Ed eccoci alla seconda recensione, di un libro però molto differente da quello di stamani.
QUANDO DAL CIELO CADEVANO LE STELLE
di Sofia Domino
|
lulu.com 496 pp 1.99 euro USCITA 27 GENNAIO 2014 |
Lia ha tredici anni. È una ragazzina italiana piena di sogni e di allegria, con l’unica colpa di essere ebrea durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dallo scoppio delle leggi razziali la sua vita cambia, e con la sua famiglia è costretta a rifugiarsi in numerosi nascondigli, a sparire dal mondo.
Da quel mondo di cui vuole fare disperatamente parte.
Passano gli anni, conditi da giornate piene di vicende, di primi amori, di paure e di speranze, come quella più grande, la speranza che presto la guerra finirà.
Ma nessuno ha preparato Lia alla rabbia dei nazisti.
Il 16 ottobre 1943, la comunità ebraica del ghetto di Roma viene rastrellata dalla Gestapo e i nazisti le ricorderanno che una ragazzina ebrea non ha il diritto di sognare, di sperare, di amare.
Di vivere.
Lia sarà deportata ad Auschwitz con la sua famiglia, e da quel giorno avrà inizio il suo incubo.
Terrore, lavoro, malattie, camere a gas, morti.
E determinazione. Quella che Lia non vuole abbandonare. Quella determinazione che vorrà usare per gridare al mondo di non dimenticare.
Quella determinazione che brillerà nei suoi occhi quando il freddo sarà troppo pungente, quando la fame sarà lancinante, quando la morte sarà troppo vicina e quando sarà deportata in altri campi di concentramento.
Quella determinazione che le farà amare la vita, e che le ricorderà che anche le ragazzine ebree hanno il diritto di sognare.
Perché non esistano mai più le casacche a righe, perché nessuno sia più costretto a vivere in base a un numero tatuato su un braccio o in base a una stella cucita sulla veste.
Perché dal cielo non cadano più le stelle.
|
recensione |
È sempre complicato per me parlare di romanzi che mi hanno toccata nel profondo.
Ma allo stesso tempo, mi piace farlo…, e per la stessa ragione!
L’argomento “Shoah”, “campi di concentramento” (e a tutta la storia in generale) ecc… mi ha sempre molto coinvolta sin da bambina, e il mio primo approccio ad esso è partito dal Diario di Anna Frank e da allora non è più terminato.
|
.
|
Qualche mese fa ho recensito il libro di Rebecca “La mia amica ebrea”, incentrato sul bellissimo rapporto d’amicizia tra una ragazzina tedesca e una ebrea, che hanno imparato a buttar giù il muro di pregiudizi che le divideva per donare a loro stesse la gioia di un affetto sincero e puro, che ha brillato come un faro nelle tenebre di una guerra che porta con sé solo e sempre odio, morte, distruzione.
In “Quando dal cielo cadevano le stelle” a brillare sono le bombe di una guerra interminabile, sfiancante, estenuante, che ha provocato milioni di vittime e che ha gettato un’onta indicibile sull’UOMO (in senso antropologico), ricordando (e dico ricordando perché purtroppo la Storia, in ogni epoca e luogo, è sempre stata costellata da atti di meschinità e bassezza, di crudeltà ed ingiustizia, che sembrano sempre più grandi e numerosi rispetto agli atti di eroismo e sacrificio, che pur non sono mai mancati, proprio in frangenti come quelli) quanto esso sia maledettamente capace di mettere in atto progetti infimi e malvagi nei confronti dei propri simili, tanto da far scaturire, spontaneamente, la classica domanda “Ma com’è possibile…?”.
Eppure è possibile e noi leggiamo la storia della protagonista 13enne,
Lia Urovitz, figlia di ebrei italiani, che vive a Roma con papà Daniele, mamma Giuditta, nonna Myriam, il fratello maggiore Tommaso e il fratellino di 5 anni Chalom, sapendo che il periodo in cui è collocata questa piccola storia è uno dei più orrendi della grande Storia.
Lia è una ragazzina dolce, sensibile, intelligente, grande osservatrice, molto riflessiva, paziente, desiderosa di imparare tante cose, e soprattutto a contraddistinguerla è la sua irrefrenabile e commovente voglia di vivere.
Lia incarna la frase semplice ma terribilmente vera: “La vita è meravigliosa”… e tutti hanno il diritto di viverla, con dignità, cercando di realizzare i propri sogni.
E Lia ha gli stessi sogni delle sue coetanee…, ma il momento storico in cui sta vivendo non le sta dando la libertà di credere che questi sogni potrà certamente realizzarli.
La guerra sta costringendo gli Urovitz a nascondersi dalla ferocia dei fascisti di Mussolini che hanno cominciato a cercare gli ebrei per arrestarli e togliere loro tutto.
|
, |
Grazie alla gentilezza di tanti amici di famiglia, Lia e la sua famiglia riusciranno a nascondersi per diversi anni, vivendo ora in una cantina, ora in una soffitta…
La vita da segregati in casa è difficile e la prima parte del romanzo si focalizza su quanto sia complesso gestire i rapporti familiari se si è costretti a stare gomito a gomito 24 ore su 24, mangiando sempre le stesse cose (quel poco che c’è…), non sapendo cosa inventarsi per far passare le giornate…Il
nervosismo e il senso di oppressione sono palpabili tra le quattro mura e, nonostante l’affetto che unisce i membri della famiglia, comunicare e andare d’accordo può diventare problematico, in particolare perché i grandi – troppo preoccupati dal conflitto in corso, dalle leggi razziali e dalle loro conseguenze – non hanno molta voglia di ascoltare i propri figli adolescenti, con i loro sospiri, le loro “paturnie”, la voglia di parlare, sognare, esprimere desideri, sentimenti…
L’Autrice punta i riflettori sulle dinamiche familiari che attraversano gli Urovitz, dandoci il punto di vista di Lia (la narrazione è sempre in terza persona), la quale vorrebbe in tutti i modi essere libera di poter condividere sentimenti, pensieri, passioni, paure…, ma si ritrova a fronteggiare dei muri troppo alti….
Il muro di Giuditta, una mamma apprensiva e troppo nervosa, agitata, piena di paura per sé e i propri figli, che non riesce ad andare verso la figlia, finendo per scontrarsi con lei spesso.
Il muro di un altrettanto preoccupato Daniele, un uomo sempre attivo ed energico, obbligato all’immobilità; il muro di Tommaso, innamorato della sua Mea e di cattivo umore al pensiero di restare separato da lei per chissà quanto tempo ancora…
A offrire a Lia la possibilità di sfogarsi e raccontarsi sarà
Hadas, un adolescente ebreo con cui la ragazzina avrà modo di corrispondere tramite lettera, durante il periodo nei nascondigli, e che permetterà ad entrambi di aprirsi e condividere confidenze e segreti tipici dell’età; uno spiraglio di normalità, di luce, in un momento connotato soltanto da paure a ansietà.
Il rapporto tra i due ragazzi avrà modo di crescere e rafforzarsi, soprattutto quando la fuga dai nazifascisti e l’aggravarsi delle condizioni degli ebrei li faranno incontrare, condividendo parte di un comune destino.
Ma al fianco di Lia, a darle conforto ed incoraggiamento, prima di Hadas ci sarà nonna Myriam, l’unica in famiglia che sembra comprendere la nipotina e da lei Lia imparerà una cosa fondamentale:
la speranza, l’amore per la vita nonostante il periodo buio, il continuare a credere nella capacità dell’uomo di migliorare dentro, di costruire un futuro migliore.Un futuro in cui non ci sono più bombe che illuminano il cielo e distruggono case, spazzano via sogni e vite umane; in cui un uomo non è costretto a fuggire terrorizzato e nascondersi perché è ebreo…; un mondo in cui non ci sono più differenze e discriminazioni di sesso, razza, religione, ideologia politica ecc…; in cui a una bambina di 13 anni è riconosciuto il diritto di immaginarsi adulta, felice, con un lavoro che le piace, forse con una famiglia sua.
Un mondo in cui gruppi di persone di tutte le età e provenienti da varie parti del mondo non sono costrette a guardare la crudeltà e la morte in faccia ogni giorno, crudeltà dipinta sul viso di uomini come loro, ma che hanno accettato di vendere la propria anima e la propria coscienza in nome di ideologie spietate, insensate, folli, che faranno tanto male a milioni di esseri umani indifesi, che guarderanno spaventati, smarriti, stupiti… le conseguenze di questa insensatezza, di questa follia, e ad essa non potranno neppure reagire.
Un mondo in cui nessuno crea CAMPI DI
STERMINIO, FORNI CREMATORI, CAMERE A GAS; in cui un uomo non si diverte ad
umiliare, picchiare, terrorizzare, sputare, insultare creature fatte
ad
immagine e somiglianza di Dio.
Un mondo in cui a nessun uomo e nessuna donna viene rubata la propria identità, il proprio nome in cambio di una squallida serie numerica; in cui quell’uomo e quella donna conservano la propria dignità e non sono costretti, a suon di calci e sputi, a spogliarsi di tutto e ad esporsi agli scherni di uomini che ormai sono diventati delle bestie…, a delirare per un pezzo di pane al giorno, a vedere le proprio costole che escono dalla pelle perché le malattie, la stanchezza (a causa di lavoro pesantissimi a condizioni e orari inumani), la denutrizione sono esasperanti e inimmaginabili.
Un mondo in cui l’uomo non è lupo per l’altro uomo, bensì gli è fratello e amico, in cui invece di calci e bastonate, si donano sorrisi e mani aperte per aiutare, in cui al posto di urla e ingiurie atroci, si sussurrano gentilezze, e le uniche urla sono quelle dei bambini che giocano in cortile.
Insomma, un mondo che Lia
sogna e continua a sognare con fiducia e speranza…, guardando oltre le mura di
una cantina, agognando di poter guardare almeno un angolo di cielo, quel cielo
azzurro con le nuvole o blu scuro illuminato dalle stelle, un cielo infinito
che la rassicura e le suggerisce di non perdere mai la speranza, la voglia di
vivere, ma di custodirla nel proprio cuore.
A qualunque prezzo e ovunque si trovi.
Vorrei potervi dire che la nostra giovane protagonista non conoscerà la crudeltà della vita nel campo di concentramento…
Ma questa non è una storia che deve a tutti i costi finire come vorremmo, perché è una storia che – per quanto abbia personaggi inventati – è fin troppo realistica, e la realtà non sempre ci viene incontro.
Siamo davanti ad
un romanzo che è come un grande quadro,
dipinto con colori scuri, tristi, perché oscura e triste è la guerra, è il
cuore dell’uomo cieco e folle, è l’animo di chi si vede privato dei diritti
fondamentali che fanno di un individuo un ESSERE UMANO.
|
Auschwitz-Birkenau |
Ma attenzione,
non fatevi distrarre dai colori scuri che predominano in questa storia…; se
guardate bene, vedrete come me due stelle che brillano in questo mare di paura,
morte, odio: sono gli occhi di persone come Lia, che hanno continuato a credere,
pregare, sperare, amare, sognare, combattere, incoraggiare, resistere: gli
occhi di chi non ha smesso di seguire il volo di un uccellino che, libero,
svolazza nell’infinito cielo azzurro.
Quel cielo che continuava ad essere sopra di lei nonostante attorno ci fosse solo filo spinato, e che le ricordava che la vita è bella e non va sprecata, ma va afferrata con forza per poi essere vissuta appieno, non solo per se stessi, ma per tutti coloro che non sono sopravvissuti a una delle più grandi atrocità che la Storia ricordi.
Vi invito a leggerlo, ovviamente, perché è molto bello; anzitutto, è scritto molto bene, accurato nel linguaggio come nella contestualizzazione storico-sociale; i personaggi – da Lia ai familiari – ci vengono presentati con chiarezza, tanto da ritrovarsi immersi nella loro vita come se stessimo con loro; in particolare, simpatizziamo con la piccola Lia, che ci commuove e intenerisce per la sua forza interiore, la sua determinazione e voglia di andare avanti.
Realistiche sono le dinamiche familiari affrontate, come lo è anche il complesso mondo interiore degli adolescenti; il ritmo non è frenetico e l’Autrice non ha fretta di metterci davanti l’evolversi della situazione in modo freddo, ma lo fa trattenendoci, soffermandoci sui dettagli, i particolari, le singole parole, i pensieri… così come Lia li avverte, per poi catapultarci, improvvisamente, nell’inferno del lager, come di certo si son sentite le persone prese e portate vie: catapultate, travolte, “sbattute” violentemente, senza possibilità di ribellarsi, prima che fosse dato loro il tempo di capire.
È il secondo romanzo che leggo di Sofia Domino e non posso che apprezzarne lo stile di scrittura, gli argomenti trattati (in “Come lacrime nella pioggia” ha trattato quello della privazione dei diritti delle donne indiane), la forza interiore dei personaggi principali, la cura nei dettagli, la fluidità nella narrazione che non perde mai interesse e ritmo.