Il romanzo d'esordio della scrittrice ebrea americana Michelle Cohen Corasanti ci racconta, attraverso il punto di vista di un ragazzo palestinese nato e cresciuto in una terra devastata e sotto il controllo militare israeliano, una storia di amore ed amicizia, le vicissitudini di una famiglia che va incontro a molti dolori e perdite, e soprattutto la storia di un ragazzo che il lettore vede crescere e diventare un uomo di successo e che imparerà a sue spese quanto alto sia il prezzo dell'odio ma altresì quanto sia forte il potere dell'amore e del perdono.
COME IL VENTO TRA I MANDORLI
di Michelle Cohen Corasanti
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Feltrinelli trad. A. Pizzoli 377 pp |
Una farfalla vola sotto il cielo di un piccolo paese della Palestina; siamo a metà degli anni cinquanta e la piccola e vivace Amal, che ha solo due anni, rincorre la farfalla sperando di acchiapparla.
Ma è troppo piccola per sapere o per leggere che c'è un cartello vicino casa sua, con la scritta "Vietato l'accesso", superato il quale inizia una zona piena di mine.
Sfuggita alle cure materne, Amal corre felice ma, sotto le urla disperate di Mama e del fratello maggiore Ichmad, il suo povero corpicino salta in aria, smembrandosi, allo scoppio di una mina.
L'incipit di questo romanzo è davvero carico di dolore e tristezza, ma anche di rabbia impotente: non è giusto - pensa Ichmad - che la sua sorellina sia morta a causa di questi israeliani che decidono quando e come possono uscire di casa, mettendo mine attorno alla casa, ordinando loro di restare dentro dopo una certa ora - pena l'arresto o peggio - e, addirittura, venendo con la violenza a cacciarli fuori dalla loro abitazione.
Non fanno in tempo a seppellire ciò che resta di Amal che la sua famiglia, infatti, viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra, rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, che diventa una sorta di "amico paziente e silenzioso" e anche un punto privilegiato da cui guardare ciò che accade agli altri, ai vicini di casa israeliani, che possono permettersi acqua pulita, strade nuove, l'elettricità... Diversamente da loro.
A dodici anni Ichmad è un piccolo genio della matematica; il suo idolo è Albert Einstein, e il suo insegnante, il professor Mohammad, lo esorta con convinzione ed entusiasmo a continuare a studiare perché, col talento naturale che si ritrova, può puntare molto in alto.
Baba - il suo caro, saggio e mite papà - lo incoraggia anch'egli in questo senso: l'uomo sa cosa voglia dire non poter realizzare i propri sogni e desideri a causa di un contesto difficile e proibitivo, in cui bisogna fare scelte dure ma necessarie, come le sta facendo lui, costretto ad accettare di lavorare come muratore per costruttori ebrei; Baba vuole che i suoi figli non si accontentino di sopravvivere, ma che investano sulle proprie capacità per farsi strada nella vita, perché nel mondo c'è spazio anche per un palestinese e, se lo vorrà, Ichmad ne sarà la dimostrazione evidente.
Ma purtroppo il destino gioca un brutto scherzo al ragazzino e ai suoi cari, e la violenza e la paura tornano a sfondare la loro porta.
A causa di circostanze non previste e di una decisione obbligata e presa nell'innocenza dei suoi dodici anni, la polizia irrompe in casa Hamid e arresta Baba con l'accusa (ingiusta ma da cui è impossibile difendersi) di essere un terrorista.
Da quel momento la situazione precipita e vivere diventa ogni giorno più complicato: con il padre in prigione (sottoposto a costanti torture, percosse, umiliazioni), Ichmad diventa l'ometto di casa.
Casa...: si fa per dire, visto che i soldati israeliani danno fuoco alla loro casa (con un'ulteriore drammatica perdita per la famiglia Hamid) e Mama e i suoi figli son costretti a cercarsi un'altra sistemazione di fortuna; non solo, ma è necessario andare a lavorare per portare cibo a casa: assieme ad Ichmad ci sono fratelli e sorelle, tra cui il piccolo Abbas, molto legato al fratello maggiore.
Il ragazzo decide di farsi carico della famiglia e di andare a lavorare, con sommo dispiacere del professore Mohammad, che desidererebbe che il suo pupillo pensasse a studiare. Ma come si fa? Una soluzione va trovata e certo non possono morire di fame.
“Nella prosperità la scelta è difficile. Nelle avversità non si può scegliere”.
Trova lavoro in un cantiere, accanto a operai israeliani; benché troppo giovane, il testardo Abbas lo accompagna e i due vengono presi entrambi; anche al lavoro le angherie non mancano e, con esse, un'ennesima tragedia, che questa volta toccherà Abbas.
Non sarà facile per il povero Ichmad sfamare da solo la famiglia, col pensiero di quel povero ed innocente padre in prigione, che però, nonostante tutto, continua ad essere per lui un prezioso punto di riferimento, un porto sicuro cui tornare quando non sa che decisione prendere e quando ha bisogno di sentirsi incoraggiato, sostenuto nelle proprie scelte (sostegno che non sempre trova nei fratelli e nella madre, i quali sono troppo amareggiati ed arrabbiati a motivo delle tante, troppe ingiustizie subite ogni giorno, per riuscire a provare, verso Israele, qualcosa di diverso dall'odio) e indirizzato verso il bene.
"Un uomo non è nessuno se non combatte per la propria famiglia. Promettimi che farai qualcosa della tua vita. Non farti risucchiare da questa lotta. Rendimi fiero di te, non lasciare che la mia prigionia ti rovini l’esistenza. Devi trovare il modo migliore per aiutare tua madre: non è in grado di cavarsela da sola. Adesso sei tu il capofamiglia.”
“Nella storia i conquistatori si sono sempre comportati allo stesso modo con i conquistati. Hanno bisogno di crederci inferiori per giustificare il modo in cui ci trattano: se solo si rendessero conto che siamo tutti uguali…”
"La gente odia perché ha paura di ciò che non conosce: se solo le persone avessero l’occasione di conoscere coloro che odiano, di trovare degli interessi comuni, potrebbero superare l’avversione.”
E mentre Abbas si lascia lacerare dall'odio e dal desiderio di vendetta verso i persecutori del proprio popolo, rifiutando qualsiasi rapporto di amicizia con qualunque ebreo, la vita offre a Ichmad una grande opportunità di riscatto da quella che sembra essere un'esistenza disgraziata ormai già scritta: partecipa ad un concorso di matematica per entrare all'università ebraica di Gerusalemme, lo vince lasciando tutti a bocca aperta per le sue abilità e da quel momento sembra avere inizio un nuovo, entusiasmante capitolo della sua esistenza di studioso e aspirante ricercatore.
Ma, ancora una volta, la strada è in salita perché anche in quell'ambiente colto serpeggiano pregiudizi e ostilità; in particolare, a detestarlo è il suo professore di Fisica, Menachem Sharon, che pare quasi irritato dall'acuta intelligenza di quello studente vestito molto modestamente e che proviene da un piccolo paese della Palestina.
Il disprezzo che ha per Ichmad è palese ma questo non ferma il giovane, che si sforza di non farsi sopraffare da sentimenti negativi, memore delle parole di Baba:
"...prima di giudicare una persona, prova a immaginare come ti sentiresti se anche tu avessi vissuto le stesse cose."
Molto intenso il passaggio in cui Ichmad e Sharon si confrontano, finalmente faccia a faccia e senza reticenze, su ciò che li divide, e il ragazzo prova a capire come mai quell'insegnante ebreo sembri odiare tanto i palestinesi.
Lo stesso professore non può continuare ad ignorare il grosso potenziale che costituisce quell'arabo dalla mente brillante, e il loro comune amore per la ricerca scientifica diventa il punto d'incontro tra due uomini avveduti, che - proprio grazie al confronto e lavorando fianco a fianco - si rendono conto che è possibile superare le diversità, i pregiudizi, e lavorare insieme per qualcosa di bello e di cotruttivo.
Meno semplice sarà farlo capire ad Abbas, che disapprova con foga il comportamento del fratello, giudicandolo un traditore che si allea col nemico, che tanto dolore ha portato e porta alla loro famiglia e al loro popolo.
“Se ci vendichiamo delle loro azioni, saremo come loro, ma se li perdoniamo, allora saremo migliori.” Di nuovo, citai Baba.
“Li odio.”
“Odiare è come autopunirsi."
E così, mentre la Storia fa il suo corso,la carriera di Ichmad, ormai adulto, decolla ed egli riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia.
In America conosce una ragazza bellissima, Nora, un'attivista che si batte per i diritti umani, ha a cuore la causa palestinese ed è intenzionata a recarsi a Gaza. I due si innamorano ma il loro legame non viene visto di buon occhio né dalla famiglia di lui né da quella di lei, in quanto la ragazza è ebrea.
Tante cose accadranno ad Ichmad, che godrà del successo nell'ambito professionale, ma in quello privato andrà incontro anche al lutto e a perdite importanti e dolorose.
Tuttavia ogni difficoltà, piccola o grande, non farà che temprarlo e renderlo un uomo sempre più consapevole di cosa vuol fare nella vita e perché, tenendo sempre presente quali siano le proprie radici e la sofferenza della propria gente, davanti alla quale nessuno - né il singolo né la collettività - può e deve restare indifferente.
"Come il vento tra i mandorli" è la storia travolgente e indimenticabile di un giovane nato e cresciuto in un contesto che è totalmente contro di lui: non ci sono presupposti positivi da cui partire e che possano fare da trampolino per un'esistenza, se non di successo, quanto meno serena.
Le uniche sue risorse sono il suo innato talento per tutto ciò che ha a che fare con formule e numeri e - variabile imprescindibile - i saggi e lodevoli insegnamenti ricevuti dal padre, Baba, che non ha mai smesso di credere nelle capacità e nella lungimiranza del suo primogenito, e ha saputo insegnargli ad andare oltre la fosca coltre di violenza, sopraffazione, ostilità... di coloro che, a buon diritto, potevano essere additati come nemici da detestare e combattere.
Non è facile scrollarsi di dosso e da dentro i semi dell'odio e della rabbia, quando sin da piccoli l'aria che si è respirata è stata infettata e condizionata dai soprusi, dalla crudeltà, dalle privazioni dei propri diritti; Abbas ne è una dimostrazione e il lettore fa fatica ad addossargliene tutte le colpe perché, immedesimandosi in lui, viene da chiedersi: cosa proverei io verso l'occupante, se vivessi nelle medesime condizioni di Ichmad e degli altri palestinesi? Se vedessi morire, imprigionare, impedire un visto, le cure sanitarie, l'istruzione ecc... da coloro che mi hanno già sottratto casa, terre, beni...?
Viene istintivo e spontaneo nutrire un grande risentimento verso chi ti sta rendendo la vita impossibile; non farsi dominare da questo sentimento e scegliere di non farsi logorare dall'odio richiede davvero un grande lavoro su stessi ed è ciò che fa il protagonista.
Ichmad fa tesoro della saggezza paterna e, pur tra non pochi conflitti, sia interiori, sia con i famigliari - che non sempre condivideranno le sue scelte, nel corso degli anni -, saprà dare alla propria vita una direzione nobile, costruttiva, consapevole che ciascuno deve poter dare il proprio contributo per costruire "un mondo in cui ci si elevi al di sopra delle divisioni razziali e religiose, e di ogni altro motivo di discordia, per trovare un obiettivo più alto."
È un romanzo davvero molto bello, intenso, che ha come tematica di fondo la drammatica e logorante situazione presente nella terra di Palestina, cui l'autrice - che, vi rammento, è israeliana, e non è un particolare irrilevante, a mio avviso - dà voce attraverso la storia potente di Ichmad Hamid, il quale ricorda ai lettori che, per comprendere quello che è noto come "conflitto israelo-palestinese", vanno ascoltate entrambe le narrative e che la pace può divenire un obiettivo realizzabile solo se c'è giustizia, che si basa sulla verità e sull'ammissione che ai palestinesi va riconosciuto tutto ciò che hanno sofferto e soffrono.
Non si può essere liberi quando si opprime un altro popolo.
Il discorso finale, che Ichmad tiene in occasione di un evento fondamentale nella propria vita, commuove, spinge a molte riflessioni e ad aprire gli occhi su ciò che accade in questa striscia di terra, da troppi anni martoriata da scontri, bombe e violazioni di diritti: l’istruzione, dice il protagonista di questo libro, può costituire un'ancora di salvezza per offrire ai giovani palestinesi una via per elevarsi al di sopra delle circostanze in cui vivono:
“L’istruzione è un diritto fondamentale di ogni bambino. (...) Gaza è terreno fertile per futuri terroristi. Le loro speranze e i loro sogni sono stati mandati in frantumi. L’istruzione, ancora di salvezza per gli oppressi, è stata resa praticamente impossibile. Gli israeliani (...) non permettono l’ingresso di libri, materiale scolastico o da costruzione. Non possiamo vivere in pace quando altri sono immersi nella povertà e nell’iniquità."
Ne consiglio vivamente la lettura, la storia di Ichmad resta nel cuore per le vicende umane cui va incontro e che, pur essendo fittizie, appassionano ed emozionano per il loro essere realistiche ed ancorate al drammatico contesto di riferimento, inducendo il lettore ad interessarsi ad esso.
A tal proposito, vi consiglio di visitare il sito dedicato al romanzo, dove troverete diverse informazioni e spunti interessanti per approfondire l'argomento Israele/Palestina.
ALCUNE CITAZIONI
"Il professor Sharon si alzò. “Il vostro popolo ha una rivendicazione legittima su questa terra.” Alzai gli occhi e lo fissai a bocca aperta. “Non creda che io sia così stupido.” Andò alla finestra. “Non avevamo scelta. L’Olocausto è stata la prova che gli ebrei non potevano più esistere come una minoranza all’interno di altre nazioni. Avevamo bisogno di una patria nostra.”
"Non può esserci libertà senza lotta. È ora che gli israeliani capiscano: se ci mettono in gabbia, ne pagheranno il prezzo. Posso solo decidere come morire."
"Non permettere al senso di colpa di entrarti nel cuore, perché è una malattia, è come il cancro, e ti divorerà finché di te non resterà più niente"
"Il coraggio, capii, non era la mancanza di paura: era l’assenza di egoismo, era mettere il bene di qualcun altro prima del proprio."
“Avere successo non vuol dire non sbagliare mai, ma piuttosto rialzarsi dopo ogni caduta.”
"Nella vita, se si vuole fare qualcosa di grande, bisogna accettare di fare sacrifici, e di chiedergli anche a chi ci ama".
"...solo rischiando di fallire si può raggiungere la grandezza".
“Nella vita, il successo non si misura con il numero delle volte che abbiamo fallito, ma in base a come abbiamo reagito a tali fallimenti."
"Se resti neutrale in situazioni di ingiustizia, allora hai scelto la parte dell’oppressore” (Desmond Tutu).