Cari lettori, oggi condivido con voi alcune novità pubblicate da Kimerik Edizioni (nonché mie prossime letture), appartenenti a differenti generi letterari:
LIBRARIA di Giulia Reale (150 pp, 14 euro)
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Esiste un mondo speciale. Un mondo che è nato con il primo libro stampato e continua a esistere solo grazie alla fantasia e alla dedizione degli scrittori e dei lettori.
Questi ultimi non hanno la minima idea di come sia tale mondo, né tanto meno sanno che i libri che si accingono a leggere sono suggeriti dalle così dette fatine Libriscenti che vivono nei libri situati sulla Terra e nel loro magico mondo a forma di libro.
Separazione e divorzio nella prospettiva dell'uomo violento di Elda Panniello (€ 19, 196 pp).
Quando si verifica una crisi in un contesto familiare, le conseguenze sul piano affettivo, psicologico e sociale sono notevoli, non solo nel rapporto tra marito e moglie, ma anche tra genitori e figli.
Se da un lato la giurisprudenza italiana, dai tempi in cui è stata approvata la legge sul divorzio, si è orientata sempre più verso una risoluzione consensuale delle separazioni, dall’altro lato vi sono ancora dei vuoti normativi per quanto riguarda, ad esempio, convivenze di fatto e unioni civili.
A partire da una disamina delle normative vigenti in materia di separazione e divorzio, si mette in rilievo come per una donna vittima di un coniuge o compagno violento, la separazione, già di per sé un evento traumatico, sia un vero e proprio atto di coraggio.
La Contessa del Regno di Goldon di Giovanna Mangone (€ 13, 84 pp).
I bambini sono il nostro futuro. Il nostro compito è non perdere la speranza di insegnare loro che un mondo migliore è davvero possibile.
Il loro compito è insegnarci che forse, davvero, non tutto è perduto.
Tolleranza, solidarietà, comprensione, empatia: quanto sono difficili, quanto sono oscure queste parole alle orecchie dei più piccoli, invaghiti e ingannati da oggetti fuorvianti, inviti lampeggianti e attrattivi, ma illusori e tremendamente fallaci, lucidi e colorati come la mela rossa della strega di Biancaneve, ma spaventosamente insidiosi e bugiardi come il Mangiafuoco che rinchiude Pinocchio nel carro dei burattini, promettendogli una (contraffatta) gallina dalle uova d’oro.
Un cielo di papaveri rosso fuoco di Enzo Longobardi (€ 16, 164 pp).
Non esiste un amore perfetto come quello che c'era tra Adamo ed Eva prima che venissero cacciati dall'Eden, o come il sentimento che univa Dante e Beatrice o Laura e Petrarca, privo di gelosie, problemi sessuali, malattie veneree, Aids, noia, un amore che ti renda pari a Don Giovanni.
Non esiste un'amicizia perfetta come quella che esisteva tra Gesù Cristo e Giuda prima del suo tradimento, senza invidie, divergenze, odi e rancori, capace di renderti simile a San Francesco.
Non esiste un lavoro perfetto come quello che fu fatto per la creazione del mondo in sette giorni, senza morti bianche, lavoratori in nero e prodotti inquinanti, come auspica un vero comunista.
Esiste però un momento perfetto.
Le Giovanneidi - Giovanni e la terra delle sei pietre di Gandolfo Quercia (€ 14, 136 pp)
Le Giovanneidi è un romanzo storico-fantastico.
Le vicende narrate mirano a esaltare innanzitutto il valore dell’amicizia; il valore dell’ospitalità e dell’accoglienza; i valori della tolleranza e dell’accettazione di culture diverse e l’amore per la propria patria che si estende a tutte le terre attraversate, dove l’eroe vuole portare (o riportare) i valori della libertà e della fratellanza fra i popoli.
LA DONNA DENTRO MIA MADRE di Anna Santolisier (14 eero, 180 pp)
Un romanzo autobiografico, in cui l’autrice racconta la propria infanzia e l’intimo rapporto con i genitori, in modo particolare con la madre, vittima inconsapevole e improvvisa di un male misterioso chiamato epilessia.
La sofferenza dell’autrice si evince ed è tangibile nella sua scrittura, evocativa e lineare.
La vicenda narrata è coinvolgente e sincera, scevra da sentimentalismi e pregna di pathos.
Cromie e profumi attraversano la vicenda, quasi lasciando trapelare le percezioni provate dall’autrice nella propria infanzia, in un’osmosi sensoriale.
Termini dialettali si intrecciano a pieno con la lingua italiana all’interno di un testo coeso e coerente, ricco di preziosismi linguistici e mai banale.
Il bello dell'amare la lettura è che si ha l'opportunità di arricchire, tra le altre cose, il lessico.
Ecco qualche parolina di cui ignoravo il significato e/o l'etimologia.
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STRAORZARE: v. intr. e tr. Nel linguaggio marin., di nave che viene bruscamente all’orza, cioè che accosta nella direzione del vento. Come trans., condurre la prua della nave bruscamente fuori rotta, per effetto di grosso mare in poppa o di mal governo del timoniere.
SCISTO: In petrografia, nome generico (anche roccia scistosa) di una roccia metamorfica caratterizzata da una disposizione regolare, in piani grossolanamente paralleli, dei componenti minerali lamellari o fibrosi, che le conferisce una più o meno facile divisibilità secondo tali piani, detti perciò piani di scistosità.
West è un'epopea in miniatura affascinante e senza tempo, una parabola inquietante della frontiera americana, una triste vicenda di ricerca di opportunità, illusioni e delusioni narrata come una storia semplice di uomini e di sogni, spesso infranti.
WEST
di Carys Davies
Ed. Bompiani
160 pp
15 euro
Cyrus Bellman è un allevatore di muli, ha una piccola fattoria in Pennsylvaia e vive con la sua unica figlia di dieci anni, Bess; la moglie Elsie è morta e l'uomo non è intenzionato a risposarsi.
Sono altri i suoi sogni: un giorno legge sul giornale che in una palude del Kentucky sono stati ritrovati resti giganteschi appartenenti a un animale non meglio identificato.
Il sognatore irrequieto che vive dentro di lui si sveglia e l'uomo decide di lasciare casa, muli e figlia e di andare a verificare coi suoi occhi se davvero nelle piane selvagge ed inesplorate del West, oltre il fiume Mississippi, pascolano indisturbate ancora enormi creature leggendarie.
Armato di mappe, di una scatola di latta piena di cianfrusaglie da scambiare con gli eventuali "selvaggi" (i nativi americani) che potrebbe incontrare lungo il cammino, di un cavallo nero e di tutta la propria ostinazione, una mattina Bellman, dopo aver promesso alla figlia di scriverle con costanza e di tornare entro due anni, la lascia, affidandola alle cure sbrigative della propria sorella, la secca, taciturna ed ossuta Julie, che per prima dubita della salute mentale dello sciagurato fratello.
Padre e figlia sono entrambi romantici e sognatori, che però viaggiano in due direzioni opposte.
Bess, rintanata nella biblioteca del piccolo villaggio, prova a seguire l’itinerario del padre consultando libri e fantasticando sulle sue avventure, e intanto sogna ad occhi aperti il ritorno di Cyrus, un ritorno che lei si augura sia ogni giorno più vicino e concreto.
Lui, in viaggio sul suo cavallo, pronto a macinare migliaia di chilometri alla ricerca di una chimera, immagina di trovare le creature incredibili e mostruose di cui si vocifera, e per portare a compimento la propria missione sa di doversi allontanare sempre più da casa, dalla sua Bess, andando verso l'Ovest.
Il cammino è difficoltoso, costellato di ostacoli, a motivo di un paesaggio naturale impervio, aspro, che può diventare un vero e proprio nemico soprattutto in inverno, quando cadono la neve e il gelo, trovare di che sfamarsi è complicato e Cy rischia di morire assiderato e affamato.
Fortuna vuole che, all'inizio dell'avventura, un'anima pia (scettica in merito allo strambo progetto dell'allevatore di muli, ma comunque gentile) gli proponga la compagnia di un nativo, lo shawnee Donna Vecchia Vista Da Lontano, un giovane smilzo, dagli occhietti piccoli, le treccine nere e lo sguardo quasi sempre torvo.
Il loro è un viaggio fatto di lunghi silenzi e poche parole, anche perché non conoscono l'uno la lingua dell'altro e quelle rare volte che il bianco alto e dalla barba rossa prova a comunicare con l'indiano minuto e scontroso, gli equivoci sono dietro l'angolo e rischiano di mandare all'aria la già fragile alleanza.
Verso cosa sono diretti i due bizzarri compagni di viaggio?
A Donna Vecchia Vista Da Lontano non interessa un bel niente dei mostri mastodontici di cui va alla ricerca l'uomo dalla barba rossa; a lui interessa solo ricevere oggetti e ricompense per il proprio impegno ed aiuto.
Ma Cy? Lui ha solo una vaga idea di cosa stia cercando, si affanna a spiegare a chiunque incontri il suo proposito, riempie fogli di schizzi di improbabili animali, scrive tutti i giorni lettere sgrammaticate alla figlia lontana - sperando che qualcuno gliele faccia recapitare... - e intanto sogna, fantastica...
Spera.
Spera che quel suo pazzo viaggio non sia un enorme fallimento. Mentre va verso il West, si sta allontanando sempre più dalla sua piccola Bess.
"...con il trascorrere dei mesi da che aveva lasciato l’accampamento del commerciante di pellicce insieme al ragazzo indiano per proseguire verso il West, si sorprendeva a pensare sempre meno agli animali enormi e sempre più a Bess. Si sorprendeva a preoccuparsi che se si fosse spinto molto più avanti rischiava di non tornare a casa; si sorprendeva a domandarsi se la sua ricerca dei mostri svaniti non gli sarebbe costata un prezzo troppo alto."
Che ne è di lei, sola con la burbera zia Julie? La donna la sta trattando bene? La protegge e se ne prende davvero cura?
Nel frattempo, mentre suo padre viaggia per terra e per fiumi, sul cavallo o su una pagaia, in compagnia di un indiano silenzioso, Bess sta crescendo, sta diventando una signorina e i primi uomini cominciano a metterle gli occhi addosso.
E se dal viscido bibliotecario riesce a fuggire senza troppi problemi, dalle attenzioni del vicino di casa (nonché aiutante di Cy), Elmer Jackson, che frequenta quotidianamente la fattoria Bellman (ha promesso all'amico di aiutare la di lui sorella con i muli), è meno semplice sottrarsi.
Finché c'è la zia nei paraggi, la ragazzina si sente un po' più sicura, ma se dovesse restare sola in casa...? Non ci sarebbe nessuno a proteggerla dalle cattive intenzioni di un uomo come Elmer!
Sentiamo odore di tragedia su ambedue i fronti, sia ad est, per la povera Bess, sia ad ovest, dove c'è un sempre più stanco e demotivato Cyrus, l'esploratore improvvisato che, spinto dall'entusiasmo di essere il protagonista di una scoperta sensazionale, ha voltato le spalle alle proprie responsabilità di padre e s'è messo in cammino verso... il nulla. Verso qualcosa che non c'è.
I personaggi di questo romanzo sono, in un certo senso, chiusi nel loro mondo, in una bolla che li isola dagli altri, e questa caratteristiche credo si esprima anche nella scelta stilistica della Daviesi non usare molti dialoghi, come se i pensieri e i sentimenti dei suoi personaggi fossero più interiorizzati che liberamente espressi; ad es., Cy e Donna Vecchia Vista Da Lontano non condividono un linguaggio comune e, oltre a questo, sono separati da mille sospetti e pregiudizi (l'indiano odia i bianchi per ciò che hanno fatto al suo popolo). La stessa Bess si ritira nella solitudine delle proprie fantasticherie, come per tenere lontani gli altri, che non la capiscono: tutti coloro che le sono vicini, infatti, giudicano suo padre un folle, un visionario. Cyrus è solo un uomo curioso, che compensa la mancanza di cultura e istruzione con la propria anima da sognatore, che spera contro speranza e ha fiducia nei propri sogni, e in fondo sua figlia è come lui, perché fino alla fine crede tenacemente nel ritorno del padre e nel successo della sua impresa.
Con una scrittura misurata e semplice, una narrazione ridotta all'essenziale ma non per questo povera o scarna (l'Autrice si sofferma, ad es., sulle caratteristiche della natura, così come appare a Bellman), la Davies ha costruito una storia che si lascia leggere e apprezzare per diversi aspetti e contenuti: il periodo storico in oggetto, legato alle prime esplorazioni nelle regioni di frontiera del West (non è indicato l'anno, ma sono citati gli esploratori Clark e Lewis, quindi intuiamo che ci aggiriamo negli anni successivi alle loro imprese, quindi dopo il 1810), per il riferimento alle popolazioni indigene che venivano cacciate dai loro antichi territori, fino a provocarne l'estinzione, per la giovane protagonista femminile, che sta vivendo il passaggio dall'infanzia innocente all'adolescenza e al mondo degli adulti da sola, senza nessuno che la guidi e la protegga, e non ultimo, perché accenna alle misteriose ed enormi ossa che erano state avvistate in una palude del Kentucky (articolo). Un romanzo breve, che passa da un'iniziale atmosfera placida e tranquilla (la vita di Bess a casa, il viaggio solitario di Cy e l'indiano) per poi via via diventare più tesa, proprio per via delle evoluzioni che prendono i due opposti fronti (cosa accadrà al "pioniere sognatore"? E a Bess, sola contro uomini malintenzionati?); il finale mantiene questo doppio binario, contemplando un epilogo triste e uno più "lieto".
Un viaggio on the road da Nord a Sud, un'occasione importante (forse l'unica?) perché l'undicenne Salvo e suo padre Vincenzo si ritrovino e imparino a conoscersi. Un'avventura punteggiata da incontri inaspettati, deviazioni fuori programma e dai ricordi di un’infanzia ancora candida e piena di domande, che culmina con l’arrivo del misterioso “ladro di giorni”, colui che anni prima ha rubato a un padre del tempo prezioso da trascorrere col proprio figlio .
IL LADRO DI GIORNI
di Guido Lombardi
Ed. Feltrinelli
288 pp
16 euro
Salvo ha cinque anni quando, mentre è col padre Vincenzo al mare a fare tuffi dagli scogli, arrivano due signori grandi e grossi... e si portano via il genitore.
Non lo vedrà più per sei anni.
Dopo quell'estate che ha gli ha rubato il suo papà, a Salvo resta la sua dolce mamma, che però un brutto giorno, a causa di uno stato depressivo, arriva a fare un gesto terribile ed estremo: si toglie la vita... e Salvo è di nuovo solo.
Fortunatamente a prendersi cura di lui ci sono zia Anna (sorella della madre) e zio Eugenio, che lo prendono in casa con loro.
Salvo è un bambino attento, riflessivo, che scruta tutto e tutti, dai coetanei - il cugino Emidio (che è un po' tontolone e, secondo Salvo, "cretino"), i compagni di scuola, le amichette che gli piacciono - agli adulti - la mamma ,sempre stanca, triste, la paziente maestra Silvia, gli zii, l'istruttore di tuffi.
E a proposito di tuffi, se c'è una cosa che il bambino non ha mai dimenticato sono proprio i momenti che ha passato col padre a fare tuffi; da allora non ha mai smesso di farne, anche senza di lui, diventando sempre più bravo, fino al giorno in cui qualcosa in Salvo s'è interrotto, ha avuto un blocco ed ora non riesce più a tuffarsi.
Lui, il campione di tuffi con la paura di tuffarsi, ha capito alcune cose su come gira il mondo, nonostante sia poco più di un bimbo.
La prima è che gli adulti cercano sempre di fregarti, in un modo o nell'altro; fingono di sapere tutto (o comunque più dei bambini) ma quando Salvo fa domande che li mettono in difficoltà, promettono di rispondergli quando sarà più grande, solo che gli anni passano, lui è sei sempre troppo piccolo e le domande restano sospese e senza risposte.
"La verità è che ci sono un sacco di verità. Per questo non si capisce niente."
Anche suo padre Vincenzo ha fregato lui e la mamma: se n'è andato e non è più tornato. I grandi gli dicono che è in una scuola speciale dove ci sono un sacco di cose da imparare ma dalla quale non si può tornare a casa la sera. È solo un’altra bugia, dentro la quale galleggiano paroloni come “reato” e “processo”, che nessuno si premura di spiegargli, raccontando semplicemente la verità.
La vita tranquilla di questo ragazzino barese trapiantato al Nord viene sconvolta dall'arrivo improvviso del padre: Vincenzo è uscito di prigione, ha raggiunto il figlio dagli zii in Trentino e vuole che l’accompagni fino a Bari, dove ha una missione da compiere.
I due hanno a disposizione quattro giorni di tempo per attraversare l’Italia e imparare a conoscersi, provando a recuperare almeno una parte di quegli anni persi.
"Avevo detto: “Pa’ ”. Era da tanto tempo che non lo chiamavo più così. Un po’ è come con la parola “palafitta”, che non la usi perché non ti serve: io non potevo dire “papà” perché lui non c’era. Mi ci ero abituato e non ne avevo più bisogno, invece quella mi era uscita da sola".
Quattro giorni: un tempo enorme per Salvo, che non vuole partire su quella vecchia auto scassata con quell’uomo pieno di strani tatuaggi che fa cose di nascosto, come se avesse un segreto. Un uomo che è sì suo padre, ma che è cambiato moltissimo (a cominciare dall'aspetto fisico), diventando, in sei anni, un estraneo, e di lui ci sono ricordi che si perdono nel tempo e che al piccolo Salvo paiono appartenere quasi a un'altra vita.
Ma anche per Vincenzo suo figlio è un'incognita; tende, delle volte, a trattarlo come se avesse ancora cinque anni e quasi si meraviglia nel constatare come Salvo sia cresciuto tanto in sua assenza. Entrambi devono sfruttare bene questi pochi giorni per trovare insieme il coraggio di tuffarsi nel vuoto e tornare a conoscersi e ad amarsi.
Non è facile per nessuno dei due: Salvo capisce che il padre vuole andare a Bari per sistemare una faccenda e lui capisce che non si tratta di una "buona faccenda", il che lo spaventa; ma è in particolare una la domanda che più martella nella testa del ragazzino: papà è tornato a prenderlo perché davvero gli vuole bene? Sul serio gli sono mancati lui e la mamma? Il dubbio che la propria presenza sia indispensabile solamente per tornargli utile nei suoi loschi affari, turba Salvo...
"Ma io non l’ho ancora capito se è tornato per stare con me veramente o per qualche altro motivo che sa solo lui. Vorrei qualcuno che mi vuole bene per come sono, pure se non faccio niente, giusto o sbagliato che sia. Com’era con mamma."
A sua volta, Vincenzo deve confrontarsi con l'ostilità di questo figlio che lo guarda con un'espressione perplessa, un po' delusa, e soprattutto piena di interrogativi, ai quali non sempre è facile rispondere, e lui è un maestro nel procrastinare, nel rimandare a dopo spiegazioni e decisioni.
Tutto è secondario ai suoi interessi personali.
Ritrovarsi di nuovo figlio di un padre che non vedeva ormai da 6 anni, che non è stato con lui quando ne ha avuto bisogno, non l'ha consolato nei momenti tristi e con cui non ha riso assieme quando era felice, confonde Salvo, che all'inizio fa logicamente fatica a riconoscere dentro di sé i giusti sentimenti verso il proprio genitore. Non solo, ma oltre all'atroce dubbio se il padre gli voglia o no sinceramente bene, si aggiunge la paura verso quest'uomo colorato come un pirata, che Salvo trova incattivito, più duro e nervoso, ed infatti cerca di non farlo arrabbiare per non buscarsi qualche ceffone, anche se poi, come capita ai ragazzini, è inevitabile che combini qualche marachella, generando malumori e sgridate da parte di Vincenzo.
Vincenzo, che da piccolo chiamavano - a ragione! - Vincenzino Passaguai, e di guai non ha mai smesso di combinarne, anzi crescendo s'è specializzato in attività criminali.
Vincenzo, che sa bene quanto la presenza di suo figlio accanto a sé costituisca una sorta di "lasciapassare", come se l'uomo diventasse, ad occhi estranei, meno pericoloso per il solo fatto di andarsene in giro con un undicenne.
"adesso vedevo tutto chiaro: avevi ragione, papà, hai fatto bene a portarti dietro tuo figlio, se c’è Salvo i poliziotti ti lasciano andare. E tu non devi sparare a nessuno. “Avevi ragione… sono meglio di una pistola.”
E questo undicenne, nel suo viaggio avventuroso col padre ladro e armato di una pistola vera, ne vedrà delle belle e si renderà conto, di volta in volta, di come questo suo genitore sia sempre il solito, pronto a prenderlo in giro e a mentire per i propri egoistici interessi. Salvo è poco più che un bambino, legittimamente bisognoso di affetto, protezione, cura, eppure non di rado ci sembra il più maturo dei due, e tutte le volte che, riferendosi al padre, lo chiama Vincenzino, avvertiamo l'innocente tenerezza che prova verso quest'adulto scapestrato e incosciente - che raramente ride, regalando piuttosto mezzi sorrisi e, al massimo, mezze risate - cui sente comunque di voler bene.
L'Autore ha adottato in modo convincente il linguaggio, gli schemi mentali, gli stati d'animo del giovanissimo narratore e protagonista, così da prestare al lettore gli "occhiali" adatti per leggere le sue avventure attraverso i suoi stessi occhi, il suo punto di vista: quello di un figlio che la vita ha costretto a barcamenarsi in un mondo di adulti che fanno scelte al posto suo e pretendono di non dover dare spiegazioni, perché Salvo è solo un ragazzetto e deve obbedire ai "grandi" senza far troppe domande.
Ma Salvo è intelligente, sensibile, intuitivo, testardo, non si accontenta dei "perché è così e basta", "quando sarai grande te lo spiegherò", "tu sei un bambino e fai come dico io": Salvo cerca di mettere insieme i pezzi, fa domande spontanee e azzeccate che inchiodano gli adulti e ne affondano l'arroganza (del padre in primis), vuol sapere i come e i perché, vuol essere coinvolto in prima persona in tutto ciò che in effetti lo riguarda molto da vicino.
Le riflessioni che pullulano nella testolina del giovane protagonista sono un mix di saggezza preadolescenziale condite con un pizzico di ironia.
"I grandi fanno sempre così, ti mettono la mano davanti agli occhi durante i film di paura, sennò poi fai i brutti sogni. Non lo sanno che così è peggio, perché uno s’immagina le peggio cose. "
"Quando provo a descrivere quello che c’ho dentro, mi sembra sempre una cosa oscura e confusa e non trovo mai le parole adatte. È più facile disegnarla. Me l’immagino come un vortice di acqua nera, anzi tanti vortici, come le rapide di un fiume in piena, tipo quello seppellito sotto terra che ci stava per seppellire tutti. "
Tra inseguimenti a perdifiato, "piccoli furti", incontri con personaggi bizzarri, Salvo comprende pian piano chi sta cercando suo padre: l'uomo che ha rubato loro giorni, settimane e anni, facendo in modo che i due si separassero e si perdessero sei anni di vita insieme.
Vincenzo ha quindi intenzione di vendicarsi di chi gli ha fatto del male? E' ancora lo stesso delinquentello arrestato e incarcerato sei anni prima? Stare lontano dal figlio non lo ha cambiato per nulla?
"Il ladro di giorni" è un romanzo di formazione che narra un'avventura on the road tenera, epica e coinvolgente, vista attraverso lo sguardo innocente e vispo di un ragazzino che scoprirà in sé il desiderio di riavere indietro quel padre che gli era stato tolto, e anche se spesso i ruoli di padre e figlio si invertono, i due avranno la preziosa opportunità di scoprirsi e apprezzarsi reciprocamente, imparando tanto l'uno dall'altro. Mi è piaciuto per il ritmo vivace, la narrazione resa molto scorrevole dalla prospettiva fresca e ironica del ragazzino protagonista, che nel corso del suo viaggio ha modo di evolversi e crescere, raggiungendo importanti consapevolezze; ben caratterizzato anche il personaggio di Vincenzo. Ora non mi resta che attendere il film, diretto sempre da Guido Lombardi, con Riccardo Scamarcio, Massimo Popolizio, Augusto Zazzaro; dal 6 febbraio al cinema. Vi lascio il trailer:
Oggi vi presento due libri da poco entrati in casa e che conto di leggere presto ^_-
Dalla penna acuminata dell’autore di capolavori come Ultima fermata a Brooklyn e Requiem per un sogno, un altro grande affresco dell’America cancellata.
IL SALICE
di Hubert Selby Jr.
Fazi editore trad. M. Pittoni 320 pp 15 euro 2006
Bobby è un giovane ragazzo di colore del Bronx. Poco più che adolescente, ha consumato velocemente i suoi anni sulle strade violente del ghetto.
Lui e Maria, la sua giovanissima ragazza, hanno grandi piani per il futuro.
Un giorno i due vengono aggrediti da una feroce gang ispanica: Bobby viene selvaggiamente picchiato mentre Maria ne esce col volto sfigurato dall’acido.
Pochi giorni dopo la ragazza si uccide. Bobby, invece, viene tratto in salvo dall’anziano Werner Schultz, un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti.
Moishe – così si fa chiamare – tiene il ragazzo con sé e lo cura finché non si rimette in forze.
Tra i due si instaura una grande amicizia e Bobby sembra dimenticare l’accaduto.
Un giorno però Bobby, facendo ritorno nel suo quartiere, viene a sapere della morte della ragazza e, infiammato dall’odio, inizia a preparare la sua vendetta, di fronte allo sguardo impotente di Moishe, che conosce fin troppo bene la forza distruttiva dell’odio.
Narrato nello stile frammentato e schizofrenico che ha reso Selby celebre in tutto il mondo, ne Il Salice l’autore torna a raccontarci la realtà poetica degli emarginati, dei perdenti, dei diversi.
L'autore. Hubert Selby Jr. cresce in una famiglia della buona borghesia di New York. All'età di quindici anni lascia la scuola e nel 1944 entra nella marina mercantile americana in Germania. In quell'ultimo anno di guerra, Selby Jr. contrae la tubercolosi. In seguito a un'operazione molto invasiva non si riprenderà mai completamente. Nel lungo periodo di ricovero in ospedale, in cui diventa dipendente da morfina (tanto che nel 1967 sarà costretto a disintossicarsi dopo un arresto per detenzione di eroina), inizia a scrivere le sue prime storie. Ultima fermata a Brooklyn è il romanzo che lo ha consegnato alla notorietà. Pubblicato nel 1964, sconvolse il panorama letterario dell'epoca per l'aspra violenza dei temi e per lo sperimentalismo stilistico: sei storie di solitudine ed emarginazione raccontate con straordinaria crudezza e legate insieme dal medesimo sfondo: Brooklyn, notturna o terribilmente assolata. Ultima fermata a Brooklyn divenne ben presto oggetto di culto per importanti esponenti della beat generation, da Allen Ginsberg a cantanti come Lou Reed. Da allora Hubert Selby Jr. è stato considerato un grande della letteratura americana, un poeta maledetto, alla stregua di Burroughs e Bukowski, e in Gran Bretagna, l'uscita del libro fu subito seguita da un processo per oscenità. Requiem per un sogno, il romanzo successivo di Selby Jr. - viaggio allucinato nella New York dei tossicomani, un classico della letteratura statunitense di fine anni Settanta divenne un film per la regia di Darren Aronofsky. Hubert Selby Jr. è morto il 26 aprile 2004, in seguito a una disfunzione polmonare cronica.
Una storia d'amore profondo che lega due sorelle, sullo sfondo di una tragedia a noi ancora poco nota: quella delle "donne di conforto", ragazze rapite e trasformate in prostitute per i soldati dell'esercito imperiale giapponese prima e durante la Seconda guerra mondiale.
FIGLIE DEL MARE
di Mary Lynn Bracht
Longanesi Ed. trad. K. Bagnoli 370 pp
Corea, 1943. Hana è una pescatrice di perle, una professione che si trasmette da madre a figlia, donne fiere e indipendenti.
È cresciuta sotto il dominio giapponese, non conosce altro. Ed è felice quando nasce una sorellina, Emiko, perché con lei potrà condividere le acque del mare che bagnano l’isola di Jeju, la loro casa.
Ma i suoi sogni si infrangono il giorno in cui, per salvare Emiko da un destino atroce, viene catturata e deportata in Manciuria.
Lì, lontana dalla famiglia e da tutto ciò che conosceva, verrà imprigionata in una casa chiusa gestita dall’esercito giapponese. Ma una figlia del mare non può arrendersi senza lottare, e Hana sa che dovrà fare ricorso a tutte le sue forze per riconquistare la libertà e tornare a casa.
Corea del Sud, 2011. Emiko ha trascorso gli ultimi sessant’anni della sua vita cercando di dimenticare il sacrificio di sua sorella, ma non potrà mai trovare la pace continuando a fuggire dal passato.
I suoi figli e il suo Paese vivono ormai una vita serena...
Ma lei riuscirà a superare le conseguenze della guerra e a perdonare se stessa?
L'autrice. Mary Lynn Bracht è una scrittrice americana di origini coreane. Tramite la madre, cresce a stretto contatto con una comunità di donne emigrate dalla Corea del Sud. Nel 2002 visita il villaggio dove è nata sua madre e lì sente parlare per la prima volta delle comfort women. Quel toccante viaggio e le successive ricerche hanno ispirato il suo romanzo d’esordio, Figlie del mare (Longanesi 2018).
È in libreria Non siamo solo cagnolini (ed. Gilgamesh), il nuovo libro della filosofa Maria Giovanna Farina. Una scrittura autobiografica dove la voce narrante, la cagnolina Milly che vive con la filosofa da 9 anni da quando è uscita dal canile a pochi mesi, racconta il suo rapporto con gli umani.
Dalla IV di copertina:
“Cosa pensa il nostro cane? Cosa direbbe se potesse parlare? Starà con noi per amore o per
interesse?"
Non siamo solo cagnolini è l'opportunità per scoprirlo.
Maria Giovanna Farina, filosofa, consulente filosofico e analista della comunicazione, possiede una profonda conoscenza di come comunica il migliore amico dell'uomo e se ne fa interprete, mettendo in discussione anche sé stessa, in una maniera originale raccontando esperienze autobiografiche.
È Milly, la sua cagnolina, la voce narrante capace di rivelarci il particolare rapporto con gli umani delineandone difetti e contraddizioni, ma riconoscendo anche i loro migliori pregi.
La piccola si mette a tu per tu con noi e, regalandoci una riflessione a tratti profonda e ad altri ironica e leggera, si sofferma anche sulla fiducia, sulla perdita, sull'amicizia e sull'amore nelle sue diverse sfumature.
Il tutto in una prospettiva etologica che indaga inevitabilmente sul significato dell'abbandono.
Uno scritto, metafora del nostro vivere, che si legge in un soffio con divertimento ed emozione, pagine che rimangono ancorate al cuore: un libro per chi ama i cani e per chi, leggendolo, imparerà ad amarli.
Questo libro nasce da un'ispirazione, dalla volontà di sensibilizzare contro gli abusi e dal desiderio di raccontare con spontaneità cosa significa vivere con un cane che è condividere le giornate, e a volte le nottate, con un peloso a quattro zampe capace di strappare tanto amore dai nostri cuori.
La pet-love-therapy, di cui la voce narrante, la cagnolina Milly, racconta, è cogliere attraverso un'esperienza di condivisione quotidiana il profondo senso dell'amare per salvarlo dalle brutture della vita.
Con questo libro Maria Giovanna Farina ha voluto tradurre in linguaggio umano il pensiero del cane per rivendicarne anche il diritto ad una buona vita.
Il loro amore è eterno, si uniscono a noi e mai più ci abbandonano. Il loro amore sa curare le nostre ferite, è capace di far ritornare il desiderio di amare nonostante le delusioni, i tradimenti e le prevaricazioni che alcuni umani ci hanno inferto.
Anche se lo scritto è una finzione letteraria, i cani non possono scrivere e pensare come noi, in ciò che state per leggere vive il vero intimo sentire della piccola Milly, l'autrice ha solo tradotto ciò che ogni giorno lei le trasmette, ha interpretato attraverso parole umane, sorrette da una logica umana, ciò che direbbe se potesse parlare.
Torna Marco Vincenti con le sue scoppiettanti indagini, condotte insieme agli amici di sempre, Piero e Andrea; il trio è impegnato, questa volta, in un cold case che coinvolge un morto, uno scomparso e un furto di gioielli.
LA VILLA. Il murato vivo
di Maurizio Castellani
167 pp
13.50 euro
La location è ancora una volta Casciana Terme, in cui il nostro Marco gestisce un albergo, aiutato dalla compagna Grazia.
È la mattina del 21 marzo quando l'ex-geometra viene a conoscenza, grazie agli informatissimi Andrea e Piero, del ritrovamento del cadavere all'interno di una prestigiosa e antica villa, appartenuta a una famiglia nobile.
Questo inquietante ritrovamento si collega ad una serie di strani accadimenti risalenti al lontano 1958, quando, proprio nella suddetta villa, ci fu un furto di preziosi, unito alla scomparsa misteriosa e del capomastro (cui erano affidati lavori di ristrutturazione della dimora) e del figlio della marchesa, proprietaria della villa stessa.
Che il cadavere appartenga proprio al capomastro di cui si sono perse le tracce tanti anni prima? L'uomo era forse coinvolto nel famoso furto? E se sì, in che modo? Il fatto che da quel lontano marzo '58 anche il marchesino sia sparito anch'egli, come si collega con l'irreperibilità del capomastro e la rapina?
A tutte queste domande Marchino è intenzionato a rispondere, quindi le indagini partono immediatamente.
A supportarlo ci sono loro, i compagni d'avventura, allegri, chiacchieroni, eterni peter pan sempre spensierati, desiderosi di ridere e scherzare, pronti a sfottersi amichevolmente, e soprattutto ad aiutarsi quando ce n'è bisogno.
Il contributo dei due amici buontemponi viaggia sull'onda dell'entusiasmo e dell'euforia, mentre la razionalità è prerogativa soprattutto di Marco, che ha la lucidità per riflettere su ogni dettaglio delle informazioni raccolte, così da costruirsi gradualmente un quadro della situazione che tenga conto di tanti fattori e particolari.
Si scoprirà, ad es., che dal 1958 la famiglia del capomastro ha ricevuto costantemente un assegno mensile da un donatore anonimo...
E un alone di mistero aleggia anche sulla figura enigmatica della defunta nobildonna: e se fosse attivamente coinvolta anche lei nella sparizione dei gioielli?
Mentre le indagini personali di Marco & Co. vanno avanti, la vita sentimentale del primo affronta qualche attimo di confusione a motivo del nuovo comandante della stazione dei carabinieri, una bellissima donna veneta, Chiara Bressan, che sembra mostrare un certo interesse per Marco...
E se così dovesse essere e quella gelosona di Grazia lo dovesse scoprire, per il nostro albergatore sarebbero guai seri...
Menomale che a tenerla impegnata c'è il lavoro in albergo, che occupa tanto Grazia quanto Marco, il quale in questi giorni sta facendo la conoscenza di un prete, un buon uomo che è stato per anni in Africa in missione.
Intanto, per non perdere le buone abitudini, i tre amiconi approfittano di ogni occasione disponibile per fare colazione, prendere aperitivi o pranzare e cenare insieme, condividendo del cibo gustoso annaffiato dal buon vino, tutto rigorosamente toscano.
La ricerca della verità, a un certo punto, prende una strada più avventurosa, in quanto i tre compari saranno pronti a ispezionare la villa di notte per trovare degli indizi importanti che conducano alla soluzione del caso.
E tanta tenacia, tanto impegno e tutti i ragionamenti fatti, meritano l'unico premio desiderato: la verità.
Anche questo giallo "made in Toscana" di Maurizio Castellani costituisce una lettura molto piacevole di quelle che mettono il buon umore perchè ad ogni pagina si respira un'atmosfera gioviale, simpatica, piena di ironia, che ci fa sorridere in quanto i personaggi principali sono allegri, buontemponi, con la battuta spiritosa sempre pronta, si prendono in giro ma con affetto, sono spontanei nel loro essere curiosi e desiderosi di vestire i panni di investigatori in maniera chiassosa e spumeggiante.
Leggere i libri di questo scrittore per me è come fare un piacevole ritorno in Toscana, in un luogo ormai familiare, soggiornare qualche giorno "da zia Maria" (l'albergo di Marco), rivedere il proprietario, la sua Grazia bella e vivace, e Andrea e Piero, sempre in vena di fare battute (meglio se con lo stomaco pieno) è un po' come sentire di aver ritrovato dei vecchi amici, la cui compagnia è ogni volta spassosa; l'elemento giallo è intrigante al punto giusto.
Ringrazio l'Autore, che gentilmente mi ha inviato una copia prima di Natale, e ne consiglio la lettura a quanti cercano libri spensierati e gradevoli.
Buon pomeriggio!
Oggi vi presento due pubblicazioni in uscita che hanno catturato la mia attenzione.
È da oggi in libreria:
TERESA DEGLI ORACOLI
di Arianna Cecconi
Ed. Felitrinelli 208 pp 16 euro USCITA 9 GENNAIO 2020
Teresa custodisce da sempre un segreto di cui è ormai l’unica depositaria.
È vecchia, ostinata, e quando intuisce che la sua mente e la sua memoria si sono fatte labili, decide di non mettere a repentaglio ciò che ha tenuto nascosto per una vita intera.
Così una sera si sdraia nel letto e non si alza più: per dieci anni, “zitta e immobile, fissava quello che gli altri chiamavano vuoto e che lei aveva imparato a interpretare”.
La sua famiglia però, ostinata, porta il letto al centro del salotto e dell’esuberante vita della casa, che è tutta al femminile: oltre a Teresa, ci sono le figlie, Irene e Flora, la cugina Rusì, la badante peruviana Pilar e Nina, la nipote.
È lei a raccontare la loro storia, che inizia nel momento in cui la nonna si sta spegnendo e le cinque donne le si stringono intorno per vegliarla.
Prima di andarsene, Teresa regala loro quattro oracoli – uno portato dal vento (come quello che indicò a Ulisse la via del ritorno), uno scritto sulla sua pelle (come la tradizione tramanda sia avvenuto a Epimenide), uno fatto di nebbia e di poesia (come al cospetto della Pizia di Delfi), uno che diventa fulmine (secondo la tradizione della Sibilla Eritrea)...
Sono oracoli che sciolgono il nodo che blocca le loro esistenze, liberandole dalle paure, dal senso di colpa, dal passato, dall’incapacità di affacciarsi sul proprio futuro. E, liberando le loro esistenze, Teresa libera finalmente se stessa.
Soltanto un’antropologa come Arianna Cecconi, che studia i sogni notturni e le pratiche rituali, poteva raccontare questa storia di cose invisibili e oracoli casalinghi, con la sua scrittura e il suo immaginario al contempo realistici e magici.
Esce il 16 gennaio il potente e doloroso romanzo d’esordio della scrittrice singaporiana Jing Jing Lee, che attinge alla sua storia familiare raccontando la memoria dolorosa e a lungo taciuta di una generazione di donne alle quali per decenni è stata negata l’esistenza, le “donne di conforto”, una pagina di storia che troppo a lungo è stata confinata all’oblio.
STORIA DELLA NOSTRA SCOMPARSA
di Jing Jing Lee
Fazi Editore trad. S.Tummolini 419 pp 17 euro USCITA 16 GENNAIO 2020
Wang Di ha soltanto sedici anni quando viene portata via con la forza dal suo villaggio e dalla sua famiglia.
È poco più che una bambina.
Siamo nel 1942 e le truppe giapponesi hanno invaso Singapore: l’unica soluzione per tenere al sicuro le giovani donne è farle sposare il più presto possibile o farle travestire da uomini.
Ma non sempre basta. Wang Di viene strappata all’abbraccio del padre e condotta insieme ad altre coetanee in una comfort house, dove viene ridotta a schiava sessuale dei militari giapponesi.
Ha inizio così la sua lenta e radicale scomparsa: la disumanizzazione provocata dalle crudeltà subite da parte dei soldati, l’identificazione con il suo nuovo nome giapponese, il senso di vergogna che non l’abbandonerà mai.
Quanto è alto il costo della sopravvivenza?
Sessant’anni più tardi, nella Singapore di oggi, la vita dell’ormai anziana Wang Di s’incrocia con quella di Kevin, un timido tredicenne determinato a scoprire la verità sulla sua famiglia dopo la sconvolgente confessione della nonna sul letto di morte. È lui l’unico testimone di quell’estremo, disperato grido d’aiuto, e forse Wang Di lo può aiutare a far luce sulle sue origini. L’incontro fra la donna e il ragazzino è l’incontro fra due solitudini, due segreti inconfessabili, due lunghissimi silenzi che insieme riescono finalmente a trovare una voce.
Ritanna Armeni ci racconta il coraggio, il patriottismo e la forza morale delle "streghe della notte", le donne del 588° Reggimento dell'Armata Rossa che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, portarono scompiglio nei cieli del Caucaso e diedero filo da torcere agli aerei tedeschi della Wermacht. Attraverso la testimonianza dell’ultima strega ancora in vita, ci è possibile leggere e conoscere la loro incredibile storia.
UNA DONNA PUÒ TUTTO. 1941: volano le Streghe della notte di Ritanna Armeni
Ed. Ponte alle grazie
233 pp
"Possibile siano donne? Così brave, abili, precise, spietate? Così incuranti del pericolo? Arrivano la notte all'improvviso, seminano il terrore e poi toccano di nuovo il cielo. Misteriose, sfuggenti, inafferrabili. Sembrano streghe. Nachthexen, streghe della notte".
Sono state battezzate "Streghe della notte".
Nel 1941, un gruppo di ragazze sovietiche, guidate dalla celebre aviatrice e militare Marina Raskova, riesce a conquistare un ruolo di primo piano nella battaglia contro il Terzo Reich.
Sono giovani donne che durante la guerra, su biplani piccoli e fragili, aggredivano i tedeschi col favore delle tenebre, ottenendo notevoli e positivi risultati a vantaggio dell'Unione Sovietica, il loro amato Paese per il quale erano disposte a morire.
L'Autrice, in compagnia di una collaboratrice, vola in Russia per saperne di più e riesce ad incontrare nientemeno che l'ultima delle streghe, Irina Rakobolskaya, ormai ultranovantenne ma con una memoria di ferro, lucida, ordinata e meticolosa nella narrazione degli eventi vissuti tanti anni prima, di cui serba ricordi fervidi e vividi.
Il confronto con il racconto appassionato di questa testimone apre gli occhi dell'Autrice su un'altra faccia del volto femminile della guerra al quale finora non aveva pensato: non tutte le donne sono state (soltanto) vittime di disastri (materiali e non), non tutte si sono arrese alla sofferenza e alla miseria; alcune hanno deciso di non subire la Storia ma di parteciparvi, facendo del conflitto bellico "un'occasione di emancipazione, avevano colto (...) l'opportunità di allargare la propria sfera di libertà".
Nonostante il socialismo russo - dopo la rivoluzione del 1917 - avesse già sancito la parità tra uomo e donna, le streghe della notte aveva preteso "la parità tragica e feroce delle bombe e della morte", e per ottenere una tale conquista non hanno esitato a sacrificarsi.
Nelle parole infervorate di una Irina i cui ricordi non si sono sbiaditi, l'Autrice sente forti i valori della patria, della disciplina militare, della vittoria; nella voce dell'anziana eroina russa c'è la saggezza, la rabbia, il dolore per le amiche perdute in volo, c'è il forte senso di amicizia con le colleghe, e c'è anche una dose di ironia che, non di rado, accompagna il racconto di quei fatti ormai lontani nel tempo.
Il 588° reggimento era composto da sole donne, che hanno dovuto stringere i denti e sollevare fieramente il capo davanti agli scherni ripetuti, al sarcasmo e all'ostilità palese dei colleghi uomini, che vedevano di mal occhio la presenza di queste minute donnicciole convinte (secondo questi maschietti) che andare in guerra e volare in aeroplano fosse un gioco.
Eppure, questo gruppo di amiche aviatrici ha saputo ingoiare lacrime e umiliazioni pur di dimostrare fermezza nella propria decisione di dare il proprio contributo alla causa bellica, consapevoli di come questo potesse anche significare dare la propria vita per la madrepatria.
La loro battaglia, prima ancora di svolgersi in cielo e di alzarsi in volo, prende avvio nei corridoi del Cremlino, prosegue nei duri mesi di addestramento, esplode nei cieli del Caucaso, si conclude con l’ostinata riproposizione di una memoria che la Storia al maschile vorrebbe cancellare.
A ben guardare, il primo vero nemico da sconfiggere non è stato il tedesco, bensì i maschi russi, con i loro pregiudizi, la diffidenza, i risolini di scherno, la scarsa considerazione e, infine - cosa ancor più triste - l'intenzionale oblio in cui vorrebbero confinarle.
E proprio contro questo oblio scrive Ritanna Armeni, interpellando l'ultima eroica strega, Irina, la vice comandante del 588° reggimento, che a sua volta ci presenta l’eroina nazionale Marina Raskova, la quale, con la sua audacia e fierezza, ha saputo convincere Stalin in persona a costituire i reggimenti di sole aviatrici.
E poi ci parla del freddo, della paura, del coraggio e perfino dell’amore che c'erano dietro i 23.000 voli e le 1100 notti di combattimento.
"Nell’inferno del fronte sud, pronte a morire, c’erano donne che erano poco più che bambine, che si sentivano smarrite e, tuttavia, andavano avanti. Non dobbiamo dimenticarlo. È questo che rende straordinaria la loro avventura."
Un resoconto piacevole e fluido da leggere come un romanzo, ma che romanzo non è perché racconta di vicende e di persone realmente esistite e che hanno saputo lasciare la propria importante e ammirevole impronta nella Storia, e lo hanno fatto andando contro chiunque avrebbe voluto relegarle al focolare domestico - la guerra è un affare per soli uomini!! - o tutt'al più al lavoro nelle fabbriche (per sostituire gli uomini al fronte), ma queste eroine non hanno chinato il capo passivamente e per la loro intraprendenza e risolutezza,meritano di essere ricordate e rispettate. Sono contenta di aver letto questo libro e di aver colmato una mia lacuna storica: non sapevo nulla di queste streghe della notte ed è stato bello conoscerle e poterle ammirare in tutto il loro entusiasmo, abnegazione, amore per la patria, resilienza e forza d'animo. Un libro adatto in particolare a quanti amano la Storia contemporanea e le storie vere di donne che, pur con tutte le loro naturali fragilità, hanno saputo affrontarle e superarle dando prova di un temperamento forte, deciso e capace di atti eroici.
Connor O'Malley è un ragazzino di 12 anni, che ogni si rifugia in un mondo popolato da creature straordinarie per sfuggire alla triste realtà della propria situazione quotidiana e cercando di superare le fobie di cui è vittima.
7 MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE
Regista: Juan Antonio Bayona
Cast: Liam Neeson, Sigourney Weaver, Felicity Jones, Lewis MacDougall, Toby Kebbell, Geraldine Chaplin.
La notte, con il suo buio e il suo silenzio, è il momento più favorevole perché, nella testolina dei bambini (pure degli adulti, va'...) proliferino creature fantastiche, sogni ad occhi aperti, realtà alternative che concedano un attimo di tregua e respiro da una quotidianità che, spesso, è piatta o triste o addirittura soffocante.
È ciò che succede a Connor, un dodicenne solitario, che soffre per la situazione famigliare difficile che è costretto a vivere: i suoi genitori sono separati, lui vede suo padre non troppo spesso (l'uomo si è rifatto una famiglia e vive in un'altra città), sua madre è malata di cancro e, nonostante lei si stia curando, Connor - che è un ragazzino intelligente, sensibile e attento - sente che qualcosa non sta andando bene...., ma allo stesso tempo cerca di mostrarsi fiducioso e di credere con tutto se stesso che sua madre possa migliorare.
E poi, se la mamma comincerà a sentirsi meglio, è probabile che la nonna (materna) se ne torni a casa sua e smetta di rompere le scatole, di intromettersi, comandare e mettere regole e divieti, trattando il nipote come un bambino capriccioso e una presenza ingombrante.
Alla complessa e dolorosa vita di famiglia, si accosta quella a scuola: Connor non ha amici, se ne sta sempre solo in un angolo o nel proprio banco...; sembra invisibile agli occhi degli altri (tranne che per i professori che, quando lo vedono distratto o cupo, si preoccupano quanto meno di chiedergli se è tutto ok), nessuno gli dà retta, eccezion fatta per tre ragazzetti prepotenti, comandati dal classico bullo cinico e manesco, da cui il povero Connor rimedia ogni giorno insulti, umiliazioni e botte.
Insomma, le cose per Connor O'Malley non procedono alla grande e lui ha le sue ragioni per essere triste e afflitto.
A dargli ore di svago e distrazione ci pensa la fantasia: quella ne ha da vendere e si manifesta in particolare nei suoi schizzi; il ragazzino, infatti, ha un talento artistico, ereditato da sua madre, che gli ha insegnato ad amare il disegno, grazie al quale creare delle creature fantastiche che, per quanto fatte solo "di carta", a lui paiono reali, gli fanno compagnia e lo aiutano a sfuggire alla solitudine della sua giovane esistenza.
Ma una notte accade l'impensabile: un mostro gigantesco, alto 12 metri, viene fuori da un vecchio e imponente albero (un tasso) esattamente sette minuti dopo la mezzanotte: è fatto di grossi rami intrecciati, ha gli occhi infuocati, una voce potente e Connor ne è terrorizzato inizialmente.
Ma il gigante se ne infischia dei suoi timori e decide di condividere col giovanotto tre storie, con tre protagonisti differenti (un giovane principe buono e amato, con una madre che tutti considerano una strega cattiva; un semplicista amato per le sue doti di guaritore, che però deve fare i conti con l'ostilità di un curato, il quale si rivolgerà all'altro per chiedergli aiuto quando sarà troppo tardi; un uomo invisibile, che un giorno si stanca di essere considerato tale...), ognuno dei quali ha un riferimento alla situazione personale di Connor.
Il mostro dice a quest'ultimo che, al termine delle tre storie, a Connor spetterà il compito di raccontare la quarta, cioè la propria storia, quella che il ragazzino custodisce dentro di sé e si guarda bene dal far conoscere agli altri. Perché prova paura, vergogna, senso di colpa, impotenza.
Benché Connor ripeta al mostro di non essere interessato alle sue storie fantastiche, in realtà egli le aspetta con impazienza, essendo quelli gli unici momenti in cui riesce a mettere da parte la malattia terminale della madre, la severità della nonna, la distanza emotiva e geografica del padre e il bullismo di cui è vittima a scuola. Certo, il ragazzino sente montare l'ansia dentro di sé al pensiero della quarta storia, quella "sua", che deve narrare lui e nella quale dovrà dire la verità: quello che davvero si cela nel suo cuore, i suoi desideri inconfessabili, le sue paure più profonde, l'incubo più ricorrente. Solo così, guardando in faccia quella parte di sé di cui ha vergogna e paura insieme, potrà affrontare ciò che lo spaventa e lo fa soffrire, e provare a far pace con i suoi personali mostri, che forse tanto mostruosi potrebbero non essere...
Solitamente snobbo i film per bambini/ragazzi, pensando erroneamente che siano poco interessanti per me, che ormai di bambino ho solo il pascoliano fanciullo musico che ancora sopravvive, testardo, nel mio cuore. Ma sono contenta di aver bypassato sciocchi pregiudizi e di aver guardato questo film che unisce magistralmente fantasy e dramma famigliare; mi sono sentita coinvolta davvero tanto a livello emotivo, mi sono sentita anche un po' bambina, perché in fondo certe piccole fobie infantili non ti lasciano mai del tutto e viene spontaneo solidarizzare con il dodicenne protagonista; ho trovato le tre storie del gigante molto profonde e ricche di significato e mi sono commossa quando è arrivato il turno di Connor - troppo giovane peressere un uomo e troppo grande per essere un bambino-, perché comunque si intuisce di cosa avrebbe "parlato" la quarta storia, quale suo incubo avrebbe espresso. Purtroppo la vita non tiene conto di quanti anni hai per servirti esperienze amare, e Connor deve fare i conti con la realtà che "gli esseri umani sono bestie complicate. Credono alle bugie consolatorie pur conoscendo la realtà dolorosa che le ha rese necessarie". Dovrà accettare il proprio dolore e dare un nome al proprio incubo: "Desideravi solo la fine del dolore. Del tuo dolore. È il desiderio più umano che ci sia", e nessuno potrebbe mai condannarlo perché in cuor suo vorrebbe solo mettere fine alle sofferenze, sue e dell'amata mamma. Deve smetterla di pensare di meritare punizioni per i suoi pensieri, perché alla fine "Non è importante ciò che pensi. La cosa importante è quello che fai". Un film da vedere, commovente (immagino che non pochi lo potrebbero trovare fin troppo sentimentale), con un bel messaggio, trasmesso in modo efficace edemozionante.