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sabato 30 aprile 2022

** RECENSIONE ** I MEDICI. UNA DINASTIA AL POTERE di Matteo Strukul



È il primo libro della saga sulla famiglia fiorentina, la più potente del Rinascimento. 
E proprio in virtù della loro influenza ed importanza, come non mancano i sostenitori, così non mancano gli oppositori.
Tra molte traversie, intrighi e colpi di scena, i fratelli Lorenzo e Cosimo de' Medici dovranno vedersela con chi vuole a tutti i costi liberarsi di loro per poter governare sulla bellissima Firenze.


I MEDICI. UNA DINASTIA AL POTERE
di Matteo Strukul


Ed. Newton Compton
384 pp
È il 1429 quando Firenze vede spegnersi Giovanni de' Medici.
I suoi figli, Cosimo e Lorenzo, si ritrovano privati della solida guida paterna ma ancora esortati dai saggi consigli della loro amata madre, Piccarda, che con amore e fierezza parla al cuore dei suoi figli e delle nuore, incoraggiandoli a continuare a portare in alto il nome della famiglia, amando Firenze e lavorando perché in essa regnino sempre la pace e la bellezza.

Giovanni era stato un uomo potente, che aveva costruito un autentico impero finanziario, e inevitabilmente si era fatto molti nemici negli anni; del resto, Firenze era magnifica ma anche un covo di serpi e traditori, tra i quali spiccavano in particolare
Rinaldo degli Albizzi e Palla Strozzi, esponenti delle più potenti famiglie fiorentine. 

"Firenze è come uno stallone selvaggio: magnifico ma bisognoso di essere domato"

...dice Piccarda al figlio Cosimo, mettendolo in guardia perché sul suo cammino troverà più nemici e uomini spregiudicati che amici sinceri disposti ad aiutarlo.

Ma i due fratelli non sono degli sciocchi o degli sprovveduti e, con scaltrezza, intelligenza, temerarietà e intraprendenza sanno cosa fare per conquistare più potere politico ed economico, rafforzando la propria posizione grazie agli affari, alle banche e al grande amore per l'arte e la cultura, cercando di guadagnarsi anche la devozione e il rispetto del popolo. 

E mentre Cosimo si assicura che il grande Brunelleschi prosegua con la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore, gli avversari di sempre continuano a tessere le loro trame. 

Il già citato Rinaldo è tra i più ostili e determinati nel voler cacciare i Medici da Firenze per impadronirsi della città, anche a costo di scatenare una guerra interna e versare il sangue dei fiorentini.
Ma prima che questo avvenga, riesce comunque a ottenere l'allontanamento di Cosimo, che viene accusato di tradimento verso la città di Firenze.
Nonostante Rinaldo speri nella condanna a morte, la pena che viene comminata a Cosimo è l'esilio, durante il quale però questi non si lascia scoraggiare e, anche da lontano, sa come continuare i suoi affari economici e politici, creando le condizioni per alleanze con Venezia e con Ludovico Sforza, dai quali ottenere aiuti al momento opportuno.

A tramare contro la potente famiglia fiorentina non sono solo uomini avidi di potere, ma anche una donna, tanto bella e sensuale, quanto piena di livore e desiderio di vendetta: Laura Ricci, una ragazza con un passato contrassegnato da violenze e abusi che, crescendo, ha sfruttato la propria avvenenza e il proprio fascino maledetto per sedurre gli uomini e manipolarli, ricavandone sempre qualche beneficio per sè.
In particolare, è la favorita di Rinaldo, che stravede per la donna e con lei condivide l'odio per i due fratelli di Firenze.
Laura è convinta di avere della valide ragioni per volere la morte dei maschi della famiglia de' Medici, e ad aiutarla nei suoi perfidi propositi c'è un mercenario svizzero, grosso e forte, di nome Schwartz, che con un'arma in mano è capace di uccidere molti uomini senza troppo sforzo.

Nell'arco di più di dieci anni (1429-1440, con un salto nel 1453, nell'ultimo capitolo) Cosimo dovrà sfuggire a cospirazioni, alla guerra contro Lucca, dovrà vedersela pure con la peste, passare periodi lontano dalla propria famiglia - dal fratello Lorenzo, dall'amatissima moglie Contessina, dai figli... - ma non smetterà mai di lottare per riappropriarsi della posizione di prestigio che la sua famiglia ormai s'è guadagnata e che tanto lustro ha portato a Firenze.

Questo romanzo narra l'inizio dell'ascesa alla Signoria fiorentina della famiglia più influente del Rinascimento, e di come essa si sia mossa all'interno di un vortice di intrighi; leggiamo di omicidi, battaglie sanguinose, tradimenti, alleanze, giochi di palazzo e colpi di scena che vedono agire aristocratici senza scrupoli e desiderosi solo di tiranneggiare, capitani di ventura e sanguinari mercenari, fatali avvelenatrici.

I romanzi storici li leggo sempre molto volentieri e il Rinascimento è un periodo che mi piace molto perché caratterizzato dal rifiorire delle lettere, delle arti, della scienza e della cultura in generale; inoltre mi hanno sempre incuriosito ed affascinato le storie di queste famiglie così importanti, con i loro "intrallazzi" per conquistare/mantenere il potere, le alleanze, i matrimoni, le pugnalate alle spalle, gli intrighi, ma anche il loro accogliere, proteggere e finanziare artisti, letterati, scultori ecc..., contribuendo così a dare splendore e magnificenza al proprio casato e, di riflesso, alle città da esse governate.

Ho nutrito simpatia per i due fratelli, Lorenzo e Cosimo, per il loro rapporto così stretto e pieno d'affetto e stima; lo stesso vale per il legame fortissimo tra Cosimo e sua moglie, la dolce e saggia Contessina.

Adattissimo a chi ama il genere, il periodo di riferimento e una trama densa di avvenimenti, battaglie e giochi di potere.

giovedì 28 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] ☆☆ LE PICCOLE LIBERTÀ di Lorenza Gentile ☆☆



Quando Oliva riceve un biglietto inaspettato dall'amata zia Vivienne, sparita da 16 anni, un brivido di eccitazione l'attraversa. Proprio lei, che dentro di sé sente un vuoto incolmabile, che vive in una bolla di infelicità e rassegnazione di cui le persone attorno a lei non si accorgono, si sente attratta dall'idea di raggiungere quella zia (la sua preferita ma, in verità, anche l'unica) eccentrica ed anticonformista, l'unico essere umano con cui riesce ad essere se stessa.
Una volta a Parigi, Oliva si ritroverà davanti ad una scelta importantissima e decisiva: tornare indietro, a un destino che sembra già deciso da altri per lei, o scrivere un nuovo capitolo della propria esistenza.



LE PICCOLE LIBERTÀ
di Lorenza Gentile


Ed. Feltrinelli

Trent'anni, un lavoro (precario, ma con margini di carriera) nel settore marketing di un'azienda che vende barrette energetiche, un fidanzato (Bernardo) che rasenta la perfezione, due genitori amorevoli, anche se irrimediabilmente tristi.
Tristi perché nella famiglia di Oliva c'è una tragedia, un lutto che ha lasciato una voragine di dolore, una ferita profonda mai ricucita: la morte prematura del fratello, quand'era ancora piccolo.
Un dolore da cui, in casa, non ci si è mai ripresi e che, in qualche modo, Oliva sente che ha condizionato la vita di tutti loro.

Oliva è abituata a vivere come se indossasse sempre una maschera, abiti che non le appartengono, sorrisi educati e di circostanza, e tutto per apparire perfetta, serena, appagata per il tipo di vita che conduce.
È prossima a convolare a nozze, ma una vocina dentro di lei le sussurra che non sono proprio "giuste nozze".
Per carità, lei è innamorata di Bernardo, il bell'avvocato vestito sempre in modo impeccabile, cortese, pacato, colto: il partito che piace alla mamma, sempre in fissa per la moda e per il rigido abbinamento di colori e capi.

Mentre mangia di nascosto snack orientali e si diverte a fingersi Rossella O’Hara quando è certa di non essere vista, Oliva sente che quella che sta vivendo non è la sua vita, nel senso che non è quella che lei sceglierebbe per sé, se potesse.
Oliva avrebbe voluto provare a far teatro, ad es., passione alla quale ha rinunciato per iscriversi a Legge, su incoraggiamento del padre, con cui condivide la mania di risolvere sudoku.

Di Oliva nessuno sa che soffre di insonnia e di tachicardia, o che neppure le sedute dalla psicologa Manubrio le stanno servendo granché.
La vita è come il mare, Oliva, e tu devi imparare a tenerti in equilibrio sulla tavola da surf, le ripete la Manubrio.
Facile a dirsi, un po' meno a farsi.

Fino al giorno in cui si vede recapitare in ufficio un biglietto per Parigi.
Ecco un'onda anomala che rischia di travolgerla!
Dopo anni di silenzio, la carismatica e bizzarra zia Vivienne – che le ha trasmesso l’amore per il teatro e per la deliziosa pasticceria francese – le invia un messaggio sibillino (conoscendola, non potrebbe essere diversamente) in cui dice di andare da lei a Parigi perché deve parlarle di questioni urgenti. 

Oliva decide di partire senza rivelare a nessuno (non subito, almeno) la ragione del viaggio.

Non immagina che Vivienne "le darà buca", non presentandosi all’appuntamento al posto convenuto, che la conduce dritta dritta in un luogo magico e meraviglioso, che per lei sarà un punto di riferimento e di svolta.
Ma Oliva tutto questo non può saperlo appena giunta, quando si ritrova a contatto con i giovani membri di una sgangherata comunità bohémienne di aspiranti scrittori, attori, artisti, che vivono allegramente  in una delle più famose librerie parigine, la Shakespeare and Company

Anche lei viene accolta dalla figlia del fondatore e proprietario, George Whitman, e per godere dell'alloggio deve osservare un paio di regolette: aiutare un po’ tra gli scaffali e leggere un libro al giorno. 

E così, una perplessa ma affascinata Oliva si interfaccia con un mondo per lei nuovo, caratterizzato dalla più assoluta libertà: di azione e pensiero, libertà di sognare, di scegliere cosa fare e quando farlo, di frequentare chi si vuole.
Conosce Victor, un ragazzo che ha fatto tanti lavori e ora dichiara di essere un... tumbleweed!
Avete presente quelle sfere fatte di arbusti che rotolano nelle praterie? Ecco, coloro che passano per la libreria, e vi restano per un certo tempo, sono chiamati tumbleweeds, perché rotolano per il mondo sospinti dal vento.

E poi ci sono Julia, Ben, Ocean, Sylvia, Odette, John..., e insieme a loro i tantissimi scrittori e scrittrici che Oliva sentirà citare da questi suoi nuovi strampalati amici.
Gli amici che, forse, mai avrebbe pensato di avere e che non si sognerebbe di presentare né a mamma né a Bernardo, con quel noioso golf color carta da zucchero.

Intanto le ore e i giorni passano e zia Vivienne sembra sfuggirle: quando le dà un nuovo appuntamento, non si presenta, per poi mandare un biglietto di scuse, dicendole che si rivedranno in un'altra occasione.
Mentre la ragazza cerca di capire a che gioco stia giocando, insegue la zia recandosi nei luoghi da lei indicati, e ogni volta c'è qualcosa di bello da vedere, imparare e di cui godere nella romantica e spensierata capitale francese, così piena di fascino, sorprese, attrazioni di ogni genere.

Assieme a Victor e agli altri, Oliva comincia a capire verità importanti e, forse, per certi aspetti anche "banali", eppure per lei sono delle piccole e quotidiane rivelazioni.
Non  c'è un solo modo di stare al mondo e la vita è troppo breve per rinunciare a inseguire le proprie passioni.

"...avere una passione ti fa sentire vivo, ti dà una ragione per stare al mondo, e la mia è essere qui a cercarla. È meglio avere una passione e non sentirsi all’altezza, piuttosto che non averne affatto e vivere una vita piatta.".

Quando i suoi cari scoprono il motivo di quel viaggio e di quel soggiorno a Parigi che si allunga sempre più e inaspettatamente, sono delusi dallo strano comportamento di Oliva, che è sempre stata ligia al dovere, calma e razionale, obbediente e responsabile.

Responsabilità: quali responsabilità ha Oliva e alle quali non può sottrarsi? E soprattutto, verso chi le ha? Non le ha principalmente verso sé stessa, verso la propria idea di felicità e di futuro?

Le responsabilità sono la base della felicità, non fa che ripeterle suo padre.
Ma allora perché finora, malgrado si sia presa sempre le proprie responsabilità, non è mai stata felice?

Oliva realizza che tutto ciò che è stata e che ha fatto, fino a prima di partire per Parigi, non corrispondeva a quello che realmente desiderava per sé stessa.

Ancora non sa di preciso cosa vuol essere o diventare, ma di certo è decisa a scoprirlo.
A volte “...è buona abitudine lasciarsi indietro tutto, per vedere il mondo con occhi nuovi, tornare a casa migliori", perché la felicità non sempre ha a che fare con l’ottenere: forse è arrivato il momento di perdere qualcosa o qualcuno, di "lasciar morire" la "vecchia Oliva", che poco somiglia alla vera Oliva - quella emersa tra le strade e i cafè parigini, nella storica libreria, a contatto con persone fantastiche, anime colorate non soggette a regole e stereotipi, ma libere - e di rinascere.

Sua zia sembra non volersi far trovare, coerente, in fondo, con il suo stile di vita all'insegna dell'indipendenza, inafferrabile e misteriosa: cosa fare? Continuare a rimandare il ritorno a Milano e cercare di incontrare Vivienne o cedere al proprio senso del dovere e tornare a casa? 
Restare fedele a ciò che gli altri si aspettano da lei o a sé stessa?

Questa sorta di vacanza parigina la porterà a conoscere una verità, sulla propria famiglia, che le era stata nascosta; cosa più importante, l'aiuterà a ritrovarsi e a riappropriarsi di tante piccole libertà che le stavano sfuggendo di mano.

“Ci sono piccole libertà che ci cambiano per sempre. Perché tante piccole libertà ne fanno una grande."

Sii come i fenicotteri, Oliva: animali eccezionali, inconsueti, atipici, che simboleggiano il ciclo della morte e della rinascita, come l'araba fenice. Rinascere è essenziale e inevitabile se si vuol dare nuovo slancio alla propria vita.
L'unica vera responsabilità che abbiamo, prima di tutto verso noi stessi, è essere felici.
E, chissà, anche arrivare a provare la folle ebbrezza di rotolare per il mondo come una sfera di arbusti nelle praterie.

"Le piccole libertà" di Lorenza Gentile è stata una bella scoperta, una lettura davvero deliziosa, che mi ha messo, tra le altre cose, una gran voglia di andare a Parigi e fare un salto alla Shakespeare and Company; ho apprezzato tanto i riferimenti letterari, i libri e gli scrittori menzionati (una carrellata interessante, alla quale poter attingere).

Leggero e fresco nello stile, un ritmo agile e molto scorrevole, un'ambientazione magica, vivace, attraente, una protagonista dolce e desiderosa di crescere e cambiare, andando oltre le proprie insicurezze, i personaggi - che le ruotano attorno - sono particolari e spontanei, anch'essi fragili, ciascuno con i propri problemi, ma allo stesso tempo coraggiosi e pieni di vita.
Pur avendo una trama che trasmette molta spensieratezza e una gran voglia di perdersi in una città piena di sorprese, il messaggio che attraversa il libro è profondo: non dobbiamo aver paura di cambiare strada, se quella che stiamo percorrendo non riflette le nostre attitudini, i nostri desideri. C'è sempre il tempo e il modo di aggiustare la rotta, di lasciarci alle spalle ciò che ci blocca e ci rende insoddisfatti, per imboccare nuovi sentieri, opportunità diverse e più stimolanti. Morire e rinascere, in un susseguirsi di tappe che ci vedono crescere, diventare più saggi... e un po' più liberi e felici.

Molto bello, ve lo consiglio. 


CITAZIONI

"Mi sento pietra, mi sento sole, mi sento albero. Per un attimo non so più come mi chiamo e nemmeno voglio saperlo. Mi sembra di fluttuare in una dimensione lontana, senza punti di riferimento."

“... abbiamo la possibilità di morire e rinascere in vita, tante volte quante vogliamo. Spesso ci capita di farlo senza neanche accorgercene: un grande dolore ci uccide e quando torniamo a vivere siamo persone diverse. Siamo persone altre, ma se nessuno intorno è disposto ad accettarlo, se nemmeno noi vogliamo questo cambiamento, ecco che lo soffochiamo e teniamo in vita una forma morta di noi. Ognuno di questi passaggi, invece, ognuna di queste rinascite, ci renderebbe più saggi, più umani.”

"Se esiste un campo elettrico del cuore e noi siamo in grado di captarlo e nessuno riesce a captare il mio è perché l’ho seppellito troppo in profondità sotto la sabbia? Perché voglio sempre che gli altri mi pensino felice?"

"Ogni amico rappresenta un mondo in noi, un mondo che non è ancora apparso finché egli non arriva, ed è solo da questo incontro che nasce un nuovo mondo." (Anaïs Nin.)

"Le regole bisogna trasgredirle, se si vuole sviluppare uno stile personale."

“...molti di noi vivono vite che non sono la loro. Cerchiamo di essere la versione perfetta di noi stessi. In questo caso, il nostro destino quale potrà mai essere, se non quello di qualcun altro?”


martedì 26 aprile 2022

// RECENSIONE \\ MORDI E FUGGI di Alessandro Bertante



Quando pensiamo agli "anni di piombo" è inevitabile che ci passino davanti agli occhi immagini di attentati terroristici, bombe, sequestri..., che hanno contraddistinto gli anni Settanta, quando gruppi eversivi di destra e sinistra hanno messo in atto attentati, stragi e uccisioni per attaccare lo Stato e le sue istituzioni.
Un periodo in cui molti ragazzi hanno scelto di partecipare alla lotta armata d'ispirazione comunista, infatuati dalla convinzione di produrre un cambiamento e di sollevare le masse oppresse dal capitalismo.


MORDI E FUGGI 
di Alessandro Bertante


Ed. Baldini+Castoldi
208 pp
Alberto Boscolo è un giovanotto di vent'anni che studia all'università (alla Statale, Milano); la sua è una famiglia come tante, né troppo ricca né troppo povera.
Ma la carriera universitaria non è il suo destino, perché il suo sogno è di tipo politico e sociale, e il periodo in cui sta crescendo è quello "ideale" per far maturare certi ideali politici.
La "bufera del Sessantotto" aveva reso gli studenti finalmente pronti ad appoggiare le lotte operaie: se gli operai volevano più potere e contare politicamente nelle scelte dello Stato, allora bisognava organizzarsi per marciare con loro, uniti nella stessa battaglia.

È il 1969. Le università vengono occupate da gruppi studenteschi, le strade da cortei e nelle fabbriche scoppiano tensioni. 

"Gli anni Sessanta ci avevano raccontato che potevamo avere tutto, che il mondo stava cambiando e che saremmo stati proprio noi la generazione motore del cambiamento. A quella promessa ci credevamo, eravamo certi che stesse accadendo qualcosa, era nell’aria ed era ovunque ti girassi, potevi sentirla sulla pelle. Dovevamo essere pronti a coglierla, dovevamo stare in strada, la strada sporca e puzzolente, la strada assassina. Cercavamo l’ideale ma cercavamo anche l’avventura e la strada era l’unico luogo dove potessimo trovarla."

Il 12 dicembre accade qualcosa che gli italiani non dimenticheranno più: la strage di piazza Fontana; quelle bombe erano un atto di guerra e non c'è guerra che non preveda l'uso delle armi.

Intanto, deluso dall'inconcludenza del Movimento Studentesco al quale si era unito, l'irrequieto Alberto si avvicina a un altro gruppo che, poco tempo dopo, prenderà contorni sempre più definiti, divenendo a poco a poco il nucleo delle Brigate Rosse. 

Allontanandosi dalla famiglia, dai vecchi compagni e da Anita, la ragazza con cui ha una non meglio definita relazione (di sesso, mista a sentimenti non dichiarati), Alberto partecipa sempre più spesso alle azioni dimostrative, alle rapine a banche e portavalori (a scopo di autofinanziare la propria "rivoluzione") e anche al primo attentato incendiario.

Eppure, l'irrequietezza e l'insoddisfazione non lo mollano: manca qualcosa alla loro lotta. 

La rivoluzione sociale alla quale vuol partecipare in prima linea non deve ridursi a qualcosa di astratto, di idealizzato, ma deve farsi sentire e forte, provocare cambiamenti, e questi non arrivano attraverso manifestazioni e lotte pacifiche, e soprattutto non senza affrontare le resistenze da parte del "nemico".

In particolare, dopo l’assassinio di Pino Pinelli, emerge con più chiarezza come ogni azione rivoluzionaria avrebbe dovuto vedersela con questo nemico, vale a dire con servitori dello Stato implacabili, in grado di condizionare ogni decisione - politica, giudiziaria - anche attraverso mezzi poco trasparenti. Anche lo Stato borghese sa ammazzare, se non con le bombe, dentro gli uffici della questura. E la morte di Pinelli era una dimostrazione di come lo Stato potesse commettere delitti e restare impunito. 
Non ci si può far uccidere senza combattere.

"Io per primo non sarei rimasto a guardare. Se ti ammazzano in questo modo salta ogni codice di comportamento, ogni legge non scritta che regola i rapporti fra gli uomini. Se ti ammazzano in questo modo l’unica risposta è l’odio. Ma l’odio da solo non serve a cambiare le cose, bisogna anche saperlo incanalare nella giusta direzione. "

Alberto sta cambiando dentro, giorno dopo giorno; si rende conto di essersi "incattivito" e che gli eventuali dubbi ed incertezze, che fino a quel momento lo avevano frenato, stavano sparendo.

Se lo Stato è violento, allora lui e i compagni avrebbero risposto nella medesima maniera, con violenza:

"colpire i padroni, i suoi servi fascisti, la borghesia e i suoi aguzzini in uniforme. Io, uno studentame qualsiasi, un aspirante intellettuale piccolo borghese, grazie all’enormità della loro violenza ero diventato un combattente pronto alla lotta. Il campo di battaglia sarebbe stata la metropoli."

Così il gruppo organizza il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens, e lo sottopone al primo processo proletario. 
Si firmano con il loro simbolo (stella a cinque punta inserita in un cerchio) e il nome "Brigate Rosse" comincia a comparire sulle testate giornalistiche e in bocca alla gente, agli operai.

Ecco, gli operai, i lavoratori: era importante che essi sentissero le BR come loro alleate; era fondamentale che ciò che esse teorizzavano nei comunicati poi fosse applicabile nella pratica e che ogni promessa venisse mantenuta. E questo dovevano capirlo anche i padroni, i dirigenti, i capitalisti.

Le Brigate Rosse erano l’avanguardia della rivoluzione in Italia; il loro motto era una celebre massima attribuita a Mao Zedong: 

"Mordi e fuggi.
Niente resterà impunito.
Colpirne uno per educarne cento.
Tutto il potere al popolo."



Volevano aggredire il presente, proporsi come alternativa concreta e reale alla politica rinunciataria dei sindacati.
E per farlo l'unica via era la scelta armata.

Il lettore segue Alberto nella sua vita movimentata, che lo fa crescere in fretta e che lo rende arrabbiato, pieno di rancore, con una tensione emotiva che va crescendo e che lo rende quasi estraneo agli occhi di chi l'ha conosciuto quando era uno studente.

Alberto ha un fuoco dentro, un'urgenza - di essere qualcuno e di agire spinto da ideali - che lo spinge a far qualcosa di forte pur di lasciare un segno per quelli che verranno dopo.

Non si rende conto - o forse non vuole, perché una volta imboccate certe strade, tornare indietro è molto difficile - che il rischio è, come gli dice un amico (che evidentemente ha un pensiero diverso dal suo) che il passo per diventare "peggio dei fascisti" è breve.
Ma Alberto è accecato ed è irriconoscibile.

Far parte delle BR lo cambia: non c'è più posto per lo studente stralunato e gentile che i suoi amici di un tempo avevano accolto a braccia aperte: ora è un'altra persona, come se una forza tanto misteriosa quanto pericolosa si fosse impossessata di lui.

Aveva imboccato la strada della violenza, della rivoluzione armata e, una volta dentro quel percorso, Alberto scopre di non avere nessuno scrupolo morale, nessun "retropensiero borghese"  che potesse frenarlo e indurlo a non commettere un'azione criminale.
Del resto, "quando punti una pistola, sai che prima o poi dovrai sparare."

Cosa riserverà il futuro al giovane Alberto, che a ventidue anni sembra avere sulle spalle molti più anni?
A un certo punto sarà costretto a nascondersi e a interrogarsi sulle proprie scelte.

"Mi chiedevo se potesse esistere una vita senza sogno e senza avventura. Senza un pensiero dominante che costringesse le persone almeno per una volta a fare delle scelte inopportune, a imboccare una strada diversa."

Tra queste pagine Alessandro Bertante ci racconta una vicenda umana che è sì individuale (attraverso il punto di vista del protagonista) ma anche sociale, propria di un periodo storico ben preciso, quella stagione drammatica tristemente nota come "anni di piombo".

La storia narrata è un mix di finzione narrativa e cronaca; personalmente il contesto di riferimento lo trovo interessante e senza dubbio gli eventi in cui il protagonista, Alberto, si ritrova coinvolto in prima linea sono movimentati, avvincenti, avventurosi e in lui c'è una sincera passione politica, una convinta adesione a un'ideologia per lui giusta, grazie alla quale egli vuol lasciare un'impronta nella società.
Seguiamo, quindi, la sua evoluzione, il suo cambiamento, questo passare dall'essere un ragazzo di buona famiglia ad un membro delle BR, pronto a lanciarsi in atti terroristici.
Rimpianti? Pentimenti? Tornerà indietro deluso o impaurito dall'idea di essere individuato e incriminato?

Ho ascoltato la narrazione con sufficiente attenzione, grazie a uno stile di scrittura asciutto, lineare, diretto; forse ciò che mi è mancato è stato il giusto grado di coinvolgimento - a livello empatico - con il giovane protagonista, del quale però emerge tutta l'inquietudine, la fame di cambiare il mondo, di far sì che la classe proletaria di quegli anni si rendesse conto della necessità di insorgere contro i capitalisti e lo Stato - che non va incontro alle esigenze delle gente comune -, e queste sue convinzioni hanno un che di genuino (nonostante tutto la discutibilità delle sue scelte e azionied incosciente insieme.
Alberto sembra davvero convinto di ciò che fa e delle idee in cui crede, ma è pur sempre un ragazzo, e da giovani è facile buttarsi anima e corpo in un progetto rivoluzionario che sarà pure entusiasmante, ma che è altresì molto complesso, pieno di contraddizioni e di certo più grande di quanto lui sia effettivamente in grado di gestire.

Questo romanzo sulle Brigate Rosse non si pone l'obiettivo di dare risposte o giudizi morali ma è comunque in grado di stimolare riflessioni e domande su uno dei periodi più drammatici della recente storia italiana.

Non posso dire che mi abbia travolta (per la ragione suddetta), ma lo consiglio a chi cerca storie inserite in periodi/contesti reali e che narrano fatti di cronaca.

lunedì 25 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] I CURATORI DI SUNBLACK di Nicolò Manuel Bellenzier



In un mondo devastato da una misteriosa e mortale malattia, la Chiesa e la setta dei Curatori sono impegnati, su fronti opposti e ciascuno con i propri metodi e servitori, a salvare l'umanità da questo terribile morbo. Mentre gli infetti aumentano, il giovane protagonista dovrà sfidare molti pericoli e individuare la causa che ha dato origine a tutto per poter fermare il male che avanza.


I CURATORI DI SUNBLACK 
di Nicolò Manuel Bellenzier

goWare Ed.
494 pp
Quando scende la notte a Sunblack, la Città Oscura, non è saggio uscire di casa e avventurarsi per le buie e malsane strade del villaggio.
Il giovane Roj, che vive con sua madre, lo sa bene: è di notte che i malati vengono fuori, in cerca di corpi da azzannare, e finora né il controllo della Chiesa né le azioni dei Curatori son riusciti a debellare il morbo, né a fermarne la diffusione tra gli esseri umani.

L'umanità - o meglio, ciò che di essa resta - sembra abbandonata a sé stessa e il giovane Roj, schivo e solitario, non può più starsene con le mani in mano, barricato in casa con la dolce madre Sophie.
Ha deciso di raggiungere la Magione in cui vive la setta dei Curatori,
adoratori del dio sanguinario Nurasha, e di entrarvi per farne parte. 

Da subito, la sua decisione incontra i primi ostacoli, ma riesce ad arrivare a destinazione e a farsi accettare dal Gran Maestro dei Curatori, non prima di essersi sottoposto a dei terrificanti riti per essere ammesso nella setta.

"...il mondo lo schifava, la vita era un inferno. A volte gli capitava di immaginare come sarebbe cambiato il mondo se fosse riuscito a incastrare la Chiesa nei suoi stessi inganni e a smascherare il vero volto dei Curatori. Da secoli esistevano due poli di potere e la popolazione aveva in un certo senso accettato quella situazione e si era adeguata. Come sarebbero state amministrate le varie isole? Chi avrebbe respinto la minaccia dei malati? Era possibile trovare una vera cura o ogni essere vivente aveva un  destino di morte segnato? E Roj soprattutto si domandava quale fosse il suo posto in quel mondo. 
Non aveva più una famiglia, né una casa, che sperava di trovare nella Magione, si sentiva un viandante su una terra che si affacciava sulla morte."

Alla Magione inizia per lui una nuova esistenza, all'insegna di combattimenti notturni al seguito dei suoi diretti superiori, tra cui spicca la bella e coraggiosa Lucy, che ha il compito di addestrare e controllare i nuovi adepti affinché diventino dei veri Curatori.
Sin dal primo momento, l'adepto Roj stringe amicizia con Christopher e Annabeth; fra i tre ragazzi si instaura un'amicizia, salda e sincera, anche se i due ragazzi sono entrambi attratti dalla compagna, che è tanto bella quanto diretta, impavida e sicura di sé.

Roj e suoi amici ben presto vengono introdotti nella difficile situazione che rende invivibile la vita al villaggio: i malati sono in aumento e sono sempre più aggressivi e pericolosi. Vanno fermati e Sunblack va liberata e dal morbo e da chi ne è infetto, il quale purtroppo va ucciso, visto che da quel male atroce non c'è guarigione.

Roj è un giovane riflessivo, che cerca di capire tutto ciò che accade attorno a sé e di arrivare al cuore degli eventi e delle persone con cui si trova ad interagire; non si limita a chinare il capo, ad ubbidire e a sguainare spade o pugnali: vuol capire chi e perché ha ideato questo morbo e fatto sì che si creasse questa infausta condizione.

E lui è intenzionato a scoprirlo. Certo, ora è nei Curatori ed è chiamato a rispettare il dio Nurasha e tutti i suoi superiori, cui deve obbedienza; ma dentro di sé Roj non si sente un Curatore, e anche se entrare nella oscura setta è stata una sua decisione, qualcosa gli dice che non è quello il suo destino.

Scoprire chi stia dietro gli infetti non è un'impresa facile: è colpa dei Curatori stessi? O della Chiesa?
Una cosa è sicura: dei sacerdoti non ha una buona concezione, in quanto sono maestri nel conservare segreti e nel tramare inganni, anche se poi non tutti sono mossi da fini malvagi e, anzi, Roj avrà modo di conoscere, in particolare, un sacerdote diverso dagli altri, che al momento opportuno gli sarà d'aiuto: Joannis, il sacerdote albino.

Intelligente e razionale, Roj capisce che è il sangue degli infetti ad essere stato contaminato; tutti coloro che si ammalano manifestano i medesimi sintomi: comportamenti aggressivi contraddistinti da un'anomala potenza fisica, cambiamento cromatico negli occhi e nel sangue, che diventa nero ed emana un fetore insopportabile. Col passare degli anni, questi esseri, sempre meno umani, diventano simili a belve feroci.

"Erano dei mostri, ma che differenza c'era tra lui e loro? Li aveva ammazzati come cani, senza mostrare pietà, senza risentimento. Un uomo normale sarebbe stato divorato in pochi secondi; lui no, il sangue infetto lo aveva reso più forte. Roj capì di essere diventato qualcosa di più, una terribile macchina assassina."


Una prova concreta di quanto sia potente quel sangue infetto, Roj e gli altri Curatori ce l'hanno sulla propria pelle, o meglio, nelle proprie vene: per far parte della setta, tutti loro hanno ingoiato quel disgustoso sangue malato, traendone insospettabilmente un vigore mai avuto prima!

Il giovane non si capacita di  come sia possibile questa contraddizione: pur essendo il sangue contaminato, se un Curatore lo beve e viene poi morso o graffiato da un malato, non subisce danni e non contrae l'infezione.
Ma allora che razza di morbo è? È davvero un dannato virus dai poteri oscuri e qualcuno - ma chi? - ha dato il via a questa maledetta epidemia, creata ed estesa intenzionalmente.
Perché? Con quale losco obiettivo?

Roj farà di tutto per rispondere a queste fondamentali domande, andando incontro ad avventure molto pericolose in cui si ritroverà spesso da solo, senza la presenza rassicurante degli amici Annabeth e Cristopher, e quella più riservata ma solida di Lucy, verso la quale il giovane prova dei sentimenti.

A dargli un grosso aiuto nella sua personale missione sarà il ritrovamento di un libro segreto: il diario di un sacerdote. A costo di soffrire atroci torture sul proprio corpo, Roj si addentrerà nei sotterranei di un posto lugubre e raccapricciante dove apprenderà l'identità di coloro che, attraverso rituali magici innominabili, hanno creato qualcosa in grado di modificare il corpo a livello genetico e trasformare un uomo in un animale.

Come se non bastasse la spiazzante scoperta della realtà che si cela dietro il morbo, Roj scopre che tra i Curatori non mancano i traditori.
Non sarà facile, in alcuni momenti si vedrà prossimo alla morte, nella più completa solitudine, ma neppure in quelle situazioni drammatiche ascolterà il consiglio disperato di Joannis:

"Scappa (...), non farti domande, non guardarti indietro. È più grande di te, non puoi sorreggere il peso del male".

La convinzione di voler dare il proprio contributo per salvare le persone del suo villaggio - e non solo - da quella peste malefica e dalla rabbia incontrollata degli infetti, è più forte di qualsiasi paura ed esitazione.


"I Curatori di Sunblack" è un fantasy dalle atmosfere oscure, tenebrose - la notte è il momento migliore per agire e per combattere -, in cui non mancano elementi macabri, spargimenti di sangue e dove il male trova il modo di manifestarsi attraverso le nefandezze di uomini il cui cuore è diventato un pozzo nero privo di sentimenti di pietà, giustizia, compassione.
Ma il protagonista è determinato a combattere per porre fine alla malattia che rende gli uomini delle belve aggressive e a svelare ogni segreto, ogni malvagio piano orchestrato di nascosto, coperto da anni di menzogne, tradimenti e finzioni. 
Grazie a questa missione, Roj avrà modo di crescere e scoprire i propri punti di forza, di testare il proprio coraggio e il sangue freddo; non solo, ma nonostante le lacrime e le perdite (umane, soprattutto) prenderà coscienza di cosa vuol essere e fare nella vita.

Se amate il genere fantasy/distopico, vi consiglio il romanzo di Bellenzier perché ha una storia accattivante, un linguaggio accurato, dialoghi interessanti, descrizioni efficaci di ambienti e situazioni, un buon ritmo narrativo e personaggi (primari e secondari) ben delineati sia nel fisico che caratterialmente. 

sabato 23 aprile 2022

[ 23 APRILE ] ❤ GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL COPYRIGHT ❤



Oggi è la GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL COPYRIGHT.

"Nata" nel 1996, ha lo scopo di promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la tutela del copyright.
In questa giornata, ogni anno, in tutto il mondo si svolgono iniziative per rimarcare l'importanza dei libri; la scelta della data - 23 aprile - è da attribuire al fatto che in questo giorno sono morti diversi autori di spicco, come William Shakespeare, Miguel de Cervantes e Inca Garcilaso de la Vega.
 
(link img)



Difendendo i libri e il diritto d'autore, l'UNESCO difende la creatività, la diversità e la parità di accesso alla conoscenza; il libro crea un ponte tra generazioni, tra il passato e il presente, permette la condivisione di idee e - aspetto importantissimo - è un potente strumento per combattere la povertà e costruire una pace duratura.

Sono tantissimi i Paesi che "festeggiano" questa data e ad essere coinvolte sono ogni anno milioni di persone, raccolte intorno a centinaia di associazioni, scuole, enti pubblici, gruppi professionali e aziende private.


Per celebrare i nostri amatissimi amici di carta (ma anche quelli digitali e audio ^_^), ho pensato di proporvi qualcosa di "leggero" e simpatico, in cui magari potete cimentarvi anche voi: qualche domanda per chi ama leggere (è un mix di due book tag che ho trovato girovagando nel web *) e condividere alcuni dettagli della propria passione.


IL LIBRO CHE TI HA FATTO INNAMORARE DELLA LETTURA

Credo che il merito possa andare soprattutto a Le avventure di Tom Sawyer: un'edizione mini mini, con la copertina in tessuto di colore rosso; ce l'ho gelosamente custodita, ha le pagine ingiallite da far concorrenza a Pagine gialle, ed è tutto spiegazzato. Letto e riletto. Avrò avuto dieci-undici anni la prima volta.


QUALE LIBRO AVRESTI VOLUTO SCRIVERE.

Domandona! Forse (non è il solo, of courseIl Conte di Montecristo.


UN PERSONAGGIO MASCHILE NEGATIVO MA, A SUO MODO, STRAORDINARIO E NECESSARIO.-

Ce n'è più d'uno (tipo Heathcliff), ma ad oggi, e senza pensarci troppo, dico lo spietato ed arrogantissimo Jonathan "Black Jack" Randall (La Straniera).



IL GENERE CHE NON LEGGI MAI.

Mai è una parola forte, perché almeno una volta nella vita ho letto moltissimi generi - non dico tutti, per carità, ma di certo anche i meno graditi, e non posso escludere che mi ricapiti - però, ad istinto, rispondo con quello che è il genere che difficilmente e raramente scelgo non solo al presente, ma ormai da anni: fantascienza
E pensare che, negli anni della scuola media, lo amavo :-D



SE POTESSI ANDARE A BERE UN BICCHIERE CON UN AUTORE, CON CHI ANDRESTI?

Tra i viventi, mi viene in mente subito Luca Bianchini; forse perché sono andata a più di una sua  presentazione ed è molto simpatico e alla mano; tra le donne, dico la Mazzantini e Kate Morton, più che altro per spronarle a scrivere un altro romanzo, visto che è da un po' che non pubblicano qualcosa di nuovo.

Tra i deceduti: la mia scrittrice del cuore, Emily Brontë, anche se - ad essere sincera - non ce la vedo molto a bere né una bionda né un cicchetto; forse un té è più adatto a lei. 


E CON CHI, TRA I PROTAGONISTI DEI LIBRI CHE HAI AMATI DI PIÙ?   

Ehm..., sarà che ne sono reduce da poco, ma vado a sbattere sempre contro La straniera di Diana Gabaldon, per cui direi il mio adoratissimo James Alexander  Malcolm MacKenzie Fraser. E visto che l'attore che lo interpreta nella serie (Sam Heughan) produce del whisky tutto suo, un goccio me lo farei volentieri. 


LEGGI SEMPRE IL LIBRO PRIMA DI GUARDARE IL FILM O LA SERIE TV?

Se posso sì, ma mi è capitato di desiderare di leggere il/i libro/i anche dopo la visione cinematografica/tv, e non mi sono trovata male, là dove già il film mi era piaciuto. È il caso, ad es, di Via col vento, Romanzo Criminale, la succitata La straniera...


IL POSTO MIGLIORE PER LEGGERE

Io mi accontento della sedia della cucina, eh, però anelo a posticini come questi... 

***
**
  






IN QUALE EPOCA E LUOGO "LETTERARI" TI PIACEREBBE VIVERE?

Eh, dopo aver guardato Outlander e aver letto il primo volume della serie, non posso che scegliere la seconda metà dell'Ottocento in Scozia *________*


Inverness
(source)




SE DOVESSI SCEGLIERE UN SOLO GENERE LETTERARIO PER TUTTO IL RESTO DELLA TUA VITA, QUALE SCEGLIERESTI?

Eh, scelta durissima, ma - dopo una bella lotta tra gialli, thriller, romanzi storici, classici e tutti quei libri che vanno ad inserirsi in una generica narrativa contemporanea - credo mi terrei i thriller psicologici. L'adrenalina è fondamentale.



Fonti:

https://www.unesco.it/
https://theshelfofunreadbooks.wordpress.com/     *
https://mdympna.wordpress.com/    *

https://pin.it/3mfq3J2   **
https://pin.it/2PBFiHg   ***

giovedì 21 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] ★★ QUEL MALEDETTO VRONSKIJ di Claudio Piersanti ★★

 

Giovanni viene lasciato da sua moglie di punto in bianco ma, al di là dei dubbi, dei sospetti e delle mille domande che lo tormentano notte e giorno sui perché di questo abbandono, egli resta teneramente testardo e profondamente innamorato, e l'amore forte e sincero per la sua compagna di vita conquista il lettore per la tenacia, la dolcezza e l'autenticità.


QUEL MALEDETTO VRONSKIJ 
di Claudio Piersanti



Rizzoli
240 pp
"La felicità è leggerezza, è una cosa sottile, che se la chiami con il suo nome scompare. Dev’essere inconsapevole e senza sforzo. I suoi pensieri erano aggrappati a un concetto semplice e chiaro: che vita felice era stata la sua. Più bella di quella di un re."

Giovanni e Giulia sono una coppia affiatata e ancora molto innamorata dopo ventisei anni di matrimonio e una figlia (Lisa, che vive all'estero e che i genitori chiamano affettuosamente "la Piccola").

Lui, dopo essere stato licenziato come caporeparto in una storica azienda editoriale, si è rimesso in gioco come tipografo.
Lo conoscono tutti come un uomo gentile, sempre col sorriso stampato in faccia, che - Giovanni né è consapevole - spesso è più "di circostanza" che sincero.
Ma tant'è, e Giovanni è lontano dall'essere perfetto, nonostante sia un abitudinario amante dell'ordine e abbia in antipatia la sciatteria di ogni genere, compresa quella di chi scrive senza avvedersi degli errori che fa e, quindi, senza correggerli.
A memoria di questo suo "odio"verso gli errori c'è una scritta in tipografia, in bella vista: UN'ASINO, che fa da promemoria per ricordare che no, non è detto che gli errori arricchiscano, tutt'altro.

"gli errori dicono sempre la verità, dichiarano la tua ignoranza ma anche la tua disperazione."

Ma Giovanni è sereno e felice: ormai, dopo cinque anni dal licenziamento immotivato, è soddisfatto del proprio lavoro, ha una moglie meravigliosa accanto e pochi ma sinceri amici, come il caro e loquace Gino (sempre pronto a raccontargli dei quotidiani litigi con la bella moglie Nina) e Bruna, montanara spilungona e di poche parole (però quando parla, va dritta al sodo),sempre presente per Giovanni, che poi è suo cugino.

Certo, l'ombra della malattia e la paura della morte incupiscono spesso l'umore di Giulia, che tempo prima ha affrontato operazioni e cure per un brutto male, ma la coppia vive ogni giorno come un dono ed è felice per ogni piccolo gesto quotidiano: fare colazione insieme e senza fretta, scambiarsi un bacio volante prima di andare al lavoro e un altro più lungo la sera, quando lui torna dalla tipografia con le dita sporche d’inchiostro; stare abbracciati in giardino, tra i fiori che lei cura e innaffia con tanto amore e costanza. 

Si conoscono troppo bene, ormai, e ognuno scorge nel volto o nei silenzi dell'altro anche i più piccoli segnali di preoccupazione.
Eppure, nonostante sia un tipo precisino e metodico, l'errore scappa anche al buon Giovanni.
Semplicemente e senza che lui potesse prevederlo, accade che in un giorno come gli altri Giulia esca di casa con la valigia per andarsene e non farvi ritorno.
Dove, Giovanni non lo sa.
Perché? 

“Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare.” 

Queste le uniche parole di Giulia, prima di scomparire nel nulla e scritte su una busta. 
Il marito Giovanni è interdetto, smarrito e, nella loro casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago lontano dal porto sicuro e ormai in balia delle onde.

Cosa è successo? Si è spezzato quel dolce incantesimo che li teneva uniti? Perché? Quali sono le sue colpe?

Le domande che affollano la mente di uno sgomento e perplesso Giovanni sono tante, ma lui si sforza di condurre la vita di prima, senza interrompere le attività di sempre, che poi convergono tutte nella tipografia.
Continua a stampare, impacchettare, rilegare, accogliere clienti e commissioni; mangia poco, pian piano comincia a tornare a casa sempre meno (solo per fare la lavatrice) e preferisce fare della tipografia il proprio piccolo ma comodo rifugio.

"Gli piaceva starsene in silenzio in completa solitudine e anche in quel momento avrebbe preferito essere nella sua tana, ma gli umani devono parlare ogni tanto, scambiare qualche sorriso."

Il sorriso gentile è sempre sul suo viso, quando occorre, ma parla ancora meno di prima e preferisce starsene per conto suo; del resto, alle domande preoccupate e curiose di Gino e Bruna cosa dovrebbe mai rispondere? Che ne sa, lui, dei motivi che hanno spinto Giulia a lasciarlo senza dirgli neppure ba?

Confuso, triste, non privo di sensi di colpa, Giovanni si lascia un po' andare e il giardino della moglie, lasciato incolto e inaridito, ben rappresenta quello che c'è nel suo cuore e, ormai, nelle sue giornate.

"Con Giulia aveva tutto un suo senso, andata via lei niente lo aveva più."


Era colpa sua se il suo mondo stava svanendo? Cos'era stata la sua vita fino a quel momento: una lunga serie di piccoli miracoli salvifici? Un grande fallimento?

"Il suo mondo stava morendo nell’indifferenza generale, e questo era normale: era iniziata l’epoca degli errori. Un’asino con l’apostrofo aveva vinto."

Forse Giulia si era stancata di lui, del suo essere così... comune, noioso, banale, di una gentilezza stucchevole, privo di ambizioni?
Era fuggita da una vita senza stimoli? Dalla mediocrità della loro esistenza piccolo borghese?

Giovanni è in cerca di risposte e per caso, spulciando tra i libri della moglie, tra le mani gli capita un classico: Anna Karenina
Comincia a leggere; la mole non lo spaventa (tanto, chi gli corre dietro?) e, nell'apprendere le vicende amorose della protagonista con il suo bel Vronskij, si convince che tra quelle pagine si celi un segreto.
Anzi, il segreto, quello di sua moglie.
E se Giulia se ne fosse andata perché aveva un amante?
Può essere, no? Un amante focoso, arrogante e sicuro di sé come quel maledetto Vronskij, che ha ammaliato la sua Giulia e gliel'ha portata via.

Geloso e amareggiato, si chiude in tipografia e prende una decisione bizzarra ma, a modo suo, catartica, terapeutica quasi: copiare al computer tutto il romanzo di Tolstoj e farne una copia unica, scritta su carta pregiata, rilegata in pelle.

È la sua dichiarazione d'amore per Giulia, con la speranza che un giorno torni da lui e possa rallegrarsi per quel dono singolare e speciale, unico nel suo genere.
Il suo amore per lei non retrocede di un millimetro nel suo cuore, e Giovanni spera che in qualche modo sia così anche "per la sua regina".

La vita, caro Giovanni, è fatta così, ha i suoi alti e bassi, procede per strappi lievi e imprevedibili, ti regala giorni di sole ed altri grigi e ventosi.

Quando finalmente il cielo sembra tornare azzurro e sgombro di nuvole, e il mistero della scomparsa si svela, Giovanni sente e capisce che c’è (e forse ci sarà sempre) qualcosa che gli sfugge, che "la felicità viaggia a corrente alternata e non è priva di insidie e timori, primo tra tutti quello di perdere i suoi favori" e che tutto ciò che possiamo fare è guardare in faccia le nostre paure, accettandole.

E quando ci si ritrova l'uno accanto all'altro, non servono neanche troppe domande con relative spiegazioni: basta restare così, vicini, con la dolce consapevolezza di essere finalmente a casa, perché quando sei tra le braccia di chi ami, sei già a casa e non hai bisogno di altro.


Con una penna leggera, delicata e sincera, Piersanti ci racconta cosa accade quando in una coppia qualcosa si rompe e uno dei due si prende una pausa per staccare, per ritrovarsi, perché a volte va così: per non perdersi nel labirinto di pensieri spaventosi, per non lasciarsi soffocare dal laccio infido della paura di non farcela e di dover soccombere a qualcosa di più grande e al quale non basta la volontà per sottrarsi, forse è necessario andar via, prendere le distanze.

Ritorna a casa solo chi è partito.

Con molta sensibilità e profondità, l'Autore ci lascia entrare negli angoli meno illuminati della vita di un uomo come tanti e ci sembra di provare, insieme a lui, il suo medesimo smarrimento, la paura, i dubbi, i sospetti logoranti, il senso di vuoto davanti alla disgregazione del suo mondo, di ogni certezza, della sua piccola famiglia:

"La sua famiglia era svanita nel nulla, non esisteva più. La famiglia è una cosa transitoria, come il lavoro, del resto come l’esistenza stessa. Tutto è provvisorio ma quando lo vivi ogni momento sembra eterno."

Lo vediamo mentre cerca di sopravvivere dignitosamente aspettando il ritorno di lei, e ci fa tenerezza, perché lui ci prova a smetterla con le sue ossessioni e a tenere a bada "quei bagliori di infelicità che ogni tanto gli esplodevano in petto e lo inondavano dappertutto."

Si narra d'amore, tra queste pagine, di quello maturo e solido che però non è esente da bufere e crepe; di malattia, di come essa porti timori, insicurezza, angoscia, paura di soffrire (e far soffrire i propri cari) e di morire; di amici (pochi ma buoni) che non ti mollano neanche quando ti chiudi a riccio; di sospetti e gelosie, di sensi di colpa e dubbi, di una discreta e sommessa ricerca della felicità, che si racchiude in un giardino fiorito, in abbracci che rinfrancano, in una passeggiata in montagna.

E c'è lui, «quel maledetto Vronskij!».
Eh sì, perché lui c'è davvero, in un modo o nell'altro. Se non è "l'altro uomo", è qualcos'altro, ora sfuggente ora più evidente, ma comunque presente con la sua impronta malefica, carica di ansia e paura.
C'è un maledetto Vronskij nella vita di ciascuno di noi e, credo, tutti prima o poi ce ne rendiamo conto e lo individuiamo, proprio come succede a Giovanni.

Davvero un romanzo bello, tenero e forte come l'amore di Giovanni per Giulia, un amore che fa da filo conduttore in tutto il libro e che, lungi dall'essere sdolcinato e artificioso, è puro ed autentico.
Consigliato.


ALCUNE CITAZIONI

"Forse la gelosia consiste proprio nel non sapere, forse è soltanto un sospetto, un dubbio."

"Lei era andata in luoghi inaccessibili, estremi, aveva guardato la morte in faccia, e quell’incontro si era prolungato per mesi, forse per anni, senza che lui notasse niente. La morte non si vede, la vedi solo se muori."

"Immaginava la felicità come un castello di carte, bellissimo ma instabile e provvisorio. Niente dura per sempre, tanto meno una condizione così fragile come la felicità, che per lui significava non desiderare nient’altro."

"ci si dà alla fuga quando non c’è altro da fare. Ti inseguono cani feroci e tu scappi, non importa dove."



martedì 19 aprile 2022

RECENSIONE ** COME IL VENTO TRA I MANDORLI di Michelle Cohen Corasanti **



Il romanzo d'esordio della scrittrice ebrea americana Michelle Cohen Corasanti ci racconta, attraverso il punto di vista di un ragazzo palestinese nato e cresciuto in una terra devastata e sotto il controllo militare israeliano, una storia di amore ed amicizia, le vicissitudini di una famiglia che va incontro a molti dolori e perdite, e soprattutto la storia di un ragazzo che il lettore vede crescere e diventare un uomo di successo e che imparerà a sue spese quanto alto sia il prezzo dell'odio ma altresì quanto sia forte il potere dell'amore e del perdono.



COME IL VENTO TRA I MANDORLI 
di Michelle Cohen Corasanti 


Feltrinelli
trad. A. Pizzoli
377 pp
Una farfalla vola sotto il cielo di un piccolo paese della Palestina; siamo a metà degli anni cinquanta e la piccola e vivace Amal, che ha solo due anni, rincorre la farfalla sperando di acchiapparla.
Ma è troppo piccola per sapere o per leggere che c'è un cartello vicino casa sua, con la scritta "Vietato l'accesso", superato il quale inizia una zona piena di mine.
Sfuggita alle cure materne, Amal corre felice ma, sotto le urla disperate di Mama e del fratello maggiore Ichmad, il suo povero corpicino salta in aria, smembrandosi, allo scoppio di una mina.

L'incipit di questo romanzo è davvero carico di dolore e tristezza, ma anche di rabbia impotente: non è giusto - pensa Ichmad - che la sua sorellina sia morta a causa di questi israeliani che decidono quando e come possono uscire di casa, mettendo mine attorno alla casa, ordinando loro di restare dentro dopo una certa ora - pena l'arresto o peggio - e, addirittura, venendo con la violenza a cacciarli fuori dalla loro abitazione.

Non fanno in tempo a seppellire ciò che resta di Amal che la sua famiglia, infatti, viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra, rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, che diventa una sorta di "amico paziente e silenzioso" e anche un punto privilegiato da cui guardare ciò che accade agli altri, ai vicini di casa israeliani, che possono permettersi acqua pulita, strade nuove, l'elettricità... Diversamente da loro.

A dodici anni Ichmad è un piccolo genio della matematica; il suo idolo è  Albert Einstein, e il suo insegnante, il professor Mohammad, lo esorta con convinzione ed entusiasmo a continuare a studiare perché, col talento naturale che si ritrova, può puntare molto in alto.
Baba - il suo caro, saggio e mite papà - lo incoraggia anch'egli in questo senso: l'uomo sa cosa voglia dire non poter realizzare i propri sogni e desideri a causa di un contesto difficile e proibitivo, in cui bisogna fare scelte dure ma necessarie, come le sta facendo lui, costretto ad accettare di lavorare come muratore per costruttori ebrei; Baba vuole che i suoi figli non si accontentino di sopravvivere, ma che investano sulle proprie capacità per farsi strada nella vita, perché nel mondo c'è spazio anche per un palestinese e, se lo vorrà, Ichmad ne sarà la dimostrazione evidente.

Ma purtroppo il destino gioca un brutto scherzo al ragazzino e ai suoi cari, e la violenza e la paura tornano a sfondare la loro porta.
A causa di circostanze non previste e di una decisione obbligata e presa nell'innocenza dei suoi dodici anni, la polizia irrompe in casa Hamid e arresta Baba con l'accusa (ingiusta ma da cui è impossibile difendersi) di essere un terrorista.
Da quel momento la situazione precipita e vivere diventa ogni giorno più complicato: con il padre in prigione (sottoposto a costanti torture, percosse, umiliazioni), Ichmad diventa l'ometto di casa.
Casa...: si fa per dire, visto che i soldati israeliani danno fuoco alla loro casa (con un'ulteriore drammatica perdita per la famiglia Hamid) e Mama e i suoi figli son costretti a cercarsi un'altra sistemazione di fortuna; non solo, ma è necessario andare a lavorare per portare cibo a casa: assieme ad Ichmad ci sono fratelli e sorelle, tra cui il piccolo Abbas, molto legato al fratello maggiore.

Il ragazzo decide di farsi carico della famiglia e di andare a lavorare, con sommo dispiacere del professore Mohammad, che desidererebbe che il suo pupillo pensasse a studiare. Ma come si fa? Una soluzione va trovata e certo non possono morire di fame.

“Nella prosperità la scelta è difficile. Nelle avversità non si può scegliere”.


Trova lavoro in un cantiere, accanto a operai israeliani; benché troppo giovane, il testardo Abbas lo accompagna e i due vengono presi entrambi; anche al lavoro le angherie non mancano e, con esse, un'ennesima tragedia, che questa volta toccherà Abbas.

Non sarà facile per il povero Ichmad sfamare da solo la famiglia, col pensiero di quel povero ed innocente padre in prigione, che però, nonostante tutto, continua ad essere per lui un prezioso punto di riferimento, un porto sicuro cui tornare quando non sa che decisione prendere e quando ha bisogno di sentirsi incoraggiato,  sostenuto nelle proprie scelte (sostegno che non sempre trova nei fratelli e nella madre, i quali sono troppo amareggiati ed arrabbiati a motivo delle tante, troppe ingiustizie subite ogni giorno, per riuscire a provare, verso Israele, qualcosa di diverso dall'odio) e indirizzato verso il bene.

"Un uomo non è nessuno se non combatte per la propria famiglia. Promettimi che farai qualcosa della tua vita. Non farti risucchiare da questa lotta. Rendimi fiero di te, non lasciare che la mia prigionia ti rovini l’esistenza. Devi trovare il modo migliore per aiutare tua madre: non è in grado di cavarsela da sola. Adesso sei tu il capofamiglia.”

“Nella storia i conquistatori si sono sempre comportati allo stesso modo con i conquistati. Hanno bisogno di crederci inferiori per giustificare il modo in cui ci trattano: se solo si rendessero conto che siamo tutti uguali…”

"La gente odia perché ha paura di ciò che non conosce: se solo le persone avessero l’occasione di conoscere coloro che odiano, di trovare degli interessi comuni, potrebbero superare l’avversione.”


E mentre Abbas si lascia lacerare dall'odio e dal desiderio di vendetta verso i persecutori del proprio popolo, rifiutando qualsiasi rapporto di amicizia con qualunque ebreo, la vita offre a Ichmad una grande opportunità di riscatto da quella che sembra essere un'esistenza disgraziata ormai già scritta: partecipa ad un concorso di matematica per entrare all'università ebraica di Gerusalemme, lo vince lasciando tutti a bocca aperta per le sue abilità e da quel momento sembra avere inizio un nuovo, entusiasmante capitolo della sua esistenza di studioso e aspirante ricercatore.

Ma, ancora una volta, la strada è in salita perché anche in quell'ambiente colto serpeggiano pregiudizi e ostilità; in particolare, a detestarlo è il suo professore di Fisica, Menachem Sharon, che pare quasi irritato dall'acuta intelligenza di quello studente vestito molto modestamente e che proviene da un piccolo paese della Palestina.
Il disprezzo che ha per Ichmad è palese ma questo non ferma il giovane, che si sforza di non farsi sopraffare da sentimenti negativi, memore delle parole di Baba:

"...prima di giudicare una persona, prova a immaginare come ti sentiresti se anche tu avessi vissuto le stesse cose."

Molto intenso il passaggio in cui Ichmad e Sharon si confrontano, finalmente faccia a faccia e senza reticenze, su ciò che li divide, e il ragazzo prova a capire come mai quell'insegnante ebreo sembri odiare tanto i palestinesi.

Lo stesso professore non può continuare ad ignorare il grosso potenziale che costituisce quell'arabo dalla mente brillante, e il loro comune amore per la ricerca scientifica diventa il punto d'incontro tra due uomini avveduti, che - proprio grazie al confronto e lavorando fianco a fianco - si rendono conto che è possibile superare le diversità, i pregiudizi, e lavorare insieme per qualcosa di bello e di cotruttivo.

Meno semplice sarà farlo capire ad Abbas, che disapprova con foga il comportamento del fratello, giudicandolo un traditore che si allea col nemico, che tanto dolore ha portato e porta alla loro famiglia e al loro popolo.


“Se ci vendichiamo delle loro azioni, saremo come loro, ma se li perdoniamo, allora saremo migliori.” Di nuovo, citai Baba.
“Li odio.”
“Odiare è come autopunirsi."


E così, mentre la Storia fa il suo corso,la carriera di Ichmad, ormai adulto, decolla ed egli riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia.
In America conosce una ragazza bellissima, Nora, un'attivista che si batte per i diritti umani, ha a cuore la causa palestinese ed è intenzionata a recarsi a Gaza. I due si innamorano ma il loro legame non viene visto di buon occhio né dalla famiglia di lui né da quella di lei, in quanto la ragazza è ebrea.

Tante cose accadranno ad Ichmad, che godrà del successo nell'ambito professionale, ma in quello privato andrà incontro anche al lutto e a perdite importanti e dolorose.
Tuttavia ogni difficoltà, piccola o grande, non farà che temprarlo e renderlo un uomo sempre più consapevole di cosa vuol fare nella vita e perché, tenendo sempre presente quali siano le proprie radici e la sofferenza della propria gente, davanti alla quale nessuno - né il singolo né la collettività - può e deve restare indifferente.

"Come il vento tra i mandorli" è la storia travolgente e indimenticabile di un giovane nato e cresciuto in un contesto che è totalmente contro di lui: non ci sono presupposti positivi da cui partire e che possano fare da trampolino per un'esistenza, se non di successo, quanto meno serena.
Le uniche sue risorse sono il suo innato talento per tutto ciò che ha a che fare con formule e numeri e - variabile imprescindibile - i saggi e lodevoli insegnamenti ricevuti dal padre, Baba, che non ha mai smesso di credere nelle capacità e nella lungimiranza del suo primogenito, e ha saputo insegnargli ad andare oltre la fosca coltre di violenza, sopraffazione, ostilità... di coloro che, a buon diritto, potevano essere additati come nemici da detestare e combattere.
Non è facile scrollarsi di dosso e da dentro i semi dell'odio e della rabbia, quando sin da piccoli l'aria che si è respirata è stata infettata e condizionata dai soprusi, dalla crudeltà, dalle privazioni dei propri diritti; Abbas ne è una dimostrazione e il lettore fa fatica ad addossargliene tutte le colpe perché, immedesimandosi in lui, viene da chiedersi: cosa proverei io verso l'occupante, se vivessi nelle medesime condizioni di Ichmad e degli altri palestinesi? Se vedessi morire, imprigionare, impedire un visto, le cure sanitarie, l'istruzione ecc... da coloro che mi hanno già sottratto casa, terre, beni...?

Viene istintivo e spontaneo nutrire un grande risentimento verso chi ti sta rendendo la vita impossibile; non farsi dominare da questo sentimento e scegliere di non farsi logorare dall'odio richiede davvero un grande lavoro su stessi ed è ciò che fa il protagonista.

Ichmad fa tesoro della saggezza paterna e, pur tra non pochi conflitti, sia interiori, sia con i famigliari - che non sempre condivideranno le sue scelte, nel corso degli anni -, saprà dare alla propria vita una direzione nobile, costruttiva, consapevole che ciascuno deve poter dare il proprio contributo per costruire "un mondo in cui ci si elevi al di sopra delle divisioni razziali e religiose, e di ogni altro motivo di discordia, per trovare un obiettivo più alto."

È un romanzo davvero molto bello, intenso, che ha come tematica di fondo la drammatica e logorante situazione presente nella terra di Palestina, cui l'autrice - che, vi rammento, è israeliana, e non è un particolare irrilevante, a mio avviso - dà voce attraverso la storia potente di Ichmad Hamid, il quale ricorda ai lettori che, per comprendere quello che è noto come "conflitto israelo-palestinese", vanno ascoltate entrambe le narrative e che la pace può divenire un obiettivo realizzabile solo se c'è giustizia, che si basa sulla verità e sull'ammissione che ai palestinesi va riconosciuto tutto ciò che hanno sofferto e soffrono.
Non si può essere liberi quando si opprime un altro popolo.


Il discorso finale, che Ichmad tiene in occasione di un evento fondamentale nella propria vita, commuove, spinge a molte riflessioni e ad aprire gli occhi su ciò che accade in questa striscia di terra, da troppi anni martoriata da scontri, bombe e violazioni di diritti: l’istruzione, dice il protagonista di questo libro, può costituire un'ancora di salvezza per offrire ai giovani palestinesi una via per elevarsi al di sopra delle circostanze in cui vivono:

“L’istruzione è un diritto fondamentale di ogni bambino. (...) Gaza è terreno fertile per futuri terroristi. Le loro speranze e i loro sogni sono stati mandati in frantumi. L’istruzione, ancora di salvezza per gli oppressi, è stata resa praticamente impossibile. Gli israeliani (...) non permettono l’ingresso di libri, materiale scolastico o da costruzione. Non possiamo vivere in pace quando altri sono immersi nella povertà e nell’iniquità."

Ne consiglio vivamente la lettura, la storia di Ichmad resta nel cuore per le vicende umane cui va incontro e che, pur essendo fittizie, appassionano ed emozionano per il loro essere realistiche ed ancorate al drammatico contesto di riferimento, inducendo il lettore ad interessarsi ad esso.

A tal proposito, vi consiglio di visitare il sito dedicato al romanzo, dove troverete diverse informazioni e spunti interessanti per approfondire l'argomento Israele/Palestina.
 
✤✤  THE ALMOND TREE  ✤✤



ALCUNE CITAZIONI

"Il professor Sharon si alzò. “Il vostro popolo ha una rivendicazione legittima su questa terra.” Alzai gli occhi e lo fissai a bocca aperta. “Non creda che io sia così stupido.” Andò alla finestra. “Non avevamo scelta. L’Olocausto è stata la prova che gli ebrei non potevano più esistere come una minoranza all’interno di altre nazioni. Avevamo bisogno di una patria nostra.”

"Non può esserci libertà senza lotta. È ora che gli israeliani capiscano: se ci mettono in gabbia, ne pagheranno il prezzo. Posso solo decidere come morire."

"Non permettere al senso di colpa di entrarti nel cuore, perché è una malattia, è come il cancro, e ti divorerà finché di te non resterà più niente"

"Il coraggio, capii, non era la mancanza di paura: era l’assenza di egoismo, era mettere il bene di qualcun altro prima del proprio."

“Avere successo non vuol dire non sbagliare mai, ma piuttosto rialzarsi dopo ogni caduta.”

"Nella vita, se si vuole fare qualcosa di grande, bisogna accettare di fare sacrifici, e di chiedergli anche a chi ci ama".

"...solo rischiando di fallire si può raggiungere la grandezza".

“Nella vita, il successo non si misura con il numero delle volte che abbiamo fallito, ma in base a come abbiamo reagito a tali fallimenti."

"Se resti neutrale in situazioni di ingiustizia, allora hai scelto la parte dell’oppressore” (Desmond Tutu). 

domenica 17 aprile 2022

EGLI NON È QUI. È RISORTO!




"...e se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati.Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti."

Prima lettera ai Corinzi 15:17, 19‭-‬20


I primi cristiani erano soliti salutarsi con la frase “Cristo è risorto”, alla quale l'altro avrebbe risposto: "È veramente risorto!".

Gesù Cristo è davvero risorto dalla tomba!

Il fatto che Gesù sia risorto significa che Egli è esattamente chi ha affermato di essere: il Figlio di Dio, che il Padre ha mandato nel mondo affinché potessimo avere il perdono. 

La resurrezione significa che 
    
        Dio ha accettato la morte di Gesù al nostro posto sulla croce. 
        
        Gesù è stato vittorioso sul peccato, sulla morte, sull'inferno e sulla tomba e poiché Gesù è vivo, abbiamo una grande speranza in Lui! 

La Bibbia dice: «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pietro 1:3). E quella speranza è «un'àncora dell'anima» (Ebrei 6:19).




❤❤ BUONA PASQUA ❤❤


sabato 16 aprile 2022

Due anni fa ci lasciava Luis Sepúlveda

 

Due anni fa, esattamente in questo giorno, ci lasciava uno scrittore (oltre che regista, sceneggiatore, poeta, attivista politico e giornalista) molto amato da adulti e bambini: Luis Sepúlveda.

  • Nato ad Ovalle, nel nord del Cile, il 4 ottobre 1949, cresce in una famiglia di matrice anarchica. Suo nonno, Gerardo Sepúlveda Tapia - conosciuto anche con il nome di battaglia "Ricardo Blanco"- era un anarchico andaluso che fuggì in America del Sud per evitare la condanna a morte che pendeva sulla sua testa.  
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  • Trascorre l'infanzia nel quartiere proletario di Valparaiso, con il nonno paterno e uno zio, che gli trasmettono l'amore per i romanzi di avventura (Salgari, Conrad, Melville). La vocazione letteraria si manifesta presto e lo spinge a scrivere racconti e poesie per il giornalino d'istituto.
  • Ha soltanto 15 anni quando aderisce alla Gioventù comunista.
  • A 17 anni inizia a lavorare come redattore del quotidiano Clarìn e poi in radio. Nel 1969 vince il Premio Casa de las Americas per il suo primo libro di racconti, "Crònicas de Pedro Nadie".
  • All’inizio degli Anni 70 milita nell’Esercito di Liberazione Nazionale in Bolivia.
  • Torna in Cile e si iscrive al Partito Socialista, divenendo membro della guardia personale dell'allora presidente Salvador Allende. 
  • Intanto, conseguito il diploma di regista teatrale, continua a scrivere racconti e lavora ad allestimenti teatrali e alla radio.
  • In quanto fervente oppositore del regime di Augusto Pinochet, viene arrestato e torturato; trascorre sette mesi rinchiuso in una cella minuscola in cui era impossibile stare sdraiati o in piedi; viene rilasciato (in regime però di arresti domiciliari) in seguito alle pressioni esercitate da Amnesty International.
  • Ricomincia a fare teatro, sempre ispirato dalle proprie convinzioni politiche, cosa che gli costa un secondo arresto, ma anche in questo caso - grazie ad un'altra campagna a suo favore da parte dell'ong -, la condanna (28 anni di reclusione) è modificata in otto anni di esilio.
  • Nel 1977 lascia il Cile per andare in Svezia (il governo gli aveva concesso asilo politico) per insegnare letteratura spagnola ma, al primo scalo a Buenos Aires, fugge e viaggia per l'America Latina fondando compagnie teatrali in Ecuador, Perù e Colombia.
  • In Ecuador lavora come giornalista in un progetto sponsorizzato dall'UNESCO e vive per un anno con gli indigeni Shuar in Amazzonia; in Nicaragua combatte con i sandinisti nicaraguensi, che hanno poi rovesciato la dittatura allora in vigore.
  • Nel 1982 aderisce a Greenpeace quale membro dell'equipaggio su una delle navi dell’ong.
  • Ottenuto l'asilo politico in Germania, vive ad Amburgo per dieci anni, prima di trasferirsi in Francia.
  • Dal 1996 si trasferisce in Spagna, nelle Asturie con la moglie Carmen Yáñez, una poetessa che era stata torturata sotto Pinochet.
  • Nel febbraio 2020 contrae l'infezione da Covid-19 e muore nell'ospedale di Oviedo il 16 aprile 2020, a 71 anni.
Luis e Carmen
Inevitabilmente, molti dei suoi libri hanno tratto ispirazione dalla sua vita avventurosa e molto movimentata, a cominciare dal suo primo romanzo, "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore"  (pubblicato in Italia nel 1993), in cui il protagonista (il vecchio Antonio José Bolívar) vive ai margini della foresta amazzonica ecuadoriana ed ha vissuto dentro la grande foresta, insieme agli indios shuar, come è successo a lui.

"Il mondo alla fine del mondo” (1994) si ispira agli anni trascorsi sulla nave di Greenpeace; il diario di viaggio “Patagonia express. Appunti dal sud del mondo” e la raccolta di racconti “La frontiera scomparsa” nascono dal ricordo della sua fuga, quando attraversò l'America del Sud. 

Ha scritto molti libri (anche) per bambini, tra cui il celeberrimo "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" (una gabbiana morente affida il proprio uovo al gatto di porto Zorba, che se ne prende cura e il pulcino diverrà una gabbianella a cui insegnerà a volare), "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà" (ambientata tra i nativi americani, più precisamente nella tribù dei Mapuche), "Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa", in cui è centrale il tema della salvaguardia dell'ambiente.

Il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia è “La fine della storia”, dove non mancano ancora riferimento autobiografici: il protagonista (Juan Belmonte), infatti, è un uomo che ha combattuto al fianco di Salvador Allende e ora vive tranquillo in una casa sul mare nell’estremo sud del Cile, insieme alla sua compagna Verónica, che non si è mai completamente ripresa dopo le torture subite all’epoca della dittatura. Il passato torna a fargli visita quando i servizi segreti russi, che lo conoscono in quanto esperto di guerra, hanno bisogno di lui. Sul fronte opposto c’è un gruppo di nostalgici di stirpe cosacca deciso a liberare dal carcere Miguel Krassnoff, ufficiale dell’esercito cileno durante la dittatura militare e, al momento, in carcere con l'accusa di aver perpetrato crimini contro l’umanità. 
E Belmonte ha un ottimo motivo per odiare «il cosacco», un motivo strettamente personale...


"La felicità è un diritto umano. Allo stesso modo in cui ho combattuto, più che per l'idea di libertà, per non dimenticare che sono un uomo libero: quando difendo il diritto alla felicità, lo faccio per non dimenticare che io sono stato e sono immensamente felice”.





Fonti consultate:

https://www.sapere.it/
https://www.comune.lecco.it/
https://www.theguardian.com/