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mercoledì 26 gennaio 2022

Recensione: UNA BAMBINA E BASTA di Lia Levi



Credo non ci sia anno che passi (ed è mia intenzione impegnarmi affinché sia sempre così) senza che io legga almeno un libro (romanzo, autobiografia, reportage ecc...) che sia dedicato specificatamente all'Olocausto, al tema dello sterminio all'interno dei campi di concentramento nazisti, alle atroci esperienze di persone che hanno subito questa barbarie e sono sopravvissute, o che sia ad esso "collaterale", come nel caso di questo libro di Lia Levi.
Lia Levi non ha vissuto l'orrore dei campi di concentramento perchè tanto lei che i famigliari hanno potuto nascondersi all'interno di un convento a Roma negli anni di fuoco della seconda guerra mondiale, aspettando che il caos del conflitto e, in particolare, la furia dei tedeschi passassero, lasciandoli indenni e insieme.
E così è stato, grazie a Dio.
In questo breve scritto autobiografico, l'Autrice ci racconta la sua vita negli anni della guerra e di come essa sia stata travolta dall'introduzione delle leggi razziali da parte del fascismo, fatto che ha obbligavo la sua famiglia (ebrea) - e non solo la sua, chiaro - a cercare di sfuggire alla persecuzione.
Il suo è il racconto di una bambina che vede come tutto attorno a sé cambi da un giorno all'altro e come tutto questo si rifletta negli occhi e nei comportamenti dei genitori.


UNA BAMBINA E BASTA 
di Lia Levi


 
Edizioni E/O
128 pp

 
Ha appena finito la prima elementare, Lia, quando la mamma le dice che a settembre non potrà più tornare in classe, ma che dovrà iscriversi ad una scuola ebraica. 
Eh già, perché Mussolini, che comanda su tutti, non vuole più i bambini ebrei nelle scuole. 
A dire il vero, non li vuole da nessuna parte, tant'è che Lia e famiglia sono costretti a lasciare la città in cui vivono, Torino, e poi anche Milano (in cui si trasferiscono per poco tempo); senza considerare che il papà ha perso il lavoro ed è sempre giù di morale, la bimba e le sorelle vengono iscritte a un corso di francese (scelta che la piccola proprio non comprende) e in seguito, come se tutti questi cambiamenti non fossero già troppi, devono ritrasferirsi, stavolta a Roma, nel quartiere di Monteverde e, una volta lì, le cose precipitano...

Sì, perché verrà a far loro visita, e non una volta sola, un signore della questura, avvertendoli che, siccome sono ebrei, certe cose non le possono fare! Ad es., non possono tenersi in casa la domestica Maria perché, appunto, sono ebrei, e tra l'altro Maria non lo è. 
La domestica avrà pure un'aria sempre scocciata, triste e noiosa come la pioggia, ma le sono tutti affezionati in casa Levi, pure perché ha praticamente visto crescere le bimbe.

Lia è una bambina attenta, curiosa, riflessiva e, per tutto ciò che vede e succede attorno a sé, ha mille domande, che puntualmente rivolge alla madre.
Gli adulti sono così, fanno tanto i maestri nel decidere cosa e quando tu, bambino, puoi venire a conoscenza di certi fatti misteriosi, e pretendono che tu debba accettare le loro informazioni senza aprire bocca.

"Non mi piacciono i grandi quando decidono di farti un discorso: si sentono evoluti e magnifici, ti guardano negli occhi, cercano il tono a mezza altezza... ora saprai tutto anche tu, ci penseranno loro a impacchettarti la notizia come una merendina.
Io non voglio ascoltare proprio niente, non perché abbia paura di chissà quali segreti, ma perché mi annoia tutto il teatrino. Questo non lo capiscono. Dal momento in cui hanno deciso di rovesciare nelle tue braccia il dono della loro confidenza, tu devi essere lì come un uccello neonato che aspetta il cibo dal becco della madre. E invece non è vero niente."

Lia sente da subito (parliamo degli inizi, 1938) che c'è qualcosa nell'aria che fa stare tutti preoccupati, che li induce a parlare a bassa voce e a lanciare occhiate alle figlie per controllare che non stiano ascoltando.
Ma lei, Lia, sente, vede  e registra tutto, e fa pure domande, se le va.
Certo, non tutto le è chiaro; ad es., non capisce bene perché sua zia - che vive al confine con la Francia - sia stata arrestata, proprio lei che è tanto tranquilla e buona; e non sa ancora perché abbia regalato il suo bell'anello alla mamma, dicendole che a lei sarebbe servito di più, perchè ha delle figlie.

La situazione peggiora e i Levi sono costretti a fuggire di nascosto e separarsi; le bambine  vengono portate in un convento cattolico alle porte di Roma: è l'unico modo per sfuggire all'arresto e alla deportazione, come purtroppo sentono che sta accadendo ad altri ebrei. 

In questo collegio cattolico Lia si sente un pesce fuor d'acqua e sa che le bimbe (cattoliche) ne percepiscono la diversità: non partecipa alla messa, fa il segno della croce al contrario, non conosce le preghiere che esse recitano a memoria (non solo, ma per restar fedeli alla propria fede, le allieve ebree recitano lo Shemà ogni sera, insieme, nelle loro camere), insomma non è come loro.

Eppure, pian piano, la narrazione da parte delle suore di questo "Dio dei cattolici", che fa grazia e misericordia e che pare meno arrabbiato del "Dio degli ebrei", stuzzica la curiosità dell'intelligente ragazzina, che vede in una possibile conversione una sorta di àncora di salvezza, che la farebbe stare più tranquilla e al sicuro, oltre a farla sentire meno "diversa" dalle compagne.

Ma non ha fatto i conti con la madre «tigre leonessa che ha poco tempo per libri e sinagoghe perché deve difendere le figlie», la loro vita ma anche la loro identità minacciata. 

Intanto, il tempo passa, i tedeschi arrivano a Roma e l'atmosfera in convento si surriscalda: verranno a rastrellare e ad arrestare questi ebrei che si nascondono?
Lia sogna di poter tornare nella loro vecchia casa, insieme alla mamma e al papà.
Forse, quando la guerra finirà... e lei potrà smettere di essere una bimba ebrea in fuga, ma solo una bambina.
Perché, alla fine, questo lei è: una bambina e basta.

È un libro che si legge velocemente, in poco tempo, è davvero scorrevolissimo e piacevole nello stile, e il punto di vista della giovanissima protagonista ci guida nella lettura, dandole la giusta dose di spensieratezza (grazie al suo caratterino, all'arguzia, alla caparbietà e alla sua vivace curiosità) che va ad incastrarsi con la drammaticità degli eventi da lei vissuti (le conseguenze delle leggi razziali in termini di discriminazione e necessità di trovare un posto sicuro in cui rifugiarsi), narrati sempre e comunque dalla prospettiva di una bambina di dodici anni che si fa domande su tutto ciò che vive ed osserva ma che, almeno per il momento, non tutto coglie appieno.
Adattissimo per lettori molto giovani, e del resto è un testo usato molto nelle scuole.





L'ho letto in occasione della Giornata della Memoria, che cade il 27, ed infatti anche domani troverete un post a tema, dove mi soffermerò un po' sulle vittime dell'Olocausto, tra cui figurano, accanto alla maggioranza di ebrei, altre categorie di persone, che subirono la persecuzione per motivi anch'essi razziali o di altro genere.


Se può interessarvi, vi lascio i link di altri post a tema.


"L' inferno di Treblinka" di Vasilij Grossman
NOI, BAMBINE AD AUSCHWITZ di Andra e Tatiana Bucci
Giornata della memoria - per non dimenticare
BAMBINO N. 30529 di F. Weinberg
SI CHIAMAVA ANNA FRANK di M. Gies
IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI di G. Bassani
IO NON MI CHIAMO MIRIAM di M. Axelsson
LA TREGUA di P. Levi
SE QUESTO E' UN UOMO di Primo Levi
ANNA FRANK. DIARIO
IL BAMBINO DI SCHINDLER di L. Leyson
LA LISTA DI SCHINDLER di T. Keanellay

2 commenti:

  1. Conosco l'autrice, ne ho parlato spesso durante le settimane della Memoria con le quali ricordo la Shoah sul mio blog. Mi piace molto la sua scrittura, mi segno il libro. Buona serata.

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    1. Ciao Mariella! Io invece non avevo ancora letto nulla di questa scrittrice, benché ne avessi sentito parlare!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz