eppure, a sentirlo parlare, a Julius non pare che Philip sia migliorato molto: ok, forse è riuscito a fermare i propri impulsi sessuali, ma quanto ad empatia, è assolutamente avaro, arido, incapace di comunicare e di mettersi in contatto con gli altri. Come può un uomo siffatto, privo di qualsivoglia capacità di immedesimazione, di umana comprensione, di amicizia, un uomo che si vanta di essere solo e di bastare a se stesso senza la necessità di avere relazioni con i propri simili, essere un terapeuta? Come fa uno così - arrogante, freddo, privo di ironia, serioso, incapace di donare un sorriso spontaneo, una parola di comprensione (non ha mostrato alcuna compassione e solidarietà all'udire la notizia della scoperta del tumore da parte di Julius)... - ad aiutare il prossimo a risolvere conflitti e traumi personali?

Philip è un soggetto sorprendente, che suo malgrado affascina il terapeuta (e noi lettori!), il quale prova sentimenti contrastanti verso di lui: da un lato la sua sicurezza lo spiazza e lo intriga, dall'altra essa risulta irritante.
I due terapeuti, alla fine, giungono a una sorta di patto professionale, secondo una logica del do ut des: in cambio di una supervisione per il proprio lavoro di counselor, Philip è disposto ad illustrare a Julius la "cura Schopenhauer", che tanto bene ha fatto a lui e di cui, secondo Philip, l'altro necessita, proprio in seguito alla scoperta della malattia; ma il dottor Hertzfeld pone una condizione: accetterà di fare da supervisore a Slate solo se questi farà parte per sei mesi del gruppo di terapia guidato da Julius; quest'ultimo ritiene, infatti, che il suo ex-paziente ne abbia urgente bisogno in quanto assolutamente non equipaggiato di quelle abilità umane ed interpersonali indispensabili per un terapeuta.

Seppur mal volentieri, Philip Slate accetta di entrare all'interno del gruppo di Hertzfeld, conoscendo così i suoi membri: Gill, Stuart, Tony, Rebecca, Bonnie; manca Pam, attualmente in viaggio in India alla ricerca di se stessa e di quella pace che finora ancora le sta sfuggendo.
Dal momento in cui entra nel gruppo, già consolidato e affiatato, è inevitabile che Philip inneschi dinamiche, reazioni, tentativi di approccio, perplessità, contrasti...: interagire con lui non è semplice, e se Julius lo sa per esperienza, gli altri lo impareranno pian piano.

I ragazzi del gruppo di terapia sanno come interagire gli uni con altri, conoscono le regole, seguono le indicazioni e i saggi consigli del loro terapeuta per cercare di far venir fuori ciò che è dentro di loro;  al contrario, la new entry è completamente a digiuno circa il condurre una conversazione di gruppo, il rispondere a domande personali, rivolgersi direttamente al proprio interlocutore (lui che rifiuta il minimo contatto interpersonale, fossero anche solo sguardi), e soprattutto esprimere i pensieri e le emozioni che di volta in volta le varie discussioni e gli interventi di ciascuno suscitano negli altri.

Insomma, il gruppo mette alla prova Philip, e viceversa, e ne vengono fuori dinamiche vivaci, che mettono in discussione ogni membro, Julius e Philip compresi.
E se il terapeuta più anziano cerca in tutti i modi di coinvolgere il più giovane, in modo da abbattere quella barriera di imperturbabilità di cui questi si è circondato attraverso il "pessimismo" del maestro Schopenhauer, l'altro a sua volta usa le convinzioni che gli derivano dal pensiero stesso del filosofo tedesco per contrapporsi ai membri del gruppo, quasi ergendosi al di sopra di essi, convinto di aver raggiunto certezze da cui loro sono ben lontani.

Quali siano queste certezze, il lettore ne viene messo a parte nel corso di tutto il libro, che alterna la storia principale a quella del famoso filosofo, di cui ci vengono date informazioni sull'infanzia, le esperienze esistenziali che l'hanno portato a sviluppare il proprio pensiero, il rapporto coi genitori, con le donne e, in generale, con tutti i bipedi (così definiva i propri simili Arthur) sciocchi e inutili che lo circondavano.
Volendo sintetizzare, di Schopenhauer ci viene illustrato come egli vedesse la vita umana come un pendolo che oscilla da una parte all'altra, «tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi costitutivi». Come fa l'uomo a liberarsi del dolore? Divenendo consapevole del destino di sofferenza che lo attende; non solo, ma la ricerca del piacere è qualcosa di illusorio, che appaga per beve tempo e al quale segue la noia; solo annullando la volontà si entra in uno stato di quiete, di distacco ascetico che permette anche l’annullamento del desiderio di felicità e di vita.
E così, spenta ogni volontà, si spegne ogni dolore. Del resto, già Aristotele lo aveva dichiarato: «Il saggio non persegue il piacere, ma l'assenza di dolore".
Arthur "non rinunciò mai al credo che la vita non fosse che uno «strato di muffa» sulla crosta della terra, e «un futile episodio perturbatore nella beata pace del nulla»".

Una tale filosofia può costituire davvero la cura ideale per la persona, con i suoi tormenti interiori, le sue paure, i suoi conflitti, le sue contraddizioni, speranze, ossessioni, ansietà, bisogni emotivi complessi....?
Philip è convinto di sì, e cercherà, con l'impassibilità iniziale che lo contraddistingue, a trasmetterla ai "bipedi di Julius", oltre che a Julius stesso.
Quello che forse non si aspetta è che quel gruppetto di estranei, ciascuno con i propri problemi e segreti inconfessati - all'interno del quale vi è anche una persona che, in virtù di un evento passato in cui è coinvolto Philip stesso, col suo atteggiamento creerà diversi momenti di tensione -, potrebbe essere davvero di grande aiuto per uno come lui, alienato, anaffettivo, pieno di sé, allergico ad ogni forma di scambio umano.

"La cura Schopenhauer" è un testo notevole, per stile e argomenti, una lettura che richiede la giusta concentrazione perchè ricca di filosofia ed elementi di psicoterapia; le parti relative al filosofo - alla sua vita e al suo pensiero -, lungi dall'imporsi come mere informazioni biografiche e filosofiche, sono in realtà necessarie per comprendere il pensiero articolato che sta alla base di questa "cura" in cui il co-protagonista, Philip, crede ciecamente.
Per il resto, le parti inerenti il rapporto tra Julius e Philip prima, e poi di questi con i membri del gruppo di terapia, sono sempre più coinvolgenti.
E lo sono non soltanto per il tipo di relazioni che si creano e sviluppano tra le persone, per le evoluzioni che essi vivono nel corso delle vicende, ma anche per lo stile dell'autore, che sa rendere materie non semplici come la psichiatria e la filosofia alla portata del lettore. Aggiungo a questo, anche la vivacità dei dialoghi, abbondanti, sempre pertinenti e stimolanti, tanto da affascinare chi legge e da farlo sentire membro del gruppo al pari dei personaggi, come se anche a lui fosse data una sedia per stare lì in cerchio, in mezzo a queste persone, ciascuna con il proprio carattere, mancanze, risorse, difetti e virtù..., in fondo comuni a ogni essere umano.

Un romanzo che sa catturare l'attenzione e la concentrazione  del lettore - preferibilmente amante delle discipline in oggetto -, offrendogli spunti interessanti dal punto di vita delle relazioni umane, della necessità dell'empatia, della comprensione reciproca, dell'ascolto attivo, dell'atteggiamento proattivo e della sensibilità verso le miserie e le fragilità altrui.
La ritengo una lettura arricchente e istruttiva; sono giunta alle ultime battute (anzi, sedute, incontri) curiosa di scoprire il destino di questo gruppo, l'evoluzione personale di Philip (un personaggio davvero complesso, che per la maggior parte della narrazione difficilmente suscita emozioni e pensieri positivi in chi legge) e attratta dall'umanità e dalla professionalità di Julius; sempre verso la fine, c'è una scena in particolare che, a mio modestissimo avviso, vale tutta la terapia e che mi ha anche commossa.

Consigliato, Yalom è uno scrittore di spessore, profondo per tematiche e scrittura, con una grande esperienza e conoscenza della materia trattata.


Alcune citazioni:


"Se mai qualcosa merita di essere onorato e bene­detto, dovrebbe semplicemente essere questo, il dono inesti­mabile della pura e semplice esistenza."

" L’infanzia priva d’amore di Arthur ebbe serie implicazioni per il suo futuro. I bambini deprivati dell’amore materno non sviluppano la fiducia necessaria per amare essi stessi, per cre­dere che gli altri li ameranno, o per amare il fatto di essere vivi."

"Vivi nel modo giusto (...) e abbi fede che così usciranno da te cose buone anche se non lo saprai mai."

"Nessuna penna può scrivere qualcosa di eterno che non sia immerso nell’umore della notte."

4 commenti:

  1. Splendida recensione, cara Angela! Schopenhauer è sempre stato tra i miei filosofi preferiti, il suo pessimismo cosmico mi ha sempre affascinata :)

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    1. in effetti il suo pensiero è molto articolato e interessante!

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    1. Si, un libro non leggerissimo per tematiche ma comunque scorrevole :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz