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giovedì 6 aprile 2023

>> RECENSIONE << DALL'INFERNO SI RITORNA di Christiana Ruggeri



Bibi aveva solo cinque anni quando un uragano di violenza e odio razziale si è abbattuto sul Ruanda, portando dietro di sé una scia di dolore, morte, stupri, torture, massacri.
Il genocidio dei tutsi ad opera degli hutu ha inizio nell'aprile del 1994 e durerà più di tre mesi: nell'arco di cento giorni perderanno la vita tantissime persone (circa un milione).
Il paese ne uscirà devastato.
Bibi è una sopravvissuta che da quell'inferno è tornata. Ferita, sola, spaventata, ma viva e pronta, una volta adulta, a raccontare la propria storia, fatta sì di immense sofferenze, ma anche di voglia di riscatto.


DALL'INFERNO SI RITORNA
di Christiana Ruggeri


Giunti ed.
244 pp
Bibi (Bérénice) è una bimba che vive felice a Kigali, nello splendido Ruanda, insieme alla famiglia: la dolce mamma, il fratellino, la zia e i cuginetti.
Ma la vita di tutti cambia quando il 7 aprile del 1994 ha inizio uno dei massacri più atroci della storia: il genocidio perpetrato dagli hutu contro i tutsi e gli hutu moderati *

 In 100 giorni vengono assassinate un milione di persone, c'è un omicidio ogni dieci secondi, le violenze sono qualcosa di atroce. 

«Uccidete i tutsi, gli scarafaggi sono pericolosi vogliono distruggere il Ruanda: fatelo di corsa prima che loro uccidano voi.»

Il 13 aprile 1994 un gruppo armato hutu entra in casa di Bibi e compie una vera e propria strage, come del resto in tutte le altre case.
Quando, molte ore dopo, la piccola si risveglia, ferita, dolorante, confusa, fa fatica a ricordare tutto ciò che è successo: ha solo il desiderio di bere succo d'ananas e avverte un odore pungente nella stanza. 
Il braccio destro è dilaniato, l'addome perforato dai proiettili,  ha delle lesioni alla nuca e a un orecchio, causate dai calci. 

"Quel tremendo mattino è stato la fine della mia felicità. Della mia infanzia e di tutte le mie sicurezze. Restava un'unica, faticosa certezza: nulla sarebbe stato come prima."

Ma è viva, respira e si guarda attorno.
Ciò che vede le resterà impresso per sempre in fondo agli occhi, nella mente, nel cuore, seguendola ovunque andrà: nella stanza ci sono i cadaveri della mamma, del fratellino, della zia e dei cuginetti e lei è l'unica sopravvissuta. 
Poco dopo, quando ancora è incapace di muovere un dito, un piccolo gruppo di criminali (chiamati Interahamwe, paramilitari formatisi con lo specifico compito di uccidere i tutsi) torna nella sua casa ma, convinti che la bimba non sarebbe sopravvissuta alle ferite, non le danno il colpo di grazia e la lasciano lì a morire da sola.

In un contesto di morte, sangue, orrore, quello è il primo piccolo miracolo che, sommandosi man mano a tutti gli altri che seguiranno, farà sì che a Bibi venga data più di una opportunità per vivere, per resistere.
Subito dopo viene soccorsa da Joseph, un vicino di casa buono, altruista; egli è un hutu ma di quelli che non odiano i tutsi, anzi, farà tutto ciò che è in suo potere per proteggere la piccola Bibi; la prima cosa da fare è portala in ospedale, raccomandandole di raccontare di essere sua figlia.
Quella è la prima delle bugie che la nostra bambina sarà costretta a dire a chiunque incontri pur di salvarsi la vita e su ordine di chi si prenderà, via via, cura di lei.
Le persone, infatti, che incontrerà e che la prenderanno sotto le proprie ali saranno diverse, ma ogni volta c'è una donna forte e dolce, generosa e disposta a rischiare, che decide di non lasciare sola e abbandonata a sé stessa questa bimbetta di cinque anni orfana e spaventata, nei cui occhi però si legge una vivacità e una forza di vivere che inducono queste estranee ad aiutarla concretamente: Marie Claire, Mamy Lucy (nientemeno che la moglie di "un pezzo grosso", un colonnello hutu), Astrelle e suo figlio Gerard (anch'essi hutu), e poi suor Celeste (e con lei tante persone che hanno portato aiuti - materiali, psicologici e spirituali in quella terra martoriata che stava uccidendo i propri figli -, come i volontari, Unicef, Medici senza frontiere, missioni...).

Tante persone sono passate nella vita di Bibi in una fase della sua esistenza orribile, in cui una bimbetta ancora così piccola si è ritrovata senza i propri cari a dover affrontare e cercare di sopravvivere a qualcosa di enorme, di troppo grande e troppo spaventoso per lei, come per chiunque altro.

Seguiamo Bibi nel suo peregrinare (la salvezza fu possibile solo lasciando in tutta fretta il Ruanda e rifugiandosi nello Zaire), nascondersi, fuggire ai mostri sadici che, mai paghi del sangue versato, andranno in giro per più di tre mesi cercando chiunque sia sopravvissuto (anche tra gli hutu considerati traditori), affidandosi di volta in volta alla misericordia di qualche anima buona e di quel Dio in cui la sua dolcissima mamma Consolée le ha insegnato a credere e a rivolgere preghiere, e che la bambina spera torni nel suo Ruanda e non si sposti più, perché senza di Lui la situazione è e resterà tragica.

Ci stringe il cuore leggere descrizioni dell'eccidio, delle torture, degli stupri, della malvagità e dell'odio cieco che hanno spinto degli esseri umani a far del male senza alcuna pietà ai loro simili.

Bibi racconta la sua storia alla giornalista Christiana Ruggeri quando ormai è una ragazza che vive in Italia e studia medicina a Roma: ella ci espone pensieri, sentimenti, paure, rabbia, confusione, timori, speranze... e noi lettori possiamo soltanto provare a immaginare il suo viaggio infernale per non soccombere alla furia cieca di criminali senza scrupoli.

"Avevo solo cinque anni, mi facevo tante domande ed ero felice, fino a quel giorno. Ma quando sei felice, soprattutto da bambino, dai tutto per scontato. Guai se la gioia non arriva, è impossibile e impensabile. Ma quando te la tolgono tutta insieme, ci pensi e capisci, rimpiangi, cresci di colpo, ma prima ancora, galleggi stordito."

Come tutti coloro che sopravvivono a delle tragedie (tanto più se non sono "solo" famigliari ma di un'intera comunità, di un popolo) in modi del tutto sorprendenti, è facile che giunga il senso di colpa, accompagnato da mille domande senza risposte, una su tutte: "Perché i miei cari e tanta gente innocenti sono morti e io sono rimasta in vita?"

"Cosa significa essere una sopravvissuta lo si impara col tempo, ma non lo si accetta mai. Perché scampare al massacro della tua famiglia non ti lascia completamente vivo."

Vivere e attraversare un'esperienza del genere ti cambia, ti segna per sempre.

"il genocidio era stato maestro, con la sua scia di rimpianti che avrebbe segnato tutta la mia vita. Mettevo in cornice i momenti da ricordare, quei passaggi dolci che la vita ti regala e poi ti porta via per sempre, come se la mia mente fosse un muro bianco da impreziosire con tanti quadretti di memoria."

Quella raccontata da Bibi all'autrice del libro è una storia che vi invito a leggere per conoscere/ricordare la sofferenza di un popolo, di un paese ridotto a "un grande obitorio sotto le stelle", di una feroce e disumana operazione di pulizia etnica programmata da anni.

Ma è anche la storia di una bambina diventata donna, che è sopravvissuta grazie ad inaspettati gesti di coraggio e sorprendenti atti di solidarietà, ed è riuscita a realizzare il sogno di studiare e poter tornare nel suo amato Paese da medico.


"Kubarire, perdonare. È una delle tante parole chiave, di questa lunga strada per la riconciliazione di un popolo intero."



*Per avere un'idea del quadro storico, sociale e politico che ha portato al genocidio, potete consultare ad es. questo articolo su GARIWO.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz