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martedì 27 aprile 2021

Recensione. LE GRATITUDINI di Delphine de Vigan



Grazie è una delle parole più belle che si possano dire e ricevere, ma spesso la si dice senza darle davvero importanza, senza tener conto del grande significato che c'è dietro espressioni di riconoscenza verso qualcuno con cui ci sentiamo debitori.
In questo romanzo, che riesce ad essere intenso e commovente nella sua brevità e semplicità, è racchiusa la bellezza della gratitudine: dei grazie pensati ma mai pronunciati; di quelli rimandati ad un momento più opportuno; di quelli sussurrati con un groppo in gola o tra le lacrime; di quelli comunicati con lo sguardo perché in certi momenti le parole proprio non vogliono saperne di uscire.


LE GRATITUDINI 
di Delphine de Vigan



Ed. Einaudi
trad. M. Botto
131 pp
"Vi siete mai chiesti quante volte al giorno dite grazie? (...) Vi siete mai chiesti quante volte nella vita avete detto grazie sul serio? Un vero grazie. Espressione della vostra gratitudine, della vostra riconoscenza, del vostro debito."


Quanto può essere angosciante e frustrante non riuscire a pronunciare parole semplici, che abbiamo detto per una vita, quotidianamente..., e che tutto ad un tratto sfuggono alla mente e alle labbra, rendendo il parlare un'attività difficile e faticosa?

Michka è un'anziana donna che non trova più le parole; le sta perdendo giorno dopo giorno e questo la innervosisce, la rattrista, la fa sentire imprigionata in una gabbia di parole pensate che si fermano lì, sulle labbra, e non riescono ad uscire correttamente.

Che bizzarra e beffarda la vita! Lei, Michka, che non riesce ad esprimersi! E pensare che per tutta la vita è stata correttrice di bozze per una grande rivista e le parole per lei non sono mai state un problema!

Ma l'età avanzata ha portato con sé uno sgradevole ospite: l'afasia; da allora il suo eloquio ha subito una battuta d'arresto e ora la donna non riesce più a orientarsi nella nebbia di lettere e suoni che si addensa nella sua testa. 

Avendo perso anche la sua autonomia, la donna si è ricoverata in una residenza per anziani; a malincuore, a dire il vero, perché lei sarebbe rimasta volentieri nel suo accogliente appartamento parigino. 

Ma forse è meglio così: in questa struttura riceve assistenza continua, e anche la sua deliziosissima ex vicina di casa, la giovane Marie, a cui ha fatto da seconda madre, è d'accordo con il ricovero, così Michka non rischia di farsi male dentro casa.
Marie vuol bene a Michka e le è riconoscente perché l'anziana s'è presa cura di lei quando era piccolina e s'era ritrovata sola; adesso che è la donna ad essere fragile e bisognosa, Marie è intenzionata a non lasciarla sola, ed infatti va a trovarla in RSA, le fa compagnia, parla con lei e l'ascolta.

Certo, si rende conto di come essere chiusa in questa struttura renda Michka insofferente, triste, però non si può fare diversamente e allora biscottini, sonnellini, uscitine, passettini diventano ben presto la sua quotidianità: giornate sempre uguali, dal ritmo fiacco tipico della vecchiaia, cui si alternano le stravaganze degli altri residenti (da Michka chiamati, causa afasia, «resistenti») e gli incubi infestati dalla temibile e rigidissima direttrice. 

A far compagnia alla sempre più fragile e indifesa Michka, ci pensano non solo le visite di Marie, ma anche le chiacchierate con Jérôme, il giovane ortofonista che lavora nella casa di riposo. 

Il ragazzo, pur restando molto professionale, presto cede alla simpatia irresistibile della sua paziente, che cerca sempre di sottrarsi agli esercizietti volti a stimolare la memoria, le associazioni, l'eloquio, trovandoli faticosi.

Lei preferisce intrattenere il giovanotto chiacchierando amabilmente e facendogli domande personali anche un po' impertinenti, che fanno sorridere Jérôme.

A poco a poco, però, le parole diventano più rare, barcollanti, e, anche se non ha perso la sua ironia Michka è consapevole di non poter deviare né evitare l’inesorabile corso degli eventi. 
Ed è proprio per questo che vorrebbe realizzare un ultimo, importante desiderio, che ha a che fare con la parola grazie: ci sono delle persone, che per lei sono state fondamentali - in un momento delicatissimo della sua vita passata - e che vorrebbe poter ringraziare, prima che sia troppo tardi.

A portare avanti questa piccola missione ci pensano Marie e Jérôme, che sono affezionati alla cara  Michka e vorrebbero alleviarle il cuore (e il tempo che le resta da vivere) da rimpianti e malinconie. 

Questo libro di Delphine de Vigan è molto breve e tanto tanto scorrevole, si divora in un soffio ed è un piccolo ma intenso viaggio nei sentimenti; la narrazione è affidata alle due voci di Jérôme e Marie, ognuno con la propria sensibilità e il proprio affetto verso l'anziana signora.
Lo stile di questa scrittrice si contraddistingue per la grazia e la delicatezza, con la quale tocca, come una carezza, le corde del cuore dei suoi lettori, offendo loro una storia che di per sé non ha nulla di sensazionale, non ci sono sorprese e colpi di scena, ma c'è il racconto di esistenze comuni, straordinariamente normali, che risultano teneri e commoventi proprio per questo.
Mi ha provocato un'incredibile tenerezza e simpatia questa vecchina che fa tanti inevitabili errori nel parlare, che pronuncia le parole in modo sbagliato, se ne accorge ma non sempre riesce a "correggere il tiro"; ci fa sorridere la sua dolce ironia, il suo essere sensibile e acuta nonostante la mente le giochi, col passare dei giorni, sempre più "scherzi".
Tra queste pagine respiriamo il senso della gratitudine, e come dire grazie faccia bene, soprattutto a chi lo dice e lo manifesta.
Se dovessi dire un difetto di quest'opera, è che... è troppo breve e avrei continuato volentieri a gustare la penna lieve e profonda di quest'autrice che con estrema naturalezza parla di sentimenti e ha raccontato una piccola storia che fa bene al cuore. 



"Faccio l’ortofonista. Lavoro con le parole e con il silenzio. I non detti. Lavoro con la vergogna, il segreto, i rimpianti. Lavoro con l’assenza, i ricordi scomparsi, e quelli che riappaiono, evocati da un nome, un’immagine, un profumo. Lavoro con i dolori di ieri e quelli di oggi. Le confidenze. E la paura di morire. Fa parte del mio mestiere. Ma quello che continua a stupirmi, quello che mi lascia addirittura esterrefatto, quello che – ancora oggi, dopo oltre dieci anni di professione – a volte mi toglie il fiato è constatare il persistere dei dolori dell’infanzia. Un marchio a fuoco, incandescente, nonostante gli anni. Che non si cancella."


4 commenti:

  1. Autrice che voglio rileggere da quando ho amato Da una storia vera. Questo fa proprio al caso mio; preparo i fazzoletti!

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    1. Commuove, sì :)
      È il primo suo che leggo, mi piace e cercherò altro!

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  2. Il tema trattato non è facile mi attira, però, per la molteplicità dei sentimenti che scaturiscono dalla trama e dalla tua bella recensione :)

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    1. I sentimenti sono i veri protagonisti di questo breve romanzo :))

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz