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martedì 31 dicembre 2019

Recensione: MAX di Sarah Cohen-Scali



Ambientato nella Seconda guerra mondiale, Max narra, in maniera originale, romanzata e attraverso un punto di vista realistico e spiazzante, il terribile e crudele Progetto Lebensborn, volto alla formazione di nuove generazioni appartenenti alla pura razza ariana.


MAX
di Sarah Cohen-Scali


Ed. L'Ippocampo
trad. F.Ascari
445 pp
"19 aprile 1936. Sta per scoccare la mezzanotte. Nascerò tra un minuto esatto. Vedrò la luce il 20 aprile, giorno in cui si festeggia il compleanno del nostro Führer. Sarò così benedetto dalle divinità germaniche e si vedrà in me il primogenito della razza suprema. La razza ariana. Quella che ormai regnerà sul mondo. Sono il bambino del futuro. Concepito senza amore. Senza Dio. Senza Legge. Senza null'altro che la forza e la rabbia. Morderò, invece di poppare. Urlerò invece di vagire. Odierò, invece di amare. Heil Hitler! "


La prima cosa che colpisce di questo romanzo è il narratore: lo incontriamo prima ancora che nasca; la sua voce si fa sentire prima ancora che dalla sua gola esca il primo vagito in assoluto.
Sì, Max è decisamente un narratore speciale, e sin da subito comprendiamo che si rivelerà molto probabilmente un protagonista sui generis.
Non potrebbe essere diversamente: lui è un bambino particolare, lo è, tanto per iniziare, per il modo in cui è stato concepito: brutale, ingiusto.

La sua giovanissima e bellissima mamma è stata praticamente stuprata da un ufficiale tedesco, con l'obiettivo specifico di inseminarla, affinché da due giovani esponenti della pura razza ariana (biondi, occhi azzurri, carnagione di porcellana) venisse concepito un bimbo perfettamente tedesco.

Max è particolare anche per il modo in cui viene cresciuto, anzi addestrato, come gli animali da circo.
Egli nasce (e trascorre i primi sei anni di vita) all'interno di un istituto nel quale vengono fatti nascere tutti i bambini del Progetto Lebensborn, che letteralmente significa "Sorgente di Vita": è un programma genetico ideato dai nazisti e iniziato da Himmler, che seleziona prima donne e future madri, poi i bambini stessi (non tutti si rivelano, crescendo, adatti a far parte di questa missione) quali puri rappresentanti della razza ariana: una gioventù ideale destinata a rigenerare la Germania e poi l'Europa occupata dal Reich.
Nei primi due capitoli "ascoltiamo" la voce di Max, quando è ancora un feto ma già è esaltato, inebriato dall'ideologia nazista, dall'adorazione del Führer, che egli sente e ama quale "padre" spirituale.
Assistiamo al parto mozzafiato che mette al mondo questo neonato, il cui cuore è a forma di svastica, e continuerà ad esserlo negli anni a venire.

Max è una sorta di personificazione del male ma lo è in termini così schietti, spontanei, quasi ingenui, da indurci a sorridere; forse intenerire no, ma parliamo comunque di un bambino piccolissimo, al quale ovviamente - per ragioni narrative - l'Autrice ha "prestato" una voce ed una prospettive molto "lucide", razionali, non di rado ciniche.
Sì, cinico è Max, ad es., quando parla della sua mamma, che lui non vede come una povera ragazza costretta a farsi violentare a scopo riproduttivo, ma come una giovane privilegiata che ha avuto l'onore di accoppiarsi con un bell'esemplare di tedesco per offrire poi il proprio figlio a Hitler e alla Germania.
Non considera la sofferenza della genitrice, ma non per cattiveria...: semplicemente non la contempla, non la coglie, e pur godendo del calore umano da lei offertogli, è convinto di non averne bisogno. Lui, Max, non necessita di una madre, in quanto è il figlio prediletto di Adolf Hitler e la gloriosa nazione germanica è la sua unica mamma.
Sua madre lo chiama Max, sussurrando questo nome così semplice e comune alle minuscole orecchie del suo frugoletto, ma quando il bimbo viene battezzato niente di meno che dal Führer in persona, riceve un altro nome: Konrad.
E quando sua madre viene allontanata dall'istituto (succede per tutte le madri dei piccoli ospiti), Max dice di non soffrirne... eppure per diverso tempo starà malissimo, tra forti mal di pancia e una preoccupante inappetenza.

Ma il bravo dottor Ebner, il "mostro" che seleziona i piccoli, decidendo chi può restare e continuare il programma e chi, invece, è un "coniglio" da annientare, sa come curare questo piccoletto, il prototipo del tedesco ideale, e così Max-Konrad si riprende e riacquista le forze, crescendo in modo perfetto e divenendo un bambino bello, forte, resistente, dalla personalità coriacea, volitiva; è eccitato e curioso verso tutto ciò che lo circonda, assiste con (apparente?) indifferenza e un disarmante e cinico senso pratico ai numerosi crimini commessi dai nazisti ed è tuttavia orgoglioso di far parte di questo sistema di cui ammira i codici segreti, che lui - intelligente e intuitivo com'è - cerca in tutti i modi di interpretare correttamente.

Sogna di frequentare la scuola di formazione per i futuri leader nazisti, per poter finalmente uccidere impunemente i nemici dei Reich, cresce con l'ossessione di un mondo migliore (germanizzato, of course) e dell'invasione dell'Europa da una cosiddetta razza superiore. una razza formata da elementi aventi specifici tratti fisici, somatici, per i quali era necessario che avessero "le misure" (del corpo, ad es. del cranio, la distanza degli occhi tra loro e dal naso, ecc...) giuste per poter rientrare nel progetto Lebensborn.

Ho letto con sgomento e un senso di indignazione e impotenza delle durissime condizioni di vita cui vengono sottoposte le povere creature ammesse al programma: sorvegliate a vista da vere e proprie megere inacidite e severe al limite del disumano, alimentazione scarsa e inadeguata, esercizi fisici assurdi, che mettono alla prova i corpi infantili e già fragili (ci sono bambini anche di quattro anni) che non di rado soccombono davanti a tanta durezza; punizioni corporali crudeli per chi infrange regole e disciplina; menti vergini che vengono costantemente bombardate da informazioni deviate, proprie della propaganda dell'ideologia nazista.
Sono bambini strappati alle proprie famiglie, alla braccia delle proprie madri, costretti a crescere molto in fretta e respirando un'aria di fanatismo perenne, di odio razziale, viscerale, in particolare verso gli ebrei, i parassiti del mondo, a detta di Hitler e compagni.
Konrad è un futuro nazista super convinto della giustezza e della "bontà" delle convinzioni del suo amatissimo e invincibile Führer, e desidera essere come lui lo vuole, per servirlo al meglio, come merita.

Si resta basiti davanti a questo bimbetto dall'aspetto angelico ma capace di fare riflessioni e pensieri sprezzanti, a volte spietati, indifferenti e freddi da un punto di vista emotivo: un moccioso saputello, che sa tutto, capisce tutto, pensa come un adulto, non ha paura di niente (anche se i mal di pancia continueranno a verificarsi ogni volta vivrà situazioni traumatiche) ed è folle di orgoglio nazista; mai un dubbio, mai una domanda che metta in discussione ciò che gli viene insegnato, mai un cedimento sentimentale, mai una lacrima per i soprusi subiti da lui (ben pochi e rari, a dire il vero, essendo egli il "cocco prediletto" del professor Ebner) o dai compagni, con i quali si guarda bene dall'instaurare una finanche primitiva forma di amicizia.

Chi è Konrad, cosa rappresenta? È metafora di uno spaventoso fanatismo marchiato nella mente e nel cuore di una vita acerba, manipolata e violentata sin dal grembo materno?
Una cosa è certa: questo bambino che descrive in prima persona di cosa siano capaci gli uomini in tempo di guerra, ci spiazza, è vero, ci lascia senza parole per il suo punto di vista così arrogante, tronfio, "innocentemente perfido"..., e allo stesso tempo ci fa provare un gran dispiacere al pensiero di queste vittime del nazismo; vittime di cui si parla poco, di cui si conosce poco, che nel corso degli anni son passati sotto silenzio e, anzi, a pensarci destano solo antipatia, in quanto figli di quella ideologia aberrante e razzista che tutti condanniamo, giustamente.

E invece anche Max è una vittima verso la quale il lettore, proseguendo con la lettura e seguendone le vicende avventurose, prova compassione. Che colpa si può, in fondo, attribuire a un'anima innocente cresciuta in un contesto manipolato, che ne ha formato il modo di pensare e agire senza offrirle alternative, senza educarla a coltivare alcun pensiero critico, senza fornirle gli strumenti per accettare o rifiutare una certa dottrina?

Questo aspetto comincia ad emergere quando Konrad, ammesso alla Napola (Istituto di Educazione Nazionalpolitica), conosce un ragazzo più grande, Lukas, un polacco dal temperamento ribelle, il cui aspetto fisico, però, corrisponde al prototipo ariano: è perfetto, quindi, per essere indottrinato e reso tedesco.
Lukas potrebbe essere il fratello maggiore di Konrad, tanto che si somigliano, e per qualche oscura ragione il bambino si sente irresistibilmente attratto da questo ragazzaccio che inizialmente non esita ad affrontare punizioni durissime pur di non cedere all'indottrinamento nazista.
Per difenderlo, Konrad si infila nei guai, senza ricevere neppure un grazie dal signorino; come se ciò non bastasse, la batosta più grande arriva quando questi gli rivela di essere... un ebreo!
Konrad sa che dovrebbe denunciarlo, ma non ce la fa, non vuol farlo: si sente legato a Lukas, è disposto a mentire e a "tradire" l'adorato Führer pur di non vedersi allontanato dall'amico, perché sente che i loro destini sono legati.
E che gioia per il ragazzino constatare che, dopo gli iniziali ammutinamenti, Lukas si è convinto a germanizzarsi! Finge di essere un perfetto nazista... e lo fa davvero bene!

Sì, perché Konrad sa che il suo amico finge: lui è un ebreo e tale resterà per sempre.
E grazie a questo ebreo la cui coscienza resta sveglia nonostante tutto, "il vecchio Max" comincia a risorgere in Konrad, che vedrà scosse tutte le proprie certezze e prenderà coscienza dell'ingiustizia che sta affrontando (insieme agli altri allievi).

Finalmente il lettore può vederlo da una diversa angolazione: non più come un nemico, ma come vittima dell'indottrinamento nazista.Con un ritmo che si fa via via più serrato, ci appassioniamo all'amicizia tra i due ragazzi all'interno della scuola, assistiamo all'evolversi della guerra e delle sorti della Germania, giungendo alla catastrofe finale del 1945, in una Berlino illuminata e devastata dalle bombe e occupata dai russi...

Max è un romanzo di formazione che si impone nel panorama letterario (e, in special modo, in quello per ragazzi) per l'importanza dell'argomento affrontato e di cui non si parla moltissimo (tantissimi ragazzi furono rapiti dalle SS e crudelmente tolti alle famiglie per essere inseriti in questo malefico progetto, tanti altri furono eliminati prima ancora di diventare grandi perché ritenuti inadeguati però quante informazioni in merito ci capita di leggere sui testi di storia scolastici?) ma che rappresenta un crimine vero e proprio, per il quale purtroppo i colpevoli non hanno pagato come avrebbero dovuto; per la prospettiva originale, insolita e disarmante scelta per raccontarci questa storia; per l'evoluzione morale del protagonista-narratore, che vediamo nascere, crescere, formarsi in un modo per poi "rinascere" a una nuova vita, a un modo differente di pensare e concepire il mondo e l'altro; per lo sfondo storico accurato, su cui l'Autrice ha fatto ricerche e ha letto tanto.

Lo reputo un romanzo appassionante, scritto (e tradotto!) molto bene, che inchioda e impressiona il lettore, ne cattura tutta l'attenzione, lo scuote emotivamente, suscitandogli indignazione, commozione, turbamento... In una parola, non lo lascia indifferente.

Io lo consiglierei come libro di narrativa per le scuole medie e superiori; credo possa offrire moltissimi spunti di riflessione critica alle giovani generazione... e non solo a loro.

Finisce dritto dritto nella Top Ten dei libri più belli del 2019.

2 commenti:

  1. Sono molto colpita... come tutti, conosco la storia nazista ma ignoravo dell'esistenza di questo progetto. Non c'è limite alla crudeltà, anzi alla follia umana. Già la cover del libro è inquietante ma la trama fa rabbrividire e sono d'accordo con te: dovrebbe essere letto dai più giovani per non dimenticare la dura lezione che proviene dal passato.

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    1. Sì, guarda, un libro sconcertante. Da leggere e consigliare!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz