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giovedì 28 luglio 2022

🔑 RECENSIONE 🔑 VIA POMA, INGANNO STRUTTURALE TRE di Carmelo Lavorino


Il criminologo Carmelo Lavorino analizza il tristemente noto "giallo di via Poma" e tra le pagine di questo suo terzo lavoro sul caso in oggetto ci propone una dettagliata analisi investigativa e criminologica, prendendo in esame i vari elementi legati al delitto, dai personaggi coinvolti alle varie  piste investigative seguite, dagli errori commessi ai depistaggi ad opera di una "manina manigolda".


VIA POMA, INGANNO STRUTTURALE TRE 
di Carmelo Lavorino

StreetLib
253 pp
L'efferato omicidio di Simonetta Cesaroni è, dopo trentadue anni, ancora irrisolto e tante sono le domande senza risposta.

Questo delitto viene analizzato dal criminologo Carmelo Lavorino in modo meticoloso, con un approccio scientifico, freddo e con toni schietti, poco diplomatici e, quando è il caso, anche sarcastici, nei confronti di chi, negli anni, ha portato avanti le indagini in maniera poco precisa e inconcludente.

L'autore sviscera il caso, tenendo conto di tutte le variabili possibili, consapevole che però, alla fine, la verità sia purtroppo impantanata nelle sabbie mobili di incompetenze, errori procedurali, metodi raffazzonati e imprecisi, piste mai prese in considerazione ed altre seguite nonostante fossero poco probabili...: insomma, il quadro che il lettore ricava, leggendo questo testo, è che troppe cose siano state trascurate o fatte male, il che ha condotto alla non soluzione del "giallo".

“Spegnere il lume è un mezzo opportunissimo per non vedere la cosa che non piace, ma non per vedere quella che si desidera”: citando Manzoni, Lavorino ci ricorda come purtroppo molte volte il lume della ragione e dell’analisi investigativa venga spento perché ci si rifiuta di vedere tutto ciò che non è in linea con le proprie convinzioni.

Il lettore, quindi, ripercorre ciò che è accaduto in quel funesto pomeriggio a Roma, nel condominio di via Poma 2: era il 7 agosto 1990 e la povera Simonetta si recava negli uffici degli Ostelli della Gioventù per il turno pomeridiano di lavoro; lì ha trovato la morte per mano di un assassino spietato, che le ha inferto 29 ferite su diverse parti del corpo, con un tagliacarte.

Lavorino inserisce anche foto e disegni in cui vengono mostrati il corpo senza vita della vittima, le ferite su di esso, i segni lasciati dall'assassino nella sua furia omicida, il modo in cui ha sistemato il cadavere (il reggiseno, il corpetto...), e poi la disposizione delle stanze e gli oggetti al loro interno, gli effetti personali di Simonetta presenti e quelli portati via dalla scena del crimine dallo stesso assassino.

Circa l'identità dell'assassino, e del suo profilo criminale, il modo in cui ha deciso di lasciare il corpo ha in sé elementi contraddittori, perché se da una parte la posa umiliante in cui viene ritrovata la vittima ci suggerisce il desiderio di dominio da parte dell’aggressore, dall'altra questo stona col fatto che il top della giovane sia stato disposto successivamente sul ventre, come un atto di pietas o undoing (riparazione del crimine, negazione psichica); sempre che sia stato lui a compiere quel gesto e non il complice.
L'assassino, nel suo agire, ha dimostrato di essere un soggetto disorganizzato e impulsivo e il suo è stato un omicidio d’impeto, frutto della perdita del controllo.

Purtroppo, se c'è una verità che emerge con prepotenza è che la raccolta dei dati è stata poco scrupolosa, per cui... "tutto è possibile grazie all’incertezza dei dati!".

Vengono descritti gli orari in cui si sono verificati l'omicidio e la successiva pulizia accuratissima del luogo del delitto; e ancora, le testimonianze dei soggetti coinvolti, come le impiegate che lavoravano per l'AIAG (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù), i responsabili, il portiere e i famigliari, alcune persone che abitavano nel condominio...

Vengono esaminate le tantissime incongruenze, ad es. relative all'ora del decesso della ragazza e le telefonate che si sono susseguite prima della morte.

Il criminologo è del parere che Simonetta sia stata uccisa prima delle 17:00 e che, quindi, non sia stata lei a telefonare a Luigina Berrettini (ammesso che la telefonata ci sia stata) – e che "questo INGANNO STRUTTURALE abbia impedito sinora la soluzione del caso, proprio perché ha spostato il momento zero (o nucleico) del crimine, determinando la creazione di falsi presupposti e, quindi, di false conclusioni."

Infatti, Luigina Berrettini (collega di Simonetta e dipendente dell’AIAG) ha dichiarato di aver ricevuto a casa una telefonata dall’AIAG, da una ragazza, presentatasi come Simonetta Cesaroni, che la chiamava per chiedere delucidazioni su un codice da inserire al computer, ma secondo l'autore vi è la probabilità che la telefonata possa essere stata effettuata 45-60 minuti prima dell'ora  dichiarata da Berrettini; in base allo spostamento dell'orario, si è obbligati a porsi la domanda: la ragazza al telefono era realmente Simonetta o una bugiarda che partecipava ad una farsa (perché? per ordine di chi?); non solo: ma la telefonata c’è stata realmente? Se sì, davvero alle 17:05 o 45-60 minuti prima? "Questo è il nodo gordiano di Via Poma!", sostiene Lavorino.

Altri elementi interessanti che mi hanno colpito in questa disamina:

✔ Tutti gli impiegati dell’AIAG  sono coperti da alibi del tipo familiare o personale.

✔ La documentazione investigativa  relativa alla scena del crimine è incompleta e imprecisa per diverse ragioni; ad es., non vengono fotografati e documentati molti dettagli come la stanza dove lavorava Simonetta col computer e dove era il telefono della Berrettini, dove sarebbe stata repertata la famosa agendina rossa Lavazza; le tracce papillari non sono state repertate perché, tra le altre cose, c'è stato un gran viavai sulla scena e l'inevitabile conseguente contaminazione; anche il sangue nell’ascensore fu  rinvenuto ben tre settimane dopo il delitto, e i reperti (come il reggiseno) furono male custoditi e/o scomparsi.

Addirittura i segni di ecchimosi, prodotte dal killer sui fianchi della vittima o il segno sul capezzolo...: il medico legale omise di tamponare tali importantissimi segni, impedendo di fatto l’analisi di eventuali tracce biologiche.

Stranamente, non si cercarono le tracce nemmeno sul foglietto in cui appariva il disegno e la scritta “CE DEAD OL” o “OK”. 

Ma cosa ancor più assurda: l’appartamento venne pulito da cima a fondo, per cui la scena del crimine fu distrutta:  come mai, perché? A chi è convenuto? 

L’unica traccia papillare utile è stata rinvenuta sul telefono usato dall'assassino ed è di Antonello Barone (fidanzato di Paola Cesaroni, la sorella di Simonetta; i due accorsero nell'ufficio e trovarono il cadavere, assieme al titolare della Reli, Salvatore Volponi). Quindi il telefono era stato precedentemente pulito.

In pratica, oltre all'assassino (e dopo di lui) c'è stato almeno un soggetto pulitore, che sapeva cosa, dove e come cancellare e perché.

✔ Diverse sono le perplessità attorno alla figura di Roland Voller, ritenuto per un po' di tempo un "super testimone" e infatti gli fu dato credito quando accusò Federico Valle, il nipote dell’architetto Cesare Valle,  progettista del palazzo di Via Poma; perché quest'uomo aveva in uso un telefono cellulare intestato al Ministro dell’interno? In che veste e perché Voller già frequentava il palazzo dove è avvenuto l’omicidio? Perché gli fu consegnata una lettera di raccomandazione da parte della questura di Roma, a firma del dottor Del Greco, per ottenere la cassetta di sicurezza alla BNL e cosa custodiva quest'ultima? Quale attività avrebbe svolto il Voller per conto dei servizi di sicurezza dello Stato? Ha percepito per tali servizi somme di denaro? 

La questione del tagliacarte di Maria Luisa Sibilia è lo snodo determinante del giallo di Via Poma: all’uscita della donna dall’ufficio esso non era sulla sua scrivania (la Sibilia lo aveva cercato ma, non sapendo dove fosse, ne prese un altro), ma dopo il delitto ed all’arrivo della Polizia vi è apparso misteriosamente; non è più dritto, ma leggermente ricurvo, senza impronte o tracce papillari (e comunque non fu analizzato immediatamente). Ovviamente è stato accuratamente lavato e poi disposto sulla scrivania della Sibilia dopo il delitto dal pulitore, il che fa pensare che questi sapesse sì muoversi all'interno dei locali ma che comunque non sapesse che la Sibilia fosse alla ricerca dell'oggetto.

Il fatto che l’arma fosse in quell'ambiente dove è accaduto l'omicidio e che sia stata addirittura lasciata lì dopo la pulizia, indica che si tratti di omicidio d’impeto maturato in una specialissima situazione criminogena; non è stato pianificato ma è frutto delle circostanze, forse di un litigio o di un'aggressione sessuale, di avances rifiutate che hanno scatenato la furia dell'aggressore.

l'agendina Lavazza, evidentemente sulla scena del crimine, venne consegnata alla famiglia Cesaroni perché si credeva appartenesse a Simonetta..., ma così non era ed infatti Claudio Cesaroni (padre della vittima) la restituì alla Polizia.
Di chi era quest'agendina? Di Pietrino Vanacore, il portiere morto suicida nel marzo 2010, due giorni prima del processo contro Raniero Busc, dove (assieme al figlio Mario ed alla moglie Giuseppa De Luca) avrebbe dovuto testimoniare.
Il suo gesto è stata una sorta di ammissione di colpevolezza? Il senso di colpa per aver strappato la vita a Simonetta o per aver partecipato al delitto in altri modi (come soggetto pulitore, ad es.) era atroce e troppo gravoso da portare e confessare? O s'è tolto di mezzo pur di non dover essere ulteriormente coinvolto e proteggere eventualmente il colpevole (qualche suo famigliare? qualcuno dell'AIAG?).


Insomma, è chiaro - dice l'autore - come l’INGANNO STRUTTURALE abbia prodotto e determinato  errori,  stranezze e caos.

E poiché non esiste il cosiddetto delitto perfetto, se ce ne sono di irrisolti è perché è l’indagine  ad essere inadeguata, sbagliata o sfortunata.

Resta l'interrogativo già espresso più su: in tutta la confusione che contrassegna il giallo di via Poma, quale parte di essa è stata creata ad hoc per ingarbugliare di proposito la matassa e quale è attribuibile a incapacità, sbagli e abbagli da parte di chi doveva investigare?

In sintesi, i punti fondamentali da tener presente se ci si vuole avvicinare (!!) alla soluzione del caso, sono: la certezza che l'assassino

1. abbia usato la mano sinistra per colpire con uno schiaffo la tempia destra di Simonetta e poi sferrarle 29 pugnalate col tagliacarte della stanza n° 3;
2. abbia un alibi dalle 16 alle 17:30 traballante;
3. sia stato aiutato dal complice, poi dalla fortuna e dalla copertura dello sporco e/o dei segreti altrui;
4. abbia gruppo sanguigno A DQAlfa 4/4.


Se vi interessano i casi di cronaca nera e, nello specifico, i cold case che, dopo anni, reclamano ancora giustizia e verità, questo libro fa al caso vostro; fatta eccezione per alcune ripetizioni e nonostante sia denso di dettagli, il testo si legge con facilità e scorrevolezza.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz