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lunedì 13 agosto 2018

Recensione: "Sanzevìre è ssèmb bbèlle" di Michele Vene (RC2018)




Sanzevìre è ssèmb bbèlle  è una raccolta di poesie in dialetto sanseverese che mi ha fatta sorridere e pensare con tenerezza e affetto a tutte quei tratti caratteristici del mio paese, da certi modi di dire a specifici cibi, da quartieri a me noti a scene di vita quotidiana, in pratica a tutti quegli elementi che, pur facendo parte, probabilmente, più del passato che del tempo presente, sono e saranno per sempre "miei", "nostri", perchè è la memoria a renderli immortali.
82 pp

A scriverle è Michele Vene, pittore e poeta sanseverese: pittore per scelta, poeta per diletto.

Come dicevo, si tratta di poesie (63, se non ho contato male) in vernacolo sanseverese e costituiscono una sorta di specchio che riflette un modo di vivere, di parlare, di osservare il mondo attorno a sè proprio di San Severo, e che da una parte porta il lettore indietro nel tempo, dall'altra non lo fa restare ancorato ai tempi che furono in modo passivo, bensì lo induce a cercare di ritrovare nel presente tracce del passato.

Io sono nata e sempre vissuta a San Severo, conosco il dialetto abbastanza bene e, per divertimento e quando c'è bisogno di dire qualcosa "ad effetto", lo utilizzo con parenti ed amici, perchè ci sono cose che dette in dialetto "arrivano" prima e meglio e rendono certi concetti in modo più convincente che se "tradotti" in lingua italiana (per non parlare del fatto che strappano qualche risata e mettono il buonumore).

Leggendo queste simpatiche poesie mi sono comunque resa conto che molte espressioni e termini "antichi" neanche li conoscevo, ed è stato bello impararli; ogni dialetto è una lingua a sè ed è giustissimo che venga valutato e è preservato come un piccolo tesoro che contribuisce a connotare un determinato luogo, i suoi abitanti, le usanze del posto, i piatti tipici, la filosofia di vita ecc...

Sono versi che si leggono quasi come delle filastrocche recitate, con la stessa leggerezza e vivacità, ma racchiudono un realismo e un'aderenza alla cultura e alle tradizioni della mia città che fa piacere ritrovare, perchè leggendo rivedevo scenari, personaggi, espressioni... che conosco, che sono anche un po' miei. Il dialetto è una lingua viva, a mio avviso, riesce a far prendere vita in modo vivido, pittoresco, ciò di cui sta parlando.

C'è un velo sottile e piacevole di malinconia che attraversa queste pagine: basta pensare ad un certo piatto che preparava nostra nonna/mamma - come 'u pànecòtte" (pancotto) o i "torcinelli", le "scorpelle" (pagnottelle di pasta lievitata che vengono fritte e sono tipiche del periodo natalizio) - e, soprattutto se un sanseverese è "emigrato" al nord o in un'altra nazione, immediatamente si fa prendere da una dolce melancolia ripensando alle bontà lasciate al proprio paese e che gli ricordano l'infanzia e i bei tempi andati.
Insomma, poesie che raccontano con amore, un pizzico di amabile nostalgia e di sincero orgoglio per le proprie origini, di luoghi, parole, persone, sapori e odori.... solo apparentemente lontani, ma in realtà ancora vivi e presenti ai nostri giorni, perchè ciò che è stato non può essere dimenticato, anzi va conservato, raccontato, tramandato, valorizzato perchè fa parte di ciascuno di noi, identifica le nostre radici, ciò che siamo, nel bene e nel male.





Reading Challenge
obiettivo n.33. Un libro scritto da un tuo conterraneo.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz