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martedì 10 marzo 2020

Recensione: IL GIORNO DELLA CIVETTA di Leonardo Sciascia



Scritto nell'estate del 1960, quando il Governo di quegli anni non solo nutriva poco interesse vero il fenomeno mafia, ma si affannava a negarlo (fatto reso ancor più incredibile se pensiamo che solo tre anni dopo sarebbe entrata in funzione una commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia), questo celebre racconto di Sciascia è una denuncia civile e disincantata di questo infido male costituito dalle organizzazioni mafiose nonché dalla corruzione dei più alti apparati dello Stato.


IL GIORNO DELLA CIVETTA
di Leonardo Sciascia



Adelphi Ed.
 138 pp
Non si perde in chiacchiere, Sciascia: il libro si apre, infatti, con l'omicidio di un uomo mentre questi sta per salire su un autobus; pochi secondi e il tizio si affloscia su stesso, senza vita, sotto gli occhi di panellaro, autista, bigliettaio e passeggeri; questi ultimi restano ammutoliti e impassibili con le loro "facce di ciechi"..., ciechi ma non stupidi, visto che uno ad uno se la squagliano dal luogo del delitto prima che le forze dell'ordine li blocchino per interrogarli.
Autista e bigliettaio sono gli unici che restano e che, all'arrivo del maresciallo, devono rispondere alle domande, ma essi giurano di non ricordare neppure il nome di un solo viaggiatore; il panellaro - altro testimone - scende dal pero e si mostra meravigliato nell'apprendere che è stato ucciso qualcuno !!).

A seguire le indagini sull'omicidio - la vittima si chiama Salvatore Colasberna - è il capitano Bellodi, di origine emiliana.

I siciliani del paesino in cui il forestiero lavora già l'hanno inquadrato:

"Questo qui, caro amico, è uno che vede mafia da ogni parte: uno di quei settentrionali con la testa piena di pregiudizi, che appena scendono dalla nave-traghetto cominciano a veder mafia dovunque".

Eh sì perché Bellodi ce la vede eccome la mafia dietro l'omicidio di Colasberna, presidente di una piccola cooperativa edilizia e ammazzato probabilmente per questioni legate agli appalti (in mano alla mafia).

Per scoprire chi ha ucciso Colasberna, Bellodi comincia ad interrogare gente: i famigliari del pover'uomo, tanto per iniziare, ma si scontra con la reticenza degli stessi; altra testimone ascoltata è la vedova di un certo Nicolosi, un potatore scomparso proprio dal giorno dell'omicidio... Forse il disgraziato aveva visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere?

Inoltre, cerca di farsi dire qualche nome importante dal suo confidente, tale Calogero Dibella, il quale però gli sarà utile più da morto che da vivo, tant'è che proprio in seguito all'assassinio della "spia", vengono fuori altri nominativi.

Bellodi è un uomo riflessivo, calmo, intelligente, che cerca di capire il modo di pensare e ragionare dei siciliani perché sa che, solo conoscendo bene la realtà sociale, può cercare di risolvere i casi.

Ma l'uomo deve fare i conti con l'omertà di persone che preferiscono il silenzio (il silenzio dei disonesti e, cosa tragica, anche degli onesti) alle confessioni, e con la superficialità di gente (colleghi compresi) che cerca di convincerlo che alcuni uomini indicati da qualche "infame" come mafiosi sono in realtà brave persone, anche perché la mafia è più una "leggenda", una voce di corridoio, che una realtà:

"E poi che cos'è la mafia?... Una voce anche la mafia: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa... Voce, voce che vaga: e rintrona le teste deboli,"


Il mondo con cui il comandante dei Carabinieri si scontra è chiuso a riccio e in esso scorre una mentalità lontana anni luce dal proprio modo di pensare, così razionale, integerrima, tesa a cercare e scavare pur di far emergere la verità.
Verità che i mafiosi - e i politici potenti collusi - hanno tutto l'interesse di tenere seppellita tra cumuli di menzogne, ricatti, corruzione, delitti...

Bellodi è uno sbirro scomodo perché sa il fatto suo, chiama le cose con il loro nome, è testardo e determinato, e anche uno dei personaggi - un capo-mafia importante, amico di onorevoli e ministri con le "mani sporche"- col quale egli avrà a che fare nel corso delle indagini, per quanto supponente e arrogante, riconoscerà che il capitano è un uomo, uno che, pur ricoprendo un ruolo autorevole, non ne approfitta ma mostra rispetto verso tutti.


"...ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire  umanità, bella parole piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini;  mezz'uomini pochi, che mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E  infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere che la loro vita non ha  più senso e più espressione di quella delle anatre...".

Il capitano venuto dal Nord riuscirà ad incastrare i colpevoli dei vari delitti e, soprattutto, a dimostrare che si tratta di omicidi mafiosi?

Come già "A ciascuno il suo", anche questo libro si apre con un delitto e qui al centro vi è un capitano dei carabinieri che deve combattere con un sistema di potere che purtroppo è sostenuto nei salotti politici e governativi.

L'autore siciliano mantiene tra queste pagine il proprio stile asciutto che contribuisce a rendere lo sguardo, sulle vicende narrate, amaro, ma di un'amarezza velata di ironia, che stuzzica l'intelligenza del lettore ponendolo davanti a questioni fondamentali, denunciando l’arroganza del potere e il "sentire mafioso", che è "una visione della vita, di una regola di comportamento, di un modo di realizzare la giustizia, di amministrarla, al di fuori delle leggi e degli organi dello Stato."

Nell'appendice all'edizione de Il giorno della civetta nella collana per ragazzi edita da Einaudi, Sciascia scrive: "la mafia era, ed è (...) un «sistema» che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel «vuoto» dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi le sue funzioni, è debole o manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta."

Un romanzo breve, si legge velocemente e continua ad essere attuale e potente nel messaggio ancora ai nostri giorni.
Da leggere.

8 commenti:

  1. Ciao Angela, qualche anno fa avevo letto "Una storia semplice" dello stesso autore, che avevo apprezzato molto! Prima o poi vorrei leggere anche questo romanzo!

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    1. anche'io lo volevo leggere da un po', e finalmente è arrivato :-D

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  2. Ciao Angela! Questo è vero "classicone", secondo me non può mancare! Io una volta ho visto anche la trasposizione teatrale con Sebastiano Somma :-)

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  3. Un classicone che vorrei tanto leggere!

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  4. Non ho letto il libro ma ho visto il film: bello e sempre attuale. Non si può fare a meno però di provare anche tanta amarezza, perché il tempo passa e nonostante il sacrificio di tanti Uomini e Donne che hanno dato la vita, le cose non cambiano.

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    1. hai detto bene, reca amarezza pensare che nulla sia cambiato, nonostante la letta alla mafia da parte di tanti servitori dello stato...

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz