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lunedì 29 novembre 2021

Recensione: CON IL VENTO NEI CAPELLI di Salwa Salem



La storia della palestinese Salwa Salem e della sua famiglia permette al lettore di avvicinarsi anche alla storia di un pezzo di Palestina dagli anni Trenta ai Novanta.
Da questo racconto autobiografico emerge non soltanto l'accusa di una donna colta, fiera, libera ed intelligente contro il dominio economico, sociale e religioso maschile, ma al contempo il desiderio che i soprusi subiti dal proprio popolo non siano dimenticati e che sia ancora possibile costruire una strada verso la mediazione e il rispetto reciproco.


CON IL VENTO NEI CAPELLI 
di Salwa Salem



Giunti Ed.
L. Maritano (a cura di)
192 pp
"Ho ancora voglia di partecipare, di dare, di lavorare, di vedere la Palestina libera, di vedere i miei figli crescere, proteggerli ancora e dar loro altro amore. (...) tutto viene dimenticato e io sono una persona qualunque. Per questo desidero tanto raccontare la mia storia, farne un libro. (...) Chiudo gli occhi, ripenso alla mia vita, alla strada che ho fatto prima di ritrovarmi qui, alle mie radici. Rivedo le luci della mia terra, i riflessi d'argento delle distese di ulivi, riesco a sentire il profumo dei fiori d'arancio, l'aria fresca e il sole finalmente tagliente delle prime giornate di primavera."

Salwa è nata nel 1940 in una terra da troppo tempo teatro di aspri e sanguinosi conflitti e dalla quale è stata, negli anni, costretta a un lungo esilio, alla ricerca costante di un posto in cui poter indossare ali di libertà, per spiccare il volo come donna libera, indipendente,  capace di costruirsi il proprio futuro.
Senza mai dimenticare le proprie radici palestinesi.

Ha solamente otto anni Salwa quando con la sua famiglia viene sradicata dal suo villaggio (Yafa, vale a dire Giaffa), dalla sua terra, e con loro tre quarti della popolazione palestinese, in seguito alla fondazione dello Stato di Israele.

Si trasferisce a Nablus, dove trascorre l'infanzia e l'adolescenza, mostrando sin da piccola un carattere risoluto, grande curiosità e vivacità intellettuali, che la spingono ad osservare l'ambiente (famigliare e oltre) con quello spirito critico che non perderà mai, ma che anzi si affinerà sempre più.
Il suo modello è il fratello maggiore, impegnato nella lotta politica, alla quale si avvicina anche lei, e a soli 15 anni Salwa entra nel partito Ba'ath, fa volantinaggio per la causa palestinese, discute con le compagne sui diritti delle donne, contravvenendo ai voleri dei genitori, che la vorrebbero sottomessa, tranquilla, obbediente, lontana da velleità di ragazzina ribelle e recalcitrante verso i dettami della propria religione e tradizione. Insomma, preferirebbero poter organizzare il suo fidanzamento con un buon ragazzo piuttosto che vederla per le strade a manifestare.

Da noi esiste un'espressione particolare per indicare le ragazze troppo libere: ala hall shàriha che significa “con i capelli sciolti”. Ho sempre trovato molto singolare che un'immagine così bella, l'immagine di una ragazza con i capelli al vento, fosse un'espressione offensiva


Crescendo, il vento non lascia i suoi capelli, anzi; negli anni successivi lotta per poter studiare, lavora come insegnante in Kuwait - acquisendo la tanto agognata libertà e l'indipendenza economica - e riesce a iscriversi all'università di Damasco. 

Si sposa per amore, e col marito si trasferisce a Vienna e poi in Italia.
Nella prima delle città europee non si sentirà mai a proprio agio a causa del razzismo nei confronti degli arabi, mentre in Italia (a Parma, dove vivrà fino alla fine sei suoi giorni) si sentirà accolta e proseguirà la sua battaglia per dar voce alle donne palestinesi.

La storia di Salwa è anzitutto quella della sua vita e di tutti quei fattori storici ed economici che hanno influito su di essa, delle sue convinzioni politiche, delle non facili né scontate scelte effettuate, divise fra emancipazione e tradizione, fra desiderio di pace e necessità di lotta.

È la storia di una donna dalla grande e definita personalità, che ha sempre avuto puntato ad essere ed esprimere se stessa e la propria voglia di emancipazione, autorealizzazione personale, senza con questo venir meno alle proprie responsabilità di figlia, sorella, madre, moglie.
Salwa è sempre stata avida di cultura, si è formata leggendo i libri passateli dal fratello - non solo politici ma anche filosofici e i classici -, amava Kafka e Simone de Beauvoir insieme alla letteratura araba.

Pur essendo sempre la stessa - in quanto a temperamento combattivo, a voglia di vivere, acculturarsi, migliorarsi, relazionarsi agli altri - la vediamo comunque evolvere e maturare negli anni: se a Nablus è un'adolescente con dei sogni, delle speranze che cozzavano contro un tipo di società e di educazione che alimentavano il suo spirito ribelle e i suoi tentativi di portare avanti le proprie idee a dispetto dei poveri genitori, in Kuwàit la ritroviamo più pacata (anche il ritmo narrativo lo è, rispetto al periodo di vita precedente, più frenetico e vivace), più adulta, desiderosa di mantenere la propria autonomia economica e raggiungere una realizzazione personale, sia attraverso il lavoro che costruendosi una famiglia.

L'Autrice si sofferma su diverse tematiche significative, come la condizione delle donne arabe, le difficoltà di integrazione per chi emigra e come e quanto questa esperienza influisca sul singolo e sulle famiglie a livello personale, sociale, culturale.

Attraverso una storia che è in prima linea personale e anche famigliare (interessanti i ritratti dei genitori, della madre in primis, una donna forte come lei), inevitabilmente veniamo avvicinati a quella di un popolo, alla sua società e alla sua identità.
Ma soprattutto, al suo diritto di esistere, di non essere dimenticato, cancellato, ignorato, sminuito.

Salwa mette di continuo enfasi sulle ragioni dei palestinesi tanto trascurate dall’informazione occidentale; ci racconta del difficile rapporto col regime giordano, dei contrasti con la società kuwaitiana e saudita, delle difficoltà vissute da chi è stato costretto a lasciare la propria casa negli anni '40, dell'impossibilità di non poterci tornare, della brutta esperienza che è stata, ad es, attraversare la frontiera giordana-israeliana, e di come si sia sentita ferita, umiliata.

"Vogliono negarci un diritto elementare. Ma nessuna forza al mondo, nessuna politica al mondo potrà mai convincermi che quella non è casa mia, la terra dove sono cresciuta, dove vivono i miei genitori e le mie sorelle."

Commovente l'episodio del padre che torna nella loro vecchia casa di Yafa (vi torna diciannove anni dopo averla dovuta lasciare, in un drammatico ed indimenticabile fuggi fuggi), con le chiavi di allora... ma la trova occupata (ovviamente, purtroppo), e di come questo lo abbia avvilito profondamente.

"L’idea di ritornare non si abbandona mai quando ti costringono a lasciare la tua terra in un modo così tragico. C’è sempre la nostalgia e la voglia di rimettere le cose come erano. Fu terribile sentirsi all’improvviso estranei, esclusi..."

Avvertiamo forte il dolore, la nostalgia, il senso di profonda ingiustizia provate a causa della tragedia vissuta dal proprio popolo, cacciato dalla terra in cui era stabilmente insediato, in cui aveva case, terreni, attività..., una terra alla quale appartiene, per far posto a un nuovo ordine di cose. 

"Era troppo difficile accettare che in un attimo tutto fosse andato perduto, che sulla nostra terra ora esisteva un nuovo stato, con persone nuove che non avevano mai visto la Palestina, che non ne conoscevano le tradizioni, la lingua, la terra, i profumi. Era una tragedia troppo grande. Io vivevo nel rimpianto del tempo felice di Yafa."

Salwa descrive la propria amata gente come condannata a non conoscere l’allegria, il divertimento, perché non ha avuto tempo di divertirsi per colpa della Nakba (il "disastro") e di tutto ciò che essa ha significato e a cui ha fatto seguito, perché le famiglie sono state divise e hanno dovuto vivere lontane dalle loro case, subendo un’oppressione psicologica e fisica che ha allontanato ogni felicità e spensieratezza: "E questo accomuna tutta la popolazione palestinese in esilio: noi non sappiamo divertirci."

Se negli anni in cui ha vissuto in Kuwàit, a Vienna e (per breve tempo) in Arabia Saudita, Salwa si è meno attivamente mossa per tenere i riflettori accesi sulle condizioni di vita dei palestinesi nei Territori Occupati, questo impegno civile si ridesta nel "periodo italiano", a partire dagli anni Ottanta, e la porta a partecipare e far sentire la propria voce in occasione di 
manifestazioni, riunioni politiche ecc..., dando così il proprio concreto contributo alla causa palestinese, raccontandone la storia, rimasta a lungo poco e mal conosciuta.

La vita di Salwa Salem ci scorre come un romanzo e personalmente la ritengo non solo una narrazione piacevole ma altresì interessante ed utile per chi voglia accostarsi alla tematica principale (ciò che ha vissuto e vive ancora il popolo di Palestina a motivo dell'occupazione israeliana) in modo non complesso o eccessivamente impegnativo.




Ho voluto pubblicare la recensione in questo giorno non a caso, ma perché oggi si celebra la Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese, istituita nel 1977 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. L'anno scorso ho segnalato alcune scrittrici palestinesi in QUESTO POST dedicato.

sabato 27 novembre 2021

Libri in lettura (novembre 2021)



Cari lettori, cosa state leggendo di bello in questi giorni di fine novembre?

Io ho in lettura IL KILLER DEL LOTO (M. De Fazi), che ho presentato in QUESTO POST e altri due romanzi.

Uno appartiene al genere western ed è per me una sorta di "coccola letteraria autunnale"; non chiedetemi perché, è una cosa che dico andando "a sentimento" :-D 


IL GRANDE CIELO di Alfred Bertram Guthrie (Ed. Mattioli, trad. N. Manuppelli, 452 pp)


Boone è un ragazzo che vive nel Kentucky con la famiglia in un momento in cui tutti si stanno 
dirigendo a ovest per trovare fortuna. 
Vittima, con la madre e il fratello, delle violenze del padre, una sera reagisce e colpisce il padre alla testa. 
Consapevole di averlo ferito e forse ucciso, decide di scappare per raggiungere lo zio cacciatore. 
Lungo la strada verso St. Louis incontra Jim Deakins e insieme iniziano un lungo viaggio-odissea, alla ricerca della nuova frontiera ma anche del significato stesso di libertà. 

Il romanzo esce in libreria nella primavera del 1947. 
È il primo di una saga di sei volumi.




I RAGAZZI DELLA NICKEL di Colson Whitehead (Mondadori, trad. S. Pareschi, 216 pp).


Il movimento per i diritti civili sta prendendo piede anche nell’enclave nera di Frenchtown (Tallahassee) ed Elwood Curtis, un ragazzino abbandonato dai genitori e cresciuto dalla nonna, assimila tutte le massime e gli insegnamenti di Martin Luther King. 
Pieno di talento e molto coscienzioso, sta per iniziare a frequentare il college del posto, quando incautamente accetta un passaggio in auto. Ma per un ragazzo nero dei primi anni Sessanta, anche l’errore più innocente può rivelarsi fatale. Elwood viene spedito in un riformatorio chiamato Nickel Academy, la cui missione è provvedere a un’educazione fisica, intellettuale e morale così che il piccolo delinquente possa diventare un uomo onesto e rispettabile. Questo sulla carta. 
Perché nei fatti la Nickel Academy è un vero e proprio labirinto degli orrori. 

venerdì 26 novembre 2021

Recensione: PER MIA COLPA di Piergiorgio Pulixi



Virginia Piras scompare dall'oggi al domani, senza che di lei si sappia più nulla, lasciando nel dolore marito e figlia. Cosa l'è successo? È andata via di sua spontanea volontà o qualcuno le ha fatto del male?
Ad indagare sulla scomparsa di una donna dall'esistenza quieta e anonima ci pensa Giulia Riva, vice-commissaria a Cagliari, alle prese con la verità che ognuno di noi indossa delle maschere per preservare le proprie emozioni, quelle più travolgenti, che vorremmo sopprimere per continuare a vivere serenamente, ma che a volte hanno il sopravvento e ci facciamo da esse travolgere pur di sentirci vivi, anche a costo di pagarne amare conseguenze.


 PER MIA COLPA 
di Piergiorgio Pulixi




Mondadori
248 pp

Nulla accade per caso e questo vale per la vita in generale, lavoro compreso.

E quando Giulia Riva - vicecommissaria a Cagliari - si imbatte in un caso di omicidio commesso da una donna e moglie stanca dei continui tradimenti del marito e delle perfide umiliazioni da parte dell'amante di lui, capisce che, se vuole salvarsi dal commettere un'azione scellerata e irrazionale di cui potrebbe pentirsi, deve dare un taglio netto ad una relazione tossica.

Giulia, infatti, ha una relazione clandestina con il suo diretto superiore Roberto; da quattro anni, ormai, vanno avanti con incontri fugaci pieni di passione e complicità ma che alla fine non lasciano nulla di più a Giulia, la quale è stanca di tutto questo, consapevole che lui non lascerà mai la famiglia per lei,  che resta l'unica a rimetterci in questa storia che la vede legata ad un uomo con cui non ci sono prospettive di una relazione completa e appagante.

Dopotutto, quando torna a casa è sempre e soltanto lei quella che si ritrova sola in una casa le cui stanze risuonano di solitudine, a cercare di prender sonno in un letto troppo grande e con un posto vuoto accanto che Roberto non potrà mai riempire.
Se fosse per lui, continuerebbero così chissà per quanto, ma Giulia non ne può più: lo deve a se stessa e a quella dignità che nessuno deve permettersi di calpestare.

E allora, con un atto di coraggio, decide di prendere un'altra strada, di andarsene chiedendo un trasferimento; certo, le dispiace l'idea di lasciare Cagliari e l'amico e collega Flavio Caruso, ma è più forte la consapevolezza di stare sprecando tempo e sentimenti e, con essa, l'urgenza e la voglia di ricominciare da zero da un'altra parte.

C'è solo un problema, un ostacolo che si frappone improvvisamente tra la decisione presa e la possibilità ci metterla in atto concretamente e immediatamente: una mattina in commissario si presenta una bambina di 9 anni, che vuol parlare col commissario.
Sembra piccola e fragile, ma al di là del comprensibile nervosismo, Giulia nota negli occhi della bimba un fuoco, una tenacia e una forza che la impressionano.
Elisa non è andata a scuola e si è presentata in commissariato per pretendere l'attenzione della polizia; non è la prima volta che lo fa e non sarà neppure l'ultima se continuerà a non vedere risultati: sua mamma è sparita da un anno e sembra che ormai tutti l'abbiano dimenticata.
Cosa sta facendo di reale la polizia per ritrovarla?
La bimba è stanca di aspettarla invano; è convinta che sua mamma - Virginia Piras - sia viva e vuole che la polizia la trovi e la riporti a casa. 

Giulia è turbata e dispiaciuta per questa ragazzina che chissà quanto sta soffrendo perché sua madre se n'è andata e non ha fatto più ritorno, ma sa pure che non sta a lei (che tra l'altro non si è occupata personalmente del caso, il quale era di competenza di Flavio) fare promesse che potrebbe non essere in grado di mantenere.
Eppure, davanti a quello sguardo risoluto e supplichevole insieme, non riesce a non dire ad Elisa: "Vedrai, ritroveremo tua madre. È una promessa".

Tenere fede a queste parole, pronunciate con troppa fretta e sull'onda delle emozioni e dell'empatia, sarà molto complicato per la vicecommissaria, che però non si tira indietro e comincia subito a rivedere il fascicolo su Virginia per capire quali strade investigative sono state prese e a che punto sono arrivate le indagini.

Giulia non si fa illusioni: è passato un anno da quando la Piras è sparita - come si dice - senza lasciare tracce, come "svanita nel nulla", e ciò vuol dire che potrebbe essere morta.
Ma se così fosse, ci sarà pure un cadavere da qualche parte...: possibile che non si riesca a trovarlo?

E in che modo eventualmente è morta: si è tolta la vita (perché avrebbe dovuto?) o c'era qualcuno che poteva avere interesse a far fuori una donna che tutti descrivono come mite, una moglie devota e una madre serena? 

Il marito - che in questi casi è sempre in cima nella lista dei sospettati - pare avere un buon alibi e soprattutto ha sempre collaborato con la giustizia senza reticenze; anche adesso, risponde alle domande di Giulia e offre tutta la propria disponibilità, per cui, a meno che non sia un attore da Oscar o un killer professionista, sembra sinceramente estraneo alla scomparsa della moglie, che dice di amare.

Concentrandosi totalmente sulle indagini, Giulia si accorge che quello che sembrava un buon lavoro investigativo da parte dei colleghi, nasconde invece delle falle..., delle mancanze tutt'altro che irrilevanti e che potrebbero aver allontanato la polizia dalla ricerca della verità.

Questo rattrista molto Giulia perché sa che a occuparsene è stato il suo amico, l'ispettore Caruso, suo partner e mentore, che s'è fatto sfuggire troppe cose importanti, troppe domande che sarebbero potute diventare possibili piste.

Come mai? Eppure, Caruso è da sempre un ottimo poliziotto, capace, acuto, professionale.
O meglio, lo è stato, fino a prima di un evento che lo ha messo profondamente in crisi, un "incidente" sul lavoro che lo ha reso l'ombra di se stesso.
Il poliziotto non è più quello scrupoloso e attento di un tempo: ora è un mezzo ubriacone, che sparisce per ore, riducendosi a uno straccio per aver trangugiato troppe birre, lasciando nella preoccupazione chi gli vuol bene, tra cui la moglie e Giulia stessa.

Nel caso di Virginia sono stati commessi errori fatali e, per cercare di recuperare, la donna si fa assegnare il caso nella speranza di risolverlo ed evitare gravi conseguenze al suo amico. 

Più si addentra tra le pieghe della vita di Virginia, più avverte che ci sono particolari stonati che, lungi dall'essere dettagli insignificanti, si mettono in un angolino della sua mente e basta un'intuizione - apparentemente casuale - a far emergere in tutto il loro significato e in tutta la loro portata.

Virginia è dipinta da tutti come una persona tranquilla, senza grilli per la testa, così buona e mansueta da rasentare la passività: affidabile sul lavoro, madre attenta e premurosa (Elisa è figlia unica), moglie fedele e devota, donna fragile, insicura e depressa per il suo psicologo, figlia debole e remissiva a detta della madre, una donna glaciale e anaffettiva che non esita a descrivere la figlia con scarsa sensibilità e molta poca stima.

Ma se c'è una cosa che non va dimenticata o ignorata è che ciascuno di noi è capace di vivere anni (se non tutta la vita) indossando maschere, mostrando di sé una facciata che non ci rappresenta al 100%, nascondendo pensieri, desideri, pulsioni che nessuno conosce ma che non aspettano altro che il momento giusto per venir fuori.

Il dubbio si insinua nella mente di Giulia: e se Virginia avesse (avuto) una "vita parallela" a quella a tutti nota? Magari c'era un amante o comunque una persona importante per lei, e forse è questa che va cercata per capire che ne sia stato della mamma della piccola Elisa, i cui occhi chiedono a Giulia: "Ritrova la mia mamma e portala da me"?

Il racconto del presente (delle vicende personali e giudiziarie che vedono protagonista Giulia Riva) si alterna a quello del passato in cui leggiamo cosa e come stava vivendo Virginia Piras un anno prima della scomparsa, quando nella sua esistenza, fino a quel momento "consegnata a un solo binario", si è introdotta una presenza che ha portato una ventata di aria fresca, un fiume di sensazioni nuove, sconosciute, che le hanno provocato dei brividi: brividi di passione, di desiderio di piacere e di sentirsi viva, bella e desiderabile agli occhi di un uomo affascinante e che la fissa in un modo tale da smuoverle qualcosa dentro, fin nel profondo.
Un uomo incontrato per caso e dal cui sguardo magnetico non basta disancorarsi per dimenticarlo, perché s'è già impresso nella mente e nell'anima senza che lei abbia avuto il tempo di fuggire.
I brevi capitoli relativi a Virginia ci danno il ritratto di una donna sì fragile emotivamente, molto insicura e con poca autostima, ma anche quello di una donna passionale, che ha un fuoco dentro che finora è stato spento ma, che una volta riacceso, non può che esplodere in un incendio.

Come sempre, la penna di Piergiorgio Pulixi è così consapevole, sicura e fluida da far sì che il lettore "beva" i capitoli (mai lunghi, cosa che apprezzo sempre perché contribuiscono a dare un ritmo più serrato e una maggiore snellezza alla narrazione) con voracità, curiosità e coinvolgimento, con la voglia di sapere dove l'autore ci condurrà nella ricerca della verità, districando un nodo alla volta e senza mai perdere di vista l'aspetto empatico, lo sguardo sensibile e profondamente umano che avvolge il caso in oggetto.

Se c'è una cosa, su tutte, che ho amato di Giulia Riva, è stata la sua personalità e, in particolare, il suo approccio professionale: Giulia non è la poliziotta "dall'animo nero", dal passato oscuro, dal carattere difficile, un po' ombroso e asociale che spesso incontriamo nei noir/polizieschi con protagoniste femminili.
No, lei è adorabilmente e fieramente empatica, è emotivamente generosa, anche "fisica" nel suo rapporto con le persone coinvolte nei casi ai quali lavora.
A costo di eccedere e di arrivare ad atteggiamenti che non ci si aspetterebbe da un vicecommissario (il famoso e necessario "distacco professionale"), se ha voglia di abbracciare, dare una pacca sulla spalla, offrire la sigaretta o il proprio cappotto a un interrogato/sospettato, Giulia lo fa, e non solo, o non tanto, per conquistare la fiducia dell'altro e indurlo a sciogliergli la lingua perché confessi qualcosa, ma proprio perché non può fare a meno di entrare in contatto con l'altro.

"Ogni investigatore ha un proprio metodo d'indagine. Il mio va contro tutto quello che insegnano alla Scuola Ispettori, dove ti mettono in guardia dal coinvolgimento emotivo durante le inchieste. Molti riescono a rimanere impassibili e distaccati. Io no. Quando affronto un caso, che si tratti di omicidio, rapimento o stupro, divento la persona su cui sto indagando. Entro nella sua pelle, nei suoi pensieri, nella sua anima. Solo creando una connessione viscerale posso capire chi ha potuto farle del male. Spesso, soltanto guardando attraverso gli occhi della vittima riesci a farti un'idea del suo aggressore e delle motivazioni che l'hanno mosso."

Ecco, tra tutte le belle qualità di scrittore che Pulixi possiede, non smetto di dire ogni volta che quella da me maggiormente amata è la profonda delicatezza e sensibilità con cui sa far parlare le donne: le "sue" donne sono realistiche, lontane da qualsiasi eroismo avulso dalla realtà, ma anzi molto vicine a noi, nelle loro incoerenze, nei lati oscuri e in quelli luminosi, nei desideri espressi e in quelli che non riescono a confessare neppure a loro stesse; le persone che abitano le storie dello scrittore cagliaritano sono sempre così umanamente imperfette e fragile che in ogni caso, anche quando si arriva a fine libro e si scopre il colpevole, qualcosa dentro di noi ci suggerisce di andare oltre la semplice condanna, ma di cercare (senza giustificare) di capire e realizzare che non c'è essere umano che non abbia dentro di sè una parte oscura, più debole, e che a volte certe circostanze fanno sì che esca venga pericolosamente fuori.

Non mi resta che consigliare "Per mia colpa", un giallo poliziesco che vi catturerà ad ogni pagina, e per il misterioso caso in sé da risolvere e per la galleria di personaggi coinvolti e nelle cui esistenze l'Autore ci lascia entrare. 

lunedì 22 novembre 2021

Recensione: TERRA LEGGERA di Costanzo Gianfranco Sarlo

 

Terra leggera è un romanzo ambientato in un contesto storico complesso: quello delle contestazioni del Movimento del '77, precisamente siamo tra 1975 e il 1977. All'interno delle acque mosse di questo periodo nasce una storia d'amore anch'essa movimentata e attraversata da una certa irrequietezza, che ben riflette le contraddizioni e i fermenti di quegli anni.



TERRA LEGGERA
di Costanzo Gianfranco Sarlo


182 pp
(in pdf)
Il calabrese Francesco e la romana Arianna si conoscono da piccoli, hanno passato le vacanze insieme tra Montepaone e Caminia durante l'infanzia ma crescendo si sono allontanati.
Anche se negli anni dell'adolescenza son cresciuti in contesti differenti, facendo esperienze che li hanno formati in modo decisamente diverso, a un certo punto le loro strade tornano ad incrociarsi in un rapporto che non sarà solo amicizia ma neppure potrà mai definirsi una storia d'amore convenzionale.

Perchè ad essere non convenzionale e fuori dagli schemi è proprio lei, Arianna.

Quando un Francesco ormai adulto ritorna in Calabria, nei posti della sua gioventù, non ha altra scelta che rivivere, dopo quarant’anni, la storia e il periodo che più lo hanno segnato. 

È la storia che ha vissuto tra la fine del liceo e i primi anni di università con Arianna, una forza della natura da cui si sentiva irresistibilmente attratto.

Lei, sicura di sé, convinta delle sue idee, maturata dalle esperienze vissute negli ambienti femministi e della sinistra, partecipa attivamente allo spirito contestatario di quegli anni; lui timido e insicuro, si tiene al sicuro all'ombra della mentalità piccolo-borghese della sua famiglia.

I due hanno personalità completamente agli antipodi, ma si sa: al cuor non si comanda e Francesco è innamorato di lei, di quell'Arianna che non è sicuro di conoscere più tanto bene e che ha acquisito, rispetto a lui, uno stile di vita più libero e disinvolto. 

Forse è proprio questo ad attrarlo di lei, con cui inizia una sorta di “amicizia sessualizzata”, che però non resta finalizzata al rapporto fisico in sè, ma viene quotidianamente arricchita da una frequentazione sempre stimolante e basata sulla sincerità, sul rispetto e sulla comprensione reciproca.

È nell'estate del 1976 che i due ragazzi si avvicinano sempre di più. 
Il tranquillo Francesco prova una certa ammirazione per Arianna e la sostiene nelle sue idee "rivoluzionarie", difendendola con gli amici e davanti al padre di lei, deluso all'idea di questa figlia ribelle che ha deciso - nientemeno! - di iscriversi al Dams a Bologna.

Ma a sua volta Arianna è uno stimolo per Francesco affinché diventi protagonista della propria vita.

Quando lei va a Bologna e lui si iscrive a Perugia a Scienze Politiche, continuano comunque a sentirsi e Arianna lo invita a fare un salto da lei a Bologna.

Qui Francesco viene in contatto con le idee, l’ambiente e le atmosfere del nascente Movimento del ’77. Piazza Verdi, il teatro di strada, le osterie, Radio Alice, le Jacquerie, le “case aperte”: il giovanotto conosce una realtà cui non è abituato, si apre a nuove esperienze che lo portano a mettere in
discussione i riferimenti e gli schemi in cui è finora vissuto. 

Intanto le facoltà vengono occupate, il movimento del '77 prende sempre più forza e gli eventi si succedono in modo frenetico, fino ad arrivare a un fatto che fa precipitare la situazione: un carabiniere, durante una delle solite manifestazioni, uccide Francesco Lorusso. 
In risposta, i  ragazzi del Movimento reagiscono con rabbia, devastando Bologna e reagendo con violenza alle forza di polizia. È l’inizio del declino del Movimento del ’77. 

Delusa e amareggiata, Arianna cerca conforto in Francesco ma l'inquietudine che la divora non le dà pace e la porta a fare determinate scelte che l'allontaneranno dall'amico, fino a portarla anche fuori dall'Italia, pur di cercare un po' di pace.

Ho trovato molto interessante l'ambientazione scelta dall'Autore, e a mio avviso essa è ben "fotografata", nelle sue caratteristiche principali, nei fermenti, nelle ideologie di pensiero, nei gesti, nelle proteste che hanno travolto molte città in quegli anni, e che tanti movimenti giovanili hanno portato convintamente avanti.

Arianna è una protagonista femminile particolare: è un vulcano di progetti, sogni, desideri; è sempre in movimento, ha la lingua sciolta e una bella dialettica; ha le idee piuttosto chiare su quelle che sono le tematiche calde dei "collettivi" e dei gruppi di protesta di quegli anni roventi; è uno spirito libero, indipendente, ribelle, è pronta a buttarsi nella mischia senza paura pur di difendere i propri ideali, pur di sostenerli contro ogni repressione da parte di partiti ed istituti politici.
È "moderna", femminista, ha una grande consapevolezza del proprio corpo e di come esso appartenga solo a lei; non sopporta i legami, i "lacci", e se l'amicizia ricopre un ruolo importante nella sua vita, l'amore ne ha uno decisamente diverso, nel senso che anch'esso, se e quando c'è, deve avere contorni sfumati, niente costrizioni o impegni per la vita, giuramenti d'amore eterno, ma sempre e solo la libertà: di amarsi, di condividere momenti di intimità, di parlarsi con franchezza, di non vedersi per settimane e anche mesi ma avvertendo sempre che quel filo di sentimento e rispetto, che unisce due persone che stanno bene insieme, non si spezza facilmente.

Ma attenzione: Arianna non è un'eroina né una superdonna. Ha le proprie fragilità, contraddizioni, i momenti di silenzio, di solitudine; non lo fa spesso, ma quando piange è perché il cuore le si è gonfiato così tanto che il dolore, la confusione, lo smarrimento, i dubbi, le paure... devono poter rompere gli argini e uscir fuori.

Una "personcina" così complicata e difficile da "domare" perché sempre "in bilico sui cavalli della vita", con una tale gioia di vivere da non poter essere contenuta..., che ci fa nel cuore e nei pensieri di Francesco?
Francesco: buono, calmo, razionale, con una visione della vita diametralmente opposta e di certo più placida, senza grosse pretese: casa, studio, università, poi verrà il lavoro..., insomma un aspirante borghese che vuol solo vivere senza troppi problemi.
Si dice che "gli opposti si attraggono", e nel caso di Francesco ed Arianna magari è così: lei ha quella euforia, quella fame di vita, di creatività, di cambiare il mondo, che lui ha sicuramente da  qualche parte dentro di sè, ma che fino a prima di essere investito dall' "uragano Arianna" è stato sempre sepolto dalla monotonia; e a lui piace questa sua amica inafferrabile, indomabile, che va e viene come e quando vuole, con lui che è sempre pronto ad accoglierla.

Dal canto suo, anche Arianna è attratta da ciò che è diversissimo da lei, forse perché Francesco costituisce un porto sicuro, un punto di riferimento inamovibile, al quale tornare per ritrovare un po' di pace tra un tumulto e l'altro.

In questo libro la politica si intreccia con il fervore dei sentimenti giovanili dando vita a percorsi di vita particolari, che segneranno la crescita e l'evoluzione emotiva e psicologica dei personaggi coinvolti; la musica ha un ruolo importante nella storia, come l'ha avuta in generale tra gli anni '60 e '70, quando ha esercitato un'influenza profonda nello sviluppo dei movimenti giovanili di contestazione, prima fuori dall'Italia e poi anche qui.

Ho apprezzato lo stile dell'Autore, coerente con i personaggi e lo sfondo storico-sociale-culturale di riferimento; in particolare, da notare l'uso di parole separate da barre (slash) o parentesi, in linea con il clima dell’epoca e con gli ambienti creativi della “controcultura”, che si servivano di questi segni e di un certo modo di scrivere e comunicare per deformare e destrutturare il linguaggio, per scardinare stereotipi mentali e comportamentali.
Non solo, ma questa scelta linguistica ha lo scopo di porre l'enfasi sui significati delle frasi e di offrire al lettore stesso l'opportunità di scegliere l'espressione che ritiene più opportuna. 

Un romanzo di formazione che merita attenzione per i temi e il periodo storico affrontati, come anche per l'interessante tratteggio psicologico dei personaggi.

sabato 20 novembre 2021

Giornata Mondiale dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza



Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale dell'infanzia; in questo giorno - nel 1989 - l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione sui diritti dell'infanzia e ha sancito che tutti i bambini hanno dei diritti inalienabili e fondamentali – alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla protezione e alla partecipazione.


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Eppure, nonostante non manchino carte e dichiarazioni in cui si illustrano tutti i diritti fondamentali dei bambini e degli adolescenti, le violazioni di questi diritti è all'ordine del giorno, soprattutto in certi Paesi.

La povertà è la prima causa di violazione: ogni giorno, più di 30.000 bambini muoiono per cause legate alla povertà; un bambino ogni 3 secondi muore perchè povero.

La povertà priva i bambini del loro diritto fondamentale alla vita, impedisce loro di accedere a cure mediche, acqua potabile, cibo; li priva di sicurezza ed opportunità educative.

I bambini più piccoli sono i più colpiti: circa il 20% dei i bambini al di sotto dei 5 anni nei paesi in via di sviluppo vive in famiglie estremamente povere. 
Secondo il Global Estimates of Children in Monetary Poverty: An Update nell'Africa Sub Sahariana si trovano i due terzi dei bambini che vivono in famiglie che combattono per sopravvivere con una media di 1,90 dollari al giorno o meno per persona.

Un'altra dolorosa violazione è costituita dal traffico di minori.

Nel mondo sarebbero oltre 40 milioni le vittime di tratta o sfruttamento, ridotte in schiavitù, e ben 1 su 4 avrebbe meno di 18 anni; i bambini rappresentano il 30% delle vittime della tratta di esseri umani. 
Il fenomeno purtroppo è in aumento soprattutto in Europa, dove la tratta di minori è raddoppiata negli ultimi 3 anni.

In regioni come l'Africa Subsahariana o l'America Latina si registrano percentuali molto alte di minori vittime di tratta; è difficile stabilirne il numero esatto ma di certo è maggiore rispetto ai dati ufficiali.
La piattaforma globale sulla tratta degli esseri umani  (migrationdataportal.org) nel 2020 ha registrato 108.613 casi scoperti e segnalati; le vittime provenivano da 175 nazioni; 5 su 10 erano donne, un terzo bambini.
 
I minori vengono venduti per lo sfruttamento sessuale, l'accattonaggio, per matrimoni forzati, adozioni illegali, impiegati come domestici o mandati a lavorare nelle fabbriche.
 
Il Guatemala è la patria di molti traffici illeciti e pericolosi e i bambini sono le prime vittime nelle mani dei criminali.


https://www.humanium.org/



Secondo il rapporto “Killed and Maimed: A Generation Of Violations Against Children In Conflict”, più di 90mila minori sono stati uccisi o mutilati a causa della guerra negli ultimi 10 anni, il che vuol dire che ogni giorno in media sono morti o rimasti feriti 25 bambini.
Chi sopravvive non va incontro a un destino più lieve: alcuni diventano bambini soldato, altri sono costretti allo sfruttamento; molti rimangono profondamente traumatizzati, feriti o disabili.

I paesi più pericolosi per i bambini in conflitto sono Siria, Somalia, Afghanistan, Yemen, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Mali, CAR, Iraq, Sud Sudan e Sudan.

Ma non dimentichiamo anche ciò che succede in Palestina, dove si registrano molte vittime tra i bambini palestinesi, e non sempre uccise per errore ma a volte ferocemente colpite da soldati israeliani senza motivo. Nella Striscia di Gaza, spesso gli attacchi prendono di mira luoghi pubblici, diventati rifugi per i civili, come scuole, ospedali, ecc... 

Oltre a questo, l'occupazione ha inevitabilmente un impatto drammatico sulla vita quotidiana dei bambini, per i quali è difficile accedere all'istruzione, all'acqua, all'assistenza sanitaria.

Nel diritto internazionale umanitario, i bambini beneficiano di una protezione speciale a motivo della loro vulnerabilità; anche un bambino che partecipa alle ostilità è ugualmente protetto. Per quanto riguarda i territori occupati, Israele è responsabile dell'applicazione della Convenzione sui diritti dell'infanzia in quanto essendo potenza occupante, è anche responsabile della situazione dei diritti umani in Palestina; tuttavia, lo stato israeliano si rifiuta di riconoscere questo obbligo, il che fa sì che si verifichino numerose violazioni dei diritti dei bambini e che esse restino anche impunite.

La mutilazione genitale femminile è una pratica che viola la dignità e il diritto di molte ragazze di essere padrone del proprio corpo; viene praticata principalmente in circa 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina e tra comunità provenienti da queste regioni.
Anche se illegale nell’UE, si stima che circa 600mila donne che vivono in Europa siano state vittime di questa pratica, e che altre 180mila siano a rischio in 13 paesi europei.

Altre violazioni dei diritti dei bambini riguardano varie forme di discriminazione (legate all'identità di genere, alla religione, a condizioni di disabilità ecc...), la mancanza di accesso alle cure e/o ad una dieta equilibrata, l'essere orfani, sfollati, i bambini scomparsi...


portale bambini
I bambini vanno difesi, protetti, amati, accolti, aiutati a crescere in un contesto sano, stimolante, che contribuisca a renderli adulti consapevoli del proprio posto nel mondo e della ricchezza che costituiscono per esso,  ciascuno con le proprie capacità, il proprio modo di essere unico ed irripetibile, le proprie risorse fisiche, emotive, psicologiche. Non ci sono bambini più importanti di altri, che meritino più di altri di vedere garantiti i propri inalienabili diritti. 
Nessun bambino deve restare indietro, dev'essere dimenticato, ignorato.
L'indifferenza è anch'essa una violenza da cui non può che scaturire una violazione dei diritti dell'essere umano.









«Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso»
(Gesù, Vangelo di Matteo, 10:14-15)


Quanto pesa una lacrima? Dipende: la lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.
(Gianni Rodari)


Un neonato rappresenta il convincimento di Dio che il mondo debba continuare.
(Carl Sandburg)


Dobbiamo imparare dai bambini.
Amano senza dubitare.
Abbracciano senza avvisare.
Ridono senza pensarci.
Scrivono cose colorate sulle pareti.
Credono ad almeno 10 sogni impossibili.
Non arrivano al cassetto più alto, ma toccano il cielo con la punta delle dita.
E quando vengono affidati al sonno è come se il mondo avesse perso un po’ del suo splendore.
(Fabrizio Caramagna)



La società dovrebbe prodigare ai bambini le cure più perfette e più sagge, per ricavarne maggior energia e maggiori possibilità per l’umanità futura.
(Maria Montessori)





Fonti consultate

https://www.savethechildren.it/
https://www.unicef.it/
https://www.humanium.org/
https://www.mondadorieducation.it/
https://reliefweb.int/
https://www.europarl.europa.eu/


venerdì 19 novembre 2021

Recensione: L'ISOLA SOTTO IL MARE di Isabel Allende



La protagonista di questo romanzo della scrittrice cilena Isabel Allende, è Zarité, detta Tété, una schiava mulatta che, nel corso della sua vita ricca di avvenimenti più difficili che lieti, saprà aspettare il momento giusto per affrancarsi, continuando ad alimentare dentro di sé la fiamma della libertà e muovendosi al suono e al ritmo dei tamburi africani, che la fanno sentire viva e padrona di se stessa.


L'ISOLA SOTTO IL MARE
di Isabel Allende



Feltrinelli
trad. E. Liverani
427 pp
Nel 1778 Zarité ha nove anni e vive nell'isola di Santo Domingo; questa mocciosetta magrolina, con una massa si capelli neri e arruffati e un paio di occhi penetranti e vivi, è figlia di una madre africana (originaria della Guinea) che non ha mai incontrato e di uno dei marinai bianchi che l'hanno condotta in schiavitù. 

La sua giovanissima vita si incrocia con quella del ventenne Toulouse Valmorain, che arriva sull'isola nel 1770 col desiderio di diventare  il proprietario di piantagione di canna da zucchero ricco e potente; ma gestire Saint-Lazare - la piantagione di suo padre - si rivela sin da subito un'attività complessa, per quanto a modo suo stimolante. 
Capisce, anzitutto, che non ha senso esser ricchi da soli, bisogna avere  qualcuno con cui condividere i successi; si fidanza, così, con una giovane donna cubana, Eugenia, sorella del buontempone e allegro Sancho, con cui Toulouse manterrà sempre un rapporto di fraterna amicizia.

A sua volta, la fidanzata necessita di una schiava personale, che si dedichi a lei e risponda ad ogni sua esigenza; la mulatta Violette - una cortigiana bellissima, piena di fascino seduttivo, ai cui piedi gli uomini cadono folgorati e bramosi di passare anche solo un'ora d'amore con lei - trova per l'uomo la schiavetta giusta: la piccola Zarité, chiamata Tété.

La bimba è intelligente, acuta e silenziosa osservatrice; sa stare al proprio posto con umiltà e mansuetudine, è premurosa con la sua padrona (che con il tempo rivelerà una personalità bisbetica, disturbata da isteria e altri problemi emotivi e psicologici), va incontro egregiamente a ogni sua richiesta, dimostrando di essere una presenza indispensabile e preziosa in casa Valmorain.
Ma ad aver bisogno di Tété non è soltanto madame..., bensì anche monsieur.

L'uomo aspetta che Tété cresca un po' per poi pretendere che diventi la sua amante fissa; la ragazzina diventa quindi l'oggetto con cui il padrone si trastulla e sfoga le proprie voglie e questo durerà per moltissimi anni, per tutto il tempo che Tété sarà schiava dei Valmorain. 

Sebbene la sua adolescenza a Saint-Lazare sia costellata di paura (in particolare è terrorizzata dal capo degli schiavi, Mr Cambray, un uomo spietato, crudele, capace di frustare a sangue gli schiavi solo per  capriccio), stupri, maltrattamenti..., Tété ha la tempra forte; è saggia, paziente e devota agli spiriti africani, ai quali chiede protezione, e proprio nei riti vudù e nei ritmi tradizionali di danze e  tamburi  trova conforto e attimi di gioia.

Nonostante il suo approccio con l'altro sesso sia stato deviato e sporcato dalla violenza sessuale ripetuta, ad opera del padrone, anche per lei arriva l'amore, nella persona di Gambo, un giovanotto forte e coraggioso, che crescendo si aggregherà agli schiavi rivoltosi, i quali combatteranno per spezzare le catene della schiavitù sotto il giogo francese.

Purtroppo però questo amore sincero e appassionato non è benedetto da una buona stella; la Storia ci ricorda che da un certo momento in poi (1790) gli schiavi cominciano a fare pressione sul governo coloniale per ottenere maggiori diritti, fino a ribellarsi con veemenza; quando la sanguinosa rivoluzione condotta da Toussaint Louverture raggiunge le porte di Saint-Lazare, la situazione si fa sempre più sanguinosa, satura di tensioni, morti, linciaggi, paura e terrore, e tutto questo investe e stravolge l'esistenza della povera Tété.

Il padrone, terrorizzato all'idea di essere trucidato dai neri selvaggi e indemoniati, arriverà a fuggire per mettere in salvo se stesso e il figlioletto Maurice (diventato, intanto, orfano di madre), il quale è affezionatissimo alla sua Tété (la chiama affettuosamente maman), che infatti andrà con loro; anzi, grazie a lei e a Gambo, i tre fuggiaschi usciranno vivi dalla piantagione e riusciranno a mettersi in salvo negli Stati Uniti (Gambo continuerà a combattere con i ribelli). 

In Louisiana, a New Orleans, inizia una nuova vita per Tété, la quale è sempre tesa verso la conquista della libertà per sè e per la figlioletta Rosette.

La ragazza ha avuto una prima gravidanza anni prima, ma il padrone le aveva sottratto immediatamente il primogenito dalle braccia per darlo a una coppia di amici; la secondogenita (figlia anch'ella di Toulouse) resta con lei, crescendo ben accudita, negli agi e maturando un sentimento molto forte per il fratellastro, Maurice, che a sua volta l'ama incondizionatamente.

Quando approdano a New Orleans, non è facile per Zarité conquistare la libertà e i suoi rapporti con Valmorain purtroppo non si spezzano; ne è ancora in qualche modo condizionata ma non sarà sola: ritrova l'ex-cortigiana Violette (che in qualche modo si occuperà di lei e Rosette), stringe amicizia con padre Antoine (un frate molto amato e venerato come un santo) e con un nero (un ex-schiavo africano, divenuto poi imprenditore), Zacharie, che sembra essere l'uomo giusto al quale unire il proprio destino.


Leggere questo romanzo dell'Allende per me è stato un po' come guardare un film lungo e denso di personaggi e avvenimenti sì immaginari ma che si stagliano su uno sfondo realistico e molto suggestivo, col risultato di ritrovarci davanti ad un'opera ricca di dettagli, contrassegnata da una notevole forza narrativa che si dispiega attraverso le vicende di una protagonista tenace, coraggiosa, resiliente, fiera e dignitosa, la quale è mossa sempre da quell'anelito di libertà che infuocherà i ribelli e che porterà all'indipendenza di Saint Domingue.

L'Allende racconta di schiavitù, di discriminazione razziale, di violenze e maltrattamenti, di uomini lascivi e prepotenti, di giovanotti ardimentosi e pronti a morire per la libertà, di donne che riescono a trovare il proprio posto nella società nonostante il colore della pelle, e di altre che devono battersi per ottenere il riconoscimento di diritti essenziali.

Zarité non è un'eroina senza paura o una guerriera che compie chissà cosa per diventare una donna libera; lei vive in un periodo storico complicato e si prende tutte le responsabilità alle quali è chiamata, ingoiando bocconi amari quando è necessario e tirando fuori la lingua e il coraggio quando sa che può pretendere.
È una madre disposta a sacrificarsi per il bene delle proprie creature; è una schiava obbediente che strappa brandelli di gaiezza e libertà ballando al ritmo della musica africana; è laboriosa, devota ai potenti spiriti del suo popolo; è una donna voluttuosa, appassionata, fedele al proprio amore, ma anche pratica, che sa riconoscere il momento in cui è saggio smettere di aspettare un fantasma del passato e lasciarsi proteggere da un uomo presente e affidabile.

L'umanità che ci viene presentata tra le pagine di questo romanzo, che mescola storia e immaginazione, è come un grande quadro pieno di colori, di tutte le tonalità, su cui predomina il rosso della passione e dell'ardore di chi non si arrende al proprio destino crudele ma lo trasforma in un grido di rivolta, di speranza, di cambiamento.

Nel complesso, il mio parere sul libro è positivo, ma non posso non confessare che ho trascinato la lettura più del dovuto; per quanto io apprezzi l'accuratezza nella descrizione dell'ambientazione, ne ho sentito un po' il "peso", nel senso che a metà del "viaggio" mi ero arenata e ho risentito della lentezza del ritmo; però da un certo punto in poi ho riacquistato velocità e ho proceduto speditamente fino alla fine.

Comunque lo consiglio, l'Allende merita sempre.

lunedì 15 novembre 2021

Recensione: OTELLO E LA MALEDIZIONE DEGLI HOTEL di Pablo Ayo



Un tranquillo e geniale informatico è perseguitato da una maledizione che lo porta a incappare in terribili sfortune ogni volta che varca la soglia di un hotel. 
Come se questo non bastasse, a rendere la sua esistenza un susseguirsi di avventure mirabolanti e incredibili è l'inganno che la sua fidanzata e un vecchio amico stanno tramando alle sue spalle.


OTELLO E LA MALEDIZIONE DEGLI HOTEL
di Pablo Ayo


384 pp
Puoi essere intelligente e pratico con l'informatica quanto ti pare, ma se la dea bendata si dimentica di te e ti volta le spalle, sei solo uno sfigato al quale non ne va mai bene una e che, prima o poi, rischia di trovarsi nel guai.

È ciò che succede a Otello Bonacasa, vittima di una maledizione di gioventù per cui gli hotel portano sfortuna; a mandargliela è stato un ex-compagno di scuola, Evaristo, il bullo del liceo, che ai tempi gli diede il soprannome di “Hotello con l’H”. 

Negli anni, il povero Otello ha cercato di non tentare la sorte evitando di avvicinarsi a alberghi, pensioni, B&B e soprattutto hotel, e infatti pian piano le cose sono andate meglio: è diventato un informatico di successo ed è a capo, assieme all’amico Marco Trifoldi, dell’azienda “Cloud 9”. 

La fortuna ha preso a sorridergli e l'uomo si è ritrovato con un sacco di soldi, un lussuoso appartamento e una fidanzata bellissima: Alisa. 

Tutto stava andando benissimo, fino a quando non si è recato negli Emirati Arabi per presentare il suo nuovo progetto agli azionisti; va ad alloggiare nell’Hotel più bello di Dubai, l’Atlantis, ma la maledizione torna a colpirlo e con che intensità! In poco tempo si vede costretto a sfuggire alla polizia del posto che lo sta cercando per un carico di quasi venti chili di droga!
Poco importa che non sia la sua e che il povero Otello sia ricercato come spacciatore senza neppure capire il come e il perché: ciò che conta è fuggire per tornare in Italia e tentare di risolvere quello che di certo è un fraintendimento.

Ma le cose si mettono ancora peggio: viene tradotto in carcere a Rebibbia, dove fa amicizia con alcuni detenuti e rivede Evaristo (l'autore della maledizione); grazie all'aiuto di alcuni amici (tra cui la brasiliana Julia, bellissima e soprattutto fedele e sincera), riesce a scappare per poi scoprire che in tanti sono sulle sue tracce: sicari della Camorra, narcotrafficanti colombiani  e malavitosi romani..., tutti lo cercano e questo non promette nulla di buono!
Ma come è possibile che un uomo mansueto, buono e gentile come lui, incapace di commettere reati, sia nientemeno che inseguito da polizia e criminali?
Chi sta cercando di incastrarlo?
Otello deve riuscire a scoprire chi c'è dietro questa baraonda e, supportato dagli incredibili e simpatici personaggi incontrati in carcere - il gigante polacco Baby Wachowsky, il vucumprà Sahid, il falsario veneto Bepi, il contrabbandiere ligure Ceschìn e il già citato Evaristo - e da Julia, cercherà di restare in piedi nel vortice della tempesta che si è abbattuta su di lui.

Quello che non sa - ma che inevitabilmente scoprirà - è che a volere la sua completa rovina sono due persone a lui molto vicine e di cui si fidava; invece queste canaglie vogliono approfittare dei geniali  risultati informatici di Otello per arricchirsi in modo empio e malvagio, e sono intenzionati a far fuori chiunque si metta sul loro cammino.

Riuscirà Otello ad averla vinta su tutti gli eventi sfortunati che lo perseguitano e su quelle persone che vogliono affossarlo ingiustamente? Una cosa è certa: non è da solo in questa avventura rocambolesca, perché chi gli vuol bene davvero gli è accanto e ci resterà fino alla fine.

Questo romanzo di Pablo Aya è stato un vero spasso: divertente, vivace, ricco di dialoghi arguti, pimpanti, con un ritmo spumeggiante e dei personaggi imprevedibili, che fanno sorridere il lettore per le loro caratteristiche (il modo di parlare ed atteggiarsi sempre un po' sopra le righe) colorite ed espressive e perchè ciascuna dà il proprio contributo a rendere le vicende godibili, piene di imprevisti e buffe.

Ad Otello ne succedono di tutti i colori, proprio a lui che è un bonaccione senza colpe, e il suo essere così innocente mette in risalto la crudeltà e il cinismo di chi vuol fargli le scarpe.

Il linguaggio riflette tutta la varietà dei bizzarri ed estrosi personaggi che lo affiancano - come alleati o nemici - nelle vicissitudini che lo vedranno coinvolto, che siano i loschi spacciatori dell'America Latina o gli amici romani o veneziani; il finale mi ha lasciata piacevolmente sorpresa e con un sorriso sulle labbra, come del resto è successo durante tutta la lettura di questo libro che scorre come un film  sagacemente divertente e scoppiettante.

sabato 13 novembre 2021

Recensione: IL MIO DEMONE di Monica B.



Lei è una ragazza abituata alla solitudine, apparentemente fredda, scostante, quasi indifferente ai sentimenti; lui è un ragazzo decisamente fuori dal comune, che proviene da una realtà non umana e da sempre vive facendo a meno dell'amore: entrambi, per ragioni differenti, hanno riposto il proprio cuore dentro un cassetto chiuso a chiave, che finora nessuno è riuscito ad aprire.
Ma il destino li mette l'una nella vita dell'altro, e quest'incontro cambierà totalmente le loro esistenze.



IL MIO DEMONE
di Monica B.




Dáimōn Series Vol. 1
2.99 euro (ebook)
430 pp
«Non conoscevo altro che la solitudine, Andras. Era quello il mio modo di vivere. Poi sei arrivato tu. Mi hai letteralmente scombussolato l'esistenza, ma è stata la cosa più bella che qualcuno avesse mai fatto per me».

Hope è orfana di entrambi i genitori; a prendersi cura di lei è stata, durante tutta l'infanzia, la sua cara nonnina, che le ha voluto bene e le ha inculcato l'idea che la vita non sia solo quella terrena, che vediamo con gli occhi fisici, ma che ci sia un livello sovrannaturale, "magico".
Certo, Hope ha sempre visto questa "fissa" della sua amata Grann per il paranormale, come il segnale di una personalità bizzarra, stramba, e non ha mai creduto alle storie su streghe e incantesimi, essendo lei un tipo concreto e pragmatico.

Attualmente lavora in una caffetteria, di proprietà di Liberty che, oltre ad essere la sua datrice di lavoro, è anche ciò che di più simile ad un'amica Hope abbia; la sera, per arrotondare, lavora in un night di dubbia reputazione, il Supreme, gestito da Dantalion, un giovanotto alla mano e molto protettivo nei confronti della ragazza.
Quest'ultima, però, non dà la minima confidenza a nessuno; con la stessa Liberty, per quanto la consideri sua amica, non riesce a sbottonarsi e sciogliersi più di tanto, figuriamoci con un esponente del "sesso forte", verso il quale è molto diffidente.

Hope non sa cosa sia l'amore e non crede che ci sarà mai posto per l'amore vero nella sua noiosa e grigia vita, fatta solo di lavoro, casa, solitudine e scarsissima vita sociale.

"Ho chiuso le mie emozioni dietro un muro invalicabile. Il mio cuore è protetto. Sono un fiore delicato, con uno stelo d'acciaio. Le mie debolezze diventeranno la mia forza. Non permetterò mai più a nessuno di calpestarmi."

Hope non vuole soffrire e se questo significa fare a meno di legami sentimentali, ebbene, vorrà dire che è ciò che farà. 

Ma una sera accade qualcosa che mai avrebbe immaginato.
Incontra al night un amico di Dantalion, Andras.

Questi non è un ragazzo qualunque.
È un demone, ma del resto lo è sia Dantalion sia altri individui che abitualmente frequentano il night.

Non appena Andras nota Hope, qualcosa scatta dentro di lui; è una sensazione forte di appartenenza, un legame che sente nascere dentro di sè in modo inevitabile e senza che egli sappia spiegarsene la ragione.
Un sentimento che si sedimenta nella sua anima senza lasciargli scampo né libertà di decidere se volerlo o meno.

Sentimento? Anima?
Ma Andras non ha nulla di tutto ciò, lui è un angelo caduto, ribelle, un demone degli Inferi! Non può provare sentimenti perché non ha un cuore e la sua anima è perduta per l'eternità!

Ma allora cosa gli provoca quella mortale piccola, fragile ma bellissima? Desiderio? Passione?
Anche..., ma non solo.

Andras ne è meravigliato: egli non crede nell’amore, non ne ha bisogno e tantomeno gli salterebbe in mente di legarsi ad un essere umano!

Eppure, a voler essere onesto con se stesso, quella mortale gli è entrata dentro e lui deve averla: è sua e lui appartiene a lei.

Dal canto suo, anche la bella Hope non riesce a staccare gli occhi da quel giovane tenebroso, sexy e con uno sguardo truce, capace di incenerire chiunque.

Come Andras, anche lei è stupita di come la sola sua presenza possa scombussolarla profondamente, accendendola di desiderio ma non solo: c'è qualcosa in lui di irresistibile, come se fossero legati da qualcosa di misterioso, indefinibile ma comunque potente.

Non è facile per loro relazionarsi, in quanto hanno entrambi un ben caratterino: lei è abituata ad essere indipendente, a gestirsi da sola, a non chiedere aiuto a nessuno, e non è incline agli innamoramenti.
Lui è un demone potente, avvezzo a comandare e a farsi ubbidire senza troppe storie; e poi è geloso e possessivo e matura questi sentimenti verso Hope da subito, comportandosi con lei come se gli appartenesse da sempre, finendo per mostrarsi prepotente e arrogante, cosa che destabilizza Hope, che da una parte ne è infastidita, dall'altra... lusingata.

Ciò che stravolgerà la piatta normalità dell'esistenza della giovane è l'apprendere come lui e Dantalion non siano umani, bensì demoni.
Inizialmente Hope è scettica, crede che la prendano in giro, ma ben presto dovrà fare i conti con una doppia verità.
Anzitutto, conosce altri demoni (anche donne) e capisce che Andras non le sta mentendo: hanno poteri sovrannaturali incredibili e su questo è praticamente impossibile che possano ingannarla.
E soprattutto, apprende una verità su di sé inimmaginabile, sconvolgente, alla quale non sarà facile abituarsi e che potrebbe esporla a gravi pericoli.

Ma Hope non è più sola e non è una ragazzina indifesa; in lei sono racchiusi capacità straordinarie che deve imparare a riconoscersi e gestire, così da non essere inferiore ai demoni che la circondano, ma anzi, in modo da poter essere la degna compagna del suo Andras.

Quest'ultimo è consapevole di essere coinvolto in prima linea in una guerra ultraterrena, che vede schierati altri esseri molto potenti, i quali non soltanto minacciano il regno oscuro cui egli appartiene ma la stessa Hope, perché - lungi dall'essere una semplice mortale - c'è in lei qualcosa di speciale, che la rende un bersaglio appetibile da parte di queste malefiche creature.

L'amore per Hope cresce di giorno e in giorno e con esso la consapevolezza di volerla proteggere da tutto e tutti: nessuno deve avvicinarsi alla sua donna e farle del male.

Andras vede Hope come "un involucro fragile che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro, eppure ha una forza dentro di sé che potrebbe far invidia al più duro dei diamanti. Risplende di luce propria, ma nemmeno se ne rende conto. È un tesoro prezioso che nessuno si è mai preso la briga di scoprire...".

Ma anche se vorrebbe risparmiarle dolori e problemi, Andras sa che la sua Hope non accetterebbe mai di farsi da parte e di essere trattata come un esserino debole e da proteggere: anche Hope vuole combattere accanto al suo amore, se è necessario, e dimostrare che quando si ama non ci sono ostacoli insuperabili, e che nulla può tenere lontane due anime destinate a stare insieme.

Affiancati dagli amici di Andras, questi e Hope si ritrovano impegnati in diversi scontri molto pericolosi, dove saranno chiamati a tirar fuori tutte le proprie individuali abilità sovrannaturali e a fare squadra per resistere ai terribili attacchi nemici.

"Il mio demone" è un romance/urban fantasy dallo stile molto fluido, che si legge con agilità ed interesse perché la doppia prospettiva (le vicende vengono narrate sia dal pov di Andras che di Hope) fa sì che il lettore venga coinvolto dai sentimenti e dai pensieri dei protagonisti in egual misura; la storia d'amore tra i due è accattivante e vivace in quanto essi sono ambedue molto testardi, hanno una personalità ben definita, non vogliono sentirsi deboli e dipendenti dal partner (in particolare Hope, che è l'umana, la mortale, quindi quella, in teoria, bisognosa di essere difesa), e soprattutto, essendo mossi da un sentimento profondo e solido, fanno di tutto per proteggersi reciprocamente e son disposti a sacrificare se stessi per salvare l'amato/a.
La battaglia sovrannaturale che li vede impegnati non è la classica lotta tra il Bene e il Male, non fosse altro che la dimensione è unicamente quella degli inferi, degli angeli decaduti.
Non mancano le scene d'amore, sensuali al punto giusto.
Come di sovente mi capita di dire, non sono una lettrice appassionata di fantasy (è un genere che difficilmente ricerco spontaneamente ed è anche un po' per questo che accetto le proposte di case editrici o autori in questo ambito), in tutte le sue accezioni, ma quando il libro merita e mi convince sono sempre lieta di aver allargato il mio repertorio di letture, rendendolo più variegato.

Concludendo, se siete alla ricerca di un romanzo che unisca paranormal e romance, questa può costituire la lettura giusta per voi.


mercoledì 10 novembre 2021

Novità dalle Case Editrici - novembre 2021 -

 

Cari lettori, oggi vi presento alcune pubblicazioni di differenti case editrici; trovo siano interessanti e soprattutto abbracciano più generi letterari.


“Il killer del loto” di Marco De Fazi (Porto Seguro Editore, 246 pp) - THRILLER -

A Minneapolis, sulla sponda del fiume, viene rinvenuta una testa umana, recisa di netto. Nella sua bocca è stato inserito un fiore di loto e alla base del collo c’è il numero quattro tatuato. Il detective Clay Stone, con l’aiuto di Rabbit, un giovane tecnico forense, ha il compito di scoprire l’identità della vittima e quella dell’assassino. 
Il giorno seguente però, nel pieno delle indagini, viene ritrovata una seconda testa, sempre con un fiore di loto inserito in bocca e un tatuaggio con il numero tre sul collo.
Tra corse contro il tempo e oscure verità riemerse dal passato, Clay Stone si troverà nel mezzo di un macabro meccanismo ad orologeria che dovrà superare per riuscire a stanare il killer del loto.

“Storie di Donne: Miriam” di Aldo Lado (Edizioni AngeraFilm, 386 pp) - Romanzo storico -


Miriam è una ragazzina di nove anni che vive con il padre, il rabbino Belgas, e il fratello tredicenne Meir in una Gerusalemme lacerata da una guerra interna. 
L'arrivo dei Romani, che aveva fatto sperare nella pace, si trasforma in un assedio. Decidono di fuggire ma quando si credono in salvo, Miriam viene catturata dal generale Larcio Lepidio, resa schiava e portata a Roma. 
A contatto con la Corte Imperiale, in Miriam cresce il desiderio di cultura ma anche l'odio per Larcio Lepidio, responsabile delle sue disgrazie. 
Nove anni dopo, venduta ad un ricco speculatore di Pompei, il destino le riserberà una difficile storia d'amore, oltre al ritrovamento del fratello Meir, dato per morto. 
I due fratelli, nati entrambi liberi ed insofferenti al loro stato di schiavitù, verranno costretti alla fuga rischiando di morire. L'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. fa da catarsi.


“I re dell’Africa” di Giuseppe Resta (I Libri di Icaro, 280 pp) - NARRATIVA CONTEMPORANEA


Nello scenario di una terra del Sud Italia, le meticce stratificazioni di arti e culture pregiate nascondono un male sporco e oscuro che scorre torbido su e dentro le contrade martoriate dallo sfruttamento. 
L'antica cultura contadina della misura e del rispetto ha abdicato a un illimitato cinismo; lasciando dilagare la corruzione, il malaffare e l'inquinamento, ambientale e sociale, in un groviglio di illegalità diffusa. In questo romanzo, così come poi succede nella vita di ogni giorno, corrotti e corruttori non sembrano essere in grado di rendersi conto delle dannose conseguenze del loro agire scellerato. 
Questa indifferenza al male non li rende meno colpevoli e l'essere privi di senso di colpa si riverbererà soprattutto sui più indifesi.



“L’ultima ricamatrice” di Elena Pigozzi (Piemme, 176 pp)  Narrativa contemporanea

Appoggiata ai bordi del bosco, sulla via che dal paese va verso le montagne, c'è una piccola casa
solitaria: è qui che vivono le ricamatrici. 
Ora è rimasta Eufrasia a praticare l'arte di famiglia, tesse, cuce, ricama leggendo in ogni persona che le si rivolge i desideri più inconsci. 
Accanto a lei come prima alla bisnonna, alla nonna e alla madre, da sempre, il telaio di ciliegio, rocchetti, stoffe, spole e spilli. 
Eufrasia ha settant'anni e ha quasi smesso di lavorare, le mani curvate dall'artrite e la modernità in cui tutto è fatto in fretta le avevano fatto pensare di non servire più a nessuno. 
Ed è in quel momento che arriva Filomela, una ragazza giovane con il riso negli occhi oltre che sulle labbra, che le chiede di prepararle il corredo e di insegnarle a ricamare. 
A lei la'anziana racconta di una giovane vedova di guerra gentile ed esperta nel taglio e cucito, di una splendida e coraggiosa ragazza troppo bella per non attirare le malelingue di paese, di un amore delicato come il filo di lino e tanto sfortunato, e di un ricamo tessuto da generazioni, in cui ognuna di loro ha scritto un pezzo della propria esistenza, una scintilla luminosa nel buio del mondo.


“Segreto di madre” di Stefano Antonini (Astro Edizioni,  320 pp) Narrativa contemporanea


Un romanzo epistolare tratto da una storia vera, oggetto di laboratori nelle scuole di Bologna e dintorni, per educare all'affettività. 
Dopo aver perso la madre, un giovane docente di una scuola secondaria di Bologna decide di raccontare ai suoi studenti il segreto che la donna aveva conservato per anni: il suo primo, grande amore. Nell'appoggiare sulla cattedra la scatola contenente 124 lettere, scritte tra il 1951 e il 1952 dall'allora fidanzato della donna, il professore getta le basi per una discussione con i suoi studenti, che si ritrovano a confrontarsi su cosa loro avrebbero fatto in quella situazione e su quali condizioni si potesse generare un "per sempre Amore".

"L'idiota" di Fëdor Dostoevskij (Casa Editrice: Recitar Leggendo Audiolibri, tetto e tradotto da Claudio Carini, durata: 29h:49m, versione integrale). CLASSICO


L'idiota è incentrato su tre figure cardine: Rogòžin, che rappresenta l'eros, la passione, l'amore violento, il principe Myškin, il protagonista del romanzo, che rappresenta invece l'amore fraterno e disinteressato, l'amore platonico di impossibile realizzazione, e Nastàs'ja, la figura femminile centrale, la quale, in un punto cruciale del romanzo, dice: «Nell'amore astratto si finisce quasi sempre per amare sé stessi». 
Dostoevskij lascia che l'uomo e la vita stessa si raccontino nella loro enorme complessità e contraddittorietà: «L'uomo è un mistero, un mistero che bisogna risolvere, e se passerai tutta la vita a cercare di risolverlo, non dire che hai perso tempo; io studio questo mistero perché voglio essere un uomo».


"Tecnica di Riequilibrio Concentrico” di Fabio Bertagnolo  (Il Papavero Ed., 112 pp) - Benessere/ Salute/Medicina alternativa


Stiamo vivendo un momento contrassegnato da un profondo cambiamento epocale che ci richiede un grande combattimento, prima interiore, poi esteriore: nati e cresciuti in un mondo basato sul materialismo dobbiamo riacquistare la capacità di vedere con gli occhi del cuore. La mia nuova tecnica di Riequilibrio Concentrico è volta ad aiutarti e sostenerti in questo percorso. Passando dal corpo, dai chakra, dal campo aurico, aiuta a giungere al cuore di ogni persona per risvegliare, in noi stessi e negli altri, una dimensione nuova che ci porterà ad abbracciare il necessario cambiamento, l’unico che potrà condurci lungo il sentiero della felicità.


“Vivi davvero?” di Federico Galantini e Nikolai Tisci (Passione scrittore – Partner Mondadori, 120 pp) - Saggistica / Raccolta di pensieri e opinioni sull’attualità - 


La società, la libertà, le responsabilità della vita in rapporto con i cellulari, i social network, i “like”: sono questi alcuni degli argomenti trattati nell’opera. I due protagonisti, Federico Galantini e Nikolai Tisci, si pongono domande assolutamente attuali e condivisibili: come interagire con gli altri, soprattutto dopo una pandemia che ci costringe a isolarci; quanto è importante il ruolo genitoriale e quello dell’educazione nella vita di una persona; quanta libertà abbiamo nella società in cui viviamo; quanto siamo disposti a pagare per la visibilità sui social. 
In un mondo in cui la moneta di scambio è il “like”, i due giovani si interrogano sulle conseguenze dello sviluppo della tecnologia e sull’enorme spazio che ormai ha nella nostra vita, ma non solo. 
Gli autori, che non sembrano aver paura di dire ciò che pensano, aiutano il lettore a riflettere su interrogativi quasi esistenziali e lo guidano incoraggiandolo a sviluppare un proprio pensiero e a sostenerlo, soprattutto se diverso da quello che coloro scrivono.


lunedì 8 novembre 2021

Recensione: L'IMPRONTA DEL MALE di Manuel Ríos San Martín


Due omicidi distanti sei anni ma accomunati da particolari inquietanti, che rimandano a riti ancestrali, risalenti agli uomini primitivi. A chi appartiene la mano assassina?


L'IMPRONTA DEL MALE 
di Manuel Ríos San Martín


Edizioni Nord
trad. f. Taibi
552 pp
"L’istinto alla violenza si nasconde dentro di noi, acquattato nel nostro io più profondo. È nel DNA, nell’anima. Ciascuno può collocarlo dove vuole, sta di fatto che è presente, e che non si può estirpare senza uccidere l’essenza dell’essere umano. È qualcosa di primitivo, atavico, fondamentale. Esiste da milioni di anni. È il mistero che ci definisce. Bisogna solo aspettare che la rabbia o il dolore lo risveglino. Oppure l’invidia. O la paura. O la lussuria. E a quel punto..."
 

Silvia Guzmán è un'ispettrice di polizia in gamba, intuitiva, professionale, che dà tutta se stessa nei casi da risolvere.
Ma non è infallibile, certamente, e ancora le brucia l'insuccesso di sei anni prima, quando lei e il suo collega di allora (Daniel Velarde) non erano riusciti a risolvere il delitto delle Asturie: una ragazza molto giovane (Teresa Yaner) era stata rinvenuta cadavere dopo essere scomparsa per due giorni; il suo corpo giaceva nudo, in posizione fetale, in un sito funerario (la grotta di El Sidrón); attorno a lei, una polvere rossa.
Un delitto inquietante, dalle tinte fosche e misteriose, per il quale avevano un sospettato - il tassidermista Carlos Bejar -, che però non erano riusciti ad inchiodare e che, da allora, era scomparso. Dileguatosi, senza lasciare traccia.

Sei anni dopo, la polizia è davanti ad un caso molto - troppo! - simile.
Ad Atapuerca, un paesino che sorge in un angolo sperduto della Spagna ma famoso per essere uno dei siti di archeologia preistorica più vasti del mondo (dove sono conservati i resti umani più antichi mai rinvenuti e dove è stato commesso il primo omicidio documentato della storia), un gruppo di studenti in gita scopre il cadavere di una ragazza: nuda, in posizione fetale e disposta come nei riti funebri della preistoria. 
Il suo nome è Eva Santos e ad indagare viene richiamata proprio Silvia, accompagnata dal giovane ispettore Rodrigo Ajura.

Quando la donna si rende conto che troppi particolari dell'omicidio della povera Eva coincidono con quello di Teresa, le sembra di rivivere un incubo fin troppo noto, che ai tempe le tolse il sonno, ed ancora oggi la turba, avendole lasciato sensi di colpa e un maledetto senso di sconfitta e di impotenza. 

Quel delitto mai risolto, infatti, aveva quasi distrutto la sua carriera di poliziotta ed era costato il posto a Daniel Velarde (che attualmente non è più poliziotto) con cui non aveva solo condiviso quell'incarico ma anche una relazione clandestina, che aveva lasciato amarezza, risentimenti e un gran disagio ad entrambi, creando tra loro un abisso e una lontananza incolmabili.
Silvia apprende che il giudice ha preteso la presenza di Velarde come consulente della polizia, essendo molto apprezzate le sue doti investigative.

Quando i due si rivedono, dopo anni di silenzio, sono imbarazzati: non si erano lasciati serenamente, tutt'altro, e l'idea di lavorare di nuovo l'uno accanto all'altra non li entusiasma.
La nuova indagine potrebbe rivelarsi l'occasione propizia per affrontare i fantasmi del passato e i loro demoni personali, e forse per venire a patti coi sentimenti e l'attrazione che ancora provavano l'uno per l'altra. 

Ma non sarà affatto semplice in quanto, col trascorrere delle ore, si rendono conto che in quel luogo inquietante che trasuda antichità e preistoria - in cui sembra che tutti si conoscano ma in realtà a regnare sono i segreti più inconfessabili, celati bene bene dietro le singole esistenze - arrivare a dare un volto e un nome al colpevole della morte di Eva (e chissà..., magari anche di Teresa) si rivela dal primo istante un rebus dei più complicati.

Troppe persone via via paiono essere coinvolte e avere moventi - anche deboli - per l'omicidio.

Incrociando dati, foto, informazioni avute tramite interrogatori serrati da parte di Silvia e Daniel, i due arrivano ad una prima verità: la bella e conturbante Eva era una ragazza con uno stile di vita fuori dagli schemi; era molto (eccessivamente?) interessata alla vita nella preistoria, in particolare al sesso e ad altri riti strani e con risvolti pericolosi.
Inoltre, aveva un rapporto ambiguo col fratello, Gabriel, un giovanotto con problemi mentali e che lei in qualche modo manovrava.
Eva aveva un fidanzato, Adriàn, e pare che i due siano stati visti litigare qualche ora prima che lei morisse.

La polizia è di fronte ad un caso molto intricato, che richiede agli investigatori di calarsi appieno nell'atmosfera selvaggia, primitiva, che avvolge in modo radicale e diffuso Atapuerca; soprattutto, bisogna capire il modo di ragionare di chi è ossessionato dai rituali degli uomini primitivi, cercare di ragionare come loro così da poter arrivare quantomeno a delle piste credibili.

Silvia e Daniel scoprono che diverse persone a vario titolo coinvolte nell'indagine, erano presenti anche sei anni prima nelle Asturie: forse tra loro si nasconde l'assassino? O magari quello attuale è semplicemente un emulatore?
In ogni caso va fermato e, in momenti diversi nel corso delle ricerche, i sospetti cadranno su più persone, con i quali la defunta aveva rapporti poco chiari, compreso un giovanotto di nome Galder, anch'egli con la passione della vita nei tempi antichissimi e con la agghiacciante convinzione di voler provare a vivere come gli antenati: a contatto con la natura, cacciando animali, di piccola e grande taglia, con arco e frecce, col corpo pitturato, a mangiare e danzare attorno al fuoco, mezzi nudi o solo vestiti di pelli.
Chissà cosa si prova ad ammazzare con le proprie mani un essere vivente per sopravvivere? A fare sesso nelle grotte come i selvaggi? A simulare le sepolture dei morti così com'erano in uso presso gli ominidi?

Grazie alle stimolanti conversazioni con Samuel Henares (direttore degli scavi di Atapuerca), Daniel cerca di addentrarsi (per comprenderli) nei meccanismi che si attivano nella mente (e nell'animo?) dell'uomo e che lo portano a concepire e compiere il male.
Un male che è connaturato all'essere umano? È dentro di noi da sempre, scritto nel nostro DNA? 
Siamo tutti dei potenziali criminali?

"Quando si ha a che fare col male, è facile vederlo negli altri, in coloro che classifichiamo come criminali; il difficile è accorgersi che vive dentro ognuno di noi."

"Spesso aveva sentito dire che la differenza tra pensiero e azione è quella che separa un innocente da un assassino. «Tutti abbiamo fatto pensieri di cui vergognarci, ma non altrettante azioni terribili di cui pentirci»"


I personaggi che agiscono in questo intricatissimo e sinistro caso - tanto la vittima quanto i possibili sospettati - hanno tutti in qualche modo dei lati oscuri e torbidi, dei "vizi" che li portano (o potrebbero portarli) a progettare/commettere azioni che superano il buon senso, ciò che è moralmente accettabile e a dare sfogo agli istinti primordiali, atavici, gli stessi che muovono gli animali o che hanno guidato il vivere quotidiano degli uomini primitivi.

Silvia, Daniel e Rodrigo non potranno esimersi dal guardare negli angoli più sordidi e morbosi della mente umana, per capire fin dove essa si può spingere quando si abbandona la via della ragione per assecondare gli impulsi ferini e violenti, e per  riuscire a districarsi tra bugie, depistaggi, silenzi e fissazioni insane così da arrivare a chiudere il cerchio, venendo a capo non soltanto dell'assassinio di Eva ma anche di altri individui coinvolti nel caso e di quello della stessa Teresa sei anni prima.

"L'impronta del male" è un thriller corposo e molto ingarbugliato, ricco di particolari, descrizioni minuziose di scene e luoghi, dove la maglia dei misteri che avvolgono i diversi omicidi . che si susseguono dopo quello principale - si fa progressivamente più fitta.

I poliziotti protagonisti sono sicuramente bravi e scrupolosi ma non sarà affatto semplice per loro districare ogni nodo, tanto più perché le questioni personali rischiano di offuscare la loro lucidità.

Rodrigo è un novellino con tanta buona volontà e voglia di farsi notare, ma questo potrebbe indurlo ad essere precipitoso e a commettere passi falsi.

Silvia ha problemi con il fidanzato storico e con il proprio cuore..., che sobbalza al solo pensiero di avere Daniel accanto a sè, ad accompagnarla nelle indagini; con l'uomo c'è una relazione interrotta bruscamente e che ha lasciato dietro di loro strascichi dolorosi, che però non sono stati sufficienti ad annullare il sentimento che nutrono l'una per l'altro. A ciò si aggiunge l'amarezza che la ragazza prova nel rendersi conto di come sia difficile per una donna farsi apprezzare dai superiori, che le preferiscono ancora Daniel, quando invece lei è cosciente di saper fare - e bene - il proprio lavoro. Circa la protagonista, devo confessare di non essere entrata poco in sintonia con lei: c'è qualcosa nei suoi modi bruschi e nervosi (e un po' da depressa) che me l'hanno resa antipatica.

Daniel continua a ripensare a ciò che s'è spezzato con Silvia - pur essendone ancora attratto mentalmente e non solo - ma questo non gli impedisce di concedersi brevi flirt, basati sull'attrazione sessuale, come quello con Inès Madrigal, la giovane coordinatrice degli scavi, tanto bella quanto colta, arguta e dall'aria fresca ed innocente.
I momenti d'intimità tra i due sono saturi di erotismo e ci vengono descritti dettagliatamente, ma del resto la componente sessuale ha un ruolo non indifferente nella comprensione e soluzione del caso, perchè sta alla base delle azioni di alcuni dei personaggi.

Affascinante ed interessante tutta la parte relativa all'archeologia e alla preistoria, ai modi di vivere di Homo Sapiens, di Neanderthal, all'importanza dei riti, alla paura della morte e al modo di affrontarla; similmente, lo sono i ragionamenti sul male che l'uomo è capace di compiere e di come esso risieda in ogni individuo al pari del bene; ogni persona deve sentirsi necessariamente responsabile delle proprie azioni, altrimenti è accomunabile alle bestie, che agiscono istintivamente e senza alcun principio etico, morale.

Concludendo, devo ammettere che non ho divorato questo romanzo; ho provato sì interesse e curiosità, per tutto il tempo, verso le indagini e la ricerca del colpevole, ma mi è mancata l'adrenalina, che solo verso la fine s'è attivata; credo che ciò sia dovuto al fatto che si sia dato ampio spazio alle parole, ai ragionamenti, alle disquisizioni  filosofiche, antropologiche e psicologiche, il che un po' ha rallentato il ritmo, più da serie tv (in cui devi attendere la puntata successiva per sbrogliare ogni piccolo mistero e avere un colpo di scena) più che da film thriller frenetico che mozza il respiro.

Ma in linea generale mi è piaciuto leggerlo perché trovo che la sua trama complessa e ricca sia narrata con accuratezza, minuziosamente, e che ogni particolare, ogni dettaglio apparentemente insignificante, abbiano il loro perché; rinnovo l'apprezzamento per il contesto archeologico che ti porta indietro di tantissimi anni nella storia dell'Uomo.