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martedì 26 aprile 2022

// RECENSIONE \\ MORDI E FUGGI di Alessandro Bertante



Quando pensiamo agli "anni di piombo" è inevitabile che ci passino davanti agli occhi immagini di attentati terroristici, bombe, sequestri..., che hanno contraddistinto gli anni Settanta, quando gruppi eversivi di destra e sinistra hanno messo in atto attentati, stragi e uccisioni per attaccare lo Stato e le sue istituzioni.
Un periodo in cui molti ragazzi hanno scelto di partecipare alla lotta armata d'ispirazione comunista, infatuati dalla convinzione di produrre un cambiamento e di sollevare le masse oppresse dal capitalismo.


MORDI E FUGGI 
di Alessandro Bertante


Ed. Baldini+Castoldi
208 pp
Alberto Boscolo è un giovanotto di vent'anni che studia all'università (alla Statale, Milano); la sua è una famiglia come tante, né troppo ricca né troppo povera.
Ma la carriera universitaria non è il suo destino, perché il suo sogno è di tipo politico e sociale, e il periodo in cui sta crescendo è quello "ideale" per far maturare certi ideali politici.
La "bufera del Sessantotto" aveva reso gli studenti finalmente pronti ad appoggiare le lotte operaie: se gli operai volevano più potere e contare politicamente nelle scelte dello Stato, allora bisognava organizzarsi per marciare con loro, uniti nella stessa battaglia.

È il 1969. Le università vengono occupate da gruppi studenteschi, le strade da cortei e nelle fabbriche scoppiano tensioni. 

"Gli anni Sessanta ci avevano raccontato che potevamo avere tutto, che il mondo stava cambiando e che saremmo stati proprio noi la generazione motore del cambiamento. A quella promessa ci credevamo, eravamo certi che stesse accadendo qualcosa, era nell’aria ed era ovunque ti girassi, potevi sentirla sulla pelle. Dovevamo essere pronti a coglierla, dovevamo stare in strada, la strada sporca e puzzolente, la strada assassina. Cercavamo l’ideale ma cercavamo anche l’avventura e la strada era l’unico luogo dove potessimo trovarla."

Il 12 dicembre accade qualcosa che gli italiani non dimenticheranno più: la strage di piazza Fontana; quelle bombe erano un atto di guerra e non c'è guerra che non preveda l'uso delle armi.

Intanto, deluso dall'inconcludenza del Movimento Studentesco al quale si era unito, l'irrequieto Alberto si avvicina a un altro gruppo che, poco tempo dopo, prenderà contorni sempre più definiti, divenendo a poco a poco il nucleo delle Brigate Rosse. 

Allontanandosi dalla famiglia, dai vecchi compagni e da Anita, la ragazza con cui ha una non meglio definita relazione (di sesso, mista a sentimenti non dichiarati), Alberto partecipa sempre più spesso alle azioni dimostrative, alle rapine a banche e portavalori (a scopo di autofinanziare la propria "rivoluzione") e anche al primo attentato incendiario.

Eppure, l'irrequietezza e l'insoddisfazione non lo mollano: manca qualcosa alla loro lotta. 

La rivoluzione sociale alla quale vuol partecipare in prima linea non deve ridursi a qualcosa di astratto, di idealizzato, ma deve farsi sentire e forte, provocare cambiamenti, e questi non arrivano attraverso manifestazioni e lotte pacifiche, e soprattutto non senza affrontare le resistenze da parte del "nemico".

In particolare, dopo l’assassinio di Pino Pinelli, emerge con più chiarezza come ogni azione rivoluzionaria avrebbe dovuto vedersela con questo nemico, vale a dire con servitori dello Stato implacabili, in grado di condizionare ogni decisione - politica, giudiziaria - anche attraverso mezzi poco trasparenti. Anche lo Stato borghese sa ammazzare, se non con le bombe, dentro gli uffici della questura. E la morte di Pinelli era una dimostrazione di come lo Stato potesse commettere delitti e restare impunito. 
Non ci si può far uccidere senza combattere.

"Io per primo non sarei rimasto a guardare. Se ti ammazzano in questo modo salta ogni codice di comportamento, ogni legge non scritta che regola i rapporti fra gli uomini. Se ti ammazzano in questo modo l’unica risposta è l’odio. Ma l’odio da solo non serve a cambiare le cose, bisogna anche saperlo incanalare nella giusta direzione. "

Alberto sta cambiando dentro, giorno dopo giorno; si rende conto di essersi "incattivito" e che gli eventuali dubbi ed incertezze, che fino a quel momento lo avevano frenato, stavano sparendo.

Se lo Stato è violento, allora lui e i compagni avrebbero risposto nella medesima maniera, con violenza:

"colpire i padroni, i suoi servi fascisti, la borghesia e i suoi aguzzini in uniforme. Io, uno studentame qualsiasi, un aspirante intellettuale piccolo borghese, grazie all’enormità della loro violenza ero diventato un combattente pronto alla lotta. Il campo di battaglia sarebbe stata la metropoli."

Così il gruppo organizza il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens, e lo sottopone al primo processo proletario. 
Si firmano con il loro simbolo (stella a cinque punta inserita in un cerchio) e il nome "Brigate Rosse" comincia a comparire sulle testate giornalistiche e in bocca alla gente, agli operai.

Ecco, gli operai, i lavoratori: era importante che essi sentissero le BR come loro alleate; era fondamentale che ciò che esse teorizzavano nei comunicati poi fosse applicabile nella pratica e che ogni promessa venisse mantenuta. E questo dovevano capirlo anche i padroni, i dirigenti, i capitalisti.

Le Brigate Rosse erano l’avanguardia della rivoluzione in Italia; il loro motto era una celebre massima attribuita a Mao Zedong: 

"Mordi e fuggi.
Niente resterà impunito.
Colpirne uno per educarne cento.
Tutto il potere al popolo."



Volevano aggredire il presente, proporsi come alternativa concreta e reale alla politica rinunciataria dei sindacati.
E per farlo l'unica via era la scelta armata.

Il lettore segue Alberto nella sua vita movimentata, che lo fa crescere in fretta e che lo rende arrabbiato, pieno di rancore, con una tensione emotiva che va crescendo e che lo rende quasi estraneo agli occhi di chi l'ha conosciuto quando era uno studente.

Alberto ha un fuoco dentro, un'urgenza - di essere qualcuno e di agire spinto da ideali - che lo spinge a far qualcosa di forte pur di lasciare un segno per quelli che verranno dopo.

Non si rende conto - o forse non vuole, perché una volta imboccate certe strade, tornare indietro è molto difficile - che il rischio è, come gli dice un amico (che evidentemente ha un pensiero diverso dal suo) che il passo per diventare "peggio dei fascisti" è breve.
Ma Alberto è accecato ed è irriconoscibile.

Far parte delle BR lo cambia: non c'è più posto per lo studente stralunato e gentile che i suoi amici di un tempo avevano accolto a braccia aperte: ora è un'altra persona, come se una forza tanto misteriosa quanto pericolosa si fosse impossessata di lui.

Aveva imboccato la strada della violenza, della rivoluzione armata e, una volta dentro quel percorso, Alberto scopre di non avere nessuno scrupolo morale, nessun "retropensiero borghese"  che potesse frenarlo e indurlo a non commettere un'azione criminale.
Del resto, "quando punti una pistola, sai che prima o poi dovrai sparare."

Cosa riserverà il futuro al giovane Alberto, che a ventidue anni sembra avere sulle spalle molti più anni?
A un certo punto sarà costretto a nascondersi e a interrogarsi sulle proprie scelte.

"Mi chiedevo se potesse esistere una vita senza sogno e senza avventura. Senza un pensiero dominante che costringesse le persone almeno per una volta a fare delle scelte inopportune, a imboccare una strada diversa."

Tra queste pagine Alessandro Bertante ci racconta una vicenda umana che è sì individuale (attraverso il punto di vista del protagonista) ma anche sociale, propria di un periodo storico ben preciso, quella stagione drammatica tristemente nota come "anni di piombo".

La storia narrata è un mix di finzione narrativa e cronaca; personalmente il contesto di riferimento lo trovo interessante e senza dubbio gli eventi in cui il protagonista, Alberto, si ritrova coinvolto in prima linea sono movimentati, avvincenti, avventurosi e in lui c'è una sincera passione politica, una convinta adesione a un'ideologia per lui giusta, grazie alla quale egli vuol lasciare un'impronta nella società.
Seguiamo, quindi, la sua evoluzione, il suo cambiamento, questo passare dall'essere un ragazzo di buona famiglia ad un membro delle BR, pronto a lanciarsi in atti terroristici.
Rimpianti? Pentimenti? Tornerà indietro deluso o impaurito dall'idea di essere individuato e incriminato?

Ho ascoltato la narrazione con sufficiente attenzione, grazie a uno stile di scrittura asciutto, lineare, diretto; forse ciò che mi è mancato è stato il giusto grado di coinvolgimento - a livello empatico - con il giovane protagonista, del quale però emerge tutta l'inquietudine, la fame di cambiare il mondo, di far sì che la classe proletaria di quegli anni si rendesse conto della necessità di insorgere contro i capitalisti e lo Stato - che non va incontro alle esigenze delle gente comune -, e queste sue convinzioni hanno un che di genuino (nonostante tutto la discutibilità delle sue scelte e azionied incosciente insieme.
Alberto sembra davvero convinto di ciò che fa e delle idee in cui crede, ma è pur sempre un ragazzo, e da giovani è facile buttarsi anima e corpo in un progetto rivoluzionario che sarà pure entusiasmante, ma che è altresì molto complesso, pieno di contraddizioni e di certo più grande di quanto lui sia effettivamente in grado di gestire.

Questo romanzo sulle Brigate Rosse non si pone l'obiettivo di dare risposte o giudizi morali ma è comunque in grado di stimolare riflessioni e domande su uno dei periodi più drammatici della recente storia italiana.

Non posso dire che mi abbia travolta (per la ragione suddetta), ma lo consiglio a chi cerca storie inserite in periodi/contesti reali e che narrano fatti di cronaca.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz