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lunedì 31 gennaio 2022

Recensione: BIANCO È IL COLORE DEL DANNO di Francesca Mannocchi



Come e quanto ci cambia la malattia? In che modo cambia la percezione che abbiamo di noi stessi e quali nuovi termini utilizzeremo per poter descrivere questa "nuova versione" di noi?
E gli altri..., come ci vedono, con quali occhi? Quali nuove parole impareranno ad usare per parlare di
noi, del nostro corpo ormai irrimediabilmente malato, "guasto"?
L'Autrice, con onestà e lucidità, si guarda, si analizza, vede in questo corpo che, a un certo punto, ha cominciato a tradirla, tutta l'incertezza futura che l'aspetta e che dipenderà dal progresso della malattia - sclerosi multipla -, e in questo corpo danneggiato si specchia, riconoscendo tutta la propria fragilità umana, di donna, mamma, figlia.



BIANCO È IL COLORE DEL DANNO 
di Francesca Mannocchi

Einaudi Ed.
216 pp
"ora so che ho un danno, che il mio danno è di colore bianco e che il condizionale è un modo miserabile.".

Ha trentanove anni Francesca quando la malattia fa il proprio improvviso ingresso nella sua esistenza.
Com'è svegliarsi in una camera d'albergo, da sola, e non sentire più alcune parti del proprio corpo?
(Solo a dirlo, più di un brivido di paura attraversa la mia schiena.)

Tornata a casa, la giornalista si affretta a sottoporsi a tutti gli esami necessari e scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura: sclerosi multipla, "una malattia autoimmune cronico-degenerativa che può essere ingravescente e colpisce il sistema nervoso centrale. Qui la parola chiave è ingravescente: «di situazione patologica che si aggrava progressivamente».
Si può aggravare. E progressivamente."


E ora?
Anzi, e da ora, che si fa? Come si gestiscono casa, famiglia, lavoro... con una spada di Damocle di questo genere sulla propria testa?

Francesca è una giornalista e il suo lavoro spesso la porta in zone di guerra, là dove la morte e le sofferenze sono all’ordine del giorno, ma questa nuova, personale presenza e forzata convivenza con un ospite decisamente indesiderato cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. 

La malattia la mette davanti a sè stessa e la induce ad indagare nel profondo del proprio animo, ma anche nella propria famiglia, scavando nelle pieghe delle relazioni più intime, dove si sedimentano le parole non dette, i borbottii poco chiari che confondono e dividono, gli sguardi che dicono tutto nonostante ci si barrichi dietro muri di incomunicabilità e di frasi date per scontato.

E così il lettore si ritrova (autorizzato) a spulciare pagine di diario, a leggere di nonna Rita, diventata vedova piuttosto presto, e dell'attaccamento di Francesca a questa donna zoppa che andava a lavorare nella famiglia di uno stimato dottore; nonna Rita, la cui morte è stata difficile accettare ed elaborare, e che "è stata, inconsapevolmente, la mia educazione politica.

Leggiamo del rapporto con i genitori, in particolare con il padre, rinchiuso nella gabbia di un lavoro che non si è scelto spontaneamente, un uomo di poche parole e che non riesce ad esprimere alla figlia i propri sentimenti.
E poi c'è il compagno Alessio e il loro figlioletto Pietro; è il pensiero di lui, di questa creaturina che le appartiene e della quale è chiamata a prendersi cura in quanto madre, che la fa sentire smarrita, inadatta: non può, infatti, non domandarsi se sarà in grado di crescere suo figlio sapendo che la malattia potrebbe aggravarsi e renderla una mamma disabile.

"Che madre è una madre che ti promette l’altra sponda senza essere certa di potertici accompagnare? Che madre è una madre che raggiunta l’altra sponda può non saperti riportare a riva?"

La malattia non cambia solo il malato, ma anche i suoi famigliari e chi gli è attorno.

"La malattia di uno diventerebbe la malattia di tutti. La disabilità di uno, la disabilità della famiglia."

Come ti guarda e che pensieri formula chi sa che vivi portando su di te una malattia da cui non guarirai mai e che non tornerai più ad uno stato "pre-morbo"?

"Penso: è sempre lo sguardo degli altri che ci forma e ci deforma."
"Lo sguardo degli altri quando siamo malati ci tiene in ostaggio. Siamo prigionieri della pietà, della commiserazione, del difetto che può diventare principio e fine della nostra biografia."

Francesca è cosciente che lei non è la sua malattia; non è i "suoi sintomi", bensì è una donna con dei sintomi.
E dall'esterno, in fondo, neppure si direbbe che sta male, perchè finché sei inferma ma il "guasto" non si vede, puoi ancora cavartela e sfuggire agli sguardi curiosi e compassionevoli degli altri; ma quando il danno è evidente, non sei più solo un malato: sei vittima. 
E la vittima si riconosce; di lei i sani hanno pietà, commiserazione, tolleranza.

"Essendo commiserato puoi commiserarti a tua volta e su questo costruire un pezzo di identità. Cosí il danno finisce per coincidere con quello che sei."

Essere malata ha costretto Francesca a riconsiderarsi sotto più aspetti, ad esempio come una cittadina che usufruisce di visite e cure che - se dovesse pagare - costerebbero un occhio della fronte; il dover andare di frequente in ospedale inevitabilmente la porta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, la mette a confronto con altri malati come lei ma anche con infermieri e medici che si occupano del suo corpo malato.
La malattia l'ha costretta a fare i conti con un modo di percepire lo scorrere del tempo differente da prima: ha imparato, ad esempio, in quanto paziente, che il mondo ospedaliero non è solo lo spazio della cura, perché dopotutto non è detto che la medicina abbia sempre tutte le risposte e tutte le cure, o che, dopo le cure, ci sia una guarigione, o che ancora, essa sia completa.
Francesca accetta che l'imponderabile che ha attaccato il suo cervello, il midollo spinale..., non è un problema risolvibile in senso definitivo e, anzi, davanti a patologie come la sua, la scienza medica si configura come lo "spazio dell’incertezza".

Neanche la terminologia viene in aiuto, in questi casi: già, perché la lingua della medicina non ha lo stesso vocabolario della gente comune e non coincide quasi mai col male che prova a descrivere, anzi lo imbriglia in gabbie rigide e sterili.

Scrivere, raccontare e raccontarsi diventa allora uno strumento per permettere alla Francesca di prima e a quella di oggi di incontrarsi e inventare una lingua nuova per mettere insieme i pezzi, per reinventarsi e riconoscersi attraverso l’esperienza della malattia, affrontando la paura di dover lasciare andare "il peso di una Francesca che non c’è più".

In questo libro così personale, Francesca Mannocchi si racconta e lo fa con una voce che, nel suo essere asciutta, razionale, lucidissima, sa comunicare efficacemente tutte le emozioni, i timori, i turbamenti, gli interrogativi, la profondità del proprio vissuto, condividendo con il lettore l'esperienza della scoperta della malattia, come essa abbia portato una rivoluzione dentro e attorno a lei, cambiandola per sempre e per forza di cose, costringendola ad accogliere nuove realtà, nuove parole, a costruire una nuova identità, a far pace con un passato ormai già disegnato, ad accettare un presente incomprensibile e un futuro incerto ma comunque da vivere.

Ci narra, dunque, di malattia (e di percezione di sé, di come pensiamo che gli altri guardino il disabile), dell'approccio con gli aspetti medico-sanitari della propria nuova condizione di salute, ma anche dell'esperienza della gravidanza e della maternità, dei legami con i propri famigliari,  della forza della memoria e dei ricordi, delle mille paure in quanto mamma che vorrebbe poter giurare al proprio bambino "Tranquillo, ci sarò sempre per te".

Per quanto mi riguarda, ogni scritto in cui l'autore trova il coraggio di parlare di sé, affrontando anche tematiche molto personali e facendolo con tanta onestà, merita di essere letto, quindi ve lo consiglio perché nelle parole di Francesca, nelle sue considerazioni, nell'esternazione di ogni paura, perplessità, incertezza, speranza..., il lettore può ritrovarsi.


Citazioni.

"È per gli altri che vogliamo essere perfetti, bellissimi, desiderabili.
È dagli altri che cerchiamo approvazione.
È l’altro che ci vede e vedendoci ci racconta, è l’altro a suggerirci chi siamo.
È lo sguardo, dunque, la gabbia?"

"Custodiamo i ricordi con una cura eccezionale. Li trasformiamo in parole, immagini, fotografie, filmini, superotto, oscillando di continuo tra l’essere protagonisti della nostra vita e diventarne testimoni. Vogliamo che niente ci sfugga, che ogni evento possa diventare cimelio. I ricordi sono le narrazioni che ne facciamo, e noi, tutti, vogliamo raccontarli. Vogliamo raccontarci."

"...ho avuto un’idea precisa di cosa sia il ricordo quando il muscolo della memoria non viene allenato. Diventa proiezione dei dolori di altri, delle loro rimozioni, del modo di sopravvivere al presente, alterando il passato, se serve, oppure congelando i fatti che resistono a diventare ricordi."

domenica 30 gennaio 2022

Dietro le pagine di... "La ragazza del sole" di Lucinda Riley


Come dico ogni volta che scrivo la mia opinione sui romanzi di Lucinda Riley, uno degli aspetti che più gradisco delle sue narrazioni è il mix tra finzione e realtà: mi piace molto che i personaggi inventati dei suoi libri interagiscano (e la loro vita è spesso da essi rivoluzionata) con personaggi realmente esistiti.

È ciò che si verifica anche nel sesto libro della saga Le Sette Sorelle, LA RAGAZZA DEL SOLE (recensione), dove la giovane protagonista è in qualche modo collegata a una donna nera che ha dato il suo notevole contributo per aiutare concretamente i figli di tossicodipendenti nel quartiere di Harlem, a New York: sto parlando di Mother Clara Hale.


Clara McBride è nata nel 1905 a Elizabeth City, nella Carolina del Nord; rimasta orfana molto giovane, dopo il liceo sposa Thomas Hale e insieme si trasferiscono a New York, ad Harlem.

C'è da dire che negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, Harlem era un quartiere piuttosto povero e con un elevato tasso di disoccupazione e criminalità, tanto che per anni è stato considerato tra i più pericolosi e malfamati nell'isola di Manhattan.

Purtroppo, dopo pochi anni dal matrimonio, Thomas muore di cancro, lasciando la giovane vedova con tre bambini (Nathan e Lorraine, Kenneth era stato adottato) piccoli da crescere e mantenere. Avendo bisogno di soldi, Clara comincia a lavorare come donna delle pulizie nelle case durante il giorno e nei teatri di notte.

Essendo lei per prima ad incontrare non poche difficoltà nel crescere i propri figli ad Harlem e da madre sola, la signora Hale sente una forte empatia per i bambini abbandonati e trascurati. 
Così, negli anni '40 apre le porte della propria casa per fornire assistenza a breve e lungo termine ai bambini della comunità; si preoccupa anche di trovare alloggio a bambini senzatetto e questo suo impegno fa sì che venga chiamata affettuosamente "Mother Hale", essendo stata riconosciuta come  madre affidataria autorizzata che fornisce assistenza a centinaia di bambini nella propria casa. Inizialmente il suo aiuto è volto a prendersi cura di bambini i cui genitori lavorano durante il giorno, offrendo ai piccoli ospiti un ambiente premuroso ed e amorevole.  

"hold them, rock them, love them
 and tell them how great they are."
Nel 1969 le cose cambiano: Lorraine Hale (la figlia, medico, di Clara) incontra in un parco di Harlem una donna eroinomane, con il suo bambino di due mesi, e le dà l'indirizzo di sua madre. 

Da quel momento Clara decide di prestare assistenza e aiuto ai figli di persone tossicodipendenti, supportata dai propri figli; insieme a Lorraine fondano Hale House, una comunità in cui venivano accolti bambini/ragazzi tossicodipendenti per fornire loro cure ed assistenza: li cresceva come fossero figli suoi e, una volta guariti dalla dipendenza, si preoccupava di trovare famiglie interessate all'adozione.

Ad Hale House, inoltre, i genitori con problemi di droga venivano aiutati ad imparare a prendersi cura di se stessi e dei loro bambini partecipando a un programma di riabilitazione. 
Negli anni '80, Hale ha ampliato i servizi di Hale House includendo l'assistenza ai bambini colpiti dall'HIV e a coloro che avevano perso i genitori a causa dell'AIDS.

Durante gli anni in cui ha operato ed aiutato tante persone, Mother Clara Hale ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi per il suo servizio alla comunità; nel 1985 il presidente Ronald Reagan l'ha definita una "eroina americana" per il suo impegno nei confronti dei bambini a rischio.

Clara McBride Hale è morta il 18 dicembre 1992 a New York City all'età di 87 anni.





Come spiegato già nella sinossi del libro, la storia si sviluppa su due piani temporali: il 2008 e gli anni '40 del Novecento, in cui conosciamo la co-protagonista la newyorchese Cecily, che trascorrerà non pochi anni in Kenya.
Là viene in contatto con la comunità di bianchi aristocratici denominata Happy Valley.

Si tratta di un gruppo di ricchi signori e signore britannici e anglo-irlandesi, stabilitisi nella regione Happy Valley della Wanjohi Valley, vicino alla catena montuosa di Aberdare, tra gli anni 1920 e gli anni 1940; l'area intorno al lago Naivasha è stata una delle prime ad accogliere comunità bianche.
In particolare negli anni Trenta il gruppo diventò noto per i suoi stili di vita "decadenti", edonistici, per l'abitudine all'uso di droga e per la promiscuità sessuale.

Tra i membri di Happy Valley sono annoverati personaggi cui si è ispirata la stessa Lucinda e che vengono da lei menzionati: Kiki Preston (1898 - 1946), Jock "Jack" Delves Broughton e la moglie Diana Delves Broughton, Josslyn Hay, 22esimo conte di Erroll, Alice de Janzé.


Wanjohi Valley, Kenya





Kiki Preston


lago Naivasha



https://blackdoctor.org/
https://ifatti.wiki/
https://www.blackpast.org/

bursarts.wordpress.com
https://it.knowledgr.com/
https://therake.com/stories/happy-valley-set/
https://www.kenyavacanze.org/safari/lago-naivasha/

sabato 29 gennaio 2022

| Anteprima libri | A febbraio in libreria



Ecco alcune prossime pubblicazioni che vanno difilato nella mia lista dei desideri (quella per cui....: ma poi me ne restano mille!, avete presente? :-P ) *_*


Parto da un romanzo young adult di uno scrittore noir che amo e che fa il suo esordio nella narrativa per ragazzi: Piergiorgio Pulixi: IL MISTERO DEI BAMBINI D'OMBRA (Rizzoli, 192 pp, 12 euro, USCITA 15 FEBBRAIO 2022).

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È il 1984 quando a Stonebridge accade una tragedia: in una sola notte tutti i bambini al di sotto dei tredici anni sono scomparsi senza lasciare traccia.  
Durante il trascorrere degli anni, qualcuno racconta di averli sentiti giocare al limitare del bosco, ma in realtà ciò che visto erano soltanto le loro ombre.
Come se fossero dei fantasmi. 
Quando il 12enne Jake Mitchell scopre che suo zio Ben era uno di quei ragazzini scomparsi trent'anni prima, si ritrova a pensare sempre più spesso a quello zio che non ha mai conosciuto e che ora sente più vicino che mai.
Merito anche della mitica pallina da baseball a lui appartenuta e che Jake capisce subito avere un valore speciale.
Il ragazzino sta ancora imparando a convivere con questa nuova verità della sua famiglia quando il suo migliore amico Mike scompare nel nulla, e lui non può far altro che andare a cercarlo, contro tutto e tutti, infilandosi in un'avventura tra realtà e magia da cui nessuno tornerà più come prima...





Il castello di ghiaccio di Tarjei Vesaas (Iperborea Ed., trad. I. Peroni, 224 pp, 16.50 euro, USCITA 2 FEBBRAIO 2022) è un romanzo che si cala nelle inquietudini e nelle fragilità più insondabili dell’adolescenza attraverso una storia di amicizia e smarrimento che ha l’atmosfera sospesa dei sogni.

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Com'è l’inverno in Norvegia?
Freddo, buio, solitudine, laghi che diventano lucidi specchi d’acciaio, alberi che si trasformano in ricami di brina, monti e valli che si confondono in un luminoso biancore. 
Come se fossero sotto una cappa d'incantesimo, tutto sembra congelarsi, proprio come la cascata vicina al villaggio che il gelo ha trasformato in un castello di ghiaccio, una straordinaria costruzione di cupole, guglie, anfratti e saloni, che pare attirare tutti a sé con una forza arcana, come i castelli incantati delle fiabe o le inquietanti rocce di Hanging Rock. 

Questa è la storia di un’inspiegabile scomparsa, di una vana ricerca e di un mistero insoluto. 
Ma è soprattutto la storia di un’amicizia che scava nel cuore di due adolescenti: la vivace Siss, trascinante dominatrice tra i giovani della piccola comunità, e la bella Unn, nuova arrivata, schiva e solitaria, che ha il fascino enigmatico di chi nasconde un segreto. 

Si avvicinano non circospezione, lentamente, mettendo a nudo quell’identità complessa e indefinita tra l’infanzia e l’età adulta, quando tutto è portato agli estremi e mira all’assoluto, in un fragile equilibrio che basta poco a spezzare in dramma. 
I bambini, gli adolescenti, i marginali che Vesaas sceglie come suoi protagonisti sono forse troppo sensibili per adattarsi al mondo, ma hanno il dono di vedere l’essenziale, di ascoltare le voci dell’acqua e del vento, di lasciarsi incantare dalla bellezza della natura fino a varcare il confine tra la vita e la morte per perdersi nel suo grande abbraccio.




Dopo aver raccontato la sua infanzia a San Patrignano e la sua esperienza con la dislessia, Andrea Delogu esordisce nella narrativa. Lo fa con CONTRAPPASSO (Harper Collins italia, 432 pp, 19 euro, USCITA 24 FEBBRAIO 2022), un romanzo disturbante e avvincente, con personaggi e situazioni indimenticabili, che tiene il lettore incollato alla pagina e induce alla riflessione  sul rapporto degli umani con l'ambiente che li ospita, sulla ricchezza e lo spreco, sulle responsabilità e i limiti del potere.
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Nessuno si aspettava il Contrappasso. Eppure, in una giornata simile a tante altre, gli esseri umani  avevano iniziato a morire in modi violenti e atroci. 
Chi uccideva un animale - che fosse un insetto, un mammifero, un pesce... - ne condivideva all'istante la stessa sorte, perdendo la vita nello stesso modo. 
Il mondo a suo modo si è adattato alla nuova normalità seguendo il Piano di Sopravvivenza, fra squadre di Arginatori, sacrifici al Dovere, punizioni al Ritmo Delta, isole fantasma e colonie di ribelli. 
Ma un'indagine porta alla scoperta della verità sulla neonata società e sul suo castello di potere e sangue, spostando in continuazione il confine fra ciò che è giusto e sbagliato, fra ciò che è opportuno e ciò che è sconveniente anche se utile a conservare un tratto di umanità.


giovedì 27 gennaio 2022

✤ Le vittime dell'Olocausto ✤ Giornata della Memoria, 27 gennaio 2022



In questo giorno, istituito nel 2005 quale ricorrenza internazionale da celebrare ogni anno, si ricordano le vittime dell'Olocausto, attuato dai Nazisti e dai loro collaboratori durante la Seconda Guerra Mondiale e che ha portato alla morte sei milioni di Ebrei e milioni di altre persone.

Non è semplice documentare il numero preciso delle vittime dell'Olocausto, in quanto non esiste alcuna lista ufficiale di coloro che morirono; per farne una stima più vicina possibile alla realtà, ricercatori,  organizzazioni ebraiche e agenzie governative hanno usato, sin dal 1940, fonti diverse quali censimenti, archivi tedeschi o dei paesi dell'Asse, e indagini condotte dopo la guerra.





Come dicevo, ad essere stati perseguitati ed assassinati sono stati 6 milioni di Ebrei.
Sul sito Enciclopedia dell'Olocausto (vi consiglio di visionarlo, se non l'avete ancora mai fatto), è possibile leggere i numeri delle altre vittime della follia nazista:

- circa 7 milioni (inclusi 1,3 milioni di civili ebrei sovietici, i quali sono anche inclusi nei 6 milioni di Ebrei) di civili sovietici;
- circa 3 milioni (inclusi circa 50.000 soldati ebrei) di prigionieri di guerra sovietici;
- 1,8 milioni  di civili polacchi, non-ebrei circa (inclusi tra i 50.000 e i 100.000 membri delle elites polacche);
- 312.000  civili serbi (in Croazia, Bosnia, ed Erzegovina);
- 250.000 circa tra le persone disabili che vivevano in istituti;
Rom (Zingari) fino a 250.000;
- Testimoni di Geova, circa 1.900;
- Criminali recidivi e individui definiti asociali, almeno 70.000;
- Oppositori politici tedeschi e membri della Resistenza nei paesi dell'Asse (numero indeterminato);
- centinaia e centinaia di omosessuali (inclusi i quasi 70.000 criminali recidivi e gli asociali elencati precedentemente).


Vi lascio - e lo faccio anche come promemoria per me - alcuni titoli per approfondire l'argomento delle persecuzioni verso queste altre categorie, di cui forse non si parla abbastanza...


Le donne di Ravensbruck. Testimonianze di deportate politiche italiane di Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone (Einaudi, 2020).

A Ravensbrück, il campo di concentramento destinato ad accogliere una popolazione in prevalenza 
femminile, morirono circa novantaduemila donne. 
Lidia Beccaria Rolfi (che là fu deportata e sopravvisse) e Anna Maria Bruzzone hanno raccolto le testimonianze di alcune prigioniere che raccontano la loro esperienza di deportate, coperte di stracci, divorate dai pidocchi, sfinite dalla denutrizione, dalle botte, dai bestiali turni di lavoro. 
Un libro sull’orrore patito, ma anche sulle forze del cuore, dell’anima e della mente che le cinque prigioniere seppero opporre all’atroce realtà del Lager.

Vedi anche Il cielo sopra l'inferno. La drammatica storia vera di Ravensbrück il campo di concentramento nazista per sole donne di Sarah Helm.


Il flagello della svastica. Breve storia dei delitti di guerra nazisti di Edward Russell (Pgreco Ed., 2017).

La brutalità nazista, l'orrore dell'Olocausto e la tragedia dei lager. Tutto questo condensato in un amaro resoconto dei crimini di guerra perpetrati dalla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Basato sulle testimonianze presentate ai processi di Norimberga e scritto da Lord Edward Frederick Langley Russell, che fu personalmente coinvolto nei procedimenti giudiziari contro i criminali di guerra, questo libro si pone come memoria irrinunciabile e dura condanna delle atrocità commesse dai nazisti. Dalle esecuzioni ad Auschwitz al massacro di Lidice o, ancora, alla distruzione del ghetto di Varsavia, siamo messi di fronte a ignobili massacri, verso i quali non è possibile chiudere gli occhi e tacere, ma occorre ricordare, nella misura in cui ricordare significa autenticamente capire.





Triangolo rosa. La memoria rimossa delle persecuzioni omosessuali di Jean Le Bitoux (Manni Ed., 2013).

Con l'avvento del nazismo in Germania si scatena l'odio contro gli omosessuali: i Tedeschi hanno
bisogno di futuri combattenti per la grandezza della nazione e della razza, e i gay diventano nemici da identificare ed eliminare. Inasprite le leggi, 100.000 omosessuali sono vittime di delazione, marchiati e perseguitati dalla polizia e dalle SS, più di 10.000 finiscono nei campi di concentramento, e le persecuzioni si estendono via via nei territori annessi dalla Germania. Finita la guerra, vittime, testimoni e storici tacciono. La deportazione omosessuale è rimossa dalla memoria collettiva, spesso le commemorazioni dei triangoli rosa sono osteggiate dalle altre categorie di deportati e non di rado continuano ad esistere per decenni leggi persecutorie e omofobe; in questo libro Jean Le Bitoux, utilizzando le fonti più varie, da testimonianze dirette a conversazioni e interventi di Sartre e Foucault, ci restituisce questa storia dimenticata e indaga le ragioni della rimozione, dell'oblio.





Fra Martirio e Resistenza, La persecuzione nazista e fascista dei Testimoni di Geova di Matteo Pierro (Ed. Lariologo, 2002).

Matteo Pierro è il responsabile del Centro di Documentazione sui Bibelforscher (Studenti Biblici) che ha sede a Salerno. Nei campi di concentramento nazisti, il triangolo viola cucito sull'uniforme carceraria, identificava i Bibelforscher (gli odierni Testimoni di Geova). "Fra martirio e resistenza" ricostruisce la loro vicenda attraverso inediti documenti dell'epoca, dichiarazioni di ex deportati e di storici di fama mondiale. Il libro inoltre descrive la denuncia delle atrocità naziste compiuta da questa minoranza e la repressione che subirono in Italia, sotto il regime fascista. Contiene una significativa documentazione fotografica e nella ricca appendice, la storia di Narciso Riet, arrestato dalle SS a Cernobbio nel 1943. 





Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute di Marco Paolini (Einaudi, 2014).

Questa è la storia di uno sterminio di massa conosciuto come Aktion T4. T4 sta per Tiergartenstrafte numero 4, un indirizzo di Berlino. Durante Aktion T4 sono stati uccisi e passati per il camino circa trecentomila esseri umani classificati come "vite indegne di essere vissute". Tale progetto era volto all'eliminazione del "diverso" e dell' "inutile"; un progetto tenuto segreto ma in realtà realizzato sotto gli occhi di tutti, con una regia attenta a cogliere il consenso della classe medica e della popolazione, indotta a credere che fosse la cosa giusta. Nel '41, anche a seguito delle crescenti proteste della popolazione che si interroga sul numero di decessi negli istituti e della Chiesa Cattolica che denuncia lo sterminio, Aktion T4 cessa ufficialmente, ma le uccisioni proseguono fino a dopo la fine della guerra: migliaia le persone che sparirono in questo modo, non solo in Germania e Austria. Gli esiti di questa operazione vedono coinvolti anche Ospedali Psichiatrici italiani (Trieste, Venezia, Treviso, Pergine Valsugana TN).
Cominciarono a morire prima dei campi di concentramento, prima degli zingari, prima degli ebrei, prima degli omosessuali e degli antinazisti e continuarono a morire dopo, dopo la liberazione, dopo che il resto era finito".

Altri testi: I medici nazisti di  Lifton R.J..,  Il nazismo e l'eutanasia dei malati di mente di Alice Ricciardi von Platen.





Porrajmos  è un termine poco noto, traducibile come "grande divoramento" ed è la parola usata da Rom e Sinti per indicare lo sterminio del loro popolo sotto il nazismo.
La persecuzione degli Zingari assunse caratteristiche molto simili a quella degli Ebrei, in quanto entrambi i popoli erano ritenuti “portatori di sangue estraneo”; nel caso degli zingari, essi furono oggetto della strategia nazista dell’annientamento biologico in quanto considerati  “asociali” e “parassiti schivi del lavoro”, quindi individui potenzialmente pericolosi e capaci di turbare l’ordine pubblico.


Cuore di zingara di  Marcella Delle Donne (Ediesse Ed., 2014)

Rosanna, una bimba di tre anni, è il filo conduttore della storia di un clan familiare rom, fatto di personaggi straordinari, in prevalenza donne intrepide e appassionate segnate dall’esclusione e dalla presenza di un capo clan tragicamente dominante. Rosanna ci conduce tra i campi rom di Firenze, Roma e Torino. Scopriamo mondi altri, dove passato e futuro si annullano nel presente. Mondi fatti di suggestioni, di magia, di disperazione e... amore sublime. Per non dimenticare, la sezione del libro posta a premessa della peregrinazione di Rosanna, racconta la storia del Porrajmos, il genocidio del popolo rom nei campi di sterminio della Germania nazista e non solo.

Altri testi: Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson (c'è la recensione sul blog), La persecuzione nazista degli zingari, di Guenter Lewy; Quando arrivammo c'era solo erba alta. L'Olocausto infinito di rom e sinti di Paolo Cagna Ninchi.





SONO RIMASTO IN BILICO (Rasim Sejdic)

Sono rimasto in bilico
sulla lama del coltello
sono rimasto gelato come la pietra.

Il mio cuore tremò
sono caduto sul filo del coltello.

M’è rimasta la mano destra
e l’occhio sinistro
ho versato lacrime
ad Auschwitz dove sono rimasti gli zingari.
La lacrima è scesa
la mano ha preso la penna
per scrivere parole qualunque.



OLOCAUSTO DIMENTICATO (Paula Schöpf)

Silenzio, desolazione, oscura notte
il cielo è cupo, pesante di silenzio!
Aleggia nell’aria la nenia della morte!
Da queste pietre, grigie pietre,
da ogni rovina, dalle cornici infrante
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s’impiglia nel filospinato
E la mia anima s’aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa nemica!
Chi sono? Nessuno! Tu chi sei?
Nessuno!
Voi Sinti chi siete? Nessuno! solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
prigioniera della più grande infamia
della storia dell’uomo!





SE QUESTO È UN UOMO (Primo Levi)

Voi che vivete sicuri 
Nelle vostre tiepide case, 
Voi che trovate tornando a sera 
Il cibo caldo e visi amici: 

 Considerate se questo è un uomo 
 Che lavora nel fango 
 Che non conosce pace 
 Che lotta per mezzo pane 
 Che muore per un sì o per un no. 

 Considerate se questa è una donna, 
 Senza capelli e senza nome 
 Senza più forza di ricordare 
 Vuoti gli occhi e freddo il grembo 
 Come una rana d'inverno. 

 Meditate che questo è stato: 
Vi comando queste parole. 
Scolpitele nel vostro cuore 
Stando in casa andando per via, 
Coricandovi alzandovi; 
Ripetetelele ai vostri figli. 
 O vi si sfaccia la casa, 
 La malattia vi impedisca, 
 I vostri nati torcano il viso da voi.




Fonti consultate: 

http://www.romsintimemory.it/
https://encyclopedia.ushmm.org
http://www.informareunh.it/lolocausto-delle-donne-non-conformi-o-inutili/
http://www.superando.it/2015/01/20/quel-primo-olocausto/
https://www.jolefilm.com/spettacolo-tv/ausmerzen/
https://www.figlidellashoah.org/ 
http://www.deportati.it/ (N.B.: nella sezione "libri online" potrete leggere e scaricare legalmente molte testimonianze di ex-detenuti nei lager e tanti altri scritti)
Ibs.it

mercoledì 26 gennaio 2022

Recensione: UNA BAMBINA E BASTA di Lia Levi



Credo non ci sia anno che passi (ed è mia intenzione impegnarmi affinché sia sempre così) senza che io legga almeno un libro (romanzo, autobiografia, reportage ecc...) che sia dedicato specificatamente all'Olocausto, al tema dello sterminio all'interno dei campi di concentramento nazisti, alle atroci esperienze di persone che hanno subito questa barbarie e sono sopravvissute, o che sia ad esso "collaterale", come nel caso di questo libro di Lia Levi.
Lia Levi non ha vissuto l'orrore dei campi di concentramento perchè tanto lei che i famigliari hanno potuto nascondersi all'interno di un convento a Roma negli anni di fuoco della seconda guerra mondiale, aspettando che il caos del conflitto e, in particolare, la furia dei tedeschi passassero, lasciandoli indenni e insieme.
E così è stato, grazie a Dio.
In questo breve scritto autobiografico, l'Autrice ci racconta la sua vita negli anni della guerra e di come essa sia stata travolta dall'introduzione delle leggi razziali da parte del fascismo, fatto che ha obbligavo la sua famiglia (ebrea) - e non solo la sua, chiaro - a cercare di sfuggire alla persecuzione.
Il suo è il racconto di una bambina che vede come tutto attorno a sé cambi da un giorno all'altro e come tutto questo si rifletta negli occhi e nei comportamenti dei genitori.


UNA BAMBINA E BASTA 
di Lia Levi


 
Edizioni E/O
128 pp

 
Ha appena finito la prima elementare, Lia, quando la mamma le dice che a settembre non potrà più tornare in classe, ma che dovrà iscriversi ad una scuola ebraica. 
Eh già, perché Mussolini, che comanda su tutti, non vuole più i bambini ebrei nelle scuole. 
A dire il vero, non li vuole da nessuna parte, tant'è che Lia e famiglia sono costretti a lasciare la città in cui vivono, Torino, e poi anche Milano (in cui si trasferiscono per poco tempo); senza considerare che il papà ha perso il lavoro ed è sempre giù di morale, la bimba e le sorelle vengono iscritte a un corso di francese (scelta che la piccola proprio non comprende) e in seguito, come se tutti questi cambiamenti non fossero già troppi, devono ritrasferirsi, stavolta a Roma, nel quartiere di Monteverde e, una volta lì, le cose precipitano...

Sì, perché verrà a far loro visita, e non una volta sola, un signore della questura, avvertendoli che, siccome sono ebrei, certe cose non le possono fare! Ad es., non possono tenersi in casa la domestica Maria perché, appunto, sono ebrei, e tra l'altro Maria non lo è. 
La domestica avrà pure un'aria sempre scocciata, triste e noiosa come la pioggia, ma le sono tutti affezionati in casa Levi, pure perché ha praticamente visto crescere le bimbe.

Lia è una bambina attenta, curiosa, riflessiva e, per tutto ciò che vede e succede attorno a sé, ha mille domande, che puntualmente rivolge alla madre.
Gli adulti sono così, fanno tanto i maestri nel decidere cosa e quando tu, bambino, puoi venire a conoscenza di certi fatti misteriosi, e pretendono che tu debba accettare le loro informazioni senza aprire bocca.

"Non mi piacciono i grandi quando decidono di farti un discorso: si sentono evoluti e magnifici, ti guardano negli occhi, cercano il tono a mezza altezza... ora saprai tutto anche tu, ci penseranno loro a impacchettarti la notizia come una merendina.
Io non voglio ascoltare proprio niente, non perché abbia paura di chissà quali segreti, ma perché mi annoia tutto il teatrino. Questo non lo capiscono. Dal momento in cui hanno deciso di rovesciare nelle tue braccia il dono della loro confidenza, tu devi essere lì come un uccello neonato che aspetta il cibo dal becco della madre. E invece non è vero niente."

Lia sente da subito (parliamo degli inizi, 1938) che c'è qualcosa nell'aria che fa stare tutti preoccupati, che li induce a parlare a bassa voce e a lanciare occhiate alle figlie per controllare che non stiano ascoltando.
Ma lei, Lia, sente, vede  e registra tutto, e fa pure domande, se le va.
Certo, non tutto le è chiaro; ad es., non capisce bene perché sua zia - che vive al confine con la Francia - sia stata arrestata, proprio lei che è tanto tranquilla e buona; e non sa ancora perché abbia regalato il suo bell'anello alla mamma, dicendole che a lei sarebbe servito di più, perchè ha delle figlie.

La situazione peggiora e i Levi sono costretti a fuggire di nascosto e separarsi; le bambine  vengono portate in un convento cattolico alle porte di Roma: è l'unico modo per sfuggire all'arresto e alla deportazione, come purtroppo sentono che sta accadendo ad altri ebrei. 

In questo collegio cattolico Lia si sente un pesce fuor d'acqua e sa che le bimbe (cattoliche) ne percepiscono la diversità: non partecipa alla messa, fa il segno della croce al contrario, non conosce le preghiere che esse recitano a memoria (non solo, ma per restar fedeli alla propria fede, le allieve ebree recitano lo Shemà ogni sera, insieme, nelle loro camere), insomma non è come loro.

Eppure, pian piano, la narrazione da parte delle suore di questo "Dio dei cattolici", che fa grazia e misericordia e che pare meno arrabbiato del "Dio degli ebrei", stuzzica la curiosità dell'intelligente ragazzina, che vede in una possibile conversione una sorta di àncora di salvezza, che la farebbe stare più tranquilla e al sicuro, oltre a farla sentire meno "diversa" dalle compagne.

Ma non ha fatto i conti con la madre «tigre leonessa che ha poco tempo per libri e sinagoghe perché deve difendere le figlie», la loro vita ma anche la loro identità minacciata. 

Intanto, il tempo passa, i tedeschi arrivano a Roma e l'atmosfera in convento si surriscalda: verranno a rastrellare e ad arrestare questi ebrei che si nascondono?
Lia sogna di poter tornare nella loro vecchia casa, insieme alla mamma e al papà.
Forse, quando la guerra finirà... e lei potrà smettere di essere una bimba ebrea in fuga, ma solo una bambina.
Perché, alla fine, questo lei è: una bambina e basta.

È un libro che si legge velocemente, in poco tempo, è davvero scorrevolissimo e piacevole nello stile, e il punto di vista della giovanissima protagonista ci guida nella lettura, dandole la giusta dose di spensieratezza (grazie al suo caratterino, all'arguzia, alla caparbietà e alla sua vivace curiosità) che va ad incastrarsi con la drammaticità degli eventi da lei vissuti (le conseguenze delle leggi razziali in termini di discriminazione e necessità di trovare un posto sicuro in cui rifugiarsi), narrati sempre e comunque dalla prospettiva di una bambina di dodici anni che si fa domande su tutto ciò che vive ed osserva ma che, almeno per il momento, non tutto coglie appieno.
Adattissimo per lettori molto giovani, e del resto è un testo usato molto nelle scuole.





L'ho letto in occasione della Giornata della Memoria, che cade il 27, ed infatti anche domani troverete un post a tema, dove mi soffermerò un po' sulle vittime dell'Olocausto, tra cui figurano, accanto alla maggioranza di ebrei, altre categorie di persone, che subirono la persecuzione per motivi anch'essi razziali o di altro genere.


Se può interessarvi, vi lascio i link di altri post a tema.


"L' inferno di Treblinka" di Vasilij Grossman
NOI, BAMBINE AD AUSCHWITZ di Andra e Tatiana Bucci
Giornata della memoria - per non dimenticare
BAMBINO N. 30529 di F. Weinberg
SI CHIAMAVA ANNA FRANK di M. Gies
IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI di G. Bassani
IO NON MI CHIAMO MIRIAM di M. Axelsson
LA TREGUA di P. Levi
SE QUESTO E' UN UOMO di Primo Levi
ANNA FRANK. DIARIO
IL BAMBINO DI SCHINDLER di L. Leyson
LA LISTA DI SCHINDLER di T. Keanellay

martedì 25 gennaio 2022

Recensione: TEMPI DIFFICILI di Les Edgerton



I tempi di cui ci narra Les Edgerton in questo romanzo, ambientato negli Anni Trenta in Texas, sono difficili, selvaggi e duri per davvero, e arrivano al lettore come un pugno sui denti, con tutta la rabbia e la disperazione di chi ha fame e non sa come saziarsi, di chi sopporta per anni soprusi ed angherie e spera che arrivino stagioni migliori, di chi piange impotente davanti alle lacrime amare del frutto del proprio grembo, di chi si ritaglia il proprio posto nella società unicamente attraverso una barbara violenza e un'aggressività ferina, perché a quelle è abituato.
Con uno stile narrativo tagliente, asciutto, privo di inutili sofisticherie stilistiche, l'Autore ci racconta una storia cruda e sconvolgente facendo scendere in campo personaggi forti, "esplosivi", di cui è difficile dimenticarsi perché non lasciano indifferenti ma sanno suscitare ammirazione o odio, e ai cui miserabili destini ci si appassiona dal primo all'ultimo momento.




TEMPI DIFFICILI  
di Les Edgerton



Elliot Ed.
trad. M. Piva
192 pp

Conosciamo Amelia Laxault quando è una quattordicenne portata per la scuola, intelligente e con una certa inclinazione per i numeri, tanto da aver vinto in terza elementare un premio in una gara di aritmetica a scuola.

Ma la ragazzina è nata in un periodo in cui le donne, nel Texas rurale negli anni della Grande Depressione, restano facilmente impigliate nelle dinamiche brutali a loro riservate dagli uomini, che siano padri, fidanzati o, peggio, mariti.

Amelia non è una debole, ha il suo bel carattere ma la madre l'ha cresciuta a colpi di versetti biblici che la inducono ad essere sottomessa ai maschi di casa, a non ribellarsi, a sopportare sempre in silenzio, pregando di non far innervosire troppo il padre o il marito, così che questi la picchino il meno possibile.

«Noi donne abbiamo un talento: sappiamo sopportare. È quello che sappiamo fare. È quello che possiamo fare».

In un contesto famigliare severo e gramo di gratificazioni, accanto ad una madre rassegnata e ad un padre ruvido e gretto, nelle giornate della bella Amelia si apre uno spiraglio di felicità, che porta il nome di Billy Kliber.
Billy è un suo coetaneo: ha dei vivaci capelli rossi, è bello, gentile, intelligente, insomma il fidanzatino ideale, ed infatti i due si innamorano, si amano, si donano l'una all'altro... ma il fucile del padre di lei fa sentire i suoi colpi e costringe il povero Billy a battere in ritirata, pur giurando lui amore eterno alla sua Amelia.

Per sua figlia, il rozzo genitore ha già scelto lo sposo: Arnold Critchin, un ragazzo del posto, dal fisico forte, un cacciatore, forse scarso come agricoltore ma di certo bravo nell'allevare cani di razza per poi venderli.
Ma se c'è una peculiarità per cui tutti conoscono Arnold è sicuramente l'attaccamento alla bottiglia: tracanna alcool come fosse acqua e questo lo rende, se possibile, più violento e incivile di quanto non sia già per natura.
A farne le spese è ovviamente la povera Amelia, sin dal loro primo appuntamento, quando lui la stupra; la ragazza si scopre incinta ed è costretta a sposare il bruto Arnold, che sarà un marito terribile e la vita con lui un vero e proprio inferno.
Vanno a vivere in una fattoria piuttosto isolata ed Amelia si prende questa croce suo malgrado, convinta che quei voti di fedeltà e sottomissione, fatti davanti a Dio e agli uomini, siano sempre validi, anche se le è capitato un marito indecente, barbaro, grezzo e molto manesco, che le rifila manrovesci con facilità invece che carezze, insulti indicibili invece che parole d'amore; un uomo sempre arrabbiato, egoista, la cui unica fissa sono i suoi amati cani, che sostano sempre attorno alla casa in attesa di essere nutriti dal loro padrone.
Arnold non esita a spendere più danaro per le bestie (oltre che per se stesso) che per la sua famiglia; a suon di violenze, infatti, Amelia resta incinta diverse volte, per cui le bocche da sfamare aumentano... 
Ma a questo padre snaturato e meschino poco importa che la moglie e i figli - per i quali non sembra nutrire il benché minimo affetto - abbiano lo stomaco vuoto: a lui interessa sfamare i bracchi perché siano belli, forti e ben nutriti, così da venderli e guadagnare soldi; soldi che, puntualmente, spenderà per se stesso, lasciando pochi spicci a casa.

Insomma, la situazione è drammatica e per Amelia non c'è via di scampo; eppure c'è stato un momento - poco dopo il matrimonio - in cui Billy si era rifatto vivo e le aveva chiesto di seguirlo, lasciando quel coniuge violento e scellerato, ma la donna non aveva voluto tradire i propri voti di consorte fedele.

E questa sua scelta, pure onorevole e rispettabile, avrà le sue conseguenze in termini di infelicità e dolore; certo, per un po' di tempo Billy andrà a trovarla e proverà ad aiutarla, dandole qualcosa da mangiare, ma questa generosità non basterà.

Negli anni, le condizioni di vita di Amelia e dei suoi figli precipitano, soprattutto quando Arnold viene messo in prigione per un po' e i viveri scarseggiano sempre più: ad aver fame, purtroppo, non sono solo lei e i bambini... ma anche quei maledetti cani, che abbaiano e ringhiano con la bava alla bocca perché affamati come lupi.
Quando Amelia e la primogenita, ormai una signorina (Mandy, che ha i capelli rossi come il padre...!), cercano di mettere il piede fuori casa per cercare di procurarsi un po' di acqua e magari anche qualcosa da mettere sotto i denti per non morire, i cani le aggrediscono, cercano di morderle...

Ben presto, Amelia e i ragazzi si trovano prigionieri in casa loro,  tra quelle quattro pareti di legno anguste, all'interno delle quali ormai non c'è più cibo né acqua pulita; disperazione, fama, pianti inconsolabili: questo è l'unico cibo quotidiano di questa famigliola lasciata sola a se stessa, con l'incubo di cani rabbiosi e bavosi fuori dalla porta.

Che fare? Come uscir fuori da questa assurda situazione e cercare di salvare i propri bambini da una morte certa?
Amelia non sa se sperare che Arnold non torni più (vista la brutta vita che facevano con lui) o che comunque torni per portar loro da mangiare e tenere a bada le bestie fuori.

La donna non sa che Billy - che nel frattempo è diventato sceriffo - si preoccupa per lei, immaginando che in assenza del marito Amelia non se la cavi per niente bene; però andare ad aiutarla non sarà affatto semplice perché quel farabutto di Arnold - che sembrerebbe uno zotico scioccone ma in realtà ha un furbizia perfida e anche una certa dose di fortuna sfacciata - darà non pochi grattacapi alla polizia.

Sovente, alla povera disgraziata viene in mente un sogno che faceva da bambina, di cui ha sempre avuto paura, popolato da un uomo nero inquietante, un coltellaccio e l'abbaiare incessante di cani.
Non avrebbe mai immaginato, da ragazzina, che in una maniera o nell'altra, la vita - beffarda e imprevedibile come solo essa sa essere - avrebbe creato le condizioni per farle vivere in prima persona quell'angoscioso incubo.

Intanto, la sua vita già tanto problematica si incrocia con quella, altrettanto infelice e complicata, di un omone di colore,  Lucious Tremaine, che dalla Louisiana sta scappando per essere stato coinvolto in uno scontro con un agente di polizia bianco.
L'incontro tra questo fuggiasco e la povera donna farà sì che l'uno diventi una speranza di salvezza per l'altra, e viceversa.

Riuscirà Amelia a salvare i suoi figli sia dalla fame che dalla crescente violenza vendicativa di Arnold? La donna dovrà raccogliere tutto il suo coraggio e il suo ingegno per tentare di tenere in vita la famiglia, sperando però che qualcuno venga a salvarli.

"Tempi difficili" è un crime su uno sfondo country che trasuda asprezza, disperazione ma anche speranza, rozzezza e al contempo nobiltà d'animo, paura e coraggio, amore e odio, cattiveria gratuita e bontà; i suoi personaggi sono così realistici e vividi che paiono uscire con prepotenza dalle pagine: sono dei dimenticati, persone sole e lasciate ai margini della società, la quale a quelli come loro non fa sconti di nessun genere.
La narrazione si snoda seguendo un ritmo grintoso e vivace, raggiunge spesso momenti di tensione in cui il lettore segue con concitazione lo svolgersi frenetico degli eventi, sentendosi parte integrante della storia, vivendo ogni emozione accanto ai suoi personaggi.

Lo consiglio, è una lettura che cattura dal primo momento perché mette in gioco una galleria di esseri umani dalla personalità forte e, su tutti, spicca lei, la protagonista femminile, una donna umiliata e ferita che riesce a mantenere sempre, nonostante i tempi difficili in cui vive, una grande dignità e un incredibile coraggio.

lunedì 24 gennaio 2022

Frammenti di... Outlander

 

"Provavo uno strano senso di intimità per quel giovane sconosciuto, in parte dovuta, pensai, alla storia atroce che mi aveva appena raccontato, e in parte anche alla nostra lunga cavalcata nel buio, stretti l’uno contro l’altro in un insonnolito silenzio. Non avevo dormito con molti uomini, a parte mio marito, ma avevo già notato che dormire insieme a qualcuno, dormire nel senso vero e proprio della parola, procura questa sensazione di intimità, come se i sogni fluissero da noi stessi per andare a mescolarsi con i suoi, e infine avvolgessero entrambi in una coltre di incosciente complicità. Una specie di ritorno atavico al passato, riflettei. In tempi antichi, più primitivi (come questi? si domandò un’altra parte del mio cervello), dormire in presenza di un’altra persona era un atto di fiducia. Se la fiducia era reciproca, il semplice sonno poteva creare molta più intimità, tra i due, dell’unione dei corpi."

Diana Gabaldon, La Straniera






sabato 22 gennaio 2022

Recensione: LA RAGAZZA DEL SOLE di Lucinda Riley (Le Sette Sorelle #6)



È giovane, bella, ricca, inseguita dai paparazzi: Electra D'Aplièse è una top model di successo, ma la fama e il danaro non sono tutto nella vita, e per quanto questo possa sembrare il più famoso tra i cliché, contiene la sua inconfutabile verità. Ed Electra ne è un esempio: a ventisei anni è infelice, arrabbiata col mondo e soprattutto, nonostante sia ammirata ed invidiata, non è libera, ma schiava. 
Schiava della droga e dell'alcool, i suoi più fedeli amici, che la stanno distruggendo nel corpo e nell'anima. 
Ma, dopo aver toccato il fondo, si può solo risalire e quando la ragazza decide finalmente di conoscere gli indizi che Pa' Salt le ha lasciato per trovare le sue radici e la sua famiglia, scoprirà che "la storia delle nostre origini è il tappeto su cui poggiamo i piedi e che ci permette di volare": e allora sarà pronta a spiccare il volo e a non sentirsi più "la sorella perduta delle Pleiadi".


Ecco i libri che compongono questa che, per me, è una serie bellissima:

"Le Sette Sorelle":

1. Le Sette Sorelle. Maia
2. Ally nella tempesta
3. La ragazza nell'ombra
4. La ragazza delle perle
5. La ragazza della luna
6. La ragazza del sole
7. La sorella perduta (trama)
8. Atlas. The story of Pa' Salt (uscita prevista per ottobre 2022)



LA RAGAZZA DEL SOLE 
di Lucinda Riley



Ed. Giunti
672 pp

"Pa' se n'era andato – proprio come chiunque amato in vita mia – quindi non restava che tirare avanti. Non avevo bisogno di lui. Non avevo bisogno di nessuno...".


Come per le cinque sorelle maggiori, anche per la giovane Electra D'Aplièse apprendere della morte del padre adottivo è motivo di grande sconvolgimento e dolore.
Ma la ragazza non vuole ammetterlo né alla psicologa che la segue né tantomeno a se stessa; in fondo, suo padre non aveva alcuna ragione per essere davvero orgoglioso di lei, anzi, quasi sicuramente ne disapprovava lo stile di vita ed è morto amareggiato nel sapere che la più piccola delle sue figlie è una tossica ed alcolista.

Eppure alla donna non manca davvero nulla per essere felice ed appagata: vive in un fantastico appartamento a New York, il suo lavoro di top model famosa, richiestissima dalle case di moda - che adorano la sua pelle d'ebano, il suo viso bellissimo e il suo corpo longilineo su cui gli abiti costosissimi fanno una gran bella figura - le permette di avere un tenore di vita invidiabile, di poter soddisfare ogni capriccio, anche se poi in realtà lei ne ha soltanto due, che sono anche la sua ossessione e la sua rovina: cocaina e vodka.
Piste quotidiane di coca e fiumi di vodka, ad ogni ora, in ogni momento della giornata, ingollata come fosse acqua fresca.

Sotto la facciata di apparente soddisfazione e benessere, c'è una Electra fragile, ferita, che si sente sola e da sola non ce la fa a riprendere il controllo, da troppo tempo instabile, sulla propria vita; ovviamente il suo stato emotivo viene ulteriormente scosso dalla morte di Pa' Salt e dai sensi di colpa nutriti verso di lui.

"...cercai le Sette Sorelle, le trovai e cominciai a contarle. Ne individuai sei, la settima riuscivo a vederla solo di rado. Una volta Pa' mi aveva spiegato che in alcune culture Electra – cioè io – era considerata la sorella perduta delle Pleiadi. (...) in effetti mi ero sempre sentita la sorella perduta fra noi sei. Anche se Pa’ non era mai riuscito a trovare la settima."

Certo, non è davvero sola: sul lavoro è circondata da tante persone che cercano di rispondere alle sue esigenze e di mettere ordine nelle sue frenetiche giornate; in particolare, per Electra è fondamentale la sua assistente personale, e quando a farsi avanti è una certa Mariam, la ragazza scopre in lei non solo un fidato supporto professionale, ma anche un'amica leale, sincera, empatica.
In fondo, è di questo che tutti abbiamo bisogno per sentirci meno soli: un amico che ti ascolta, ti comprende e non ti giudica, ma ti aiuta a mettere un po' di ordine dentro e fuori di te.
Per quanto riguarda il rapporto con le sorelle, Electra ha sempre sofferto una sorta di inferiorità rispetto a loro, le quali, in un modo o nell'altro, hanno reso orgoglioso il padre e Ma', e attualmente hanno tutte trovato la loro strada, soprattutto dopo aver indagato sulle proprie origini.
Non sarà arrivato anche per lei questo momento?

Intanto, la dipendenza da alcool e stupefacenti la getta in un incubo, da cui però Electra è intenzionata ad uscire e, grazie alla propria forza di volontà e agli incoraggiamenti di Mariam, decide di prendersi cura di se stessa e di ricoverarsi in una clinica di disintossicazione; l'esperienza diventa fondamentale, grazie al supporto psicologico e all'incontro di alcune persone che diventeranno per lei importanti: le sue compagne di stanza, Lizzie (allegra e ottimista, nonostante i problemi personali) e Vanessa (giovanissima ma con un'esistenza difficilissima alle spalle) e infine l'avvocato nero Miles, un uomo gentile, comprensivo, diretto, dal grande cuore... e anche affascinante, il che non guasta!

Proprio quando è impegnata in questa battaglia personale, Electra riceve una lettera da una perfetta sconosciuta che afferma di essere sua nonna: Stella Jackson, una signora nera, che le somiglia molto, bella ed elegante a dispetto degli anni; ella dice di aver conosciuto Pa' e di avere una storia da raccontarle, per aiutarla a riscoprire se stessa sotto una nuova luce: quella del passato, necessaria per comprendere, accettare e costruire il presente ed il futuro. 

Stella comincia a raccontare e, insieme ad Electra, il lettore viene catapultato nel 1939, sempre a New York, dove conosce Cecily Huntley-Morgan, una giovane ragazza di buona famiglia a cui è stato spezzato il cuore per ben due volte; ferita e triste, la ragazza accetta l'invito dell'eccentrica madrina e amica di famiglia, Kiki, e si trasferisce in Kenya, convinta di trascorrerci qualche settimana per poi tornare a casa.

Ma nella soleggiata e meravigliosa Africa, con i suoi tramonti unici, il contatto quotidiano con la natura rigogliosa, la vista di animali imponenti e maestosi (e pericolosi...!) a un passo da lei, in compagnia della sua madrina (membro del famigerato gruppo Happy Valley), sulle rive del bellissimo lago Naivasha, Cecily ci resterà per diversi anni, lontana dalla sua famiglia e impossibilitata a raggiungerla per via dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Il soggiorno africano viene turbato da un imprevisto che rischia di mettere Cecily nei guai, ma il destino le fa incontrare Bill Forsythe, un famoso scapolo e allevatore di bestiame che ha stretti legami con l'orgogliosa tribù Maasai; la sua vita si incrocia quindi con quella di questo brav'uomo e, grazie ai suoi stretti rapporti con le tribù locali, Cecily conosce una giovane principessa, che aspetta un bambino: a lei fa una promessa che cambierà il corso della sua vita per sempre.

Il racconto della vita avventurosa di Cecily negli anni '40 in Kenya appassiona Electra, che piano piano capisce in che modo le proprie origini africane siano collegate a questa ragazza bianca americana.
E conoscere quali tipi di donne abbiano costellato quel passato che poi ha portato alla sua nascita - seppure in circostanze dolorosamente drammatiche - è per lei motivo di orgoglio e di incoraggiamento a non essere da meno: donne che - bianche o nere che fossero - hanno preso in mano la propria vita, facendo scelte anticonvenzionali pur di provare ad essere felici e fedeli ai propri principi e valori; donne che non hanno lasciato che la Storia le toccasse di sfuggita, ma che hanno fatto di tutto per ritagliarsi il proprio spazio in una società purtroppo piena di pregiudizi di vario genere, in primis quelli razziali nei confronti delle persone di colore.

E lei, la ricca e bella modella nera, può "usare" la propria lotta contro droga e alcool per inaugurare un nuovo capitolo della propria esistenza, facendo sì che il racconto dei suoi tanti sbagli e delle debolezze  che hanno la meglio su di lei per troppo tempo, sia di aiuto per i ragazzi nelle sue stesse difficoltà?


Considerazioni.

Leggere il sesto capitolo della saga è stata un'avventura bellissima, piena di emozioni, perché le donne protagoniste di entrambi i filoni narrativi (Electra nel 2008 e Cecily negli anni '40) sono delineate in tutta la loro sfaccettata personalità, nelle loro molteplici insicurezze e fragilità, ma anche nei loro punti di forza, nella loro resilienza, nella capacità e volontà di non arrendersi bensì di battersi per loro stesse e per chi amano.
Mi è piaciuta la doppia ambientazione, newyorchese ed africana, e ciascuna mi ha donato qualcosa.
La prima ha messo in risalto problematiche importanti, quali la droga, l'alcolismo, l'apartheid nei confronti delle comunità nere e l'impegno da parte di tanti attivisti per difendere i legittimi diritti delle persone di colore, oggetto di vergognose discriminazioni.
La seconda mi ha fatto provare per un po', con l'immaginazione, il fascino irresistibile di una terra esotica, le sue risorse naturali, le tribù dei nativi - con i loro costumi, lingua e tradizioni -, la sua flora e fauna... e i suoi problemi, di tipo politico, sociale, culturale, sanitario, legati in particolare alla colonizzazione da parte dell'uomo bianco.

La ragazza del sole esplora la forza dell'amore e la sua capacità di attraversare confini apparentemente invalicabili, di abbattere pregiudizi e convenzioni sociali; il desiderio di rinascere dalle proprie ceneri, la forza di chiedere aiuto quando si è a terra, la bellezza di poter aiutare gli altri con i propri mezzi e nel proprio piccolo.

Concludo dicendo che ogni volta la penna di Lucinda mi rapisce, coinvolge, emoziona, incastrando sapientemente la finzione narrativa (intricata, piena di imprevisti, cosparsa di piccoli e misteriosi interrogativi in merito alla figura sfuggente di Pa' Salt e a quella della settima sorella) con fatti o personaggi realmente accaduti/esistiti, che stuzzicano sempre il mio interesse e mi inducono a fare ricerche personali per saperne di più.



Qualche citazione: 

«Tesoro, non devi dire “un giorno”. L'unico tempo a nostra disposizione è questo preciso istante...»

"Siamo tutti come profughi, privi di radici e di un luogo di appartenenza."

"...in realtà siamo tutti isolati. Ed è un peccato, perché ci ritroviamo sempre soli davanti ai nostri problemi."

«Concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.»

"Fa’ tutto il possibile per rendere felice te stessa e le persone che ami, perché in un batter d’occhio la tua vita e la loro saranno passate. Non perdere nemmeno un istante, Cecily, capito? Scopri chi e che cosa conta davvero per te e non lasciartelo sfuggire a nessun costo. Me lo prometti?"

"La vita si può capire solo all’indietro, ma va vissuta in avanti."